Thes. Pal.: .i. cabanrag817
Corr.: .i. caba rag [leg. co(n)darag]
Per quanto sicuramente ipotetica, è comunque fondata la correzione proposta da Lambert818 e qui riportata, con-da-rag (futuro di téit, con pronome infisso di terza
persona signolare femminile), traducibile con ʻaffinché io la raggiunga, affinché vada da leiʼ. Non si tratta quindi di una traduzione del verso virgiliano (Ecl. III, 64: Malo
me Galatea petit lasciva puella), ma di un commento contenutistico, d'ausilio nella
comprensione del testo. Mal si adatta al contesto, invece, l'emendazione proposta da Stokes, co-ben rag (ʻche io venga con una donnaʼ)819.
817 ThP II, p. 48.
818 LAMBERT 1986, p. 111.
819 Peraltro, come giustamente nota LAMBERT 1986, p. 111, «ben ou ban (nom. sg. / gén. pl.) ne sont
10. Codex Sangallensis 904 (San Gallo)
f. 6a 9 DICTIONIBUSQUASA GRAECISSUMPSIMUS
Thes. Pal.: níbbu machdath betis grecdi ┐nothath foraib linni ┐dano it latindi
amal ṡodain ut dixit prius [...]820
ʻit were no wonder that they were Greek and …. ; and yet they are Latin in that case, ut dixit, etc.ʼ
Il significato del termine nothath è dichiarato oscuro dagli editori del
Thesaurus821, che non tentano una traduzione822. Lambert823, confrontandolo con la
glossa in antico bretone noth-824 (< lat. nothus ʻillegittimo, contraffatto; spurioʼ< gr.
νόθος), propone di tradurlo con ʻprestito, atto di prestareʼ825. Sembra opportuno,
dunque, tradurre l'intera chiosa in questo modo: ʻnon era una meraviglia che fossero (parole) greche, poiché le chiamiamo prestiti; eppure in quel caso sono latine, come disse prima...ʼ826. Si veda anche infra, 56b 3.
f. 18a 3 DIPHTHONGIAUTEMDICUNTUR, QUODBINOSPTONGOS
Thes. Pal: .i. fogor dagutae indeogur air thechtaid cachgutae auth nindi ┐it
digutai bite indeogur827
ʻi.e. the sound of two vowels is in a diphthong, for each vowel has its (own) sound in it, and it is two vowels that are in a diphthongʼ
Corr.: .i. fogor dagutae indeogur air thechtaid cachgutae auth nindi ┐it
digutai bíte indeogur
Esaminando il manoscritto originale, Lambert828 nota un segno di lunghezza,
omesso da Stokes e Strachan (ma non da Ascoli)829, sopra la -i- di bite. Questo
ovviamente non incide sulla correttezza dell'interpretazione della glossa, pertanto
820 ThP II, p. 56 821 ThP II, p. 56, nota b.
822 ASCOLI 1878-1879, II, p. 141, propone «a noi era fatto avvertimento interono ad esse», forse
pensando a notaid ʻsegnalare; denotareʼ < lat. NOTARE (DIL, N-65).
823 LAMBERT 1985a, pp. 187-188.
824 Sempre in un manoscritto di Prisciano (BN Lat. 10290).
825 Non è di questo avviso AHLQVIST 1988, p. 200, che preferisce pensare a un prestito dal lat. NOTATIO.
826 Cfr. DIL, M-13 (1. machtad). 827 ThP II, p. 68.
828 LAMBERT 1986a, p. 78.
rimane perfettamente valida la traduzione proposta nel Thesaurus: ʻil suono di due vocali in un dittongo, poiché ogni vocale ha la propria voce in sé e sono due (le) vocali che sono in un dittongoʼ830.
f. 28a 6 PRAENOMEN, NOMEN, COGNOMEN, AGNOMEN
Thes. Pal.: .i. issed acognomen són alsnafiru aili reliqua831
ʻi.e. thi is the cognomen with other (learned) menʼ Corr.: .i. issed a cognomen són lasna firu aili r.
