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3. Mercato italiano

3.2. Il Prestito vitalizio ipotecario (Pvi)

3.2.1. Il cliente Target del Pvi

Come si è visto per il Reverse Mortgage negli Usa o l’Equity Release in Uk, anche il Pvi si propone come uno strumento, o meglio un prestito, finalizzato a finanziare una determinata categoria di persone, ovvero i soggetti con età superiore a 65 (nella L. 2.12.2005 n°248), oggi over 60 (con L. 2.04.2015 n° 44), proprietari della casa in cui risiedono, sulla quale verrà posta un’ipoteca di primo grado, come garanzia per il prestito sottoscritto.

In Italia, per usi e costumi culturali, la casa è vista come un bene di prima necessità da possedere e, ove possibile da lasciare ai propri eredi. Inoltre, negli anni, il basso tasso d’indebitamento delle famiglie, unito ad una buona propensione al risparmio ha fatto sì che un’alta percentuale di famiglie italiane, fosse proprietaria dell’abitazione di residenza. Dunque con questi pochi elementi, è possibile affermare che il mercato abbia ottime possibilità di crescita per il Pvi. (S.M Turri 2009)

Anzitutto, dobbiamo definire il cliente target come la popolazione italiana over 60 proprietaria dell’abitazione di residenza. Per fare un calcolo del mercato potenziale del Pvi, si deve considerare ed analizzare non soltanto i singoli individui appartenenti alla categoria, ma il nucleo familiare in generale; e questo perché il sostentamento del singolo individuo dipende dalla famiglia in cui è inserito, e inoltre perché, una clausola del contratto prevede la possibilità di sottoscrivere il Pvi da entrambi i coniugi della famiglia, e fino a quando entrambi i sottoscrittori non moriranno, il contratto sarà valido.

Secondo un’indagine condotta da Banca d’Italia nel 2008, in Italia erano presenti 22.949.887 famiglie, di cui 6.655.467 con un capofamiglia di età superiore a 65 anni (Figura 7). (Supplemento bollettino statistico, Banca d’Italia, 2009)

Figura 7: Età anagrafica capofamiglia nel 2008

Fonte: adattato da indagine di Banca d’Italia, 2009. Elaborazione propria.

Inoltre il reddito medio rilevato per questa categoria, sempre secondo il sondaggio effettuato da Banca d’Italia, ammontava a 23.548 euro annuo, mentre i consumi a 18.491 euro annui (Figura 8). Analizzando questa categoria d’individui e le sue caratteristiche notiamo che le famiglie over 65 che possiedono l’abitazione in cui risiedono sono il 75%, mentre solo il 16% è in affitto, e poco meno dell’1% è ricorso alla nuda proprietà (strumento che analizzeremo nel corso del capito) ( Figura 9 ).

Figura 8: Redditi e consumi famiglie annuo

Fonte: adattato da indagine Banca d’Italia 2009. Elaborazione propria.

Età anagrafica capofamiglia (2008)

over 65 da 51 a 56 anni da 40 a 50 anni da 30 a 40 anni 0 10000 20000 30000 40000 da 30 a 40 anni da 40 a 5 anni da 51 a 65 anni over 65 Consumi familiare Reddito familiare

Figura 9: Titolo di godimento su abitazione per over 65 anni

Fonte: Elaborazione propria. Adattato da indagine Banca d’Italia, 2009.

Dunque prendendo in considerazioni tali dati, è possibile delimitare con maggiore precisione il mercato target, ovvero una popolazione di circa 7 milioni di persone che ha la possibilità di accedere al Pvi.

