Dipartimento di Filologia, Letteratura e Linguistica
Corso di Laurea in
Linguistica e Traduzione
TESI DI LAUREA
Addenda e Corrigenda
al Thesaurus Palaeohibernicus
CANDIDATO RELATORE
Pietro Carlo-Maria Giusteri Chiar.mo Prof. Filippo Motta
CORRELATORE
Chiar.mo Prof. Andrea Nuti
Indice
Introduzione...p. 1 Descrizione dei codici...p. 4 Parte I. Glosse...p. 10
Codex Reginensis 215...p. 10 Codex Psalterii Hamptoniensis...p. 12 Codex Ambrosianus C. 301...p. 16 Codex Paulinus M. th. f. 12...p. 26 Codex Bedae Vindobonensis 15298...p. 30 Codex Latinus Monacensis 14429...p. 33 Codex Laurentianus Plut. XLV, 14...p. 34 Codex Sangallensis 904...p. 42 Codex Philargyrii Bib. Nat. Lat. 11308...p. 48 Parte II. Commenti...p. 53 Codex Palatinus Lat. 68...p. 53 Codex Psalterii Hamptoniensis...p. 54 Codex Psalterii Sancti Caimini...p. 56 Codex Ambrosianus C. 301...p. 57 Codex Taurinensis F IV 1...p. 92 Codex Paulinus M. th. f. 12...p. 93 Codex Bedae Vindobonensis...p. 115 Codex Iuvenci Ff. 4, 42...p. 122
Codex Laurentianus Plut. XLV, 14...p. 123 Codex Sangallensis 904...p. 124 Conclusioni...p. 130 Bibliografia...p. 134
Introduzione
Nello studio della lingua irlandese, le glosse rivestono notoriamente un'importanza fondamentale: è infatti opinione comune, fra gli specialisti, che questi umili “appunti” marginali o interlineari, lasciati su alcuni manoscritti latini da scribi di origine irlandese in un periodo che va dal settimo al nono secolo dell'era corrente, restituiscano allo studioso moderno la “fotografia” dello stadio – documentato, s'intende – più antico dell'irlandese (eccezion fatta, chiaramente, per le circa duecento brevi iscrizioni ogamiche a noi pervenute, databili al V-VI secolo d. C.)1.
Non è dunque motivo di meraviglia il fatto che, nel tempo, l'attenzione dedicata alle glosse da parte dei celtisti non sia mai venuta meno; effetto collaterale della meravigliosa proliferazione degli studi al riguardo, però, fu la loro stessa frammentarietà e discontinuità, soprattutto da un punto di vista editoriale. Se si eccettuano alcune grandi opere del passato (tra cui bisogna senz'altro menzionare lo
Handbuch des Alt-Irischen di Thurneysen, portato a compimento nel 1909), infatti,
gli innumerevoli lavori degli studiosi di tutta Europa si trovano dispersi all'interno di un gran numero di riviste, bollettini, volumi degli atti, e molto raramente sono raccolti in libri unitari e coerenti. Questa situazione creò le basi per la pubblicazione, da parte di W. Stokes e J. Strachan, del primo volume (1901) del Thesaurus
Palaeohibernicus (seguito nel 1903 dal secondo volume), un'opera destinata a
cambiare per sempre lo studio dell'irlandese: Stokes e Strachan sapevano, infatti, che una raccolta ordinata e il più possibile omogenea di tutti i documenti antico-irlandesi sarebbe stata utile non solo agli esperti di filologia celtica, ma anche – e soprattutto – ai giovani studiosi desiderosi di cimentarsi nello studio della lingua goidelica e della sua storia2.
Oggi, dopo ben più di un secolo di ulteriore e inarrestabile attività accademica, la situazione degli studi sulle glosse (irlandesi e celtiche in generale) si presenta quanto mai simile a quella descritta sopra e già lamentata dagli autori del Thesaurus. I lavori
1 Per un pregevole riassunto sulle fonti dell'antico irlandese, si veda MCCONE 2005, pp. 17-22.
2 Si veda quanto scrivono gli stessi Stokes e Strachan nella prefazione al primo volume (ThP I, pp. xi-xii).
riguardanti le glosse irlandesi si sono susseguiti senza posa, e buona parte di essi ha come argomento proprio la correzione di alcune glosse così come sono stampate nel
Thesaurus stesso o la segnalazione di materiale glossario mancante nell'opera di
Stokes e Strachan (la quale, proprio in virtù della sua monumentalità, non poteva risultare perfetta; inoltre, come si vedrà, spesso gli studiosi cronologicamente più vicini a noi hanno usufruito di tecnologie – come la scansione ai raggi ultravioletti – inesistenti al tempo della stesura del Thesaurus Palaeohibernicus); mancano tuttavia, in questi lavori, omogeneità e coerenza, e a fare le spese di questo problema, solitamente, non è lo studioso navigato, bensì il novizio, il quale si trova costretto, se non vuole rischiare di perdersi in una selva di pubblicazioni specialistiche, a fare continuo riferimento a un'opera inequivocabilmente datata, per quanto insostituibile.
Questa tesi, quindi, è frutto proprio della mia esperienza di studente universitario, alle prime armi nella filologia celtica. Il suo scopo è infatti raccogliere, uniformare e analizzare tutte le aggiunte e correzioni al Thesaurus proposte dai celtisti di tutto il mondo nel lungo arco di tempo che va dalla sua pubblicazione al momento presente, in modo da fornire uno strumento utile a tutti gli studiosi di antico irlandese. Non si tratta però di un semplice, arido elenco di correzioni e rimandi bibliografici: ogni glossa presa in considerazione è accompagnata da una scheda di commento, nella quale sono soppesate e discusse le varie interpretazioni proposte.
Un altro tratto, immediatamente evidente, che caratterizza questo lavoro come una tesi, e non come un glossario, è la sua divisione interna in due parti: nella prima sono analizzate soltanto le glosse propriamente dette, cioè le semplici traduzioni di lemmi dal latino all'irlandese; nella seconda trovano spazio i commenti (parafrasi, rielaborazioni di concetti, rimandi testuali ecc.) lasciati dai monaci irlandesi. Questa suddivisione, che all'apparenza potrebbe sembrare un ostacolo alla chiarezza dell'elaborato, è invece di primaria importanza dal punto di vista metodologico, poiché mette in luce (come poco, purtroppo, è stato fatto fino ad ora) la differenza tra due tipi differenti, per quanto simili e spesso sovrapposti dai glossatori stessi, di testo.
In un lavoro come questo, le caratteristiche auspicabili sono essenzialmente due: la completezza e la facilità di consultazione.
La completezza è, evidentemente, il requisito minimo per rendere utile una tesi di questo tipo; tuttavia, è noto che la completezza assoluta, come la perfezione, è la chimera dei presuntuosi. Perciò, al fine di risultare meno dispersivo e più preciso possibile, ho scelto di restringere il campo della mia analisi ai manoscritti già editi al momento della composizione del Thesaurus, e quindi presenti nell'opera stessa di Stokes e Strachan, lasciando a penne più esperte il compito di uniformare le recenti acquisizioni della celtistica dovute alla scoperta e all'edizione di manoscritti ancora ignoti nel 1903.
Per quanto riguarda la facilità di consultazione, essa traspare immediatamente agli occhi del Lettore: al fine di redere agilissimo il confronto con il Thesaurus
Palaeohibernicus i diversi manoscritti sono presi in considerazione nell'ordine già
usato da Stokes e Strachan, e anche la numerazione delle glosse segue direttamente quella della loro opera. Il codice alfanumerico preposto ad ogni glossa analizzata è quello tradizionalmente usato nella filologia celtica, e si riferisce, nell'ordine, alla pagina del manoscritto, alla colonna di testo e al numero sequenziale della glossa irlandese (con l'eccezione del Filargirio parigino, dove le glosse sono raggruppate in base alle ecloghe virgiliane cui fanno riferimento). Per fare un esempio pratico: una glossa numerata 1b 3 è la terza glossa visibile (3) nella seconda colonna (b) della prima pagina (1) del manoscritto in questione3. Ogni glossa, accompagnata dalla
porzione pertinente del testo latino glossato (in maiuscoletto se parte del testo originale, in minuscolo se parte di un commentario), è presentata prima nella forma pubblicata da Stokes e Strachan (con la loro traduzione inglese, dove è disponibile), seguita dalla lezione riveduta e corretta. In accordo con la lunga tradizione editoriale degli studi celtici, l'antico irlandese è stampato in corsivo, il latino in tondo; là dove vengono sciolte delle abbreviazioni, è utilizzato il carattere opposto.
Seguendo l'insigne esempio di Stokes e Strachan, alla trattazione vera e propria è preposta una breve descriptio codicum, in modo da fornire al Lettore un'idea precisa del contesto e della forma in cui si presentano i testi analizzati.
3 Nel caso delle glosse omesse da Stokes e Strachan e segnalate dagli studiosi successivi, al numero sequenziale della glossa è affiancata la lettera a (ad es., una glossa numerata 1b 3a si trova fisicamente tra le glosse 1b 3 e 1b 4 del Thesaurus).
