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Cfr D Coates, The Labour Party and the Struggle for Socialism, Cambridge University Press, Cambridge, 1975, p

SOCIALISMI E WELFARE STATE

47 Cfr D Coates, The Labour Party and the Struggle for Socialism, Cambridge University Press, Cambridge, 1975, p

superati i lasciti della stagione frontista, l'attivismo sul terreno delle politiche sociali rappresentò un paradigma per saggiare il rinnovamento politico-programmatico.49

Per quanto riguarda il partito di Nenni, si commetterebbe un errore qualora non si tenessero presenti i postumi della stretta alleanza con il Pci. Infatti, mentre le forze socialiste occidentali avevano approntato delle solide proposte di natura sociale, all'inizio degli anni Cinquanta gli italiani sembravano incapaci di ragionare in concreto su queste tematiche, decidendo così di adottare quanto già proposto dalla Cgil. Nel corso del XXIX Congresso, ovvero il momento in cui i socialisti, come ebbe a dire Rodolfo Morandi, avevano adottato «il leninismo come interpretazione e sviluppo del marxismo»,50 il Psi si

era preoccupato in prevalenza di criticare con forza l'operato dell'esecutivo di De Gasperi: Mentre la Cgil, col suo Piano del Lavoro, ha proposto una politica di

investimenti produttivi e di pieno sviluppo, […] il Governo persegue deliberatamente una contraria politica di immobilismo produttivo e finanziario.51

Tenuto ben presente l'orizzonte di fondo in cui aveva scelto di muoversi il Psi, si può sottolineare come le proposte più specifiche di politica sociale fossero dunque parte integrante della solida alleanza tra via del Corso e Botteghe Oscure. La mozione conclusiva votata all'unanimità dai congressisti non lasciava infatti spazio ad interpretazioni differenti: «il punto d'incontro per un'azione comune [tra] tutte le forze […] democratiche» consisteva infatti «in una politica economico-sociale per la ripresa e lo sviluppo della nostra economia, per la difesa delle condizioni di vita del nostro popolo, intesa ad investimenti produttivi e a scambi con tutti i Paesi». Dichiarando infine che queste criticità potevano venire affrontate soltanto con le soluzioni contenute nel «piano del lavoro della Cgil»,52 il partito socialista confermava la propria subalternità alla

Confederazione sindacale, ormai egemonizzata dalla componente comunista.

La sostanziale continuità su questi aspetti veniva confermata anche dagli esiti del XXX Congresso nazionale. Malgrado l'approvazione della linea dell'alternativa socialista, che sottintendeva «una politica che nell'ambito della Costituzione rispond[esse] alle fondamentali esigenze del progresso sociale», non emersero delle grandi novità, come

49 Cfr. G. Silei, op. cit., pp. 119-120.

50 R. Morandi, La politica unitaria, Einaudi, Torino, 1975, p. 58.

51 F. Pedone (a cura di), Il Partito Socialista Italiano nei suoi Congressi. Volume V: 1942-1955, cit., p. 323. 52 Ivi, p. 327.

ribadito anche dagli interventi del Convegno nazionale per la protezione sociale. Quest'ultimo appuntamento, organizzato direttamente dalla Cgil a Roma dal 20 al 23 febbraio del 1953, si prefissava di far partire le sue proposte da quanto contemplato «nella […] Costituzione repubblicana». D'altro canto, la decisione di richiamarsi al dettato costituzionale non deve meravigliare: le norme in esso contenute, come fatto notare da Oreste Lizzadri, non avevano «trovato pratica attuazione», rendendo così imprescindibile, agli occhi della sinistra italiana, una loro discussione, un loro esame e, infine, una loro «popolarizzazione fra i lavoratori e nel Paese».53 Anche in campo sociale aveva trovato

