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La sinistra europea e le tracce della sindrome della tela di Penelope

Mentre quanto accaduto nel 1956 aveva rappresentato per varie ragioni «una svolta nella storia del secolo»,1 gli avvenimenti del periodo immediatamente successivo

assomigliarono ad un assestamento, il cui ritmo per i partiti politici tornò ad essere scandagliato principalmente dalle questioni di natura interna. Ma, come spesso succede, le tracce degli avvenimenti precedenti, si possono scorgere sulle scelte del futuro prossimo. Si pensi ad esempio al percorso dell'aggiornamento del dottrina e della politica laburista portato avanti dal gruppo di Gaitskell. Quanto seminato dalla riflessione croslandiana iniziò ad influenzare in modo sempre più evidente i documenti ufficiali prodotti dal partito. Industry and Society, il testo che vide la luce in occasione della Conferenza del 1957, rappresentava un chiaro momento di svolta negli equilibri interni di Transport House.

In coerenza con i ragionamenti di Crosland, si apriva con il riconoscimento di una nuova situazione industriale, dove cinquecento imprese avevano «fatto metà dei profitti e più della metà degli investimenti della totalità delle industrie private» e si erano caratterizzate grazie a una serie di tratti distintivi ben precisi: innanzitutto, veniva sottolineato come vi fosse «una completa separazione tra proprietà e controllo», causata dalla grandezza delle imprese industriali e dalle differenti modalità d'investimento di ciascun azionista; in second'ordine, si evidenziava come lo scettro del comando non fosse più nelle mani del proprietario, bensì venisse generalmente riposto in un consiglio d'amministrazione, i cui membri avevano delle visioni gestionali differenti rispetto agli azionisti; in terzo luogo, si affermava che le imprese industriali del dopoguerra traevano i capitali d'investimento direttamente «dai loro profitti in modo maggiore rispetto a quanto

fatto in passato»; infine, si metteva in rilievo che tanto più grande era l'azienda quanto più piccolo era il rischio di un suo fallimento. Di fronte ad una realtà industriale così strutturata, il futuro esecutivo laburista avrebbe dovuto adottare delle misure alternative alla nazionalizzazione come, ad esempio, l'impresa di Stato concorrente o l'azionariato diffuso:

la politica di pianificazione economica o di controllo pubblico […] per le grandi industrie non è più sufficiente. La nostra sfida è di assicurare alla comunità una maggiore condivisione delle scelte industriali.2

In altre parole, Industry and Society è da considerare quale momento in cui iniziò a prevalere un atteggiamento non soltanto pragmatico, ma anche «deideologizzato»; fu in sostanza il primo step di quel percorso che avrebbe portato Gaitskell, da lì a qualche anno, ad ingaggiare una delle battaglie congressuali più accese della storia laburista: l'abolizione di Clause IV dallo statuto del partito.3

Nel pieno di una simile fase interlocutoria si trovava anche la Spd, visto che assunse, nei mesi che precedettero le alle elezioni per il rinnovo del Bundestag, un atteggiamento tanto contraddittorio quanto ambivalente. Da un lato, specialmente sulle pagine della «Die Neue Gesellschaft», proseguiva la discussione finalizzata ad individuare i nuovi riferimenti teorici dell'azione politica socialdemocratica. Proprio in questo periodo Deist e Weisser misero a punto le fondamenta della futura visione economica della Spd. A detta del primo, in perfetta sintonia con quanto teorizzato da Crosland, le trasformazioni a livello direzionale delle industrie tedesche, dove «il potere degli azioni [era] scisso da quello del […] management», non aveva più alcun senso parlare di nazionalizzazione dei mezzi di produzione, tutt'al più il futuro governo socialdemocratico avrebbe dovuto «ostacolare la creazione di monopoli e di cartelli», così come «proteggere la concorrenza tra le singole imprese».4 Soltanto accennata da Deist, la nuova posizione della Spd nei

confronti della nazionalizzazione veniva maggiormente approfondita in un saggio di Weisser. A suo dire,

con il postulato della libera scelta del tipo d'impresa e con l'aspirazione a

2 Le citazioni di questo capoverso sono state riprese da “Industry and Society”. Labour's Policy on Public

Ownership, 18 luglio 1957, in UCLA-GP, s. C-Gaitskell, Political carreer, b. C 162.2.