Descrizione dei codici
1. Codex Reginensis 215
Il manoscritto, conservato nella Biblioteca Vaticana, fu copiato da una mano continentale nell'anno 876 o 8774. Contiene un glossario all'Antico Testamento
latino, estratto da due glossari a noi non pervenuti. Come notò Güterbock, le glosse provenienti dai due glossari preesistenti sono spesso contrassegnate, a margine, dalle sigle AI. (o HAI.) e IO. (o IOH.), a indicarne gli autori, verosimilmente Aimone d'Auxerre e Giovanni Scoto Eriugena. Solo tra le chiose attribuite a questo secondo ecclesiastico sono presenti delle glosse in irlandese.
2. Codex Palatinus Lat. 68
Questo codice, conservato nella Biblioteca Vaticana, conserva un commentario latino ai Salmi, con glosse iralndesi e anglo-sassoni. Verosimilmente, fu copiato da un originale anglo-sassone5 da uno scriba irlandese. È stato datato al nono secolo da
E. Maunde Thompson, tuttavia l'irlandese conserva dei tratti decisamente arcaici (riconducibili alla lingua del VII-VIII secolo riflessa nelle glosse di Würzburg).
3. Codex Psalterii Hamptoniensis
Secondo Zimmer, questo manoscritto (vergato in minuscola irlandese, conservato nella biblioteca del St. John's College, a Cambridge) è da datare alla fine del decimo secolo, e le glosse irlandesi ai Salmi presenti sono state scritte da più di una mano. Non è facile datare l'origine di tali glosse, a causa della compresenza, nella lingua, di
4 ThP I, p. xiii. 5 ThP I, p. xiv.
tratti arcaici (mancata dittongazione di ē, ad esempio) e seriori6, probabilmente
dovuta a un'intensa attività di ripetuta copiatura. Da segnalare, in questo manoscritto, l'uso degli apici non per indicare una vocale lunga, ma semplicemente il passaggio alla lingua irlandese.
4. Codex Psalterii Sancti Caimini
Questo breve codice, ora conservato nella biblioteca del monastero Francescano di Dublino, proviene dal Collegio Irlandese di Roma. È un frammento di un salterio, contenente il Salmo 118 (Beati, 119 nella numerazione ebraica); in esso si trovano sei glosse in antico irlandese.
5. Codex Ambrosianus C. 301
Il manoscritto, databile su base linguistica e paleografica al nono secolo, è una delle fonti più cospicue e più celebri dell'antico irlandese. Ora conservato nella Biblioteca Ambrosiana di Milano, proviene dal monastero di Bobbio; per molto tempo il commentario ai Salmi contenuto in esso (ff. 14-146) è stato ritenuto opera di San Colombano7, tuttavia è ormai opinione comune che si tratti dell'epitome di una
traduzione latina del commentario greco di Teodoro di Mopsuestia8. È inoltre
verosimile che il copiatore del testo latino (Diarmait) sia anche il responsabile della prima serie di glosse irlandesi; ad essa si aggiunge una seconda serie dovuta a un'altra mano, spesso intervenuta a correggere proprio le glosse preesistenti9. La
prima e più completa edizione dell'intero testo latino del commentario e delle glosse irlandesi si deve ad Ascoli, che ne diede alle stampe la prima parte nel 1878 (come quinto volume dell'Archivio Glottologico Italiano); su tale lavoro, collazionato col manoscritto originale, si basa la più sintetica edizione di Stokes e Strachan.
Nel primo foglio sono presenti anche due lunghi poemi irlandesi, di difficile
6 ThP I, p. xiv.
7 Così, ad esempio, NIGRA 1872.
8 ThP I, p. xv-xvi. 9 ThP I, p. xviii.
lettura a causa dei danni dovuti all'umidità e dell'oscurità del testo (ThP II, pp. 291-292).
6. Codex Taurinensis F IV 1
Anche questo manoscritto proviene dal monastero di Bobbio; fu portato a Torino da Peyron, nella Biblioteca Universitaria. Contiene due frammenti di un commentario al vangelo di San Marco, tradizionalmente attribuito a San Gerolamo, con glosse latine e irlandesi (dovute a una mano seriore)10. Stokes e Strachan lo
considerano linguisticamente molto vicino al Codice Ambrosiano (di cui sopra); non sembra possibile datare più precisamente di così il testo.
7. Codex Paulinus M. th. f. 12
Questo manoscritto di 36 fogli, proveniente dalla biblioteca della Cattedrale di Würzburg, è ora conservato nella Biblioteca Universitaria della stessa città. Contiene il testo delle Lettere di San Paolo, accompagnato da un fitto commento in latino e irlandese (la cui fonte principale è senza dubbio il commentario di Pelagio), scritto da tre monaci diversi. È possibile, anche se non certo, che il primo glossatore sia anche lo scrittore del testo latino; è evidente invece, come è stato mostrato da Zimmer, che le due serie di glosse successive sono state copiate in un secondo momento da un'altra fonte11. Data la notevole arcaicità delle glosse irlandesi della
cosiddetta prima manus, datate da Thurneysen al settimo secolo12, questo documento
è universalmente considerato una delle fonti più significative delle nostre conoscenze sull'antico irlandese.
Un'altra caratteristica del Codice Paolino di Würzburg è che le glosse traduttive sono molto meno numerose rispetto ai commenti; si tratta, inoltre, del codice in cui maggiormente è osservabile il fenomeno del code switching tra latino e irlandese13.
10 ThP I, p. xxii. 11 ThP I, p. xxv. 12 ThP I, p. xxiii.
8. Codex Bedae Vindobonensis 15298
Stokes e Strachan ritengono che la data più probabile della stesura di questo codice (conservato a Vienna, nella Österreichische Nationalbibliothek, e precedentemente numerato Suppl. 2698), gravemente danneggiato, sia il nono secolo. Contiene un frammento (quattro fogli) del trattato di Beda De Temporum Ratione, diffusamente glossato in latino e in irlandese da varie mani14.
9. Codex Latinus Monacensis 14429
Questo manoscritto proviene da Regensburg, in Baviera, ed è ora conservato a Monaco (Bayerische Staatsbibliothek); è stato scritto, probabilmente nel continente, da una mano irlandese, intorno alla metà del nono secolo15. Contiene, oltre a
numerosi estratti da varie opere, un glossario latino, in ordine alfabetico, con alcuni lemmi tradotti in irlandese dallo stesso copiatore del testo latino16 e diverse glosse in
antico alto tedesco scritte da mani differenti.
10. Codex Iuvenci Ff. 4, 42
Questo manoscritto di 108 fogli reca per ben due volte, a margine, la data 1233; tuttavia la grafia suggerisce una data intorno al nono secolo17. Contiene la parafrasi
esametrica dei quattro Vangeli di Giovenco, corredata da glosse anglo-sassoni e, in numero esiguo, irlandesi; è conservato a Cambridge, nella University Library.
14 ThP II, p. xi. 15 Ó CRÓINÍN 2002.
16 ThP II, p. xiii. 17 ThP II, p. xiii.
11. Codex Laurentianus Plut. XLV, 14
Questo codice è conservato a Firenze, nella Biblioteca Laurenziana; secondo Hagen, fu portato in Toscana dalla Francia, dove sono conservati altri due codici, contenenti anch'essi due serie di estratti dagli scoli di Filargirio alle Bucoliche di Virgilio, corredati da alcune glosse in irlandese; alcuni errori comuni ai tre manoscritti dimostrano che furono copiati a partire dallo stesso archetipo. Tutti e tre i codici sono scritti da scribi continentali, ed è evidente l'ignoranza della lingua irlandese, forse imputabile già all'archetipo.
12. Codex Sangallensis 904
Questo manoscritto di 240 pagine, conservato a San Gallo (Stiftsbibliothek), contiene il testo latino dei primi sedici libri (e parte del diciassettesimo) di Prisciano, corredato da glosse latine e irlandesi, sia interlineari che marginali. Il testo latino è stato scritto da diversi scribi, così come le glosse irlandesi si devono ad almeno tre mani diverse18.
La composizione del manoscritto è databile alla metà del nono secolo; le glosse irlandesi, tuttavia, sono tutt'altro che omogenee dal punto di vista linguistico e contenutistico, e costituiscono con tutta probabilità un florilegio estrapolato da materiali più antichi19. Esempi di chiose “originali”, invece, sono quelle che tentano
di spiegare i luoghi del testo in cui il latino è evidentemente corrotto.
È nota l'edizione che fece Ascoli di questo codice (1879), stampata come sesto volume dell'Archivio Glottologico Italiano e accompagnata dall'incompiuto
Glossarium palaeo-hibernicum.
18 ThP II, pp. xix-xx. 19 ThP II, p. xxiii.
13. Codex Philargyrii Bib. Nat. Lat. 11308
Conservato a Parigi, nella Bibliothèque Nationale, questo codice fu considerato un possibile archetipo del Codice Laurenziano di Filargirio (di cui sopra, al punto 9), poiché è più completo e meno ricco di errori; tuttavia, alcuni errori comuni rivelano che si tratta, in effetti, di due copie “sorelle” da uno stesso archetipo. Le glosse irlandesi in esso contenute furono pubblicate da Stokes in appendice al Thesaurus; una vera e propria collazione con il Laurenziano fu eseguita da Lambert20.
Parte I.