conferma la particolare situazione politica italiana: infatti, benché l'intera Costituzione fosse entrata in vigore fin dal 1 dicembre 1948, non tutti gli articoli in essa contenuti erano stati applicati a causa dell'effettiva reticenza della Democrazia cristiana. Nel contrastare questa tendenza, però, il Psi decideva di seguire l'elaborazione della Cgil, la quale non esitava a far notare come il sistema previdenziale non soddisfacesse «che in misera parte i bisogni causati dalla malattia, dall'infortunio sul lavoro, e soprattutto dalla disoccupazione e dalla vecchiaia ed invalidità».54 La centralità di queste tematiche nella visione del

maggior sindacato italiano fu confermata dal fatto che la quattro giorni romana venne chiusa da una relazione di Di Vittorio, con cui il segretario generale espose il programma previdenziale: secondo il numero uno della Cgil, si sarebbe trattato «di passare dalla attuale protezione sociale ad un sistema di sicurezza sociale ed integrato», ovvero «ad una previsione per tutti in rapporto ai rispettivi bisogni». Venendo alle modalità realizzative, Di Vittorio rilevò la centralità dell'intervento diretto dello Stato, che avrebbe dovuto «procedere ad una più equa distribuzione del reddito nazionale».55 Alla luce di queste

riflessioni, si possono trarre due differenti deduzioni: se da un punto di vista programmatico le proposte della Confederazione sembravano puntare ad una riforma in senso universalistico del sistema italiano, in chiave politica confermavano una volta di più la subalternità del Psi al sindacato; nonostante le questioni di natura sociale beneficiassero di una maggiore attenzione, i socialisti non esitarono a ribadire la collaborazione con il Pci, che trovava il suo apice in ambito sindacale.

Fu infatti lo stesso Nenni ad illustrare, nel corso della presentazione del programma per le elezioni politiche del 1953, tale posizione: «nel campo sociale l'alternativa socialista

53 O. Lizzadri, Un Convegno nazionale per la protezione sociale, in «Avanti!», 12 febbraio 1953. 54 Si apre oggi il Convegno sulla protezione sociale, in Ivi, 20 febbraio 1953.

[…] si esprime […] in una politica i cui obiettivi immediati sono quelli formulati dalla Cgil», ovvero «l'aumento dei redditi del lavoro dipendente», attraverso il potenziamento di «salari e stipendi pubblici e privati, pensioni, prestazioni previdenziali e assistenziali».56

Queste concezioni, che erano sintomatiche dello stretto vincolo ancora in atto nella sinistra relativamente a certe questioni ben precise, non rappresentarono però l'anticamera della riconferma del Fronte democratico popolare del 1948. Al contrario, proprio perché fortemente segnato da quell'esperienza negativa, il Psi scelse di presentarsi agli elettori con delle liste autonome dal Pci, andando così ad assumere le sembianze di un fattore dinamico all'interno di un contesto politico nazionale chiaramente segnato dall'aspra lotta delle sinistre contro la legge elettorale in senso maggioritario voluta dall'esecutivo De Gasperi. Anche questa decisione consentì al partito di Nenni di riconquistare una porzione dei consensi perduti: il 12,7% alla Camera e l'11,9% al Senato conquistati il 7 giugno raffiguravano un buon risultato e, al tempo stesso, rendevano evidente alla classe dirigente di via del Corso, al fine di riguadagnare spazio politico, l'importanza di un'azione non più condizionata dai vincoli esterni. In sostanza, il Psi stava riacquistando un sempre maggiore spazio di manovra.57