Questa imprecisione venne corretta già da Stokes e Strachan nei loro Corrigenda (ThP II, p. 421); tuttavia, come segnala Lambert832, successivamente nel Supplement
Stokes considerò alsna come l'effettiva lezione del manoscritto833. L'indagine di
Lambert rivela che, in realtà, l'unica lettura possibile del codice è lasna firu aili, ʻcon (presso) altri uominiʼ; l'alsna del Thesaurus è dunque semplicemente da considerarsi un errore di stampa, senza bisogno di ulteriore discussione; tale opinione è confermata anche dal testo stampato da Ascoli, lasnafiru834.
f. 56b 3 EXILISETIAM A GRAECO ἐξίτηλος
Thes. Pal.: trenothath835
ʻthe singular of a noun substantiveʼ
Rifacendosi ad Ascoli, gli editori del Thesaurus traducono «il singolare di un sostantivo». Sembra però più economica l'argomentazione di Lambert836, che assegna
a nothath il significato di ʻprestitoʼ (cfr. quanto detto supra, alla glossa 6a 9); la chiosa è quindi traducibile con ʻattraverso un prestito (dal greco)ʼ.
f. 147a 8a SIMPLICIQUEINEOUOCEUTUNTUR
Thes. Pal.: absque diuisione .i. fudb837
Corr.: .i. futuro
Stokes e Strachan leggono fudb e, ritenendolo la traduzione di absque diuisione
830 Cfr. DIL, D-219 (dé-ḟogur). 831 ThP II, p. 78. 832 LAMBERT 1986a, p. 78. 833 ThP II, p. 495. 834 ASCOLI 1878-1879, II, p. 29. 835 ThP II, p. 109. 836 LAMBERT 1985a, p. 187. 837 ThP II, p. 156.
(glossa di SIMPLICI), propongono di emendare in fudil, ʻresto, rimanente; avanzoʼ838.
Lambert839, analizzando a fondo il manoscritto, conclude però che, mentre absque
diuisionis è la glossa di SIMPLICIQUE, questa chiosa è sopra IN EO, e altro non è che
un'abbreviazione per il latino futuro. Non stupisce, dunque, che non sia registrata nell'edizione di Ascoli.
f. 149b 4 QUEMAMMODUMPROPRIANOMINACIUITATUM
Thes. Pal.: .i. analogia laissem anisiu […]840
ʻhe has here an analogyʼ Corr.: .i. analogia laisem anisiu […]
La lettura di Stokes e Strachan, laissem, è un errore risalente ad Ascoli841. Come
segnala Lambert, la lezione del manoscritto è inequivocabilmente laisem, ʻcon luiʼ. Si tratta della stessa grafia non geminata osservabile, sempre nel Prisciano di San Gallo, nella glossa 158b 6842; l'incipit della chiosa si può quindi tradurre: ʻqui egli fa
un'analogia...ʼ (lett. ʻun'analogia è con luiʼ).
f. 187b 7 UNAMPARTEMORATIONISACCIPIEBANT
Thes. Pal.: acht aiebant843
ʻbut they used to sayʼ
Corr.: adit aiebant
Lambert844 osserva che nel manoscritto non figura acht, come vorrebbero Stokes
e Strachan, ma la parola latina adit (= addit): il glossatore soprascrive al verbo di una subordinata comparativa (ACCIPIEBANT) quello della principale (AIEBANT, che nel testo
si trova a una certa distanza), per migliorare la comprensione del testo. La chiosa è quindi assolutamente latina, e come tale non è pubblicata da Ascoli.
838 DIL, F-466 (fuidell). 839 LAMBERT 1986a, p. 80.
840 ThP II, p. 160.
841 ASCOLI 1878-1879, II, p. 89.
842 ThP II, p. 165. Cfr. anche le forme elencate in DIL, L-1 (la). 843 ThP II, p. 179.
f. 189a 8 HOCESTINSUAMANENSPERSONA
Thes. Pal.: .i. attráchtad .i. cen tairmthecht ipersin naili·845
ʻi.e. a re-commentary, i.e. without passing into another personʼ846
Lambert847 non ritiene soddisfacente la traduzione di Stokes e Strachan di
attráchtad e preferisce pensare, seppure in via del tutto ipotetica, a un eventuale
prestito dal latino ATTRACTIO.