Glosse
1. Codex Reginensis 215 (Roma) f. 89b 8 PLUMARIOBISFACIE
Thes. Pal.: .i. immainedar21
Corr.: .i. immaineth [leg. immainech] ʻbifronteʼ
Stokes e Strachan non offrono una traduzione per questa glossa. La correzione qui riportata, basata sul microfilm del manoscritto originale, è di P.-Y. Lambert22, che
propone quindi di restituire immainech, «composé de imb-, imm- ʻautourʼ et de
ainech, enech ʻvisageʼ»23. L'emendazione risulta convincente poiché è supportata
dalle lezioni di due manoscritti parigini non ancora conosciuti al tempo della stesura del Thesaurus: BN Lat. 308824, che ha inmamech, e BN Lat. 4883 A25, che ha
immaineth. Con tutta probabilità, Stokes e Strachan pensavano invece all'avverbio immanetar, ʻvicendevolmente, a turnoʼ26, ma, come rimarca anche Lambert, la resa di
[d] intervocalica con <d> è estremamente rara in antico irlandese, così come la traduzione di un aggettivo con un avverbio.
f. 90a 13 LARUM
Thes. Pal.: fulicam .i. polien vel gabiam27
Corr.: fulicam .i. polięn ɫ. gabiam ʻgabbianoʼ
21 ThP I, p. 1.
22 LAMBERT 1985, p. 209, nota 13.
23 LAMBERT 1985, p. 214; cfr. DIL, E-126.
24 Segnalato già da BISCHOFF 1954.
25 CONTRENI 1976, p. 415: «In fact, it was probably copied directly from V [=Bib. Vat. Reg. 215]».
Lambert a p. 205 parla di «BN Lat. 4083 A», ma si tratta di un banale errore di stampa. 26 DIL, I-124 (immanetar).
Questa lettura migliorata è fornita ancora da Lambert28; <ę> è un'abbreviazione
scribale tipicamente usata per scrivere il dittongo latino ae. Non cambia l'interpretazione globale della glossa, dove si tratta chiaramente di una grafia corrotta per foilenn29 ʻgabbianoʼ30, forma meglio conservata qualche rigo sotto (90a 19,
folien). Per quanto lo scriba continentale che vergò questo manoscritto31 con ogni
probabilità non conoscesse l'irlandese (e ulteriore prova di ciò è fornita proprio dall'uso del dittongo ae in una posizione ingiustificabile in base alle convenzioni grafiche dell'irlandese antico), difficilmente non avrebbe riconosciuto l'identità di due parole uguali a poche righe di distanza32; è quindi probabile che già nel suo
modello la prima delle due attestazioni fosse corrotta.
28 LAMBERT 1985, p. 209, sempre nota 13.
29 DIL, F-22 (faílenn).
30 La -b- interna del lat. gabiam (rispetto al classico GAVĬA) è una grafia dovuta al betacismo
proto-romanzo. 31 Cfr. ThP I, p. xiii.
32 A riprova di ciò, TIARA è glossato tre volte nel codice con la stessa forma, barr (89b: CYHTARION .i.
tiara uerticale .i. bar[r]chrumbac; 103b: TIARA genus pilleoli id est barr; 104a: SARABALLA id est
2. Codex Psalterii Hamptoniensis (Cambridge)
In un breve lavoro apparso su Ériu33, P. Ó Néill esprime diverse critiche nei
confronti dell'edizione delle glosse (sia latine che irlandesi) presenti in questo manoscritto così come appare nel Thesaurus e, confrontando personalmente l'opera di Stokes e Strachan con il manoscritto originale, fornisce molte correzioni sia del testo latino che delle glosse. Sono qui riportate in ordine le sue correzioni e aggiunte, con particolare attenzione all'elemento irlandese34.
f. 29a PROFATUR
Thes. Pal.: .i. fōr35
Corr.: .i. forcain ʻprofetizzaʼ
Le diverse mani che scrissero su questo codice non furono assolutamente coerenti nell'uso dei tratti soprascritti; secondo Ó Néill, queste due pagine del Thesaurus sono altrettanto confusionarie, per la scelta editoriale - in contrasto con ogni altra sezione dell'opera - di usare gli apici per riprodurre (purtroppo, in modo non perfettamente fedele) non delle indicazioni relative alla lunghezza delle vocali, ma «the long, hairline strokes frequently penned above venacular words by the Southampton scribes to distinguish them from the surrounding Latin text»36, e per la scomoda
confusione tipografica tra il testo latino dei Salmi e il latino delle glosse marginali37.
Nell'interpretazione della presente glossa, entrambi i problemi editoriali appena detti giocano un ruolo fondamentale. Se gli editori avessero infatti voluto accettare completamente il suggerimento di Ascoli, cioè che for non sia irlandese ma latino (come si evincerebbe dagli Addenda, ThP II, p. 415), allora sarebbe stato opportuno segnalare tipograficamente la loro scelta; questo tuttavia non spiegherebbe la presenza di un evidente tratto soprascritto orizzontale (che gli editori sembrano voler
33 Ó NÉILL 1993.
34 Non essendo questa la sede appropriata per una discussione approfondita in merito, le correzioni di Ó Néill per quanto riguarda il materiale latino saranno prese in considerazione soltanto laddove portino effettivamente a una migliore comprensione delle glosse celtiche.
35 ThP I, p. 4.
36 Ó NÉILL 1993, p. 99.
37 «[I]n contrast to the edition of the Milan Psalter commentary wich follows the Southampton Psalter in Thes. Pal., where Psalter text is distinguished from Latin commentary by capitals» (Ó NÉILL 1993, p. 100, nota 4).
intendere come segno di lunghezza relativo a -o-, pur senza prendere una posizione specifica). Sembra quindi ragionevole la soluzione offerta da Ó Néill, che osserva che il tratto soprascritto sovrasta tutta la parola, e non solo la -o-, e legge dunque in
for un'abbreviazione per for·cain, ʻistruire, profetizzareʼ, «which would agree in both
meaning and grammar with profatur»38.
f. 34a TRIBUNALIUDICIALE
Thes. Pal.: .i. brithemonda39
Corr.: .i. brithimonda
ʻgiudiziarioʼ
Secondo Ó Néill la -e- del Thesaurus è dovuta a un mero errore di trascrizione, ma ciò non cambia l'interpretazione di quest'elementare glossa, coerentemente usata nelle glosse di Milano40 col significato di ʻgiudiziarioʼ, ʻpertinente al giudiceʼ41: .i.
brithemandu ʻi.e. judicialʼ (26c 9-10); brithemandae ʻjudicialʼ (54b 2), brithemandu
ʻjudicialʼ (99c 3), brithemandae gl. ʻiudicialisʼ (105d 1). f. 43a MEUSEST GALAD
Aliter, Christo Galad .i. canoin diuinarum [leg. diuinorum] librorum Questa glossa, assente nel Thesaurus, è individuata da Ó Néill42 grazie alla sua
ispezione del manoscritto originale, conservato nella biblioteca del St. John's College. Si tratta di un limpido caso di code switching intrafrastico tra latino e irlandese da parte del glossatore, indubbiamente favorito dalla somiglianza, anche grafica, tra il latino canon ʻcanoneʼ e il suo riflesso irlandese, canóin (di genere femminile; gen. canóine)43.
38 Ó NÉILL 1993, p. 101.
39 ThP I, p. 4.
40 ThP I, p. 52 (f. 26c 9-10), p. 172 (f. 54b 2), p. 336 (f. 99c 3), p. 358 (f. 105d 1). 41 Si veda DIL, B-193 (brithemandae).
42 Ó NÉILL 1993, pp. 101-102.
f. 48a RUCAE [leg. RAUCAE] FACTAESUNTFAUCESMEAE
.i. druisc ʻraucheʼ
Anche questa glossa è individuata da Ó Néill44 ed è assente nel Thesaurus
Palaeohibernicus; si tratta con tutta probabilità del nominativo plurale di trosc,
ʻmalato, raucoʼ45. A favore di quest'interpretazione è sicuramente da citare il chiaro
parallelo offerto dal codice vaticano Pal. Lat. 68: RAUCAE .i. truisc46.
f. 50a USQUEINSENECTAMETSENIUM
Thes. Pal.: - tempus .i. diblide - Deus ne derelinquas47
Corr.: .i. diblide ʻdecrepitoʼ
La glossa diblide ʻconsumato, decrepitoʼ48 è comprensibile, seguendo Ó Néill,
soltanto dopo aver sistemato correttamente il testo latino: la glossa si riferisce a tutto il verso del Salmo nel suo complesso, e non certo a tempus, che è a sua volta una glossa, soprascritta a SENIUM49.
f. 56b SORTEDIUISITIISTERRAMINFUNICULODISTRIBUTIONIS
Thes. Pal.: .i. hífórríg50
Corr.: hiforrig
ʻcon una perticaʼ
Gli autori del Thesaurus hanno erroneamente aggiunto .i. all'inizio della glossa; come osserva Ó Néill, non è presente nel manoscritto51. La glossa è evidentemente da
segmentare i forrig (da forrach, ʻpertica, palo per le misurazioniʼ52), ovvero la
perfetta traduzione di in funiculo.
44 Ó NÉILL 1993, p. 102.
45 Cfr. DIL, T-320 (2. trosc). 46 ThP I, p. 3.
47 ThP I, p. 4.
48 DIL, D-71 (díblide).
49 Da notare, incidentalmente, anche il senectutem di Stokes e Strachan per il senectam del manoscritto; non è l'unico errore nella trascrizione del testo latino (cfr. sempre Ó NÉILL 1993).