3 Cfr. I. Favretto, Alle radici della svolta autonomista, cit. p. 68.

favore di una grande varietà di differenti tipologie d'imprenditorialità i socialisti democratici si sono staccati dalla vecchia idea della socializzazione totale.

In una concezione così strutturata emergeva il progetto, sul quale erano in perfetta sintonia Deist e Weisser, di dar vita ad una terza via tra il tradizionale capitalismo e il socialismo dirigisti, in cui fosse possibile far coesistere il ruolo dello Stato e la libera iniziativa imprenditoriale, senza che la presenza di quest'ultima significasse però una professione di fede a favore della sfera privata: «la Spd è in linea di massima per la libera scelta del modello d'impresa, ma non per la discrezione del privato nell'economia».5

Dall'altro, nonostante la discussione teorica iniziasse a dare i primi frutti concreti, impostò una campagna elettorale sui temi più tradizionali, nonostante alcuni studi specifici avessero consigliato un adeguamento delle proposte programmatiche alle trasformazioni socio-economiche in atto nella Germania di Bonn. Per esempio, nel marzo del 1956, Klaus Besser, un sociologo, suggerì di impostare la futura campagna con toni positivi, perché per i cittadini tedeschi, «profondamente bisognosi di sicurezza», avrebbero preferito una forza che non si presentasse nelle vesti di «un partito del no, come pura e sterile opposizione».6 Certo, il titolo scelto per il programma elettorale, Sicherheit für alle durch friedliche Wiedervereinigung, soziale Gerechtigkeit und geistige Freiheit,7 cercava di richiamare

l'intenzione della Spd di sostenere un piano di sicurezza sociale ed economica, ma forse fu l'unico segno concreto in questa direzione.8

Leggendo, infatti, il documento presentato ai cittadini tedeschi, si nota come ai primi posti trovassero sempre spazio soluzioni alle problematiche di natura internazionale, dal disarmo atomico alla pace, fino alla riunificazione tedesca.9 A ciò si aggiunga che fu lo

stesso Ollenhauer, probabilmente spinto dall'ancora forte influenza della Parteibürokratie, a ribadire che la politica economica socialdemocratica riteneva fondamentale il ricorso alla nazionalizzazione e al controllo centralizzato.10 Anche se questo assunto non sarebbe

comunque coinciso con un mancato appoggio alla libera concorrenza o alla difesa della

5 G. Weisser, Grundlinien sozialdemokratischer Wirtschaftspolitik, in «Die Neue Gesellschaft», a. IV, n. 3, maggio-giugno 1957, p. 200.

6 K. Besser, Politik und Werbung im Wahlkampf, in «Die Neue Gesellschaft», a. III, n. 3, marzo 1956, p. 438. 7 Proposto da Adolf Arndt, la sua traduzione corrisponde con Sicurezza per tutti grazie alla pacifica

riunificazione, alla giustizia sociale e alla libertà spirituale.