f. 192b 1 QUAERITURORTUMORTU
Thes. Pal.: fo ·r·848
ʻ(deponents) in rʼ Corr.: fo ·r· [leg. for]
Lambert849 conferma la lettura (già ascoliana)850 riportata nel Thesaurus, ma
ritiene che la glossa non sia in realtà irlandese, bensì latina, e che la parola da restituire sia il verbo for, faris.
f. 194a [in margine]
Thes. Pal.: do inis maddoc dún .i. meisse ┐coirbbre851
ʻwe are from Inis Maddoc, to wit, Coirbbre and Iʼ Corr.: do inis maddoc dún .i. meisse ┐choirbbre
Lambert852 rettifica la lettura dell'ultima parola di questa glossa marginale, un
nome proprio. La lezione corretta si trovava già in Ascoli853; più che a un'influsso
dell'edizione di Nigra, come vorrebbe Lambert854, sembra corretto pensare a una
svista tipografica nella stesura del Thesaurus. La traduzione proposta da Stokes e Strachan, del resto, è senz'altro corretta: ʻveniamo da Inis Maddoc, io e Coirbbreʼ855.
845 ThP II, p. 182. 846 Cfr. DIL, T-269 (tráchtad). 847 LAMBERT 1986a, p. 83. 848 ThP II, p. 185. 849 LAMBERT 1986a, p. 83. 850 ASCOLI 1878-1879, II, p. 108. 851 ThP II, p. xxi. 852 LAMBERT 1986a, p. 81. 853 ASCOLI 1878-1879, II, p. 109.
854 LAMBERT 1986a, p. 81, nota 8.
f. 195a 2 [in margine]
Thes. Pal.: in secunda coniugatione diarnéis856
ʻin the second conjugation behind usʼ
In nota, gli editori del Thesaurus rimandano al passaggio di Prisciano sui verbi di seconda coniugazione857; Lambert corregge questo rimando: lo stesso segno di
collegamento che si trova accanto a questa glossa si trova anche sul margine del f. 170b, «where the same words and the same matters are treated»858. Diarnéis, ʻdietro
di noiʼ, è usato come corrispondente del latino retro859.
f. 198b 3 QUAERITUR
Thes. Pal.: .i. nied iarmafoichsom860 híc […]
ʻi.e. it is not that he asks hereʼ Corr.: .i. nied iarmaḟoichsom híc […]
Nel manoscritto, come nota Lambert861, è presente un punctum delens sopra la -f-
di iarmaḟoichsom (ʻegli chiedeʼ)862, sfuggito all'esame di Stokes e Strachan (ma non
ad Ascoli)863.
f. 203a 12 QUIAENCLITICAMONOSYLLABASUNT
Thes. Pal.: .i. fona864
ʻi.e. according to theʼ Corr.: .i. fona [= φωναί?]
Lambert865 non ritiene soddisfacente la spiegazione di questa glossa fornita da
Stokes e Strachan. Come nota lo stesso Lambert, è forse corretto il suggerimento di Ahlqvist, che ipotizza una corruzione della traslitterazione del greco φωναί, usato nel senso di ʻparoleʼ.
856 ThP II, p. 186. 857 ThP II, p. 186, nota e. 858 LAMBERT 1986a, pp. 85-86.
859 In opposizione ad archiunn, ʻpiù avantiʼ (LAMBERT 1986a, pp. 84-86). Cfr. supra, Codex
Vindobonensis 4a 49 (p. 119). 860 ThP II, p. 192.
861 LAMBERT 1986a, p. 82.
862 DIL, I-25 (íarmi-foich). 863 ASCOLI 1878-1879, II, p. 113.
864 ThP II, p. 199. 865 LAMBERT 1986a, p. 82.
f. 203a 18 CUIAINTERFUIT
Thes. Pal.: isadi [MS. isaidi] ɫ. ablatiuus [...]866
ʻit is his, or an ablativeʼ Corr.: isaídi ɫ. ablatiuus [...]