50 ThP I, p. 5. Si noti, nuovamente, l'uso tipografico fuorviante degli apici. 51 Lo stesso discorso vale per immusascnat (f. 60b) e inmar (f. 84a). 52 DIL, F-356 (2. forrach).
f. 92b QUIDIUISSITRUBRUMMAREINDIUISSIONES
Thes. Pal.: .i. mile chemenn53
ʻa thousand stepsʼ
Corr.: mile chemenn
ʻmille passiʼ
Ó Néill segnala nuovamente l'aggiunta errata di .i. da parte di Stokes e Strachan; inoltre fornisce una brillante spiegazione del significato di questa glossa (ʻmille passiʼ), apparentemente fuori luogo: si tratta della traduzione irlandese di un commento latino a questo verso (Salmo CXXXV, 13) non preservato dal presente manoscritto ma rintracciabile nel commentario latino ai Salmi conservato nel codice Pal. Lat. 6854, in cui il passaggio attraverso il Mar Rosso è definito iter mille passus.
In virtù di ciò, in questa tesi è preferibile annoverarla fra le glosse di traduzione, e non fra i commenti.
53 ThP I, p. 6.
3. Codex Ambrosianus C. 301 (Milano)
f. 19c 12 Per quod noxios conatus eorum... Ostendit uotiuo exitu destitutos Thes. Pal.: .i. óndforcunn dútrach [leg. dútrachtach]55
Corr.: .i. hondforcunn dútrachtach ʻdalla fine desiderataʼ56
L'inizio della glossa è visibile solo con la luce ultravioletta57; la grafia ho per ó è
tipica delle glosse milanesi58.
f. 24b 8 et arrecti [leg. a recto] calli detorsit Thes. Pal.: inchu::hondlurc drightedo59
Corr.: .i. inchuindrightedo ʻdel correttoreʼ
Già Ascoli60 proponeva di separare in due distinte chiose la sequenza che nel
Thesaurus è data come unica (f. 24b 8). In chuindrightedo è la lettura di Griffith e
Stifter61; si tratta chiaramente della traduzione del corrotto arrecti, interpretato
malamente dal glossatore come genitivo di un nomen agentis62. Quel che rimane
della glossa, quindi, è:
f. 24b 8a et arrecti [leg. a recto] calli detorsit
Corr.: hond lurc
ʻdal sentieroʼ63
Questa glossa, secondo Griffith e Stifter, è stata scritta per prima64, e solo
successivamente, intorno ad essa, è stato scritto inchuindrightedo. Hond lurc è la
55 ThP I, p. 26.
56 Cfr. DIL, F-319 (forcenn) e D-460 (dútrachtach): «Possibly due to a misunderstanding on part of the glossator».
57 GRIFFITH & STIFTER 2014, p. 55. Tutte le lezioni da loro suggerite si basano sull'esame del
manoscritto originale eseguito da Griffith nel 2010 con l'ausilio della luce ultravioletta (GRIFFITH
& STIFTER 2014, p. 53); per le correzioni meno significative (presenza o assenza di apici o di .i. e
consimili) è diponibile un completo database on-line: http://www.univie.ac.at/indogermanistik/ milan_glosses.htm.
58 Cfr. DIL, O-73 (1. ó). Vedi anche supra, f. 17c 7, e infra, f. 30b 26. 59 ThP I, p. 43.
60 ASCOLI 1878-1879, I, p. 622.
61 GRIFFITH & STIFTER 2014, p. 56.
62 Cfr. DIL, C-434 (con-dírig). 63 DIL, L-206 (1. lorg).
traduzione letterale di a calli, senza recto, e perciò verosimilmente è una chiosa che precede la corruzione del testo latino.
f. 28c 17 posteaquam enumerauit quibus studiis uita rapacium diuitum esset intenta
Thes.Pal.: báinfeiti65
ʻera intentaʼ
Griffith66 spiega efficacemente infeiti come participio passato passivo (singolare:
le glosse di Milano mostrano già la tendenza a confondere -e e -i finali)67 di un verbo
debole68 non attestato, ricostruibile come *ind-ḟeithi. Si tratterebbe quindi della
traduzione letterale del latino intenta; questa glossa non è tradotta da Stokes e Strachan.
f. 35b 22 in suis expossitionibus
Thes. Pal.: innatrachtadaib [MS. innatrachtaib]69
Corr.: innatrachtaib
ʻnei suoi commentariʼ
Lindeman70 nota che non v'è alcuna necessità di emendare il manoscritto, come
vorrebbero Stokes e Strachan (innatrachtadaib); un dativo plurale sincopato
trachtaib (da trachtad, ʻcommentarioʼ71 < lat. TRACTĀTUS) è più che accettabile in
antico irlandese.
65 ThP I, p. 59.
66 GRIFFITH 2009, pp. 155-156.
67 Cfr. 2d 2, tríndoti per tríndote; 22d 9, esngabthi per esngabthe; 24d 24, fetarlaici per fetarlaice; 51b 10, ardi per arde; 108b 17, tairṅgeri per tairṅgere; 121b 2, tiri per tire; 144d 6, aili per aile (cfr. sempre GRIFFITH 2009; gli esempi qui elencati sono quelli raccolti da STRACHAN 1903, p. 52).
68 Fethid ʻguarda, osservaʼ è inequivocabilmente forte (DIL, F-105); ci sono però diversi esempi di composti di verbi forti che presentano forme del paradigma debole: sicuramente, imm-foilngi e
con-secha rispetto a fo-loing e in-cossaig; probabilmente, do-áirci rispetto ad ar-icc (cfr. GRIFFITH
2009, p. 156). 69 ThP I, p. 84.
70 LINDEMAN 1987, p. 178.
f. 37b 15 quem inter reliquos corporis virtus adtollit Thes. Pal.: .i. connuargab72
Nel testo del Thesaurus compare la traduzione «i.e. he extolled them»73, mentre
negli Addenda and Corrigenda (p. 719) solo «he extolled». Lindeman74 ritiene però
che il modo migliore di interpretare questa frase sia come una relativa nasalizzante con oggetto antecedente (con n-uargab). L'elemento sottinteso sarebbe dunque il soggetto della frase latina virtus corporis; la glossa è quindi la spiegazione di tutta la frase, e non solo la traduzione del verbo.
f. 39d 7 quia nullo adversae rei feriuntur incommodo Thes. Pal.: .i. ar indi nadfedar [leg. nadfendar]75
ʻbecause they are not strickenʼ Corr.: .i. ar indi nadfedar [leg. nadbendar]
ʻpoiché essi non sono colpitiʼ
La dottissima argomentazione di Lindeman76 mostra come questa glossa sia uno
dei primi esempi di relativa con lenizione anziché nasalizzazione, dove la grafia <f> è una resa di [β] (moderno <bh>)77, probabilmente dovuta a una confusione dello
scriba con il latino (n)ullo... fe(riuntur). f. 41d 11 Meis nutibus
Thes. Pal.: dumchoscaibse [MS. duinchoscaibse] [...]78
ʻto my instructionsʼ Corr.: duminchoscaibse [...]
ʻalle mie istruzioniʼ
L'emendazione proposta da Lindeman79 permette di migliorare molto la
semantica della glossa. Piuttosto che cosc, ʻrimprovero, punizioneʼ, inchosc ʻindicazione, segnoʼ80 (nome verbale di in-coissig) rende molto meglio il lat. nutus.
72 ThP I, p. 95. 73 ThP I, p. 95. 74 LINDEMAN 1987, p. 178. 75 ThP I, p. 105. 76 LINDEMAN 1997 77 Cfr. ThP II, p. 436. 78 ThP I, p. 113. 79 LINDEMAN 1987, p. 178.
f. 45b 13 ETSEMENMEUMSERUIETIPSI. Posteros quoqe ad deuotionem
Thes. Pal.: .i. mochland sa ón81
ʻi.e. my childrenʼ
Corr.: .i. mochlanda sa ón
Griffith e Stifter82, controllando il manoscritto originale, confermano la lezione di
Ascoli83 rispetto al Thesaurus; la traduzione è comunque ʻla mia discendenzaʼ84.
f. 49c 13 Gloriam suam dicit in quibus gloriatur
Thes. Pal.: .i. cia isnaib hí inmoidi [MS. inmodi, leg. innidmoidi?]85
ʻi.e. in what he boastsʼ Corr.: .i. cia isnaib hí inmodi ʻnei quali Egli si esaltaʼ
Lindeman86 ritiene che l'emendazione proposta in nota da Stokes e Strachan sia
eccessivamente drastica, e propone di vedere in inmodi «an interesting vestige of an earlier perfectly normal Old Irish relative construction»87, sul modello di arind n-,
ʻper il quale + pronome 3a persona singolare maschileʼ. f. 51a 8 CONVERSUSSUM usque SPINA
Thes. Pal.: .i. hó lorc dromma delc [leg. lorc dromma nó delc]88
Corr.: .i. delc hó [leg. nó] lorc dromma ʻspina, o spina dorsaleʼ89.
Questa glossa lessicale si presenta molto confusa e la lettura è problematica; lo stesso Thesaurus presenta in effetti due alternative difficilmente conciliabili fra loro. Con una minuziosa analisi paleografica90, Griffith e Stifter ricostruiscono con una
certa sicurezza questo testo, dove hó (scritto sopra un precedente .i.) è un errore scribale per nó.
