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Clichè e lalangue, per una geografia del non-Bosco

3. Andrea Zanzotto

3.5 Il Galateo in Bosco

3.5.1 Clichè e lalangue, per una geografia del non-Bosco

La struttura delle raccolte di Zanzotto si rivela essere un elemento sempre fondamentale al fine di orientare qualsiasi lavoro di ricostruzione critica. Non solo esse sono determinanti per la strutturazione del discorso poetico all’interno della raccolta, ma appaiono costantemente caratterizzate da una perfetta geometria, un senso di equilibrio suggerito e nascosto nell’architettura del singolo libro. Per mezzo di questa struttura, il Soggetto tende ad acquistare posizioni diverse, ma sempre e solitamente identificabili con il centro della raccolta. L’architettura macrotestuale di Il Galateo in Bosco svolge in realtà una funzione ancora più importante per la strutturazione della poetica zanzottiana in quanto si autodetermina come geografia della Storia, ovvero della dimensione intersoggettiva di quello che è stato caratterizzato come io lirico: essa svolge la funzione di una geografia in cui il Soggetto si offre fisicamente in luogo, attraverso la propria esperienza linguistica del mondo. Zanzotto, attuando un parallelismo fra poesia e luogo, afferma:

Ogni libro, a sua volta, non è che una riassuntiva, imprecisa icona, o mero indizio, di uno stare in luogo nel quale, per quanto il referente possa essere esorcizzato o addirittura rimosso, si verificano fenomeni omologhi a quelli sopra descritti. E in quella che si dichiara o propone per poesia lo spessore polifonico, o polidisfonico o poliequivocante di ogni luogo si riversa nel luogo-lingua, nel suo continuo sbocciare o scoppiare e, contemporaneamente, nel suo essere, in quanto testo, potenziale sovrapposizione di tutto su tutto, onnivoro punto.336

In maniera molto più apertamente dichiarata rispetto alle opere precedenti ed alle successive, Il Galateo in Bosco è inoltre caratterizzato da una struttura bipartita, corredata da una fitta trama di rimandi interni, che può accogliere, a ragione, la definizione di raccolta geografica in grado di orientare il lettore all’interno di questo movimento di ingresso nella selva. Le due sezioni sono intitolate Cliché e Il Galateo in Bosco; all’interno di quest’ultima è incastonato il celebre Ipersonetto.

La prima sezione della raccolta prepara l’ingresso del lettore all’interno del cuore dell’esperienza linguistica e poetica sviluppata da Zanzotto nel libro. Il cliché del titolo è il luogo culturale del riconoscimento che appartiene a tutti così come non appartiene realmente nessuno. Esso è la materia linguistica nutrita di in-appartenenza e che vive una vita biologica molto simile a quella dello scarto, del materiale dimenticato nel bosco che è destinato a contribuire a quella stratificazione storica che il Soggetto fatica a sciogliere e                                                                                                                

ANDREA  ZANZOTTO    

ad analizzare. Contemporaneamente in esso è contenuta la possibilità di rifondare un linguaggio finalmente personale a partire dal riconoscimento dei limiti del linguaggio poetico stesso, della sua natura profondamente normativa e normata:337 quello che Zanzotto vuole tentare è il riconoscimento di spazi interstiziali di uscita dal cliché linguistico-tematico. Tuttavia, per fare ciò, è necessario prima riconoscere ed identificare i limiti linguistici presenti all’interno della propria dizione poetica che si rivelano sotto la forma di tematiche ossessive e ridondanti.

In questo senso, l’elencazione di diversi cliché, luoghi comuni o, utilizzando una definizione che sarà utilizzata dallo stesso Zanzotto, non-luoghi dell’espressione poetica che vengono a imporsi come tematiche ossessive nella costruzione del discorso del poeta di Pieve di Soligo, può essere ricondotta ancora a quella tripartizione a cui prima si accennava, nella quale il Soggetto appare il centro dialettico della messa in comunicazione fra la sua esistenza linguistica e storica.