Stokes e Strachan videro, sopra la seconda i di isaidi, un punctum delens. Lambert867 lo interpreta piuttosto come un segno di lunghezza; ci troviamo davanti ad
aí[si]di, genitivo singolare di é-side868.
f. 206a 1 UEL ὅς ET ἥ
Thes. Pal.: alagréc869
ʻthe second Greekʼ
Corr.: haec la gréc
ʻhaec in grecoʼ
La prima lettera di questa glossa, che Stokes e Strachan leggono a-, è identificata da Lambert870 come l'abbreviazione per haec: ciò che qui intende il glossatore è
proprio che il greco ἥ ʻquestaʼ corrisponde al latino HAEC.
866 ThP II, p. 200.
867 LAMBERT 1986a, pp. 82 e 84.
868 Si tratta di uno dei modi più usati per tradurre il pronome relativo latino (cfr. LAMBERT 1981, pp.
121-122). 869 ThP II, p. 203. 870 LAMBERT 1986a, p. 82.
Conlcusioni
Nel fare un bilancio finale di questo lavoro, appare subito evidente l'importanza della distinzione, nello studio di questi appunti scribali, tra le glosse propriamente dette e i commenti contenutistici; la divisione in due capitoli di questa tesi, ad esempio, permette di mettere immediatamente in luce l'evidente squilibrio quantitativo, all'interno dei singoli manoscritti presi in esame, tra questi due tipi di testo: mai, infatti, in un manoscritto ci si trova davanti a un numero simile di glosse e commenti. Alcuni manoscritti sono fittamente commentati in irlandese, e solo raramente alcune glosse, volte ad aiutare la comprensione del testo latino, interrompono il flusso dei commenti di contenuto (l'esempio più evidente di questa tendenza è il codice paolino di Würzburg); altri codici, invece, presentano quasi esclusivamente glosse (si veda, ad esempio, il Filargirio parigino).
Questo squilibrio lascia quindi intendere la natura fondamentalmente diversa di questi due tipi di testo (i quali trovano il loro “anello di congiunzione” nella parafrasi in irlandese, la quale, a conti fatti, consiste contemporaneamente in una traduzione e in un commento del testo), ed è evidente che analizzandoli separatamente è più facile giungere a corrette conclusioni interpretative. Importante è, ad esempio, rimarcare come in queste due tipologie differenti di chiose si riflettano due approcci diversi da parte dei glossatori per quanto riguarda la conoscenza della lingua latina: se, da una parte, per uno scriba poco avvezzo al latino poteva risultare utile corredare fittamente il testo dei significati dei termini, dall'altra parte un ecclesiastico dotato di maggiore competenza linguistica, verosimilmente, riteneva più proficuo scrivere dei commenti di contenuto, i quali spesso richiedevano la piena comprensione del testo. È anche da aggiungere che, in diversi casi, è la natura stessa del testo latino glossato a determinare la tipologia delle chiose presenti: per le sue stesse caratteristiche intrinseche, è logico che un glossario (o un commentario di tipo prevalentemente lessicale, come gli scoli di Filargirio a Virgilio o il glossario all'Antico Testamento contenuto nel Codex Reginensis 215) sia stato arricchito, in fase di copiatura, da glosse traduttive, e non tanto da commenti; lo stesso non si può dire, ad esempio, del
testo delle Lettere paoline del codice di Würzburg, il quale, prevedibilmente, presenta un numero assai maggiore di commenti contenutistici.
In uno dei suoi più recenti contributi871, incentrato sulle analogie e differenze nel
rapporto tra gallico e latino e tra cornico e inglese, Motta discute brevemente della quantità di prestiti germanici nel Vocabolarium Cornicum, nettamente superiore a quella riscontrabile nei testi religiosi in lingua cornica, la quale denota – in un periodo di progressivo declino sociolinguistico del cornico – un'esplicita volontà di utilizzare il più possibile il cornico da parte delle autorità religiose locali, in modo da essere il più possibile vicini alla schietta parlata celtica del popolo incolto (almeno, secondo le valutazioni dei religiosi stessi). Mettendo ora in relazione queste considerazioni con il contenuto di questa tesi, è chiaro che per quanto riguarda l'irlandese delle glosse si delinea una situazione del tutto diversa, anzi: speculare. La grande maggioranza dei prestiti e calchi latini non si trova nelle glosse traduttive, bensì nei commenti (già si è accennato più volte al fatto che, grazie soprattutto alle recenti osservazioni di Bisagni, il manoscritto paolino di Würzburg – contenente quasi esclusivamente commenti, e non glosse – è quello in cui si può riscontare una maggiore “pressione” della lingua latina sull'irlandese)872; al contrario, le glosse
irlandesi ai manoscritti di Filargirio (una volta superato l'ostacolo posto dalla latinizzazione di parti di parole o di interi termini, dovuta al ripetuto processo di copiatura da parte di scribi continentali) costituiscono una formidabile fonte di lessico ereditario puramente celtico.