ʻinstructionsʼ, ma tale significato non è altrimenti attestato per cosc. 81 ThP I, p. 132.
82 GRIFFITH & STIFTER 2014, p. 64.
83 ASCOLI 1878-1879, I, p. 161. 84 DIL, C-217 (clann). 85 ThP I, p. 152. 86 LINDEMAN 1996. 87 LINDEMAN 1996, p. 207. 88 ThP I, p. 158 (emendazione di J. Strachan). 89 Cfr. DIL, D-19 (delg).
f. 54c 36 Figurate se de locutione et proprietate Ebreca non se exauditum esse significat
Thes. Pal.: indoilb(thid .i. ho)dolbud sainr(iud)91
ʻfiguratively, i.e. by a particular figureʼ Corr.: indoilbthid .i. hodolbud sain(trui)p
ʻin modo figurato, cioè attraverso una particolare figura retoricaʼ Oltre a confermare buona parte delle congetture di Stokes e Strachan, Griffith e Stifter notano un tratto di collegamento fra questa glossa e figurate, e non Ebreca, come vorrebbe il Thesaurus92. L'ultima parola è troppo sbiadita anche per la luce
ultravioletta, se non per una -p finale; accettando la congettura di Griffith e Stifter, la traduzione è: ʻin modo figurato, cioè dalla formazione di (=attraverso) una particolare figura retoricaʼ.
f. 56b 25 pro emitari uelut cum quodam dolore propriae egestatis Thes. Pal: indommatad [MS. indomataid]93
Corr.: indommatad
ʻdella povertàʼ
Già Ascoli94 leggeva indommatad ʻdella povertà (gen.)ʼ95 nel manoscritto, senza
bisogno di emendazioni, e così confermano anche Griffith e Stifter96. Non è chiaro da
cosa derivi la confusione del Thesaurus: probabilmente da un banale errore di trascrizione.
f. 58b 2 apte enim locorum genitalium comixtionis Thes. Pal.: .i. innam [MS. inna] ball tuisten97
ʻi.e. of the members of generationʼ Corr.: .i. inna ball [leg. innam ball] tuisten són
ʻdegli organi genitaliʼ
Griffith e Stifter98 notano, nel Thesaurus, la mancanza di són; non manca invece
91 ThP I, p. 175.
92 GRIFFITH & STIFTER 2014, p. 68.
93 ThP I, p. 185.
94 ASCOLI 1878-1879, I, p. 213.
95 DIL, D-340 (dommatu). 96 GRIFFITH & STIFTER 2014, p. 68.
97 ThP I, p. 192.
in Ascoli99. Ciò non compromette, ovviamente, la traduzione della glossa.
f. 60b 18 holochaustum actio pro peccato
Thes. Pal.: .i. opus .i. induloscud [leg. induleloscud]100
ʻi.e. the holocaustʼ
Corr.: .i. opus .i. induloscud [leg. induleloscud] són
Vale esattamente lo stesso discorso della glossa 58b 2 (supra)101; la correzione è
un'intuizione di Ascoli102: siamo davanti a un'aplografia per uile-loscud, un calco per
ʻolocaustoʼ103.
f. 65b 11 Interpossitum est inter metrum
Thes. Pal.: i. artahischidetud [leg. ar thaischitedaid (sic)] inmetair són [...]104
ʻthrough metrical necessityʼ
Corr.: .i. arthaischidetaid inmetair són [...] ʻper necessità metricaʼ105
L'emendazione proposta nel Thesaurus, seppur viziata da un errore di battitura, è confermata dall'analisi ai raggi ultravioletti di Griffith e Stifter106; la lettura errata
-idetud era già di Ascoli107. Rimane quindi valida la traduzione proposta da Stokes e
Strachan.
f. 68d 13 quid experiatur accipitio Thes. Pal.: .i. arfemasiu [MS. afenasiu]108
Corr.: .i. arfemasiu
Griffith e Stifter109 notano che, in realtà, il testo del manoscritto è proprio
arfemasiu, ʻche tu ricevaʼ110, senza bisogno di alcuna emendazione, come del resto
99 ASCOLI 1878-1879, I, p. 222.
100 ThP I, p. 200.
101 GRIFFITH & STIFTER 2014, p. 69; ASCOLI 1878-1879, I, p. 232.
102 ASCOLI 1878-1879, I, p. 637.
103 Cfr. DIL, L-213 (1. loscud). 104 ThP I, p. 220.
105 DIL, T-232 (toischidetu) 106 GRIFFITH & STIFTER 2014, p. 70.
107 ASCOLI 1878-1879, I, p. 255.
108 ThP I, p. 234.
109 GRIFFITH & STIFTER 2014, p. 71.
già mostrato da Ascoli111.
f. 72b 10 quo Iudeos meliorum terrarum oblatione ad deditionem uocabas Thes. Pal.: huantárrgud112
Corr.: huantárrciud
ʻdall'offertaʼ113
Griffith e Stifter114 osservano che la -i- del manoscritto è leggermente sottoscritta.
Probabilmente questo causò la lettura errata di Stokes e Strachan; anche Ascoli115
scrive huantárrgud. La chiosa traduce, con un po' d'approssimazione, oblatione. f. 82a 6 nolite uel impunitate insolescere
Thes. Pal.: .i. no nunécmailtigid [MS. nunamailtigi]116
Corr.: .i. no nunecmailtigi [leg. nunécmailtigid]
Questo è un altro caso in cui la luce ultravioletta ha confermato un'intuizione di Ascoli117 inclusa nel Thesaurus. Rimane comunque necessario integrare una -d finale
perché la glossa dia senso: ʻo che voi siate insolentiʼ118.
f. 82c 9 populus reuersus instruitur
forcanar
ʻè istruitoʼ
Questa semplice glossa, sull'ultimo rigo del foglio, è danneggiata dall'umidità ed è per questo a stento visibile; è stata recuperata da Griffith e Stifter119 grazie alla luce
ultravioletta. Si tratta del presente passivo di for·cain, ʻinsegnare, istruireʼ120; la
medesima forma appare sempre nelle glosse di Milano, dove glossa instituitur (50d 12).
111 ASCOLI 1878-1879, I, p. 641.
112 ThP I, p. 245.
113 Cfr. DIL, T-79 (tárcud). 114 GRIFFITH & STIFTER 2014, p. 72.
115 ASCOLI 1878-1879, I, p. 286.
116 ThP I, p. 276.
117 ASCOLI 1878-1879, I, p. 644.
118 Cfr. DIL, E-41 (écmailtigidir). 119 GRIFFITH & STIFTER 2014, p. 73.
f. 85b 15 quomodo nobis oriens Sol inchoat diem omnia molientem Thes. Pal.: duchrecha [MS. duchrech]121
Corr.: duchrecha
La rilettura del manoscritto da parte di Griffith e Stifter122 rivela una -a finale,
confermando così la congettura di Stokes e Strachan123. Do-crecha ʻegli escogitaʼ124 è
la traduzione di uno dei significati di molior – non di quello usato in questo passo dal commentatore (ʻdare inizioʼ).
f. 88a 9 sed porro exordis gentis meae te uindice nisus sum Thes. Pal.: acht arroissiursa125
Corr.: acht arroissisiursa
ʻma io sono rimastoʼ126
Sembrerebbe che gli editori del Thesaurus non abbiano tenuto conto della nota di correzione di Ascoli127, riproducendo così un testo errato128. La chiosa traduce più o
meno liberamente sed... nisus sum.
f. 88b 2 et scalore frequentium et diuturnorum malorum Thes. Pal.: .i. mencigite129
Corr.: .i. mencigtae
Questa lettura è proposta da Griffith e Stifter in quanto «more likely (and more regular)»130. Si tratta verosimilmente del participio passato di un composto di meinic,
ʻfrequenteʼ, e gním, ʻfaccioʼ; Stokes e Strachan (come anche Griffith e Stifter) traducono: ʻthat are frequentʼ131.
121 ThP I, p. 286.
122 GRIFFITH & STIFTER 2014, p. 73.
123 La lezione incompleta duchrech risale ad Ascoli (ASCOLI 1878-1879, I, p. 342).
124 DIL, D-233 (do-crecha) 125 ThP I, p. 295.
126 Cfr. DIL, A-415 (ad-sissedar), dove la forma (prima persona singolare del perfetto) registrata è però arrossiursa, sulla scorta non solo del Thesaurus ma anche di HULL 1961.
127 ASCOLI 1878-1879, I, p. 647.
128 ASCOLI 1878-1879, I, p. 353. Per una dettagliata trattazione paleografica della questione, si veda il
commento di GRIFFITH & STIFTER 2014, p. 74.
129 ThP I, p. 296.
130 GRIFFITH & STIFTER 2014, p. 75.
f. 94b 23 NEQUEADESRTIS MONTIBUS usque IUDEX EST. Qui aut nimio frigore aut
multo igne deserti sunt.