La prima sezione de Il Galateo in Bosco ripropone questo triangolo ai cui estremi sono collocati i temi del Soggetto, del linguaggio e della Storia/natura, disponendoli sotto forma di luoghi auto-citazionisti quasi come un’introduzione ai luoghi più interni e profondi della raccolta. Le forme della citazione interna permettono, oltre che di verificare la definizione de Il Galateo in Bosco come canzoniere lirico, anche l’accostamento dell’aggettivo manierista alla raccolta: infatti il refrain tematico può a ragione essere letto in funzione della tendenza zanzottiana al montaggio di diversi materiali testuali all’interno delle sue opere, a cui segue un’evidente complicazione dei piani che si sviluppano al suo interno.338

                                                                                                               

337   Il   rapporto   con   la   funzione   della   norma   linguistica   è   un   elemento   determinante   la   poetica   zanzottiana  a  partire  da  IX  Ecloghe.  Questo  particolare  legame  è  stato  indagato  da  Andrea  Cortellessa   in  riferimento  al  rapporto  di  amicizia  e  rivalità  intrattenuto  con  Franco  Fortini.  Due  sono  le  principali   ragioni  di  attrito  fra  i  due  (soprattutto  dal  punto  di  vista  fortiniano):  da  un  lato,  il  permanere  di  alcuni   vezzi   ermetici   nella   prima   poesia   zanzottiana,   troppo   compromessi   con   un’idea   della   poesia   come   parola  pura;  dall’altro  invece,  l’utilizzo  delle  scienze  umane  all’interno  del  corpo  poetico  a  partire  dagli   anni   Sessanta.   Si   veda   Andrea   Cortellessa,   “Il   sangue,   il   clone,   la   madre   norma.   Zanzotto   e   Fortini,   corrispondenze  e  combattimenti”  in  AAVV,  Andrea  Zanzotto.  Un  poeta  nel  tempo  (Bologna:  Edizioni   Aspasia,  2007),  pp.  97-­‐129.  

338  L’immagine  utilizzata  da  Zanzotto  in  questa  raccolta  è  quella  degli  Holzwege,  i  sentieri  nel  bosco   heideggeriani,  testo  con  il  quale  il  poeta  di  Pieve  di  Soligo  intratterrà  un  dialogo  profondo  a  partire  da   questi  anni.  La  lettura  del  filosofo  tedesco  è  stimolata  inizialmente  dalle  pagine  che  quest’ultimo  aveva   dedicato  a  Hölderlin,  poeta  che  costituisce  uno  dei  grandi  referenti  della  poesia  del  primo  Zanzotto.   Cfr.  Luca  Stefanelli,  “Heidegger  lettore  di  Hölderlin”  in  Il  divenire  di  una  poetica.  Il  logos  veniente  di  

3.5.1.1 Dolcezza. Carezza. Piccoli schiaffi in quiete, il tema del Soggetto

Il testo proemiale alla prima sezione propone fin da subito il tema del Soggetto come centrale e strutturante il significato complessivo dell’intera raccolta.

Il Soggetto lirico, la cui entrata in scena è significativamente ritardata da un denso elenco di sintagmi nominali, è il principale motore di una rêverie stimolata da una serie di sollecitazioni esterne. Questa, come altre nella poesia zanzottiana, rappresenta un’esperienza immersiva, ma a differenza delle precedenti, la narrazione è in questo caso giocata intorno ad impressioni, a flash in grado di restituire lacerti dell’esperienza microstorica soggettiva. In modo diverso rispetto alla memoria involontaria proustiana, la ricostruzione del ricordo zanzottiano non è subordinato ad un’unica suggestione esogena sulla quale innestare un tentativo di restituzione di senso: le sollecitazioni sensoriali che sono sottoposte al Soggetto vivono di una discontinuità endemica, alla quale nemmeno l’opera d’arte è in grado di rispondere ristabilendo l’unità perduta dell’esperienza.

Infatti, le suggestioni esterne vengono introiettate dal Soggetto solo parzialmente attraverso l’affioramento di particolari disposti entro una fitta struttura elencativa che non viene ordinata secondo alcun criterio, se non tramite una riedita spontaneità inconscia.

Dolcezza. Carezza. Piccoli schiaffi in quiete.