Questa situazione diametralmente opposta a quella descritta da Motta relativamente al cornico (la quale a sua volta trova, quindi, un'ulteriore conferma) ci permette dunque di comprendere il diverso tipo di pressione sociolinguistica che esercitavano le lingue cosiddette “dominanti” (rispettivamente, inglese e latino) ai tempi delle prime attestazioni del cornico e dell'irlandese. Mentre l'inglese penetrava in modo sempre più capillare il tessuto sociale della Cornovaglia, relegando il cornico a un ruolo marginale (cioè, a un uso “basso” da parte delle classi più povere della popolazione o a un uso “alto”, ma dal sapore artificioso, da parte delle élite politiche e religiose; entrambi tipici della fenomenologia propria delle lingue in via d'estinzione così come è descritta diffusamente da Hagège nel celeberrimo Halte à la
871 MOTTA 2017; in particolare, pp. 231-233.
mort des langues)873, i monaci irlandesi autori delle glosse apprendevano e
utilizzavano il latino (veicolato in Irlanda non da una conquista militare, ma dalla predicazione religiosa) quasi esclusivamente come lingua di cultura, e attraverso le loro glosse vernacolari si dimostrano utenti nativi di una lingua sì in rapida evoluzione, ma assolutamente non in recessione.
Un altro tema importante sul quale è opportuno mettere l'accento è il fatto che, benché buona parte delle correzioni consista in minute aggiunte (come .i. iniziale) o correzioni tutto sommato trascurabili (perlomeno, dal punto di vista interpretativo), in diverse occasioni la lettura riveduta e aggiornata di una glossa permette di giungere a conclusioni diverse rispetto a quelle basate sul testo di Stokes e Strachan, sia per quanto riguarda l'aspetto grammaticale che per quanto riguarda l'analisi semantica dei termini antico-irlandesi. È quindi corretto affermare che una raccolta come questa (quasi un Thesaurus auctus, se vogliamo), dopo così tanti anni dalla pubblicazione del Thesaurus Palaeohibernicus, era effettivamente necessaria.
In particolare, spesso questo lavoro si avvale dei risultati ottenuti da diversi studiosi874 grazie alle nuove tecnologie atte a facilitare la lettura dei luoghi più
deteriorati dei manoscritti, non disponibili ai tempi della cosiddetta età eroica della filologia celtica (secondo la felice definizione di Ellis Evans), ma senza dubbio indispensabili in un contesto moderno. È infatti fondamentale potersi affidare a un metodo come la scansione ai raggi ultravioletti, la quale permette di superare molte incertezze nella lettura di questi antichissimi inchiostri, correggendo o confermando le congetture ope ingenii degli studiosi del passato; incidentalmente, è doveroso notare come in diverse occasioni le intuizioni di un pioniere come Ascoli, nella sua edizione del codice dell'Ambrosiana e del codice di San Gallo, si siano rivelate esatte all'esame della luce ultravioletta, anche in luoghi riguardo ai quali Stokes e Strachan espressero un parere differente da quello del predecessore.