Thes. Pal.: .i. airmeit ind huachta níruthrebthar [MS. nírubthar] indib132
ʻi.e. for the greatness of th cold no one may dwell in themʼ Corr: .i. airmeit ind huachta nírubthar indib
ʻper la grandezza del freddo in essi non si può abitareʼ133
È convincente, nonostante le cautele di Stokes e Strachan134, la spiegazione di
Sarauw135 di nírubthar come passivo (impersonale) del verbo di esistenza attá: ʻin
essi non si sta (non si può stare, abitare)ʼ. f. 97c 1 neque emulamur eos Thes. Pal.: .i. coní intamlammar136
ʻi.e. that we may not imitateʼ
Corr.: .i. coní intamlammarni
Il -ni finale, molto sbiadito, è stato individuato da Griffith e Stifter137 con la luce
ultravioletta; resta il dubbio che possa essere stato cancellato. In ogni caso, non cambia il senso della glossa, perfettamente adatto a neque emulamur: ʻaffinché non imitiamoʼ138.
f. 110a 5 Ut pateret ad incursus hostium Thes. Pal.: co arosailced .i. combad erlam139
ʻthat it should open, i.e. that it should be readyʼ
Corr.: co arosailced
ʻche aprisseʼ140
Griffith e Stifter141, leggendo il manoscritto originale, confermano l'opinione di
132 ThP I, p. 320.
133 Cfr. DIL, U-4 (úacht).
134 ThP I, p. 723. Viene da aggiungere che la loro emendazione è meno economica della soluzione di Sarauw anche in termini paleografici.
135 SARAUW 1905, p. 515.
136 ThP I, p. 330.
137 GRIFFITH & STIFTER 2014, p. 76.
138 DIL, I-282 (in-samlathar). 139 ThP I, p. 372 (gl. 5-6). 140 DIL, A-407 (ar-oslaici). 141 GRIFFITH & STIFTER 2014, p. 77.
Ascoli142, secondo cui questa glossa e quella immediatamente seguente (110a 6)
vanno separate in due glosse distinte. Stokes e Strachan, invece, le uniscono in un'unica glossa (110a 5-6); è però chiaro che, mentre la prima è strettamente pertinente a ut pateret, la seconda (cfr. infra, p. 83) è un commento più generale a tutta la frase latina.
f. 126d 8a Pro felicitate prestina
Thes. Pal.: fonáecnae [leg. foncétnae] ṅ dul són143
ʻaccording to the first wayʼ
Corr.: foncétnae ṅ dul són
Ascoli144, seguito dal Thesaurus, legge erroneamente il manoscritto (fonáecnae),
salvo poi proporre come emendazione foncétnae, cioè proprio la lettura ottenuta da Griffith e Stifter con l'ausilio della luce ultravioletta145. La traduzione, quindi, non
cambia rispetto a quella di Stokes e Strachan: ʻsecondo la prima manieraʼ146.
142 ASCOLI 1878-1879, I, p. 449.
143 ThP I, p. 430.
144 ASCOLI 1878-1879, I, pp. 525 e 658. Nel testo di Ascoli, le glosse 8 e 8a sono unite.
145 GRIFFITH & STIFTER 2014, p. 82.
4. Codex Paulinus M. th. f. 12 (Würzburg)
f. 1a 6 SI [...] PROSPERUMITERHABEAMINUOLUNTATE DEIUENIENDIADUOS
Thes. Pal.: .i. dús .... intecht147
ʻi.e. if perchance I may haveʼ Corr.: .i. dús inétimtecht
ʻse potrò andareʼ
Questa è la lettura congetturata da Kavanagh148, che rifiuta il maith ipotizzato nel
Thesaurus149 poiché non sembra esserci abbastanza spazio per così tante lettere. Dús
(< do ḟius) sarebbe quindi seguito direttamente dalla particella interrogativa in, mentre étim sarebbe il congiuntivo presente di ad-cota, ʻottenere; potereʼ150: ʻse potrò
andareʼ (lett. ʻse otterrò di andareʼ).
f. 2c 9 UTSITPATEROMNIUMCREDENTIUMINPRAEPUTIO
Thes. Pal.: ɫ. per praeputium .i. tri nephthobe151
ʻi.e. through non-circumcisionʼ
Questa glossa è letta e riportata correttamente da Stokes e Strachan; tuttavia, notò Zimmer152 che tanto egli stesso (nella propria edizione) quanto i colleghi
d'oltremanica l'avevano ascritta alla porzione sbagliata di testo latino. Non si riferisce infatti a SIGNACULUM IUSTITIAE FIDEI, QUAE EST IN PRAEPUTIO (Rom 4, 11), ma alla
frase successiva, che nel testo della Vulgata è: UTSIT PATER OMNIUMCREDENTIUMPER PRAEPUTIUM. Il glossatore irlandese, trovandosi davanti, nel manoscritto, OMNIUM CREDENTIUM IN PRAEPUTIO, segnalò la variante testuale (ɫ. per praeputium),
traducendola poi grossolanamente nel proprio idioletto: ʻattraverso la non-circoncisioneʼ153.
147 ThP I, p. 499.
148 KAVANAGH 1977, p. 12.
149 ThP I, p. 499, nota e. 150 DIL, A-46 (ad-cota). 151 ThP I, p. 507.
152 ZIMMER 1908, p. 472. Egli fu pure editore delle glosse di Würzburg (1880-1886). la sua ultima
lettura del manoscritto avvenne nell'estate del 1900, quando lo confrontò con l'edizione di Stokes (1887) che confluì poi nel Thesaurus quasi senza modifiche. Zimmer raccolse le proprie osservazioni in alcuni fogli volanti, buona parte dei quali (relativi ai f. 7c-19a) andarono distrutti nell'incendio che poco dopo colpì la sua biblioteca; il materiale superstite fu poi pubblicato, con commento, nella Zeitschrift.
f. 3b 31 HABETIS FRUCTUM UESTRUM IN SANCTIFICATIONEM; FINEM UERO UITAM AETERNAM
Thes. Pal.: .i. bid hinoibad dúibsi ón154
ʻi.e. that will be unto sanctification to youʼ
Zimmer osserva che, mentre Stokes la ascrive a uitam aeternam, la glossa è riferita a in sanctificationem, «wie auch der Sinn zeigt»155: ʻesso (il frutto) sarà vostro
nella santificazioneʼ156.
f. 20c 1a PAXPATIENTIALONGANIMITASBONITASBENIGNITAS
.i. fuairriche ʻclemenzaʼ157
La glossa, tralasciata da Stokes e Strachan ma notata da Zimmer158, è scritta
accanto a BENIGNITAS. Fuarrech (Mi 20c 10, Wb 5c 12), nelle glosse, traduce CLEMENS; in questo caso, ci troviamo di fronte all'astratto, di cui, sempre nelle glosse,
abbiamo attestato anche il genitivo: in fuairrige (Mi 46b 26).
Questa è la prima glossa del foglio 20c, e si trova più in alto di quella che, nel
Thesaurus, è numerata 20c 1; tuttavia, in questa tesi vi si assegna il numero 20c 1a,
in modo da non dover “spostare” avanti di uno la numerazione di tutte le glosse della prima colonna, creando una confusione inopportuna.
f. 25c 30 ADIUROUOSPER DOMINUM, UTLEGATURAEPISTOLAHAEC
Thes. Pal.: .i. co(n)arlégthar159
ʻthat it be read outʼ Corr.: .i. co arlégthar
Nello spazio tra co e arlégthar, come nota Zimmer, sicuramente c'era almeno una lettera, ma altrettanto sicuramente ciò che c'era è stato intenzionalmente cancellato160.
In effetti, l'integrazione -n- di Stokes è superflua; così com'è, la glossa è già un'ottima traduzione di ut legatur: ʻaffinché sia lettaʼ161.
154 ThP I, p. 512. 155 ZIMMER 1908, p. 473. 156 DIL, N-58 (noíbaid). 157 DIL, F-457 (fuarrige). 158 ZIMMER 1908, pp. 466-467. 159 ThP I, p. 662. 160 ZIMMER 1908, p. 482. 161 Cfr. DIL, L-72 (légaid).
f. 26d 11 NUNCAUTEMMANIFESTUMESTSANCTISEIUS
Thes. Pal.: .i. tuargab cenn indrúnsin162
ʻthat mystery has appearedʼ
Per quanto riguarda questa glossa, il senso migliore per tradurre è quello indicato da Kavanagh163: ʻquel mistero si è rivelatoʼ164. La traduzione di Stokes e Strachan
appare più approssimativa.
f. 27b 1 QUAESUNTOMNIAININTERITU
Thes. Pal.: .i. hore arinchrinat .i. roboid(íth)165
ʻi.e. because they decay, i.e. there was a perishingʼ Corr.: .i. hore arinchrinat
Rileggendo il manoscritto, Zimmer166 scinde la prima glossa del folio 27 in 1 e 1a
(cfr. infra); la prima, come è evidente dal significato (ʻpoiché decadonoʼ)167, è riferita
a in interitu (Col 2, 22). f. 27b 1a IPSOUSU
.i. roboi dil(es)
Grazie ancora alla perizia paleografica di Zimmer (cfr. supra, 27b 1), possiamo separare questa glossa dalla precedente e ascriverla a ipso usu168; è legittimo quindi,
come lo stesso Zimmer suggerisce, integrare ipoteticamente dil::: in diles (ʻproprio, appropriatoʼ)169.