Nonostante l’acceso allo strumento sia disponibile per individui con età superiore ai 60 anni, analizzando alcuni dati forniti da Euvis2 dell’anno 2006, l’età media di accesso a tale strumento girava introno a 77 anni. Questo dato può essere spiegato considerando le percentuali di Loan to value crescenti al crescere degli anni; così se il sottoscrittore accedesse allo strumento in età più “giovane”, l’aspettativa di vita sarebbe maggiore, e dunque il debito potrebbe in teoria gonfiare esponenzialmente essendo strettamente collegato all’età di sopravvivenza; di contro invece, se il sottoscrittore accedesse al prestito in età più avanzata, in primo luogo avrebbe accesso ad una percentuale maggiore di denaro e in secondo luogo, data la più ridotta speranza di vita, la possibilità che il debito cresca in modo repentino è più bassa.

Riguardo alle motivazioni all’accesso al prestito da parte dei soggetti italiani interessati, possiamo affermare che sono in linea e corrispondono in linea di principio alle motivazione per i soggetti anglosassoni; le motivazioni principali restano gli aiuti familiari, il rimborso di prestiti e mutui pre-esistenti, spese straordinarie a cui far fronte,

2 Euvis Spa, è una finanziaria nata nel 2004 come società specializzata nell’erogazione del credito a cittadini italiani 0%

20% 40% 60% 80%

Proprietà AfAitti nuda proprietà

integrazione della pensione, seguono, anche se in minore percentuali i viaggi, i costi della badante ecc.

Dunque in definitiva, il Pvi, oltre a far fronte ad esigenze di previdenza complementare, come era visto nel mercato anglosassone in modo particolare, può risolvere molti problemi legati alle spese della vita quotidiana per la sua clientela target.

Di seguito una tabella riassuntiva (espressa in percentuale) sulle motivazioni principali dell’accesso al Pvi in Italia.

Tabella 8: Motivi per accesso Pvi

Fonte: Euvis, 2006

3.2.2. Legge 2/12/2005 n°248: Prima normativa

Con la Legge n° 248/2005 si è introdotto anche in Italia il Pvi. Tuttavia come si può facilmente desumere dal testo e dalla mancanza di qualche altra fonte normativa per tale contratto, è possibile affermare che inizialmente questo contratto era un contratto nominato e non tipizzato con una disciplina compiuta3. Si capisce inoltre, le problematiche legate a tale contratto così definito, e i vari dubbi che questo ha creato per il suo utilizzo; motivo questo che ha portato allo scarso successo fino ad oggi. Vediamo quindi nel dettaglio come l’articolo 11-quaterdecies comma 12 della Legge 248 del 2 dicembre 2005, che definiva il Pvi:

3 Un contratto tipizzato è un contratto di vendita.

Motivi % Età media

Pensione Integrativa 23% 74 Mutui esistenti 22% 77 Aiuto familiari 24% 80 Spese Straordinarie 18% 76 Costi badante 5% 85 Extra 8% 78

“Il prestito vitalizio ipotecario ha per oggetto la concessione da parte di aziende

ed istituti di credito da parte di intermediari finanziari, dell’articolo 1064 del testo

unico di cui al decreto legislativo 1° settembre 1993, n° 385, di finanziamenti a medio e lungo termine con capitalizzazione annuale di interessi e spese, e rimborso integrale in unica soluzione alla scadenza, assistiti da ipoteca di primo grado su immobili residenziali, riservati a persone fisiche con età superiore ai 65 anni compiuti.”

In linea, dunque con quanto detto per il mercato anglosassone, era garantito un prestito a fronte di un’ipoteca, non per finanziare l’acquisto della casa (come può accadere con il Reverse Mortage), ma per finanziare altre spese, spesso di natura sanitaria o assistenziale.