Un ulteriore punto d'interesse che è giusto rimarcare, in chiusura, è il notevole contributo dato allo studio delle glosse irlandesi dai lavori eseguiti nell'ultimo secolo da studiosi come Fleuriot e Lambert sulle glosse in antico bretone. Diverse volte nel
873 HAGÈGE 2000; si vedano in particolare i capitoli 3 e 4, nei quali Hagège dedica molto spazio
all'“invasione linguistica” attraverso i prestiti e i calchi lessicali. È chiaro che documenti quali il
Vocabolarium Cornicum o le glosse lessicali irlandesi, osservando la questione da questo punto di
vista, risultano avere un valore inestimabile.
corso di questa tesi, infatti, è emerso come l'analisi filologica e linguistica dei primi testi in lingua bretone offra un importantissimo termine di paragone per alcuni manoscritti tra quelli presi in esame in questa tesi (in particolare, per quanto riguarda gli scoli di Filargirio)875; è quindi corretto dire che, negli ultimi cento anni,
l'arricchimento delle conoscenze disponibili sull'antico irlandese è stato possibile anche grazie alla fioritura degli studi incentrati sulle altre lingue del ramo celtico, le quali invece avevano ricevuto ben poca attenzione da parte dei comparatisti dell'Ottocento e, pertanto, trovarono poco spazio nell'opera di Stokes e Strachan.
Al di là delle caratteristiche intrinseche di questa tesi, dunque, si spera che in futuro coloro che saranno intenzionati a lavorare sulle glosse irlandesi possano trovare utile questo lavoro, non solo per le indicazioni bibliografiche in esso contenute (si spera, esaustive), ma anche per le schede di commento relative alle correzioni di ciascuna glossa, le quali si rifanno, con tutta la precisione che è stato possibile applicare, a più di cento anni di grandi studi sulle più significative attestazioni dell'antico irlandese.
875 L'articolo più significativo in questo senso è senz'altro LAMBERT 1986, dedicato esplicitamente
alla raccolta e all'analisi comparativa di tutte le glosse celtiche a Virgilio, e non solo di quelle irlandesi.
Bibliografia
ADKIN, N., 2000: “Julian of Eclanum on Psalm 103:2”, Journal of Theological
Studies 51, pp. 161-163.
AHLQVIST, A., 1988: “Notes on the Greek Material in the St. Gall Priscian Codex”, in
M.W. Herren, S.A. Brown (edd.), The Sacred Nectar of the Greeks: the Study of
Greek in the West in the Early Middle Ages (= King's College London Medieval
Studies 2), London, King's College, pp. 195-214.
ASCOLI, G.I., 1878-1879: Il codice irlandese dell'Ambrosiana (=Archivio
Glottologico Italiano 5 e 6), Roma-Torino-Firenze, Loescher.
A-SD= Bosworth, J. & Toller, T.N., An Anglo-Saxon Dictionary, Oxford, Oxford University Press, 198910 (1898).
BARNEY, S.A., LEWIS, W.J., BEACH, J.A. & BERGHOF, O. (edd.), 2006: The
Etymologies of Isidore of Seville, Cambridge, Cambridge University Press.
BAUER, B., 2017: “New and corrected MS readings of the Old Irish glosses in the
Vienna Bede”, Ériu 57, pp. 29-48.
BAUMGARTEN, R., 2005: “The ʻPig and Vine Glossʼ and the Lives of St Brigit”,
Peritia 19, pp. 229-238.
BERGIN, O., 1923: “Is ónd athir dó”, Ériu 9, p. 180.
BERGIN, O., 1946: “Varia I. O. Ir. alaliu. O. Ir. cummato. attú, Ml. 110d15”, Ériu 14,
pp. 29-30.
BISAGNI, J., 2014: “Prolegomena to the Study of Code-Switching in the Old Irish
Glosses”, Peritia 24-25, pp. 1-58.
BISCHOFF, B., 1954: “Wendepunkte in der Geschichte der Lateinischen Exegese im
Frühmittelalter”, Sacris Erudiri 6, pp. 189-281.
BREATNACH, L., 1980: “Some remarks on the relative in Old Irish”, Ériu 31, pp. 1-9.
COLEMAN, R. (ed.), 1977: Vergil. Eclogues, Cambridge, Cambridge University Press.
CONTRENI, J., 1976: “The biblical Glosses of Haimo of Auxerre and John Scottus
Eriugena”, Speculum 51, pp. 411-434.
DELAMARRE, X., 20032: Dictionnaire de la langue gauloise, Paris, Editions Errance.
1983.