f. 29a 29 SIMILITERETFACTABONAMANIFESTASUNT
Thes. Pal.: .i. biit sualchi and itsoilsi [leg. itfoilsi]170
ʻi.e. there are virtues there that are manifestʼ Corr.: .i. biit sualchi and itfoilsi
Stokes e Strachan segnalano che la lezione del manoscritto è itsoilsi, da
162 ThP I, p. 670.
163 KAVANAGH 1977, pp. 14-15.
164 Per l'espressione idiomatica do-focaib cenn ʻapparire, mostrarsiʼ si veda DIL, D-269, rigo 36. 165 ThP I, p. 673.
166 ZIMMER 1908, pp. 482-483.
167 DIL, A-374 (ara-chrin). 168 ZIMMER 1908, pp. 482-483.
169 DIL, D-103 (1. diles II). 170 ThP I, p. 688.
correggere in itfoilsi; Zimmer171 nota però che il manoscritto (così come la propria
edizione del 1881) ha proprio itfoilsi e non ha bisogno di essere emendato. La traduzione rimane: ʻci sono delle virtù che sono manifesteʼ172.
f. 30c 20 SEDULTRANONPROFICIENT
Thes. Pal.: .i. nimmerat beshire173
ʻthey shall deceive no furtherʼ
La traduzione di questa glossa proposta da Stokes e Strachan deriva dall'interpretazione di merat come futuro (3a persona plurale) di mairnid, ʻingannare, tradireʼ174. Nulla impedisce di accogliere quest'interpretazione, formalmente corretta;
tuttavia è da segnalare l'alternativa proposta da Sarauw175, cioè di ricondurre merat al
verbo maraid ʻpersistere, rimanere; continuareʼ176. Ciò permetterebbe una traduzione
che segue più da vicino il testo paolino: ʻnon continueranno oltreʼ177 (=lat. ULTRANON
PROFICIENT, ʻnon andranno più avantiʼ).
171 ZIMMER 1908, p. 484.
172 Cfr. DIL, F-273 (follus). 173 ThP I, p. 695.
174 DIL, M-40 (mairnid).
175 SARAUW 1905, pp. 511-512, e p. 521 (Addendum). Si legga anche la risposta diretta di STRACHAN
1905, p. 576.
176 DIL, M-58 (maraid). 177 Cfr. DIL, I-297 (2. ír).
5. Codex Bedae Vindobonensis 15298 (Vienna)
f. 1a 1 ETQUOMODO {nocte} CIRCA [leg. NOCTECAECA]
Thes. Pal.: .i. dorchai178
ʻi.e. darkʼ Corr.: / dorchai / n.
Osservando il manoscritto sotto la luce ultravioletta, Bauer179 nota che dorchai
(ʻscuraʼ180; il dativo è usato come equivalente dell'ablativo latino) non è preceduto da
id est (.i.), come vorrebbero Strachan e Stokes, ma è compreso tra due tratti obliqui,
probabilmente atti a segnalare lo switching inguistico rispetto alla parola seguente, n. (abbreviazione per il latino nocte). Nocte è anche scritto nello spazio interlineare; è infatti mancante nel testo vergato dal copista, il quale scrisse anche CIRCA in luogo di CAECA181; ed è proprio CAECA la parola glossata in irlandese.
f. 1a 7 ACUICTUMQUAERITANDICOPIASUPPETERET
Thes. Pal.: .i. indsoirbi [indsoirbe?]182
ʻthe abundanceʼ
Corr.: .i. indsoirbe
L'ultima lettera di questa glossa non era chiaramente visibile per gli editori del
Thesaurus; Bauer, con l'aiuto delle scansioni del manoscritto originale ottenute
mediante luce ultravioletta, riesce a leggere distintamente un tratto orizzontale centrale, identico a quello presente nelle altre e finali del manoscritto183. È dunque
chiaro, come già ipotizzavano Stokes e Strachan, che ci troviamo davanti a un nominativo singolare, soirbe (ʻcomodità, abbondanzaʼ= lat. copia)184, preceduto
dall'articolo ind (davanti a ṡ lenita ci si aspetterebbe piuttosto int, tuttavia spesso gli scribi ci smentiscono)185.
178 ThP II, p. 31.
179 BAUER 2017, pp. 31-32.
180 DIL, D-354 (dorchae).
181 Questa peripezia testuale non è segnalata dagli editori del Thesaurus, che si limitano a stampare il testo di Beda corretto (De Temporum Ratione VII): Et quomodo nocte caeca procul accensas faces
intuens...
182 ThP II, p. 31. 183 BAUER 2017, p. 32.
184 DIL, S-331 (soirbe).
f. 1a 9 QUI PRIMUS SIC SUIS PARTIBUS IMPLETUR, ID EST SEXTA, TERTIA ET DIMEDIA, QUAESUNTUNUMETDUOETTRIA, ETSIMULSEXFIUNT
Thes. Pal.: .i. ói·n assessed dáu a trian a trí alleth ásé186
ʻi.e. one its sixth, two its third, three its half, (their aggregate) sixʼ Corr.: .i. óien assessed dáu a trian a trí alleth ásé
La glossa è una riformulazione e traduzione delle due frasi di Beda accanto alle quali è scritta, nel margine destro: ʻuno (è) il suo sesto, due il suo terzo, tre la sua metà, il che (è) seiʼ187. La -e- in óien, illeggibile per Stokes e Strachan, è fornita da
Bauer188 in base al confronto con la glossa 4a 42 di questo stesso manoscritto (vedi
infra, p. 118).
f. 1b 18 IUBEBANTURLUSTRARI
Thes. Pal.: .i. roglandis [leg. nonglandis]189
ʻi.e. (that) they should be cleansedʼ
Corr.: .i. noglandis
ʻessi venivano pulitiʼ190
Rileggendo il manoscritto originale, Dillon191 vede chiaramente no glandis, che
non necessita di alcuna emendazione.
f. 3b 39a DISTICNTIORDINEGEMMARUM ·XII· SESEINUICEMCONTINGENTIUM
.i. r(os)aig cach in alaill ʻsi toccano tutte l'un l'altraʼ
Questa glossa è estremamente sbiadita e non compare nel Thesaurus; solo grazie alla luce ultravioletta è stato possibile a Bauer individuarla192. Rimane tuttavia incerta
la lettura della prima parola; Bauer propone convincentemente ro·saig, ʻraggiungere, estendersi; andare a finireʼ193, e quindi ʻtoccareʼ. Le due proposte alternative (reraig
186 ThP II, p. 31.
187 La particella dimostrativa relativa a è qui scritta con l'apice, probabilmente a causa dell'abitudine di scrivere così il latino ā; al riguardo si veda GREENE 1954, p. 340.
188 BAUER 2017, pp. 32-33. 189 ThP II, p. 32. 190 Cfr. DIL, G-93 (glanaid). 191 DILLON 1956, p. 343. 192 BAUER 2017, pp. 46-47. 193 DIL, R-98 (ro-saig).
– preterito di rigid ʻespandersi, estendersi; dirigersiʼ194 – e ro·reraig), sempre di
Bauer, sono meno verosimili: la prima perché il preterito è raro nelle glosse (e difficilmente potrebbe tradurre un presente latino), la seconda poiché sembra troppo lunga per lo spazio disponibile.
Bauer assegna a questa glossa il numero 76, aggiungendola così alle 75 glosse numerate sequenzialmente da Stokes e Strachan; tuttavia la sua posizione nel è subito dopo la glossa 39, molto prima della glossa 40 (ThP II, p. 34). In virtù di ciò, è preferibile assegnare alla glossa il numero 39a, rispettando la sua collocazione e mantenendosi coerenti con la numerazione del Thesaurus.
f. 4b 69 HOCTANTUMMEMORESTOCUMIMMINENTEANNOBISSEXTILI
Thes. Pal.: .i. buth doith [leg. doib?] forlaim195
ʻthat they should be...ʼ Corr.: .i. biith doith for laim
ʻè pronto, a portata di manoʼ
Già Dillon196 osservava che la glossa in questione sembrerebbe frutto di un errore
di lettura del testo latino, cioè immanente per imminente, e che for laim (ʻin mano, a portata di manoʼ) spiegherebbe, di fatto, immanente come derivato da in manu. Bauer osserva però che tanto la lettura di Dillon quanto quella di Stokes e Strachan sono paleograficamente insostenibili197; confrontando il manoscritto con delle scansioni
esguite sotto la luce ultravioletta, propone la lezione qui stampata. Si tratta in ogni caso di una chiosa problematica, poiché l'aggettivo segue raramente il verbo d'esistenza (qui, alla terza persona del presente consuetudinale) e non è chiaro in quali circostanze198; anche la grafia doith per daith (ʻpronto; rapidoʼ) non si accorda
con le altre attestazioni più antiche del termine199, che presentano -ai-.
194 Cfr. DIL, R-68 (rigid). 195 ThP II, p. 36. 196 DILLON 1956, p. 343. 197 BAUER 2017, pp. 42-43. 198 Cfr. BAUER 2017, p. 43. 199 DIL, D-40 (1. daith).
6. Codex Latinus Monacensis 14429 (Monaco) f. 225a 6 SERUM
id est medc ʻsieroʼ200
Questa glossa, scritta dalla stessa mano che scrisse il testo latino del codice, è stata individuata da D. Ó Cróinín201 grazie a un'attenta ispezione del manoscritto
originale; era stata erroneamente letta medo e interpretata da Steinmeyer e Sievers, editori delle glosse tedesche presenti nel codice, come germanica. Si tratta invece, come osserva giustamente lo stesso Ó Cróinín, della stessa glossa presente in un trattato irlandese sulla declinazione latina, scritto intorno al 1100: serum .i. medhg202.
