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coinvolgimento dei genitori: il coinvolgimento dei genitori nella valutazione dell’apprendimento dei

Revisione delle evidenze

5. coinvolgimento dei genitori: il coinvolgimento dei genitori nella valutazione dell’apprendimento dei

bambini e la condivisione degli obiettivi educativi con i genitori, può contribuire a migliorare l’ambien-te di apprendimento familiare e a rinforzare la rela-zione tra ambiente familiare ed educativo.

A tal proposito, per Burger (2010) l’ambiente di appren-dimento familiare può condizionare gli effetti dei servizi educativi prescolari, i quali non possono compensare quindi da soli il gap nello sviluppo creato da ambienti di crescita sfavorevoli. Gli interventi che hanno avuto un impatto più spiccato sono stati quelli che hanno adottato un approccio versatile, richiedendo il coinvol-gimento dei genitori nei servizi educativi “center-ba-sed”. Le strategie che supportano o incoraggiano un forte coinvolgimento dei genitori nelle attività significa-tive per l’apprendimento svolte in famiglia, potrebbero potenziare i benefici derivanti dalla frequenza a servizi prescolari center-based.

Camilli (2010) mette in campo un altro fattore degno di nota ovvero le “instructions”, il modo in cui gli educa-tori comunicano con i bambini. Le comunicazioni uno a uno oppure a piccoli gruppi sono elementi che forni-scono agli educatori maggiori opportunità per accorda-re i contenuti formativi ai livelli di sviluppo dei bambini, in modo che questi ultimi siano in grado di apprendere più concetti e di ampliare quindi le loro competenze.

Anche per Dietrichson (2018), Perlman (2017) e Fa-lenchuk (2017) la qualità dei programmi prescolari uni-versali è di primaria importanza. Questi ultimi due si focalizzano su alcuni degli indicatori che vengono so-litamente presi in considerazione per definire la qualità di un servizio educativo.

Il primo vuole valutare l’associazione tra il rapporto bambino/educatore e gli outcome del bambino, nelle dimensioni cognitiva, socioemotiva, motoria e com-portamentale. I risultati cui giunge sono contraddittori e sono necessarie ulteriori ricerche per poter verificare se alcune caratteristiche degli educatori (es. livello di istruzione o anni di esperienza) e le variabili classe/pro-gramma moderano l’effetto del rapporto educatore/

bambino sullo sviluppo del bambino.

Il secondo si è proposto di verificare principalmente se il livello di istruzione degli educatori fosse direttamen-te correlato alla qualità dei programmi educativi per i bambini e agli outcome per questi ultimi relativi alla sfera cognitiva (competenze linguistiche, matematiche ecc.) e socio-emotiva. In generale gli studi sono risul-tati troppo eterogenei per consentire delle conclusioni

basate sulle evidenze: alcuni studi evidenziavano una debole associazione (relativamente agli outcome lin-guistici: vocabolario e identificazione delle lettere) tra l’istruzione degli educatori e alcuni outcome del bam-bino mentre altri, la maggioranza, non evidenziava-no nessuna associazione. Per gli Autori è necessario prendere in considerazione anche altri fattori, rispetto alla sola qualifica, quali l’area di specializzazione, gli anni di esperienza, le conoscenze sullo sviluppo del bambino.

Questo sembra suggerire che sia necessario un focus su cosa fanno effettivamente gli educatori piuttosto che sul loro livello di istruzione, ai fini della valutazione della qualità del servizio.

Analisi costi-benefici

Negli studi che in Mitchell 2008 hanno analizzato i co-sti e i benefici dell’educazione prescolare universale di qualità o dei servizi educativi prescolari di qualità speci-ficamente previsti per i bambini di basso SES, i benefici previsti, proiettati nel tempo, hanno superato i costi.

Per la società i benefici derivano da fattori quali aumen-to della produttività (derivante da aumenaumen-to dell’occu-pazione materna conseguente alla frequenza dei bam-bini ai servizi educativi), diminuzione dei costi sanitari e di assistenza sociale, diminuzione della criminalità Anche per Dietrichson gli studi che hanno effettuato un’analisi costi-benefici mostrano un rapporto benefi-ci/costi superiore all’uno.

Conclusioni

In conclusione, quello che si può estrapolare dalle revi-sioni, e che spiega la differenza di risultati emersa negli studi relativamente alla frequenza di un servizio educa-tivo prescolare è che:

> gli outcome maggiormente investigati sono quelli relativi all’area cognitiva, per la quale si evidenzia-no effetti benefici per il bambievidenzia-no nel breve termine, ma anche nel lungo termine per quanto riguarda ad es. le competenze scolastiche in matematica e li-teracy. Effetti benefici sono stati evidenziati anche negli outcome socio-emotivi e comportamentali.