La fase di passaggio apertasi nel Paese a seguito delle dimissioni di De Gasperi, avvenute nel luglio del 1953, non trovò uno sbocco con il governo di Giuseppe Pella, che, al contrario, fu costretto a rimettere il suo mandato nel gennaio del 1954, dopo soltanto cinque mesi a Palazzo Chigi. In una situazione obiettivamente fluida, il Psi cercò di rimettersi al centro della scena politica, aprendo una linea di dialogo con la sinistra democristiana impersonata da Gronchi e Vanoni, che doveva però essere sostenuta da un'impostazione più concreta della linea politica adottata da via del Corso. Le dichiarazioni rilasciate da Nenni, all'indomani dell'incontro con Fanfani, il presidente del Consiglio incaricato, erano connotate da una maggiore pragmaticità, dal momento che il segretario socialista, invece di lasciarsi andare ad una critica generale alla Dc, decise di esporre quelle che a suo dire erano le criticità da affrontare. E tra queste spiccavano quelle di natura sociale: secondo il numero uno del Psi, il nuovo esecutivo avrebbe dovuto risolvere «i problemi inerenti alle riforme sociali, […] sospendere i licenziamenti [e] condurre una

56 L'alternativa socialista garantisce al Paese l'ordine democratico, il progresso sociale, la pace, in Ivi, 19 aprile 1953.

lotta efficace contro la disoccupazione e la miseria».58

Come sottolineato da Silei, si può sostenere che, a partire dal gennaio del 1954, il Psi iniziò a legare l'apertura di una nuova stagione politica, in sostituzione del centrismo, con l'avvio di una serie di riforme sociali.59 Nenni, nel corso di un discorso al Teatro Alfieri

di Torino, argomentò come l'indigenza di undici milioni di italiani costituisse un vulnus per «tutto il processo di sviluppo della vita democratica nazionale». Di conseguenza, le forze politiche avrebbero dovuto affrontare e porre rimedio a tre stringenti esigenze: oltre al «problema degli investimenti per industrializzare le zone […] depresse» e alla ripresa della «riforma fondiaria [per] estenderla a tutto il territorio nazionale», si sarebbe dovuta rendere concreta «la riforma della burocrazia, del trattamento economico dei dipendenti statali, parastatali e degli enti pubblici».60 Questa prima parvenza di strategia nenniana, che

assunse il nome di «Terzo tempo sociale», rappresentò il primo tentativo organico di una elaborazione autonoma da parte del Psi nel campo delle riforme sociali: stava dunque emergendo una nuova capacità di riflessione, non più influenzata dalle proposte concepite dalla Cgil.

Al di là delle comunque rilevanti dichiarazioni d'intenti, tra l'aprile ed il maggio del '54 i socialisti resero maggiormente concreto il disegno del loro segretario, predisponendo una serie di iniziative parlamentari nel campo dell'assistenza sociale. La prima occasione propizia venne individuata nelle discussioni sui bilanci del ministero dell'Economia, del Tesoro e del Bilancio: in questa circostanza il gruppo a Montecitorio del Psi propose uno storno di ottantatré miliardi dal bilancio della Difesa e di venticinque miliardi dal bilancio dell'Interno per rimpinguare la disponibilità finanziaria dei dicasteri dei Lavori Pubblici, della Pubblica Istruzione e dell'Agricoltura.61 Anche se questi suggerimenti non vennero

accolti dalla maggioranza governativa, l'impegno a livello parlamentare non tardò a portare i primi risultati positivi: il 19 maggio, grazie all'attivismo di Giovanni Pieraccini, la Commissione Finanze e Tesoro della Camera approvò la proposta di legge Pieraccini- Barbieri che prevedeva «la concessione ai ciechi civili di un assegno a vita». Lo stesso giorno, ma nel corso della seduta della Commissione Lavoro, si decise di dare l'assenso ad un progetto di legge sull'assistenza ai lavoratori del settore agricolo, firmato tra gli altri da

58 Le dichiarazioni di Nenni, in «Avanti!», 14 gennaio 1954. 59 Cfr. G. Silei, op. cit., p. 190.

60 Non ci sarà apertura sociale senza apertura a sinistra, in «Avanti!», 19 gennaio 1954. 61 Cfr. F. Gerardi, Il Psi chiede 100 miliardi per opere sociali e istruzione, in Ivi, 9 aprile 1954.