Né Zimmer né Stokes e Strachan registrano questa glossa nelle rispettive edizioni.
200 DIL, M-78 (medc).
201 Ó CRÓINÍN 2002, pp. 75-76.
7. Codex Laurentianus Plut. XLV, 14 (Firenze)
Nella sua riedizione delle glosse irlandesi e bretoni al commento di Filargirio alle ecloghe virgiliane, Lambert203 dedica molta attenzione all'analisi delle divergenze tra
le glosse irlandesi nei tre codici che ce le tramandano, e cioè Laur. Plut. XLV 14, BN Lat. 7960, BN Lat. 11308. Se i primi due furono collazionati già da Stokes204, il terzo
codice fu scoperto a ridosso della pubblicazione della monumentale raccolta di Stokes e Strachan, e perciò fu stampato separatamente, in appendice al secondo volume (pp. 360-363). Nelle seguenti pagine sarà presa in considerazione l'edizione di Stokes e Strachan del primo dei codici sopra elencati, confrontandola con le più recenti ricerche di Lambert (per le correzioni all'edizione, in appendice al Thesaurus, del Fiargirio parigino, si veda infra, p. 48).
f. 3b 4 CICADES [leg. CICADIS]
Thes. Pal.: cauig [leg. cailig]205
Corr.: cauig cuculum fugant cantando in lignis
Stokes propone di correggere cauig in cailig, genitivo di cailech, ʻgallo, uccello maschioʼ206: nonostante la sua posizione (verosimilmente dovuta a una svista nella
copiatura), la chiosa sembra infatti riferirsi al cuculum del commentario anziché al
cicadis di Virgilio (Ecl. II, 13). Lambert, leggendo il seguito della glossa, osserva
però che la parola irlandese non necessita, in effetti, di alcuna emendazione207: si
tratta della fedele traduzione del latino cuculum, poiché cauig è la forma arcaica (con conservazione di -au-) dell'accusativo di coí, ʻcuculoʼ208 (< *kauak-s)209.
f. 4b 6 ANETHI
Thes. Pal.: propir losa210
Corr.: propir loso
Il compendio los, che nel Thesaurus è sciolto in losa, genitivo singolare di lus,
203 LAMBERT 1986. 204 ThP II, pp. 46-48. 205 ThP II, p. 46. 206 DIL, C-26 (2. cailech). 207 LAMBERT 1986, p. 106. 208 DIL, C-22 (2. caí). 209 Cfr. gr. καύαξ (MAC EOIN 1974). 210 ThP II, p. 46.
ʻpianta, erbaʼ (tema in -u)211, è interpretato invece da Lambert212 come abbreviazione
di loso, ʻidemʼ, sulla base del confronto col manoscritto parigino di Filargirio, BN Lat. 11308, che presenta, nella glossa corrispondente, proprio loso. Propir, ʻnome proprioʼ, è un prestito dotto latino, attestato soltanto nelle glosse213; nella maggior
parte dei casi (cfr. ad esempio, in questo stesso manoscritto, 9b 23, 11b 56, 13b 80 ecc.), più che per chiosare un nome proprio214, è usato in unione con un iperonimo
per agevolare la comprensione di un nome comune (in particolare in ambito botanico: anethii, thimo, populus ecc.)215.
f. 5b 6a ETQUI
Thes. Pal.: cythos216
Corr.: cithos ni
Il manoscritto presenta cythos ni-, da interpretare chiaramente come una corruzione dell'irlandese cithos ni; Stokes e Strachan omettono l'ultima sillaba della glossa, e ciò è segnalato da Lambert217. Sempre Lambert spiega con precisione il
rapporto tra la chiosa e il testo latino: et qui (Ecl. III, 8)218 fu interpretato dal
glossatore come una posposizione del soggetto di nouimus, e perciò tradusse ʻanche noiʼ219.
f. 7b 12a TIPHIS [leg. TIPHYS]
Thes. Pal.: nauis Argo .i. midnau220
Corr.: .i. magnus gubernator nauis Argo .i. mo nau [leg. indnaui]
Lambert corregge221 in mo nau la lettura del manoscritto riportata nel Thesaurus
(midnau); in base al confronto con ino naui (BN Lat. 7960) e inidnau (BN Lat. 11308) dei codici parigini, è chiaro che si tratta di una corruzione per ind naui, ʻdella
211 DIL, L-247 (1. lus). 212 LAMBERT 1986, p. 96.
213 DIL, P-207 (propir).
214 Per un uso di questo tipo, si veda invece, ad esempio, 10b 38 (PERMESSI .i. propir fluminis Boetiae
[leg. Boeotiae]).
215 Cfr. infra, p. 48 (I, 1): proprium fedo gl. FAGI.
216 ThP II, p. 418 (Addenda). 217 LAMBERT 1986, p. 108.
218 «Nouimus et qui te transuersa tuentibus hirquis/ et quo – sed faciles Nymphae risere – sacello» (COLEMAN 1977, p. 48).
219 Cfr. DIL, O-161 (2. os). Si veda anche Wb 14b 14, cidosni (gl. et ipsi). 220 ThP II, p. 418 (Addenda).
naveʼ222, e tale glossa è così restituita da Lambert.
f. 9b 27 PEDUM
Thes. Pal.: .i. bron brachin223
Corr.: .i. bronbrachin [leg. bron bachin] .i. baculum incuruum quo pede ouium impediuntur, et significat donum carminis
Il manoscritto parigino BN Lat. 11308 offre la lezione bronbachin, ritenuta migliore da Lambert224 sulla base dell'irlandese bacc, ʻstrumento ricurvo, uncino;
recintoʼ225 e del gallese bach, ʻidemʼ226. In gallese, come forma di singolare (del tipo
adar - ederyn) è attestato bachyn (e bechyn)227, e Lambert ipotizza quindi che si tratti
in realtà di una glossa brittonica, non goidelica. Per quanto riguarda il primo elemento, bron-, Lambert prova convincentemente che non può essere un prestito dal latino PRŌNUS228; sembra molto più opportuno collegarlo al gallese bron, ʻpetto,
torace; ventreʼ229 (= irlandese brú)230.
f. 9b 29 SERTA
Thes. Pal.: .i. coerca [leg. coerta]231
Corr.: .i. coerca [leg. coercta]
È Lambert a intuire che non si tratta di una parola irlandese, ma tardo-latina232: è
il participio perfetto femminile di COERCEO, COERCĬTAM, con sincope di -ĭ-233.
f. 9b 33a PERINANE
.i. ethercil [leg. etercil] .i. chaus [leg. chaos] ʻincommensurabileʼ
A pag. 46 del secondo volume del Thesaurus questa glossa manca; nella
222 Cfr. DIL, N-51 (2. nó) e LAMBERT 1986, pp. 108-109. 223 ThP II, p. 46. 224 LAMBERT 1986, p. 109. 225 DIL, B-2 (1. bacc). 226 GPC, p. 246 (2. bach). 227 GPC, p. 266 (bechyn). 228 LAMBERT 1986, p. 109. 229 GPC, p. 332 (1. bron). 230 DIL, B-206 (1. brú). 231 ThP II, p. 46. 232 LAMBERT 1986, p. 109.
riedizione di Lambert234, invece, la glossa risulta presente anche nel manoscritto di
Firenze. La chiosa corrispondente, d'altra parte, compare nelle pagine in appendice al
Thesaurus dedicate al manoscritto parigino BN Lat. 11308, dove però è malamente
corretta da Stokes in etircil (cfr. infra, p. 50). f. 10a 35a ILLICE [leg. ILICE]
dus
ʻalbero (dat.)ʼ
Il manoscritto fiorentino (così come il parigino, cfr. infra, p. 50) presenta “illicedus”; è chiaro, come osserva Uhlich235, che -dus non può essere latino. Si tratta
infatti del dativo singolare di dos ʻalbero; boscoʼ236, usato per glossare l'ablativo
latino in isolamento ILICE (ʻleccioʼ). Questa glossa, tralasciata sia da Stokes e
Strachan che da Lambert nelle rispettive edizioni, era stata correttamente individuata come tale, anche se non analizzata, da Hagen237.
f. 10a 36 STABULA
Thes. Pal.: lesib ɫ. gelbintib [leg. geltb...?]238
Corr.: .i. lesib ɫ. gelbin tibi [leg. geltib .i. ubi] armenta Apollonis solis fiebant
Geltib ʻai pascoliʼ239 è la lezione del manoscritto parigino BN Lat. 11308 e, come
lascia intendere Lambert240, non è necessario operare ulteriori emendazioni241: sia
geltib che lesib (ʻalle stalleʼ)242 sono buoni modi di tradurre satbula ad Gortynia (Ecl.
VI, 60).
234 LAMBERT 1986, p. 99.
235 UHLICH 2015, p. 128.
236 DIL, D-369 (1. dos).
237 THILO & HAGEN 1887-1902, vol. III, fasc. II, p. 117.
238 ThP II, p. 46 (421). 239 DIL, G-63 (1. gelt). 240 LAMBERT 1986, p. 99.
241 Nell'appendice del Thesaurus dedicata al codice di Parigi BN Lat. 11308, Stokes congettura
geltbothib, ma, come detto sopra, non sembra necessario.