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I trial clinici oncologici di fase I

Nel documento Medicina, filosofia e cognizione (pagine 56-60)

XQ¶DQDOLVLVXOODSHUFH]LRQH del sé corporeo degli utent

3. I trial clinici oncologici di fase I

Come è noto, prima di essere immessi sul mercato, i nuovi farmaci vengono sottoposti a vari test volti a valu- WDUQHODVLFXUH]]DHO¶HIILFDFLD/DYDOXWD]LRQHGLXQQXR vo farmaco procede attraverso varie fasi. Nel corso della fase 1 lo si testa per la prima volta su soggetti umani, con ORVFRSRGLLQGLYLGXDUQHO¶D]LRQHVRWWRLOSURILORPHWDER lico e farmacologico, e le eventuali reazioni avverse pro- vocate; il trial coinvolge un piccolo numero di parteci- panti. In ambito oncologico, lo scopo è quello di stabilire la Dose Massima Tollerata di un farmaco, ovvero la so- glia di tollerabilità dei suoi possibili effetti collaterali. I trial di fase 2 coinvolgono generalmente un numero mag- giore di pazienti (50 ± 100) e sono finalizzati ad ottenere una prima evidenza a fDYRUHGHOO¶HIILFDFLDGHOIDUPDFR, trial di fase 3, generalmente trial clinici randomizzati FRQWUROODWL VRQR ILQDOL]]DWL D VWDELOLUH O¶HIILFDFLD GL XQ farmaco, possono coinvolgere gruppi molto numerosi di pazienti e si avvalgono di tecniche statistiche sofisticate. , WULDO GL IDVH  VRQR FRQGRWWL GRSR O¶DSSURYD]LRQH H O¶HQWUDWDLQXVRGLXQIDUPDFRHVRQRYROWLDLQGDJDUHEH nefici e soprattutto effetti collaterali del farmaco in que- stione; la popolaziome di pazienti osservati è general-

5 Per una trattazione più approfondita si rinvia a BENZI (2011, 2017). 6 La segnalazione di questo caso e le informazioni sui clinical trial oncolo-

gici sono dovute a Mattia Andreoletti. Su questo tema abbiamo presentato, in- sieme e separatamente, relazioni in diversi incontri e seminari (Toronto, Ber- tinoro, Bologna, Torino, Ancona).

mente più ampia ed il periodo di osservazione più lungo rispetto alle fasi 1±3.

In questo lavoro ci concentriamo sui trial clinici onco- logici di fase 1, che presentano caratteristiche particolari. Innanzitutto, essi vengono testati esclusivamente su pa- zienti oncologici, che spesso presentano sintomi simili a quelli che potrebbero essere generati da una reazione av- versa al farmaco; inoltre purtroppo tali pazienti presentano un quadro di polimorbidità e/o una storia di assunzioni di numerosi farmaci, le interazioni tra i quali spesso non sono PROWRFRQRVFLXWH$FLzVLGHYHDJJLXQJHUHO¶HWHURJHQHLWj dei tumori, che ha indotto ad affermare che ogni tumore è una malattia orfana (Berry 2015).

Tali peculiarità rispecchiano le tecniche di inferenza FDXVDOHULFKLHVWHSHUO¶LGHQWLILFD]Lone e la valutazione del- le reazioni avverse, che debbono essere per forza di cose diverse da quelle adottate nei trial delle fasi successive. Si tratta, in realtà, di un tipo di ragionamento diagnostico che assomiglia di più ad un ragionamento indiziario volto ad ³LQFKLRGDUHLOFROSHYROH´ ² O¶HVSUHVVLRQHqGL +DXEHQ H Aronson (2009) ² che non uno studio statistico vero e proprio. I metodi finora introdotti per la valutazione del nesso causale tra il farmaco sperimentato e gli eventuali eventi avversi riscontrati nel corso dello studio possono essere raggruppati in tre gruppi principali: metodi basati sulla introspezione, metodi probabilistici e metodi algo- ritmici. Nessuno di questi tre approcci, tuttavia, si è dimo- strato pienamente soddisfacente.

Anche in questo caso ci troviamo di fronte ad un pro- blema di causalità singolare, e di un problema di inferenza dagli effetti alle cause: dato un evento avverso riscontrato in (almeno) un paziente, dobbiamo appurare se è stato causato dal farmaco sotto indagine, o da possibili cause al-

ternative, quali altri farmaci, ulteriori patologie o lo stesso WXPRUH 'RYUHPPR SHUWDQWR ULFRVWUXLUH O¶LQVLHPH GHOOH possibili catene di eventi che avrebbero potuto produrre O¶HYHQWRDYYHUVRLQTXHVWLRQH0DFRPHVFHJOLHUHWUDGLHV se, considerata la peculiarità del paziente e la novità del farmaco?