8 Cfr. K. Klotzbach, op. cit., p. 392.

9 10 Thesen des SPD Wahlprogramms, in «Vorwärts», 21 giugno 1957.

piccola e media impresa, un dato restava: la poca chiarezza nella visione economica della Spd, che non sembrava quindi granché influenzata dalle posizioni portate avanti da Deist e Weisser, e che, per lo meno da un punto di vista del programma elettorale, riteneva comunque centrale la risoluzione delle problematiche nelle relazioni internazionali, come dimostrato dalla grande pubblicità data dalla propaganda al Göttinger Manifest, un documento che denunciava il riarmo atomico.11 Si era dunque di fronte ad una traiettoria

politica ondivaga in cui la Spd aveva praticamente mostrato di non essere in grado di connettersi con un elettorato che, rispetto al progetto della riunificazione delle due Germanie, preferiva la stabilizzazione di un potere che da poco tempo aveva a disposizione, ovvero il potere d'acquisto. In altre parole, questa campagna elettorale mise in mostra come i socialdemocratici non avessero ancora messo al centro delle loro azioni le problematiche di politica interna, vale a dire quei fattori che invece garantirono la vittoria ai conservatori.

I risultati, più che una semplice vittoria, raffiguravano un trionfo dei cristiano- democratici di Adenauer, i quali, grazie ad una campagna dai toni rassicuranti simbolicamente rappresentata dal motto Keine Experimente!,12 riuscirono a conquistare il

50,2% dei voti, ovvero la maggioranza parlamentare assoluta.13 Di conseguenza, il 31,8%

della Socialdemocrazia, che pur migliorava il 28,8% del 1953, ebbe le sembianze di una sonora sconfitta, passata poi alla storia come il September Fiasko.14 Per uscire da una

situazione di evidente impasse, come ammise Ollenhauer in uno scambio di vedute con Gaitskell sul destino della Spd, era necessario giungere quanto prima «al rafforzamento […] della capacità d'azione del partito».15 In sostanza, il massimo esponente dei

socialdemocratici tedeschi faceva capire come la via d'uscita da una simile situazione sarebbe giocoforza passata da un rinnovamento delle basi dottrinali dell'azione politica.

Da un punto di vista degli equilibri politici interni, fu proprio nei giorni post-voto che si generò la rottura nella Parteibürokratie: da un lato, Ollenhauer iniziava a cogliere l'esigenza di una profonda revisione teorica, dall'altro Heine optava per l'inasprimento dei

11 Cfr. F. Traldi, Verso Bad Godesberg, cit., p. 151. 12 No agli esperimenti!.

13 Cfr. H. A. Winkler, Grande storia della Germania. II. Dal Terzo Reich alla Repubblica di Bonn, cit., pp. 208-211.

14 Il fiasco di settembre.

15 Lettera di Erich Ollenhauer a Hugh Gaitskell, 24 settembre 1957, in ADSD, s. Bestand Erich Ollenhauer, segn. c. 326.

toni contro il riconfermatissimo Adenauer.16 Ollenhauer si stava quindi posizionando sulla

medesima linea di coloro che, come Carlo Schmid, Herbert Wehner e Fritz Erler, richiedevano già da tanto tempo l'avvio della stesura di una piattaforma politico- programmatica che sostituisse quella varata nel corso del Congresso di Heidelberg del 1925. Specialmente queste tre figure, a dimostrazione di come nella fase post-elettorale furono i singoli dirigenti a spingere in direzione della riforma teorica, a lanciare degli spunti che avrebbero poi influenzato il futuro Godesberger Programm. Innanzitutto, Schmid propose di modernizzare il il rinnovamento del vocabolario socialdemocratico, delle modalità di propaganda, per «raggiungere tutti gli strati del popolo».17 Fu poi la volta

di Wehner che chiarì come i dettami teorici su cui la Spd fondava l'azione politica quotidiana non dovevano equivalere ad «dogma inflessibile», bensì ad «soggetto che si sforza di trovare la soluzione alle domande e ai problemi del tempo».18 In ultimo, quasi a

voler rendere concreti gli spunti wehneriani, Erler, nel corso di una conferenza organizzata dalla federazione della Spd di Karlsruhe, tratteggiò in questi termini il progetto di riforma che la Socialdemocrazia avrebbe dovuto mettere in campo per poter ambire a diventare forza di governo. Come riporta una cronaca dell'epoca,

circa il complesso delle possibili riforme interne alla Spd dopo la sconfitta elettorale – riportava la cronaca locale – Erler sostenne l'idea che nel partito dovrebbe essere chiaro che non si poteva ambire alla migliore organizzazione possibile.