Sandro Pertini, che avrebbe garantito la gratuità dell'assistenza ospedaliera e di quella medica a domicilio a tutti «i coltivatori e alle loro famiglie».62

Sarebbe tuttavia errato valutare come estemporanee delle simili iniziative parlamentari. Certo, non potevano ancora essere considerate alla stregua di un piano d'azione complessivo come, per esempio, il Sozialplan, che, come si vedrà, veniva nel frattempo approvato dalla Socialdemocrazia tedesca, ma erano comunque sintomatiche dell'attenzione alle questioni sociali del Psi. A conferma di ciò, l'Appello al Paese, ovvero il documento ratificato alla fine del XXXI Congresso nazionale, presentava un disegno di fondo in cui le politiche sociali di via del Corso venivano inserite. Nel testo si dichiarava infatti che «sul piano economico e sociale il Partito socialista italiano mira ad attuare quelle essenziali riforme di struttura per le quali la società italiana è matura». Al fine di indicare le modalità realizzative per perseguire un obiettivo così ambizioso, la dichiarazione sosteneva che si sarebbe dovuto innanzitutto «assicurare all'Italia la piena, totale, libera, disponibilità delle nuove fonti di energia […], respingendo qualsiasi ingerenza dei monopoli e cartelli interni e stranieri». Soltanto così lo Stato avrebbe potuto «attuare progressivamente un piano di espansione economica nell'interesse di tutto il Paese».63 In sostanza, a Torino si era verificata una conferma: dopo la stagione della stretta

alleanza con il Pci, che aveva causato la subalternità del partito di Nenni alle politiche sociali impostate dalla Cgil, il Psi, arrivato al giro di boa del decennio, risultava essere diventato, grazie all'autonomia politica riconquistata nel 1953, un partito in grado di concepire una propria visione sulle questioni del Welfare, nonostante il logico ritardo accumulato rispetto alle altre forze del movimento socialista occidentale.

Per i socialisti italiani nella prima metà degli anni Cinquanta era emersa la necessità di riconsiderare la propria impostazione di fondo per uscire dalla rigidità della stagione frontista e riacquistare così, oltre che spazi di manovra politica, un certo dinamismo nella fase d'elaborazione, obiettivamente disperso nel corso dell'alleanza di ferro con il Partito comunista. Anche le discussioni via via sviluppatesi nella Spd o nel Labour Party presero le mosse proprio dalla volontà di allargare i consensi elettorali; non si deve infatti dimenticare che la prima motivazione del revisionismo era raffigurata proprio dall'intenzione di queste forze politiche di trasformarsi in partiti di governo con le carte in

62 La pensione a vita per i ciechi approvata a Montecitorio, in Ivi, 20 maggio 1954.

63 F. Pedone (a cura di), Novant'anni di pensiero e azione socialista attraverso i congressi del Psi. III 1942-

regola per poter contribuire direttamente al cambiamento dei rispettivi Paesi.

I socialdemocratici tedeschi, a partire dalla sconfitta alle elezioni federali del 1949, iniziarono infatti ad interrogarsi sulle modalità «di realizzare una penetrazione di carattere popolare», per far venire progressivamente meno quei limiti in termini di seguito elettorale che derivavano «dal […] carattere di partito di classe».64 Un primo dato da considerare è

rappresentato dall'approvazione della Dichiarazione dei principi dell'Internazionale, avvenuta, come si è già precisato, a Francoforte sul Meno il 3 luglio del 1951. Più che rappresentare un punto d'arrivo, come invece sostenuto da Silei,65 il documento, dietro al

quale era evidente l'influenza intellettuale di Schumacher, coincideva con un nuovo inizio programmatico dei socialdemocratici tedeschi nella stagione postbellica; del resto, per dirla con Harder, esso era «il primo passo di un distacco dai vecchi principi programmatici della Socialdemocrazia».66 All'interno di questi iniziali passaggi evolutivi stava venendo alla

luce la nuova centralità del Welfare State nell'azione politica dei partiti socialisti. Non è infatti casuale che la carta dell'Internazionale definisse «il socialismo democratico [come] un movimento internazionale», che intendeva realizzare una società caratterizzata, oltre che «dalla libertà e dalla pace mondiale», «dalla giustizia sociale [e] dall'elevato benessere».67 Queste finalità di massima, sempre stando ai contenuti della nuova