Diteggiata fredda sul vetro. Bandiere piccoli intensi venti/vetri.

Bandiere, interessi giusti e palesi. Esse accarezzano libere inquiete. Legate leggiere.

Esse bandiere, come-mai? Come-qui? Battaglie lontane.339

Il ricordo prodotto dal luogo, dal paese dell’infanzia, è da questo punto di vista, tutt’altro che nostalgico, sovrapponendosi, quasi vittima della stimolazione offerta dal luogo, all’affiorare del reperto storico della Grande Guerra, delle “bifide e trifide bandiere”.340 Il sostantivo “bandiere”, ripetuto e variato ossessivamente lungo tutto il componimento, rimanda alla connessione drammatica stimolata dall’affiorare del ricordo soggettivo e dalla sua messa in comunicazione con il trauma più profondo e di natura collettiva prodotto dal luogo.

                                                                                                               

339  A.  Zanzotto,  “Il  Galateo  in  Bosco”  in  Le  poesie  e  le  prose  scelte,  p.  551.  

ANDREA  ZANZOTTO    

La figura del “circo”, che viene da Dal Bianco collegata all’immagine dell’atollo di Dietro

il paesaggio, simbolizzazione dello spazio limitato che viene destinato alla poesia,341

rappresenta la scorta, costituita di suggestioni sensoriali ed echi più o meno culturali e letterari, che accompagnerà il Soggetto all’interno del bosco, durante il suo viaggio dantesco e tutto intellettuale che penetra le pendici del Montello.

Il Soggetto lirico entra in scena indirettamente alla fine del componimento per mezzo della figura del “funambolo” in grado di mettere in comunicazione le due estremità del ricordo inconscio e della datità reale che lo ha prodotto all’interno di questa cascata verbale.

come sempre mortale

come sempre in tortura-ridente come sempre in arsura- ridente ridente

E lui va in motoretta sulla corda tesa su verso la vetta del campanile, dell’anilinato mancamento azzurro.342

L’equilibrismo funambolico del Soggetto, sospeso fra queste due istanze, quella dell’Inconscio e quella del reale, è un percorso non solo di entrata nel bosco, ma allo stesso tempo di superamento di questo luogo al fine di raggiungere quel “mancamento azzurro” che è la radice della propria natura soggettiva.343 La scelta di rappresentare il Soggetto in equilibrio precario fra queste due polarità conduce direttamente la riflessione zanzottiana ad affrontare il tema del linguaggio poetico:

[l’esperienza del linguaggio] ingombrerà i referenti, i significati e i significanti, o se vuole il reale, l’immaginario e il simbolico, condensandoli in una sempre più insopportabile unicità di luogo fatta di non-luoghi, fino a un non-luogo-a-procedere appunto entro quello che doveva essere il processo storico (o veniva fantasmatizzato come tale).344

 

3.5.1.2 Gnessulògo, il tema del linguaggio

Come chiarificato dalla glossa al componimento, il termine “gnessulògo” sarebbe da intendere come un avverbio di luogo, “ma resosi stranamente libero come intraducibile

pendant negativo di ovunque”.345 Il componimento è, a partire dal titolo, il centro                                                                                                                

341  S.  Dal  Bianco,  “Profili  dei  libri  e  note  alle  poesie”,  p.  1580.  

342  A.  Zanzotto,  “Il  Galateo  in  Bosco”,  p.  552.  

343  John   P.   Welle,   “The   poetry   of   the   mandala.   Writing   and   Subjectivity”   in   The   poetry   of   Andrea  

Zanzotto.  A  critical  study  of  Il  Galateo  in  Bosco  (Roma:  Bulzoni,  1987)  pp.  95-­‐96.  

344  A.  Zanzotto,  “Su  Il  Galateo  in  Bosco”  in  Le  poesie  e  le  prose  scelte,  p.  1218.  

dell’intera sezione, proponendosi esso stesso come non-luogo, clichè del linguaggio che torna a ragionare sul proprio statuto e sulle proprie possibilità di significazione.346 Il linguaggio poetico appartiene ad un luogo indescrivibile e non situabile nell’espressione quotidiana, nel grado zero della comunicazione, il quale presuppone un movimento di entrata e di avvicinamento alle porte del Bosco, figura della stratificazione dei vari registri ed oggetti che sono compresi dall’esperienza soggettiva.