DILLON, M., 1956: “The Vienna Glosses on Bede”, Celtica 2, pp. 340-344.
DTR= Jones, C. W., Bedae Venerabilis Opera. Pars VI: opera didascalica 2 (=
Corpus Christianorum, series Latina CXXIII B), Turnholti, Brepols, 1977.
EVANS, D.E., 2004: “The Heroic Age of Celtic Philology”, Zeitschrift für Celtische
Philologie 54, pp. 1-30.
GOI= Thurneysen, R., A Grammar of Old Irish (trad. D. A. Binchy & O. Bergin), Dublin, Dublin Institute for Advanced Studies, 19934 (1943).
GPC= AA. VV., Geiriadur Prifysgol Cymru, Caerdydd, Gwasg Prifysgol Cymru, 1950-1999.
GREENE, D., 1954: “Miscellanea”, Celtica 2, pp. 334-340.
GRIFFITH, A., 2009: “Varia I. Notes on the Milan Glosses; Old Irish Cré, gen. Crïad
and MW Prydd ʻClayʼ”, Ériu 59, pp. 153-158.
GRIFFITH, A., & STIFTER, D., 2014: “New and Corrected ms. Readings in the Milan
Glosses”, Études Celtiques 40, pp. 53-84.
GWYNN, E.J., 1910: “An Unrecorded Gloss”, Ériu 4, p. 182.
HAGÈGE, C., 2000: Halte à la mort des langues, Paris, O. Jacob.
HULL, V., 1961: “Old irish sissidir and its compounds”, Zeitschrift für Celtische
Philologie 28, pp. 260-261.
KAVANAGH, S., 1977: “Notae Wirziburgenses”, Celtica 12, pp. 12-18.
KAVANAGH, S., 1984: “Nota Wirziburgensis”, Celtica 16, pp. 53-55.
LAMBERT, P.-Y., 1981: “La traduction du pronom relatif Latin dans les gloses en
Vieil-Irlandais”, Études Celtiques 18, pp. 121-139.
LAMBERT, P.-Y., 1985: “Les Gloses bibliques de Jean Scot: l'élément vieil-irlandais”,
Études Celtiques 22, pp. 205-224.
LAMBERT, P.-Y., 1985a: “Varia VI”, Ériu 36, pp. 187-190.
LAMBERT, P.-Y., 1986: “Les gloses celtiques aux commentaires de Virgile”, Études
Celtiques 23, pp. 81-128.
LAMBERT, P.-Y., 1986a: “Notes on Saint Gall Glosses”, Celtica 18, pp. 77-86.
LINDEMAN, F.O., 1984: “Notes on Two Biblical Glosses”, Celtica 16, pp. 59-61.
LINDEMAN, F.O., 1987: “Notes on Some Milan Glosses”, Celtica 19, pp. 177-178.
LINDEMAN, F.O., 1988: “Notes on Two Biblical Glosses”, Celtica 20, pp. 108-109.
LINDEMAN, F.O., 1996: “Varia I. Notae Mediolanenses”, Ériu 47, pp. 205-207.
LINDEMAN, F.O., 1997: “Varia II. Notae Mediolanenses”, Ériu 48, pp. 267-272.
LINDEMAN, F.O., 2004: “On a possible Indo-Celtic etymological correspondence”,
Zeitschrift für Celtische Philologie 54, pp. 133-143.
LINDEMAN, F.O., 2006: “A theological note on an Old Irish gloss on verse 13 of
Psalm 49”, Zeitschrift für Celtische Philologie 56, pp. 68-70.
LINDSAY, W.M. (ed.), 1911: Isidori Hispalensis Episcopi Etymologiarum sive
Originum Libri XX, 2 voll., Oxonii, Oxford University Press.
LINDSAY, W.M. (ed.), 1913: Sextii Pompei Festi de verborum significatu quae
supersunt cum Pauli epitome, Lipsiae, Teubner.
LINDSAY, W.M., 1912: “Vox nihili”, Zeitschrift für Celtische Philologie 8, p. 556.
MAC EOIN, G.S., 1974: “The Etymology of Ir. coí ʻcuckooʼ”, Zeitschrift für Celtische