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Clienti e fornitori

Nel documento Cronache Economiche. N.106, Ottobre 1951 (pagine 41-45)

Gli acquisti provenienti dai paesi europei rappresentano attualmente il 65% delle importazioni totali, ossia il li-vello più elevato raggiunto dalla fine della guerra. Le vendite destinate ai clienti europei non rappresentano che il 59 % del totale delle esportazioni; sono rimaste al di-sotto del livello del periodo d'anteguerra (76%).

I clienti e fornitori più importanti della Svizzera sono sempre gli Stati Uniti d'America e la Germania, con ri-spettivamente 720 e 662 milioni di franchi per le impor-tazioni e 424 e 325 milioni per le esporimpor-tazioni. Seguono come fornitori la Francia con 481 milioni, il Belgio e Lus-semburgo con 321, l'Inghilterra con 311, l'Italia con 290, i Paesi Bassi con 144, il Canada con 99 milioni di franchi. Dopo gli Stati Uniti e la Germania, i migliori clienti della Svizzera sono la Francia con 276, l'Italia con 252, il Belgio e Lussemburgo con 206, l'Inghilterra con 152,

a n n o un misrico p o t e r e di a t t r a z i o n e quelle o p e r e degli artù giani m e d i o e v a l i nelle quali quasi si p o t r e b b e r o r i l e v a r e le i m p r o n t e delle l o r o dita, tanto in esse s c o r g i a m o i m m e d i a t o lo s f o r z o delle l o r o mani nel p r o d u r l e . Q u a n t o d i v e r s i s o n o gli o g g e t t i c h e la m o d e r n a tecnica ci o f f r e : q u a n t o distante ci appare l'opera dall'operaio.'

C ' è di m e z z o la m a c c h i n a , c h e è f r u t t o di u n o s f o r z o l u n g o e t e n a c e della tecnica a t t r a v e r s o ai secoli.

G u a r d a t e un m o d e r n o t o r n i o , c o m p l e s s o , m a c c h i n o s o . Q u a l e l u n g o c a m m i n o dal p r i m o , s e m p l i c i s s i m o , c h e fu opera del d i v i n o L e o n a r d o e sul quale si f i l e t t a v a n o le p r i m e viti.' L a sostanziale semplicità dello s t r u m e n t o r i m a n e nel f o n d o , ma quali c u r e 1 secoli h a n n o dedi-cato per p e r f e z i o n a r l o in o g n i suo p a r t i c o l a r e , per r e n d e r e il l a v o r o c h e da esso p u ò trarsi s e m p r e più p e r f e t t o , per r i d u r r e l ' e n e r g i a necessaria quasi solo a quella c h e necessita per a s p o r t a r e il truciolo.' D i q u e s t o p e r f e z i o n a m e n t o s o n o f a t t o r i essenziali 1 c u s c i n e t t i a

r o t o l a m e n t o , c h e , p o s t i nei suoi o r g a n i vitali, p e r m e t t o n o o g g i v e l o c i t à e p r e c i s i o n e di l a v o r o c h e sino a p o c o t e m p o fa s e m b r a v a n o i r r a g g i u n g i b i l i .

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D E G L I E C O N O M I S T I

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I l p e n d e r ò «li W i l h e l m I t o p k e M u i r i n l c s r a z i o i i c K r o n o m i c a E u r o p e a .

Vasta trasfusione di sangue nel campo economico, il piano Marshall ha, senza dubbio, facilitato una rapida ripresa del-l'Europa, almeno per ciò che riguarda l'aumento della pro-duzione.

Immettere nuova linfa nelle arterie economiche europee ed impedire il collasso della struttura sociale del vecchio conti-nente non era però che uno dei suoi scopi, se pure il più urgente. Altro scopo, e non meno importante, consisteva nel far sì che l'Europa tornasse ad essere un organismo econo-micamente sano e perfettamente funzionante, che restaurasse un più normale sistema di relazioni economiche internazionali, riportasse le varie nazioni europee ad una certa stabilità eco-nomica interna ed esterna, costituisse un libero e stabile si-stema di pagamenti, che ponesse fine alle varie pianificazioni ed all'autarchia, rendendo possibile una razionale spartizione di lavoro fra i paesi europei, diminuendo di conseguenza i costi di produzione.

L'integrazione economica europea — che così viene di so-lito denominala, servendosi di un'unica frase, questo secondo scopo — è stata raggiunta? In tutta onestà bisogna ammet-tere che il successo non è stato adeguato agli sforzi compiuti. I meschini nazionalismi economici, i controlli di stato, le au-tarchie e le pianificazioni su scala nazionale continuano infatti a sussistere, ed il problema dell'integrazione economica euro-pea rimane problema all'ordine del giorno.