Possibili spiegazioni dell’eterogeneità di espressio-ne di alcuni risultati espressio-nel tempo potrebbero essere ri-condotte a: a) qualità del servizio: ad es. alcuni pro-grammi sono di qualità sufficientemente bassa per poter essere potenzialmente dannosi per i bambini;

b) gli effetti reali dei servizi prescolari universali sono meglio rappresentati da indicatori più a lungo termi-ne, quali ad esempio la laurea, il livello di guadagno e l’occupazione, in quanto questi sono verosimil-mente influenzati anche da altri tipi di competenze rispetto a quelle per le quali gli studi hanno trovato effetti dannosi, es. i punteggi ai test; c) alcuni effetti negativi potrebbero diminuire nel tempo, o perché i bambini ricevono altri tipi di interventi (frequenza di scuole di grado superiore) o naturalmente quando i bambini diventano più grandi. Ad esempio, potreb-bero esserci effetti negativi nel breve termine deri-vanti dal contatto con altri bambini, ma questi effetti possono essere sorpassati o addirittura trasformar-si in benefici nel lungo termine;

> la frequenza ai servizi educativi prescolari è benefica per tutti i bambini ma i bambini provenienti di am-bienti più svantaggiati, e quindi con maggiori rischi per lo sviluppo, ottengono risultati migliori (meglio se le classi sono miste);

> la qualità del servizio è importante: i servizi di qua-lità bassa possono essere dannosi per i bambini, anche per quelli provenienti da famiglie con livello socioeconomico alto; i servizi di qualità alta posso-no compensare la povertà di apporti di ambienti più svantaggiati;

> non ci sono evidenze chiare rispetto a un’età di in-gresso troppo precoce (prima dell’anno) e alla du-rata ottimale del servizio. Tuttavia, per questa valu-tazione non si può prescindere da una valuvalu-tazione della qualità, sia dell’ambiente familiare, sia del ser-vizio educativo: per i bambini destinati a povertà di apporto e di opportunità dall’ambiente familiare, la presenza di servizi educativi di qualità porta a mag-giori benefici. La povertà di apporti non si riferisce necessariamente ad ambienti caratterizzati da po-vertà economica.

> i risultati migliori si ottengono da un lavoro sinergico tra servizi educativi e famiglia;

> vi sono ricadute positive anche sui genitori derivanti da una maggiore interazione con i servizi educati-vi: i genitori possono migliorare le loro conoscenze sullo sviluppo del bambino, aumentare il loro senso di autoefficacia ed estendere le proprie reti sociali;

> i benefici di un servizio di qualità sono evidenti non solo a livello individuale (genitore e/o bambino) ma anche a livello di società.

L’intersezione più conosciuta tra economia e politi-che per la prima infanzia è l’analisi costi-benefici dei programmi per la prima infanzia. L’efficacia degli inve-stimenti precoci è stata oggetto di ricerca da parte di molto studiosi, tra qui il premio Nobel James Heck-man, il quale con i suoi studi ha dimostrato che per ogni dollaro di investimento sulla prima infanzia vi è un ritorno (in termini di risparmi e profitti per gli Stati) del 7%-10% annuo, per bambino (Heckman, 2000).

Anche RAND Corporation ha contribuito alla ricerca in questo campo, con la sua teoria del capitale umano e dei profitti monetari (Kilburn, 2008), che implicano che gli “investimenti” nella capacità produttiva degli in-dividui permettono di migliorare i risultati personali e che questi investimenti producono i rendimenti miglio-ri, anche per lo Stato, quando sono effettuati nei pri-mi anni di vita. Nel 2017, RAND (Cannon, 2017) che ha valutato il ritorno economico (BCA= benefit to cost analysis) di 19 programmi per la prima infanzia ha di-mostrato che il rapporto costo-benefici per ogni dolla-ro investito va da 2 a 4 dollari, anche se, nei pdolla-rogrammi con follow-up più lunghi (che quindi riescono a ricavare

maggiori informazioni sui guadagni, la criminalità ecc), sono possibili anche rapporti maggiori.

Quindi i programmi per la prima infanzia generano be-nefici che coprono il costo dell’investimento iniziale.

Bisogna comunque tener conto del fatto che c’è incer-tezza nelle stime degli investimenti economici derivanti, ad esempio, dall’impossibilità di attribuire un costo ad ogni esito misurato.

Tuttavia, merita sottolineare che i benefici derivanti da investimenti educativi sulla prima infanzia si manife-stano nel tempo e possono essere necessari diversi anni o decenni, tipicamente il raggiungimento dell’età adulta, perché i benefici in termini di migliori outcme educativi, di occupazione ecc. siano misurabili e mag-giori dei costi iniziali. Ci sono comunque situazioni dove programmi finalizzati all’apprendimento precoce si dimostrano in grado di produrre benefici immediati, per esempio migliorando la fruizione di servizi sanitari e consentendo vantaggi alle famiglie, ad esempio in termini di occupazione.

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