E ancora:

D'altro canto sarebbe necessario che, all'infuori dell'amministrazione partitica, un gruppo di persone rappresentasse soltanto il ceto direzionale politico. Ad esso si dovrebbero lasciare le decisioni politiche fondamentali.19

Le posizioni di Schmid, Wehner ed Erler, che da questo momento iniziarono ad agire come una vera e propria Troika favorevole alla modernizzazione in seno alla Spd,20

16 Kommentar zur Wahl. Die Entscheidung des 15. September, «Sozialdemokratischer Pressedienst», 16 settembre 1957, p. 1.

17 P. Weber, op. cit., p. 578.

18 H. Wehner, Nach der Wahl des dritten Deutschen Bundestages, in «Die Neue Gesellschaft», a. IV, n. 5, settembre 1957, p. 325.

19 Fritz Erler über die Ursachen der SPD-Wahlniederlage, in ADSD, nl. Fritz Erler, segn. c. 181A. 20 Cfr. F. Traldi, Verso Bad Godesberg, cit., p. 164.

costituirono i presupposti teorici ad un disegno ben preciso: ridurre il peso della Parteiburokratie, impersonata da Fritz Heine e da Herta Gotthelf, affinché questa non potesse bloccare l'intenzione del gruppo riformista di dar vita ad una commissione ad hoc per la stesura della nuova piattaforma programmatica. Fu proprio quanto si verificò il 20 novembre del 1957, quando la direzione del partito ne ratificò la sua istituzione e decise di inserire al suo interno Ollenhauer, Schmid, Wehner, Erler e von Knoeringen, ma non Heine, che, con altre personalità,21 venne cooptato per il gruppo di lavoro dedicato alla

riforma della politica sociale.22 Si trattava, in sostanza, di una profonda differenza con

quanto verificatosi in seguito alla sconfitta del 1953: se in quest'ultima circostanza i Reformer si erano mostrati scarsamente efficaci, nel 1957, ponendosi obiettivi precisi, riuscirono a concretizzare le loro richieste, anche grazie alla disponibilità di fondo dello stesso Ollenhauer, ormai conscio del fatto che la Spd avesse bisogno quanto prima di un nuovo documento progettuale.23 A dimostrazione delle reali intenzioni del gruppo

riformista sul numero di novembre-dicembre 1957 de «Die Neue Gesellschaft» vennero delineate i tratti di fondo del nuovo documento programmatico, la cui base di partenza sarebbe dovuta coincidere con una Zeitanalyse finalizzata a chiarire le nuove condizioni socio-economiche con cui il partito doveva rapportarsi. Dato che, stando alla bozza, «molto [era] cambiato dall'ultimo secolo» e non vi erano più «un proletariato ed una borghesia nel senso tradizionale dei termini», il movimento socialista avrebbe dovuto assumere i connotati di «un partito del popolo». Logica conseguenza di questa mutazione sarebbe stato il mancato il superamento del marxismo quale riferimento teorico, da rimpiazzare con il trittico «libertà, giustizia sociale, pace». Pertanto, sul piano squisitamente politico, la piattaforma avrebbe dovuto contenere le «misure economiche e politiche» necessarie per mettere a punto la «costruzione di un ordinamento socialista liberale».