Dichiarazione, si sarebbero concretizzate attraverso la salvaguardia del «diritto alla sicurezza economica nella vecchiaia, in caso di disoccupazione o di inabilità al lavoro», dal momento che i socialisti avrebbero dovuto spendersi «per l'annullamento di tutte le differenze […] sociali, economiche e politiche […] tra gli strati sociali».68

Dato il ruolo da protagonista che la Spd aveva assunto nella stesura della Dichiarazione dei principi dell'Is,69 alcuni spunti presenti all'interno del documento

influenzarono la revisione programmatica, avviata dalla Socialdemocrazia tedesca fin dal Congresso di Amburgo del 1950.70 Seguendo le indicazioni della carta del 1951, l'Aktions-

64 E. Collotti, Storia delle due Germanie: 1945-1968, cit., p. 442.

65 Secondo Silei, infatti, «il punto di approdo del percorso ideologico della Spd in questi anni venne sanzionato nella Dichiarazione dei principi dell'Internazionale socialista». Cfr. G. Silei, op. cit., p. 203. 66 E. Harder, op. cit., p. 114.

67 Prinzipienerklärung der Sozialistischen Internationale, beschlossen auf dem 1. Kongress der

Sozialistischen Internationale in Frankfurt/Main 1951: Ziele und Aufgaben des Demokratischen Sozialismus,

in D. Dowe, K. Klotzbach (Hg.), op. cit., p. 269. 68 Ivi, p. 273.

69 Ciò era stato implicitamente confermato anche da Julius Braunthal, il primo segretario della rinata organizzazione mondiale dei socialisti. Cfr. J. Braunthal, History of the International. 3: 1943-1968 (ed. or.

Geschichte der Internationale, Dietz, Hannover, 1971), Gollancz, London, 1980., pp. 203-207.

Programm del 1952, varato dalla Spd nel Corso del Congresso di Dortmund, conteneva delle rilevanti proposte nel senso di un'attiva politica del Welfare. Questo documento, concepito come una piattaforma per le elezioni della seconda legislatura federale, non poteva esimersi dal fissare la Sozialpolitik che i socialdemocratici avrebbero attuato in caso di vittoria elettorale. In questo senso, dopo aver premesso che «ad ogni uomo» si intendeva «assicurare esistenza, libertà e dignità», il programma chiariva che «ciascuna persona idonea al lavoro [aveva] il diritto di lavorare per garantirsi una vita dignitosa» e, al tempo stesso, a coloro che non ne avevano le facoltà lo Stato avrebbe dovuto fornire le giuste tutele attraverso «la costituzione della sicurezza sociale».71

Per rendere attuabili queste finalità, la soluzione venne indicata nella stesura di un Sozialplan, che, da un lato, sottolineava la necessità di una razionalizzazione e di una semplificazione degli istituti di previdenza sociale e, dall'altro, metteva al centro l'estensione delle tutele a tutti i lavoratori, compresi gli artigiani, i contadini e i liberi professionisti. Nello specifico, il piano lanciava l'ampliamento della tutela alla salute, grazie «agli aiuti medici, all'assistenza ospedaliera e ai soggiorni di cura», dei diritti del lavoro, dal momento che lo Stato, in caso di grave malattia del prestatore d'opera, avrebbe dovuto garantire «un impiego ad orario ridotto» oppure direttamente «il sostegno economico». Si iniziava inoltre a prestare attenzione alla situazione della donna, sia con proposte innovative, come la questione della parità nel campo del lavoro o il diritto matrimoniale, sia con tematiche più tradizionali, come la «difesa della madre» e le «tutele per le casalinghe».72 A dimostrazione della centralità di questo dispositivo nella politica