La norma sopradescritta lascia alle parti il compito di stabilire le clausole essenziali di questo contratto. Pur essendo prevista la possibilità che Banca d’Italia insieme a Consob, potesse stabilire che particolari contratti, individuati attraverso una particolare denominazione o sulla base di specifici criteri qualificativi, avessero un contenuto tipico determinato, nel caso del Pvi niente fu fatto in merito. Inoltre l’unico richiamo nella finanziaria del 2006 era legato al Testo Unico Bancario (TUB), in cui era imposto di far passare lo strumento attraverso mediatori creditizi iscritti in un apposito elenco tenuto dall’Ufficio Italiano Cambi (UIC) compresi nell’articolo 106. In tal modo il legislatore provò a garantire una tutela maggiore per i clienti, poiché per iscriversi a tale albo era necessario essere in possesso di determinati requisiti. (S.M Turri 2009)

Altro elemento su cui occorre porre l’attenzione, è la natura del prestito, in quanto, quando il prestito si caratterizza come vitalizio, come nel nostro caso, la

4 D. L.gs. 1 settembre 1993 n.385 art 106: 1. L’esercizio nei confronti del pubblico delle attività di assunzione di partecipazioni, di concessione di finanziamento sotto qualsiasi forma, di prestazione di servizi di pagamento e di intermediazione in cambi è riservato a intermediari finanziari iscritti in un apposito elenco tenuto dall’UIC. 2. Gli intermediari finanziari indicati nel comma 1 posso svolgere esclusivamente attività finanziarie, fatte salve le riserve di attività previste dalla legge. 3. L’iscrizione nell’elenco è subordinata al ricorrere delle seguenti condizioni: a) forma di società per azioni, di società in accomandita per azioni, di società a responsabilità limitata o di società cooperative; b) oggetto sociale conforme al disposto del comma 2; c) capitale sociale versato non inferiore a cinque volte il capitale minimo previsto per la costituzione delle società per azioni; d) possesso, da parte dei titolari di partecipazioni e degli esponenti aziendali, dei requisiti previsti dagli articoli 108 e 109. 4. Il Ministro dell’economia e delle finanze, sentiti la Banca d’Italia e l’UIC: a) specifica il contenuto delle attività indicate nel comma 1, nonché in quali circostanze ricorra l’esercizio nei confronti del pubblico. Il credito al consumo si considera comunque esercitato nei confronti del pubblico anche quando sia limitato all’ambito dei soci; b) per gli intermediari finanziari che svolgono determinati tipi di attività, può, in deroga a quanto previsto dal comma 3, vincolare la scelta della forma giuridica, consentire l’assunzione di altre forme giuridiche e stabilire diversi requisiti patrimoniali. 5. L’UIC indica le modalità di iscrizione nell’elenco e dà comunicazione delle iscrizioni alla Banca d’Italia e alla CONSOB. 6 Al fine di verificare il rispetto dei requisiti per l’iscrizione nell’elenco, l’UIC può chiedere agli intermediari finanziari dati, notizie, atti e documenti e, se necessario, può effettuare verifiche presso la sede degli intermediai stessi, anche con la collaborazione di altre autorità. 7. I soggetti che svolgono funzioni di amministrazione, direzione e controllo presso

funzione di finanziamento è sostituita dalla funzione di rendita, caratterizzata per definizione da una durata incerta legata ad un accadimento futuro. Per questo il contratto qui descritto può definirsi aleatorio, in cui le parti che lo sottoscrivono si obbligano entrambe ad eseguire una prestazione, ma una delle due, e nel nostro caso il finanziatore, non ne conosce esattamente l’ammontare, in quanto dipende dalla durata della vita del finanziato.

Per questo, data la natura del prestito visto come sia rendita perpetua e vitalizia, si può fare riferimento rispettivamente agli articoli 1861 (e seguenti) e 1872 (e seguenti) del Codice Civile. L’articolo 1861 c.c. definisce, infatti, la rendita perpetua come quel contratto in cui una parte conferisce all’altra il diritto di esigere in perpetuo la prestazione periodica di una somma di denaro o di una certa quantità di altre cose fungibili, quale corrispettivo dell’alienazione di un immobile o della cessione di un capitale. Mentre l’articolo 1872 c.c. definisce la rendita vitalizia, come un contratto che può essere costituito a titolo oneroso, mediante alienazione di un bene mobile o immobile o mediante cessione di capitale.