Di esso si è occupato recentemente in un ampio studio pub-blicato dalla rivista Time and Tide, il professor Wilhelm

Rò-pke dell'Istituto di Studi Internazionali di Ginevra. Autore di libri di notevole importanza, quali la Disintegrazione Eco-nomica Internazionale, Civitas Humana, il Problema tedesco;

consulente durante lo scorso anno del Governo Federale Te-desco per la politica economica e fiscale, il Rópke unisce alla competenza teorica la conoscenza pratica dei problemi che tratta. La sua opinione è quindi di particolare importanza.

Per liberare l'Europa dalle pastoie in cui si dibatte attual-mente due sono i sistemi che si presentano: quello collettivista e quello liberale. Liberista convinto, il Rópke non esita na-turalmente nella scelta. A suo parere, del resto, il sistema col-lettivista, oltre a non essere desiderabile, non offre possibilità pratica di applicazione. Cercando di reintegrare l'economia di

mercato ed il meccanismo dei prezzi a mezzo della pianifica-zione, si pone infatti la vita economica ad una diretta dipen-denza della politica e della forza dello Stato. Perchè ciò possa avvenire su scala internazionale, occorrerebbe un super-Stato, dotato di tutte le prerogative ed i poteri sovrani degli Stati nazionali. Ora tale Stato non ha per il momento grande pro-babilità di venire attuato, come ammettono gli stessi socialisti, i quali sono i più strenui paladini di una Federazione euro-pea, quale unica forma possibile di Governo europeo. E' chiaro inoltre che pianificazione collettiva e federalismo costituisco-no due termini antitetici, e che di conseguenza la pianifica-zione internazionale, che renderebbe necessario un super-Stato europeo, è fatto che lo rende al tempo stesso chimerico.

Nella rubrica Tribuna degli economisti intendiamo raccogliere e illustrare le opinioni di scrittori di varie scuole e tendenze in ordine a problemi d'attualità, ri-producendone il pensiero e le conclusioni in modo obbiettivo e imparziale.

Le conclusioni riportate rappresentano pertanto le convinzioni dell'autore e non impegnano in alcun modo l'indirizzo economico della rivista.

Ma anche se la creazione di tale super-Stato fosse attuabile, l'integrazione economica europea col metodo collettivista sa-rebbe sempre indesiderabile, poiché non fasa-rebbe che aggra-vare tutti gli inconvenienti del collettivismo nazionale — de-viazione delle vie commerciali, tendenze autarchiche, squili-brio, disordine nei pagamenti internazionali, ecc. — e porte-rebbe ad una minore integrazione col resto del mondo. Vale a dire ad una integrazione « chiusa », in contrasto con quella « aperta » caldeggiata dai liberisti.

Può forse parere ad alcuno che vi sia in tale opinione un eccesso di pessimismo. Non si può negare infatti che qualche passo innanzi nel cammino che conduce all'integrazione è stato compiuto. Il commercio ha, per gran parte, riacquistato la sua libertà. E' sorta, l'autunno scorso, l'Unione Europea dei Pagamenti, che potrebbe rivelarsi un ingegnoso ritrovato per ristabilire la convertibilità della moneta ed il commercio mul-tilaterale per lo meno fra i paesi dell'Europa occidentale ed i territori affiliati d'oltreoceano.

A così breve distanza dalla sua nascita non è possibile, se-condo il Rópke dare un giudizio preciso sull'Unione. La crisi della bilancia tedesca dei pagamenti ne ha messo a dura prova, durante il primo anno di vita, la stessa possibilità di esistenza, ed ha fatto crollare molte speranze. Pretendere miracoli da un organismo agli inizi era però follia.

Sulla crisi tedesca sono state scritte le cose più assurde. Per taluni l'improvviso immenso deficit tedesco verso l'E.P.V. ha assunto l'apparenza di un sinistro e misterioso disegno, ad altri esso è sembrato il sintomo della bancarotta del sistema economico liberale del governo di Bonn.

Il Rópke ne attribuisce le cause da un lato all'insufficiente credito concesso alla Germania per colmare lo squilibrio sorto fra importazione ed esportazione nel rapido svilupparsi della sua economia, e d'altro lato allo squilibrio esterno prodotto da un eccesso di espansione creditizia e dagli investimenti cor-rispondenti.

La colpa di tutto ciò non si può però far ricadere intera-mente sul governo di Bonn, che esso non addivenne all'espan-sione del credito se non sotto la presall'espan-sione degli esperti alleati, i quali ne biasimavano l'eccessiva timidezza. In altre parole il pieno impiego inflazionario non solo non rivela il

falli-mento del metodo liberale economico nella Germania occi-dentale, ma dà ragione a coloro che si mostravano riluttanti a favorirlo.