Questi punti simboleggiavano una sorta di dichiarazione d'intenti che al suo interno conteneva un'altra riflessione degna di nota. Secondo l'articolo, concepire una nuova piattaforma programmatica, oltre a permettere alla Spd di superare definitivamente l'ormai datato programma di Heidelberg del 1925, significava mettere il partito al passo con

21 Ovvero Karl Vittinghoff, Willi Birkelbach, Luise Albertz, Franz Boegler, Fritz Ohlig, Egon Franke e Max Kukil.

22 Cfr. K. Klotzbach, op. cit., pp. 412-413. 23 Cfr. H. Potthoff, S. Miller, op. cit., p. 209.

quanto stava succedendo nel movimento operaio occidentale perché, si sottolineava, «in tutti i partiti socialisti occidentali europei viene condotta una discussione sulla nuova visione programmatica del socialismo». Di conseguenza, sarebbe stato positivo se i socialdemocratici avessero optato per «riallacciarsi ai ragionamenti dei socialisti inglesi ed austriaci che stanno tentando di fare un programma dai tratti socialisti-liberali».24 Proprio

da queste ultime parole emergono due indicazioni di natura storiografica: in primo luogo, non erano soltanto i socialdemocratici tedeschi, come invece sostenuto da buona parte della letteratura sul Labour Party,25 a costituire un modello per i laburisti, ma anche quanto

formulato da questi ultimi era tenuto in massima considerazione dai tedeschi. Vi è da notare, in second'ordine, che il tentativo di riforma ideologica portata avanti dal partito socialista austriaco rappresentava, per la Spd, un esempio da tenere in considerazione.

Mentre il Labour Party e la Socialdemocrazia tedesca stavano, seppur contraddittoriamente, entrando nel pieno del reciproco ripensamento teorico-politico, il Psi, grazie al sempre più netto distacco dal Pci, iniziava a godere di un certo credito presso il partito inglese che però non seppe sfruttare appieno. Si prenda ad esempio quanto accaduto nella fase preparatoria e nello svolgimento del XXXII Congresso nazionale, convocato a Venezia dal 6 al 10 febbraio 1957. Oltre al sostegno dichiarato di Bevan, che come riferì Jennie Lee a Dino Gentili, puntava a «fare qualcosa a un livello ufficiale poiché […] venire in visita privata non [sarebbe] servito a nulla»,26 la maggioranza revisionista, informata

sull'evoluzione di via del Corso dagli stessi ambienti diplomatici britannici distaccati in Italia,27 sembrava propensa a mutare l'atteggiamento di chiusura in uno di maggiore

apertura. A favorire questo cambiamento un ruolo centrale lo ebbero le dichiarazioni di Francis Williams, il direttore del «Forward», che, richiamandosi a quanto raccolto dal corrispondente da Roma del suo giornale, fece presente direttamente a Gaitskell l'intenzione nenniana di approcciare i dirigenti della maggioranza laburista con il duplice intento di favorire il distacco del loro partito dai comunisti di Togliatti e di dare nuovo vigore al processo unitario.28

24 Le citazioni di questo passo sono state tratte da Das Grundsatzprogramm, in «Die Neue Gesellschaft», a. IV, n. 5, novembre 1957, p. 459.

25 Per esempio, questa tesi emerge con chiarezza in T. Jones, Remaking the Labour Party: from Gaitskell to

Blair, cit., pp. 53-54

26 Lettera di Jennie Lee a Dino Gentili del 21 dicembre 1956, in ACS, f. PN, s. Carteggio, b. 26, fasc. 1395. 27 Cfr. I. Favretto, La nascita del centro-sinistra e la Gran Bretagna, cit., pp. 6-8; L. Nuti, op. cit, pp. 189- 246.

28 Cfr. Lettera di Francis William a Hugh Gaitskell del 14 dicembre 1956, in UCLA-GP, s. D-Gaitskell, Engagement, b. D33.