8QSRVVLELOHDLXWRYLHQHGDXQ¶RSLQLRQHFRPXQHDPRO te teorie filosofiche della causalità, secondo la quale una causa è un difference±maker, ovvero ciò che segna la dif- ferenza tra il YHULILFDUVLHGLOQRQYHULILFDUVLGHOO¶HIIHWWR7.

In uno scenario ideale, per appurare se è stata la sommini- strazione del farmaco S DSURGXUUHO¶HYHQWRDYYHUVRA in un certo paziente P, dovremmo confrontare la situazione di P con S con una situazione esattamente identica alla prima nella quale però S è assente, e riscontrare se A è pre- sente anche nella seconda situazione. Se nella seconda si- WXD]LRQHO¶DVVHQ]DGLS VLDFFRPSDJQDVVHDOO¶DVVHQ]DGL$ potremmo dedurre, mediante induzione per eliminazione8,

che il farmaco è un difference±maker nei confronti di A. Sfortunatamente, una valutazione diretta della rilevanza causale effettuale non può essere effettuata, perché il me- desimo paziente non può assumere e non assumere il far- PDFR QHOOR VWHVVR PRPHQWR /¶DIIHUPD]LRQH ³6H P non avesse assunto il farmaco S, allora non avrebbe avuto A´ rimane dunque, come tutti gli enunciati controfattuali, non verificabile direttamente.

Lo statistico Paul Holland (1986, p. 947) chiamava O¶LPSRVVLELOLWjGLRVVHUYDUHODULVSRVWDD due trattamenti al-

7 Si veda MENZIES (2004).

8 /¶LQGX]LRQHSHUHOLPLQD]LRQHDOODTXDOHFLULIHULDPRqTXHOODGHOODWUDGL

]LRQH FKH FRPSUHQGH LO PHWRGRGHOO¶HVFOXVLRQHGL %DFRQH H LO PHWRGR GHOOD differenza di Mill. In relazione alle tematiche qui trattate, si vedano PIETSCH

WHUQDWLYL QHOOR VWHVVR LQGLYLGXR LQ XQ FHUWR PRPHQWR ³LO SUREOHPDIRQGDPHQWDOHGHOO¶LQIHUHQ]DFDXVDOH´HVXJJHUL va due soluzioni possibili, che chiamava, rispettivamente ³VROX]LRQHVFLHQWLILFD´H³VROX]LRQHVWDWLVWLFD´1HOODSUL ma, si confronta lo stato della paziente esposta al tratta- mento con quello della stessa paziente prima del tratta- mento. Nella seconda soluzione, i valori della paziente so- QRFRQIURQWDWLFRQTXHOOLGHOO¶HIIHWWRPHGLRt su di una po- SROD]LRQH´ LO TXHVLWR FDXVDOH Dffrontato da Holland ri- JXDUGDYD JOLHIIHWWLGLXQWUDWWDPHQWRGXQTXHO¶LQIHUHQ]D dalle cause agli effetti). Abbiamo già delineato i motivi che rendono un approccio puramente statistico inadeguato DLWULDOFOLQLFLGLIDVHTXDQGRDOOD³VROX]LRQHVFLHQWLIi- FD´ OR VWHVVR +ROODQG QH ULOHYDYD LO IRQGDPHQWR VX ³DV VXQ]LRQLGLRPRJHQHLWjHLQYDULDQ]D´FKHQRQVRQRDORUR volta passibili di controllo empirico. In questo contesto particolare, dunque, appare sensato ricorrere ad un tipo di ragionamento basato su casi, nel quale la paziente che ha sperimentato un evento avverso viene confrontata con un modello di se stessa il più possibile simile alla paziente UHDOHPDQHOTXDOHO¶DVVXQ]LRQHGHOIDUPDFRqDVVHQWH

Il modello della paziente ² che potremmo vedere co- me una sua controparte, o un gemello virtuale9 ² dovreb-

be idealmente esibire quelle combinazioni di fattori diversi da S FKH DYUHEEHUR SRWXWR SURYRFDUH O¶HYHQWR DYYHUVR A nella paziente; se nel modello fosse assente A, ne derive- rebbe la rilevanza causale del farmaco nei confronti GHOO¶HYHQWRDYYHUVR/DUREXVWH]]DGLTXHVWRWLSRGLUDJLR

9 La costruzione di digital twins umani (o più precisamente di digital self) è

già in atto da parte di alcune delle aziende più avanzate nel campo GHOO¶,QIRUPDWLRQTechnology. Si veda BRUYNSEELS,SANTONI DE SIO, VAN DEN

namento causale dipende ancora una volta dal grado di similarità tra il modello (la paziente virtuale) e il target (la paziente reale). Il modello, a sua volta, sarà costruito sulla base di dati relativi ad altri pazienti simili e adattato alla paziente in questione. In questo contesto, diventa cruciale specificare in base a che cosa vada definita la similarità, ed eventualmente come misurarla: il ragionamento basato sulla similarità va infatti incontro ai problemi classici del ragionamento analogico, che saranno brevemente ricordati nel prossimo paragrafo.

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