sociale della Spd, nel corso di una manifestazione elettorale Ludwig Preller, uno dei massimi esperti di politica sociale del partito, tornò sul Sozialplan, approfondendone alcuni aspetti particolari.73 Innanzitutto, il dirigente socialdemocratico poneva l'accento sulle

motivazioni politiche a fronte delle quali si era in presenza di un alto tasso di lavoratori non qualificati, i quali dovevano «cavarsela con 180 Marchi al mese», e del fatto che il totale dei redditi prodotti dalle attività lavorative coincideva con «meno della metà del prodotto nazionale (47%)». Ciò premesso, in base al principio secondo cui una «politica

71 Aktionsprogramm der Sozialdemokratischen Partei Deutschlands, beschlossen auf dem Parteitag in

Dortmund 1952 und erweitert auf dem Parteitag in Berlin 1954, in D. Dowe, K. Klotzbach (Hg.) op. cit., p.

311.

72 Ivi, p. 312.

73 Come chiarito da Klotzbach, si trattava del primo evento della campagna che avrebbe portato alle elezioni federali del settembre 1953. Vedasi comunque K. Klotzbach, op. cit., p. 282.

sociale socialista [avrebbe dovuto] creare sicurezza materiale così come libertà ideale», il piano, che si sarebbe potuto finanziare attraverso la razionalizzazione della spesa pubblica, constava in tre strumenti differenti: «la protezione del posto di lavoro, la tutela della salute e il sostegno alle emergenze economiche».74

Alla luce di queste proposte si possono trarre due riflessioni dalla differente natura: in primis, per quanto concerneva la revisione ideologica, anche se Kurt Klotzbach ha parlato di scarsa rilevanza dell'Aktions-Programm nel percorso di ripensamento teorico attuato dalla Spd negli anni Cinquanta,75 il documento varato a Dortmund coincise

comunque con un primo ed importante passaggio nella rotta che avrebbe portato al Grundsatzprogramm di Bad Godesberg del 1959. In second'ordine, da un punto di vista delle politiche sociali, le misure presentate nel Congresso del 1952 avevano innegabilmente le sembianze di un compromesso tra gli esperti di politica sociale del partito e i dirigenti sindacali, poiché questi ultimi si erano dimostrati piuttosto restii nell'adottare i modelli anglo-scandinavi,76 ma rappresentavano comunque un primo e non

sottovalutabile tentativo organico di riforma del Welfare tedesco proposto dalla Socialdemocrazia.

In coerenza con le due considerazioni precedenti ve ne è una terza, rappresentata dalla trasformazione in forza di governo cui la Spd andò incontro proprio a partire dal Congresso del 1952. Malgrado le elezioni federali del 1953 si fossero concluse con un'altra sconfitta, Ollenhauer, nel corso della campagna elettorale, aveva messo in mostra una linea politica connotata dalla maggiore duttilità che, come si è visto, era venuta a galla anche nel campo delle questioni sociali. A Dortmund si era de facto avviato quel processo che avrebbe portato alla legittimazione definitiva della Socialdemocrazia tedesca: per usare una categoria politologica coniata da Angelo Panebianco, l'insieme delle trasformazioni avrebbe permesso alla Spd di riconvertire il proprio modello di partito d'opposizione in un partito di governo.77 Da un punto di vista più propriamente politico, la professione di fede

ai principi della democrazia, che «l'Aktions-Programm aveva ribadito»,78 si traduceva nella

predisposizione di un serio piano di riforma della realtà tedesca, tra le cui righe un posto

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