Dal versante di Transport House la decisione di non chiudere affatto le porte a Nenni significava cercare di dare linfa al processo di riunificazione tra il Psi e il Psdi, un tentativo avviato, come si è visto, fin dall'estate del '56 e sostenuto con forza dall'Internazionale che era ben felice di poter contribuire alla rinascita di un forte partito socialista in Italia in grado di assumere le redini del Paese. In questo senso la scelta laburista di prendere parte alle assise, già adottata nel dicembre del '56 non appena letti i report dei diplomatici inglesi e del numero uno del «Forward»,29 aveva la sua ragione di

fondo sicuramente nell'interesse nei confronti dell'unificazione socialista, ma non soltanto. A mio giudizio, dimostrava una differente, e sostanzialmente positiva, valutazione fatta dalle sfere dirigenziali laburiste del nuovo corso socialista. In questa fase, dunque, l'operazione autonomista lanciata dal gruppo di Nenni sembrava andare incontro ad una completa realizzazione, tanto più che, oltre ai già previsti arrivi di Commin e Phillips, si aggiungevano anche, in qualità di osservatori laburisti per il XXXII Congresso, Bevan e Crossman, due dei più convinti sostenitori della causa socialista in seno al Labour Party.30

I problemi semmai sorsero quando il dibattito e gli esiti congressuali ufficializzarono uno stato di confusione sul piano politico ed ideologico senz'altro maggiore rispetto a quello del Labour Party o della Spd di questo stesso periodo. D'altro canto, l'incoerenza era preventivabile già nel corso degli interventi dei vari dirigenti sulla stampa di partito quando erano in svolgimento i congressi locali, come emerge da un'analisi sommaria di quanto scrivevano, ad esempio, Lelio Basso ed Emilio Lussu sulle pagine di «Mondo Operaio» in risposta alla strategia nenniana che mirava a superare il rapporto con il Pci e a progettare un avvicinamento alla Dc. Al tentativo del primo di rilanciare la proposta dell'«alternativa democratica» come «premessa necessaria ad ogni democratizzazione della società e dello stato italiano»,31 a cui sarebbe dovuta seguire una

strategia che permettesse ai socialisti di sottrarre il potere politico dalle forze allora dominanti, per attuare «un programma di sviluppo economico», ovvero la conditio sine qua non al fine di avviare «sul serio la democratizzazione […] del Paese»,32 corrispose la

presa di posizione del secondo con l'obiettivo di ribadire il carattere permanente della

29 Cfr. Lettera di Hugh Gaitskell a Morgan Phillips del 18 dicembre 1956, Lettera di Morgan Phillips a Hugh Gaitskell del 20 dicembre 1956, entrambe in Ibidem.

30 Cfr. Lettera di Morgan Phillips a Pietro Nenni del 24 gennaio 1957, in IISG, f. SI, b. 677, s. Italy. 1950- 1958, fasc. Italy Correspondence 1957-1958.

31 L. Basso, L'alternativa democratica, in «Mondo Operaio», a. X, n. 1, gennaio 1957, p. 10. 32 Ivi, p. 13.

politica d'unità d'azione con il Pci, in quanto manifestazione della «coscienza della responsabilità del Partito verso i lavoratori nel loro insieme».33 In sostanza, Lussu si

dichiarava contrario a qualsiasi cambiamento nell'alleanza con Botteghe Oscure, dal momento che, nella sua visione, neanche il Congresso avrebbe avuto i mezzi per «spostare questi termini e [per] modificarli senza ledere l'unità del Partito».34

Nonostante la persistenza di voci contrarie, la prospettiva autonomista che venne a galla durante il dibattito congressuale a Venezia ebbe i connotati di una maggiore organicità e, al tempo stesso, di una più chiara propensione filo-occidentale del gruppo nenniano, come dimostrato dalle relazioni di Nenni, De Martino e Lombardi. I primi e forti segnali in questa direzione provennero dal discorso del segretario che ribadì l'accettazione tout-court delle regole del gioco democratico:

Dicendo democrazia, non enunciamo una fedeltà, ma un metodo, al quale intendiamo ispirare la nostra prassi rinunciando […] all'appello alla violenza […]. Dicendo democrazia, diciamo la nostra fedeltà al suffragio

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