Il testo può essere suddiviso in tre sezioni che sono parzialmente sovrapponibili a quelle evidenziate dall’autore per mezzo degli spazi tipografici.

L’apertura è tutta giocata sul tema dell’estasi panica: il Soggetto lirico non viene introdotto pronominalmente, ma è fortemente implicato nel gioco di rispecchiamento che si svolge fra lui e il paesaggio. L’ingresso nel bosco del Montello è un’esperienza quasi mistica di entrata in contatto con il reale, che stimolano nel Soggetto “sospiri” di dantesca memoria:

Tra la gloriola messa a disposizione

del succhiante e succhiellato verde di radura tipicamente montelliana

circhi in ascese e discese e – come gale – arboscelli vitigni stradine là e qui

affastellate e poi sciorinate in una soavissima impraticità347

La gloria del paesaggio non è praticabile e viene ridotta, tramite il vezzeggiativo, a “gloriola”: essa può essere ridotta solo ad una copia opaca della gloria, in quanto non può essere rappresentata compiutamente dal linguaggio della poesia, che innalza e glorifica, ma inevitabilmente tradisce.

La radura è “tipicamente montelliana”, ovvero ricollegabile con sicurezza a questo luogo che in realtà, essendo descritto tramite un mezzo imperfetto come quello linguistico, è caratterizzato dal poeta come non-luogo. Nella rapida elencazione di tutte gli oggetti che concorrono alla formazione di questo paesaggio mentale, Zanzotto descrive delle “stradine” che si inerpicano in modo disordinato e che sono caratterizzate per mezzo dell’ossimoro “soavissima impraticità”, dove il neologismo vuole descrivere

                                                                                                               

346  Enio  Sartori,  “Introduzione”  in  Tra  bosco  e  non  bosco.  Ragioni  poetiche  e  gesti  stilistici  ne  Il  Galateo  

in  Bosco  di  Andrea  Zanzotto  (Macerata:  Quodlibet,  2011),  pp.  9-­‐11.  

ANDREA  ZANZOTTO    

l’impraticabilità del percorso.348 Per mezzo di quest’immagine, Zanzotto introduce indirettamente per la prima volta all’interno dell’opera il tema degli Holzwege, dei sentieri interrotti heideggeriani che si snodano nelle profondità del bosco e che non conducono a nulla. Il termine Holzwege è utilizzato da Heidegger per introdurre una serie di saggi di vario argomento, pubblicati subito dopo la fine del secondo conflitto mondiale.

Holz è l’antico nome del bosco. Nel bosco si trovano sentieri molto sviluppati, che si

interrompono bruscamente nel momento in cui il bosco rimane non calpestato. Li chiamano Holzwege.

Ognuno va in direzioni diverse, nel cuore della stessa foresta. Accade spesso che non si possa distinguere l’uno dall’altro. Ma solo all’apparenza.

I taglialegna e i guardiacaccia conoscono questi sentieri. Sanno cosa voglia dire essere in un

Holzwege.349

La struttura linguistica dello stesso componimento è organizzata come questi sentieri che si perdono nel bosco in un groviglio antinomico di strade che non conducono a nessun significato complessivamente definitivo, di nuovo a “gnessulògo”. Parallelamente a questi percorsi del senso interrotti, il Soggetto intraprende diverse strade linguistiche che costruiscono una geografia della propria capacità di rappresentarsi attraverso il testo nel tuo costruirsi tipograficamente e quindi topologicamente.