Al Pvi, inoltre può applicarsi anche l’articolo 1873 c.c. che definisce la durata della rendita, recitando: “ la rendita vitalizia può costituirsi per la durata della vita del beneficiario o di un’altra persona. Essa può costituirsi anche per la durata della vita di più persone”. Lo stesso vale per l’articolo 1877 c.c. che esplicitamente norma: “il creditore di una rendita vitalizia costituita a titolo oneroso può chiedere la risoluzione del contratto, se il promittente non gli dà o diminuisce le garanzie pattuite”. Infine si applica anche l’articolo 1879 c.c.: il debitore della rendita (se vitalizia), salvo patto contrario, non può liberarsi dal pagamento della rendita stessa offrendo il rimborso del capitale, anche se rinunzia alla ripetizione delle annualità pagate. Egli è tenuto a pagare la rendita per tutto il tempo per il quale è stata costituita, per quanto gravosa sia divenuta la sua prestazione” (tuttavia il Pvi può essere sciolto qualora si applichino una delle tre condizioni sopracitate di risoluzione del contratto).

Notiamo, dunque, che nonostante la L. 248/2005, entrasse poco nel merito della questione, definendo in modo molto generico e non specifico il Pvi, è possibile inquadrare ed inserire questo strumento in un quadro normativo più ampio.

Tuttavia, nonostante il legislatore avesse cercato di tutelare il cliente in modo da invogliarlo ad aderire al contratto, si riscontrò alcune problematiche e alcuni dubbi sull’efficacia di tale strumento.

3.2.2.1 Critiche al Pvi del 2005

Come anticipato nel paragrafo precedente, la norma definita nel 2005 creò non pochi problemi, e soprattutto dubbi sulla sua efficacia e sui possibili vantaggi che questo poteva portare alla clientela target.

In primo luogo ciò che mancava, era una vera e propria forma tipizzata del contratto, il che lasciava la libertà negoziale alle parti, e di conseguenza un vantaggio all’istituto di credito poiché più esperto e detentore di maggiori informazioni rispetto al cliente retail.

In secondo luogo, e forse il problema più rilevante, riguardava la capitalizzazione annuale degli interessi e delle spese, il cosiddetto “Anatocismo Bancario”. Con questo termine l’articolo 1283 del Codice Civile definisce: “In mancanza di usi contrari, gli interessi scaduti possono produrre interessi solo dal giorno della domanda giudiziale o per effetto di convenzione posteriore alla loro scadenza, e sempre che si tratti di interessi dovuti almeno per sei mesi”.

Come si desume facilmente, date le caratteristiche stesse dello strumento, il quale prevedeva che il sottoscrittore non dovesse niente al suo creditore fino alla risoluzione del contratto, e dunque fino alla sua morte, gli eredi che ereditavano il debito, avrebbero dovuto sborsare una cifra, in un’unica soluzione, di notevole consistenza, poiché proprio per la capitalizzazione annuale degli interessi, l’ammontare del debito ogni anno aumentava esponenzialmente, e conseguentemente creava dubbi sui vantaggi di tale strumento.

Inoltre, rispetto agli strumenti offerti nel mercato anglosassone, almeno nella prima norma del 2005 che regolava il Pvi, non si è mai fatto riferimento alla già citata “no negative equity guarantee”, ovvero la clausola che, stabilendo il tetto massimo raggiungibile dell’ammontare del debito al valore di mercato dell’immobile dato in garanzia, tutela la clientela dal rischio di dover pagare una somma eccedente il valore della propria abitazione.

In conclusione, tenendo conto dei soggetti interessati e in considerazione delle criticità che tale strumento creò, vedremo come, con l’aggiornamento e la modifica della legge, si è cercato di migliorare e risolvere le problematiche che gravavano sul Pvi, in linea con gli standard europei, cercando dunque di invogliare la clientela ad aderire a questo utile strumento di previdenza integrativa.

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