La grande importanza della crisi tedesca consiste in ciò che essa inquadra nei suoi limiti reali la funzione dell'E.P. I . Non potenza soprannaturale che possa col suo magico tocco sanare ogni politica monetaria o fiscale errata, nè una spe-cie di panacea universale delle bilanspe-cie nazionali dei paga-menti e delle politiche nazionali responsabili. Perchè essa possa funzionare occorre anzi che le diverse politiche vengano ra-gionevolmente equilibrate. Ciò potrebbe far pensare che la

Unione non sia perciò di alcun giovamento nello stato pre-sente delle cose, e diventi inutile qualora esso cambi.

Il caso della Germania mostra tuttavia che un simile ra-gionamento è errato. Se è vero infatti che l'Unione non è in grado di funzionare senza delle ragionevoli politiche nazionali, è vero anche che essa serve di spinta ai suoi membri perchè tale ragionevolezza non rimanga parola vana e perchè le cause interne di squilibrio vengano rimosse. Sostituisce cioè in un certo senso la funzione disciplinatrice ed equilibratrice soste-nuta un tempo dallo standard-oro.

Così avrebbe dovuto, agire nel caso tedesco, ed in un certo senso ha agito. Furono infatti concessi alla Germania crediti suppletivi, e si fece pressione sulle autorità tedesche perchè rimovessero quello che pareva essere il fattore inflazionario della crisi dei pagamenti. Tuttavia, nel suo complesso, l'espe-rimento ha piuttosto deluso. Non perchè la crisi continui a sussistere, il che non è, ma perchè, per ovviare. ad essa, si è dovuto ricorrere a quelle restrizioni dei mercati, del com-mercio e del cambio, la cui rimozione si riteneva requisito ba-silare per l'integrazione economica europea. Ogni libertà di importazione, prima favorita con particolare energia e corag-gio dal governo tedesco, è stata praticamente sospesa, le im-portazioni sono più che mai sotto controllo burocratico, ed il controllo sul cambio si è fatto più stretto di prima che l'E.P.V. cominciasse a funzionare.

Il caso tedesco avrebbe tuttavia, con ogni probabilità, avuto un decorso più favorevole, se non fossero stati commessi due

errori. Se cioè l'Unione dei pagamenti avesse compreso che la contingenza in Germania era tale da giustificare una più larga concessione di credito iniziale, e se le autorità tedesche non avessero agito con troppa lentezza nel rimuovere la pres-sione inflazionario.

Non è da credere tuttavia che si possa raggiungere la mèta finale senza un succedersi ed un ripetersi dì tentativi e di errori. Il più recente tentativo nel campo dell'integrazione economica europea è il piano Schuman. Su di esso si ap-puntano ora tutti gli sguardi, e si fondano nuove e più vaste speranze. Rópke non osa tuttavia per il momento esprimere in merito un'opinione definitiva. L'unione delle industrie pe-santi franco-tedesche è fatto di tale importanza, anche poli-tica, da non permettere dì criticarlo senza valide ragioni. At-tendersi però che da esso possa nascere un'unione completa è porre il carro avanti ai buoi. Appunto perchè l'Europa è eco-nomicamente disintegrata, l'unificazione dei mercati, dei prez-zi, dei salari delle differenti industrie del carbone, del ferro e dell'acciaio, lungi dallo spianare la via all'integrazione euro-pea, presuppone che essa sia già in atto. La maggior integra-zione economica europea, che dovrebbe essere lo scopo del piano Schuman, ne è quindi in realtà soltanto la condizione. Perciò esso non è in se stesso un passo innanzi verso l'inte-grazione economica europea, che è invece tanto più urgente, perchè il piano sia in grado di funzionare.

Si guardi dunque al piano con simpatia per la promessa che esso racchiude di divenire organo efficace per l'integra-zione politica europea, ma si cerchi con ogni sforzo di evitare che divenga strumento di politiche collettivistiche e monopo-listiche. Nè ci si adagi sulle speranze che esso offre come su di una realtà conseguita, sminuendo gli sforzi per raggiungere quella che per il Rópke rimane la mèta ultima e più degna : l'integrazione economica europea col metodo liberale.

A N G I O L I N A K I C H E T T I

AMARO

AVALLE

•J "3Poe ci»,

A p e r i t i v o , digestivo, tonico di pure erbe alpine e me-dicinali, ottenuto con lavo-r a z i o n e e p lavo-r o c e d i m e n t i c l a s s i c i che g a r a n t i s c o n o inalterata la proprietà delle e r b e di cui è c o m p o s t o . L'esperienza antica ne ha o t t e n u t o un p r o d o t t o superlativo riconosciuto e p r e m i a t o in tutto il mondo. T O R I N O - V i a O r m e a 1 3 7

RASSEGNA

Nel documento Cronache Economiche. N.106, Ottobre 1951 (pagine 41-45)

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