Nonostante questo tentativo di mappatura dei percorsi compiuti verso il significato, il Soggetto ha la sensazione di trovarsi di fronte ad un sentiero sbarrato e traumaticamente si guarda da fuori, dandosi del “tu”:

Ed è così che ti senti nessunluogo, gnessulògo (avverbio) mentre senza sottintesi

di niente in niente distilla se stesso (diverbio) e invano perché

mai a gnessulògo è equivalente e perché qui propriamente

c’è solo invito-a-luogo c’è catenina di ricchezze e carenze qua e lì lì e là -e chi vivrà vedrà-350

                                                                                                               

348   Il   tema   dei   sentieri   interrotti,   degli   Holzwege   heideggeriani,   ritorna   anche   nel   Sonetto   XIII   dell’Ipersonetto:  “Che  se  pur  m’aggirassi  passo  passo  /  per  Holzwege  sbiadenti  in  mille  serie,  /  quale  a   conferir  nome  alle  miserie  /  mie  pietra  svilirei,  carierei  masso?”  in  Ib.  p.  606.  

349  Martin  Heidegger,  “Nota  introduttiva”  in  Holzwege.  Sentieri  erranti  nella  selva  (Milano:  Bompiani,   2002).  

La perdita di ogni orientamento produce nel Soggetto una sensazione di profondo smarrimento, poiché non riesce a determinare la propria posizione in un luogo che è contemporaneamente non-luogo, o meglio, non è nessun altro luogo, che è bosco e simultaneamente non-bosco. L’estasi iniziale non è più praticabile in questo nuovo contesto profondamente mentale ed interiorizzato a causa di un limite insito nel linguaggio che dovrebbe essere in grado di rappresentare questi luoghi. Il Soggetto, non possedendo referenti reali a cui relazionarsi, non è più in grado nemmeno di rappresentarsi ed è principalmente questo il motivo che produce questa visione dall’esterno. In questo modo, il Soggetto arriva ad introiettare la propria esperienza, diventando esso stesso un non-luogo, un’illocalità linguistica.

L’ultima sezione del componimento, alla quale vengono dedicati tre versi, rappresenta un movimento di risalita positivo, che introduce un ulteriore elemento di novità rispetto alla produzione poetica precedente.

Gale, stradine, gloriole, primaverili virtù… Ammessa conversione a U

ovunque.351

Il Soggetto conquista alla fine la possibilità di orientarsi all’interno di questo labirinto linguistico e conoscitivo proprio grazie alla capacità di tornare sui propri passi, ovvero di poter ricominciare il proprio percorso per mezzo di un cambiamento di rotta. La moltiplicazione delle possibilità linguistiche corrispondo infatti ad un aumento delle connesse possibilità di scelta. Dall’immagine utopica di un medium linguistico rappresentato come una distante ed inattingibile divinità monoteista, così come veniva raffigurata in modo abbastanza definito in Microfilm o in componimenti come La Pasqua

di Maggio,352 all’interno di Gnessulògo si assiste all’accettazione di una moltiplicazione

dei punti di fuga e delle relative possibilità offerte da un linguaggio che ora potrebbe essere accolto all’interno di un pantheon politeista. La prospettiva è ora quella di un cammino, non più verso il linguaggio, bensì verso i linguaggi che passa attraverso l’accettazione della sua natura polimorfa.

L’assunzione di tale postura soggettiva è profondamente influenzata dalla ricezione dell’importante concetto lacaniano di lalangue: quest’espressione è ricavata dal Seminario

                                                                                                               

351  A.  Zanzotto,  “Il  Galateo  in  Bosco”,  p.  555.  

ANDREA  ZANZOTTO    

XX353 e dagli scritti pubblicati sotto il titolo Lo Stordito, pubblicati nella rivista Scilicet nel 1977.354 Jacques Lacan introduce il termine al fine di definire la lingua come:

concetto descrittivo, oggettivo e formale, è un aspetto della sostanza impossibile attraverso la quale, soltanto, un essere può definirsi parlante, esattamente nel movimento in cui si rivela desiderante. Il discorso analitico chiama questa sostanza lalingua.355

Il desiderio del Soggetto, secondo Lacan, è sempre il desiderio dell’Altro, dell’Inconscio che si esprime attraverso il registro simbolico. La nozione di lalangue, nel momento in cui essa venga inserita all’interno dell’economia del discorso zanzottiano, assume i contorni di un’accettazione, non passiva, della componente non universale e fondamentalmente performativa che viene svolta dal linguaggio della poesia, che per una logica distensione, possiamo arrivare a fare coincidere con il linguaggio della lirica.356 Il genere lirico è, in questo senso, da intendere come espressione più prossima di una singolarità, ovvero di una soggettività che caratterizza il proprio desiderio espresso attraverso il linguaggio e rivolto poi verso un’oggetto, come esperienza irriducibile ed abissale dell’alterità.

Zanzotto situa l’intuizione della profonda complessità che si annoda nella geografia boschiva del linguaggio poetico; egli individua, in un secondo momento, una corrispondenza con alcune delle realizzazioni tematiche che vengono inserite in Il Galateo

in Bosco, a ulteriore testimonianza della vicinanza del Soggetto zanzottiano alle

realizzazioni del registro simbolico e dell’istanza dell’Inconscio. A maggior ragione, la

performance linguistica soggettiva connessa alla propria esperienza singolare di lalangue,

si rivela essere per questi motivi non ripetibile in nessun altro luogo se non in quello irripetibile del linguaggio poetico.

                                                                                                               

353  J.  Lacan,  “Dio  e  il  godimento  de  La  donna”  in  Seminario  XX,  Ancora  (Torino:  Einaudi,  2011),  pp.  61-­‐ 72.  

354  La  lettura  della  rivista  da  parte  di  Zanzotto  è  inoltre  documentata  dalla  citazione  diretta  che  appare   in  uno  dei  componimenti  contenuti  nella  raccolta  Pasque,  ovvero  La  Pasqua  a  Pieve  di  Soligo:  “oui,  je   lis   SCILICET,   la   revue   paraissant   trois   fois   l’an   à   Paris,   sous   la   direction   du   docteur   J.   Lacan”   in   A.   Zanzotto,  “Pasque”  in  Le  poesie  e  le  prose  scelte,  p.  425.  

355  Jean-­‐Claude  Milner,  L’amore  della  lingua  (Bologna:  Spirali,  1980),  p.  117.  Cfr.  sul  tema  anche  D.   Rabinovich,   “What   is   a   lacanian   clinic?”   in   AAVV,   Cambridge   companion   to   Lacan   (Cambridge:   University  Press,  2001),  p.  215:  “The  unconscious  structured  as  a  language,  that  is  to  say,  as  lalangue,   falls  outside  language  as  a  universal,  and  its  science,  linguistics,  is  replaced  by  linguisterie  (pseudo-­‐ linguistics)  in  conjunction  with  a  clinic  of  the  not-­‐whole,  of  particularity,  a  clinic  governed  by  a  modal   logic  and  a  nodal  topology.”  In  questo  senso  Zanzotto  si  riferisce  segmentazione  del  linguaggio  poetico   operata  per  mezzo  del  ricorso  al  registro  simbolico.  

356  E.  Sartori,  “Lalingua  e  lo  stile”  in  Tra  bosco  e  non  bosco.  Ragioni  poetiche  e  gesti  stilistici  ne  Il  Galateo  

Nuovamente l’immagine fornita dal poeta è ricollegabile a quella dell’esperienza traumatica di un’inondazione originata dalla rottura di quella diga che già in Microfilm simbolizzava la fragile separazione fra processo primario e processo secondario:

Lalangue sembra di volta in volta scorrere, o dilagare sommergendo, o inanellare alla maniera di

oceano, o buttar su isole e detriti. L’indecidibile linguistico/lalinguistico ha certo un rapporto con quanto mi sono trovato davanti (per affrontarlo e per lasciarmene travolgere) anche nel Galateo

in Bosco. Ma credo che ciò si possa dire, appunto, per ogni libro di versi. 357

3.5.1.3 Rivolgersi agli ossari, il tema del Storia

Rivolgersi agli ossari. Non occorre biglietto. Rivolgersi ai cippi. Con il più disperato rispetto.

Rivolgersi alle osterie. Dove elementi paradisiaci aspettano. Rivolgersi alle case. Dove l'infinitudine del desìo

(vedila ad ogni chiusa finestra) sta in affitto. E la radura ha accettato più d'un frondoso colloquio

ormai, dove, ahi,

si esibì la più varia mostra dei sangui

il più mistico circo dei sangui. Oh quanti numeri, e rancio speciale. Urrah.