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La collaborazione con le istituzioni culturali e accademiche tra tutela e promozione artistica

Ripercorrere gli episodi di collaborazione di Cicogna con le istituzioni locali, significa non soltanto prendere in considerazione alcuni fatti della cronaca culturale veneziana, ma anche fare luce sul ruolo assunto nell’esercizio della salvaguardia, e ancor prima della conoscenza del patrimonio, da intellettuali, artisti, studiosi e collezionisti, che, quali soci a vario titolo, prendono parte attiva ai programmi promossi da questi enti672.

Se fondamentale in tal senso è la funzione svolta dai due istituti di riferimento, l’Istituto di Scienze Lettere ed Arti e l’Accademia di Belle Arti673

, in questa sede sembra opportuno misurarsi anche con altre realtà operative a fianco degli organi governativi nel campo della tutela.

È un rapporto a più livelli quello che l’erudito intrattiene con enti e accademie, dove le singole collaborazioni, di natura prevalentemente consultiva, non rimangono delle tracce isolate, ma s’inseriscono e nello stesso tempo contribuiscono al percorso di maturazione intellettuale del protagonista, toccando aspetti e temi del dibattito critico contemporaneo. Da qui emerge la necessità di analizzare l’operato di Cicogna, come teorico e figura istituzionale, sui tre binari della conoscenza, della tutela e della promozione del patrimonio storico-artistico.

È noto come alla base di ogni intervento di salvaguardia vi sia la conoscenza del bene oggetto di interesse. Proprio in questa fase iniziale il ruolo di primo piano viene assunto dalle accademie letterarie, impegnate a sollecitare gli intellettuali del tempo ad uno sforzo di indagine conoscitiva finalizzato in primo luogo allo studio e alla produzione letteraria. L’ingresso di Cicogna nel mondo istituzionale coincide con la nomina a socio corrispondente, tra i “dimoranti” a Venezia, dell’Ateneo Veneto già nel 1813674

. Dunque, l’erudito entra a far

672 Per un inquadramento generale sulla condizione della cultura e delle maggiori istituzioni locali si rimanda ai relativi contributi in Isnenghi, Woolf, 2002.

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Per quanto riguarda le collaborazioni con entrambi gli istituti qui citati e, in particolare, per il contributo alla promozione dell’arte contemporanea, si rinvia infra cap. 4.1 e 4.2.

674 In realtà, il nome di Cicogna compare già nell’elenco dell’Accademia Veneta di Belle Lettere, formatasi nel 1805 dalla fusione della società dei Sofronimi con l’Accademia Veneta Letteraria, e convertita in Ateneo nel 1812. L’istituto nasce su disposizione napoleonica, emanata con decreto del 25 dicembre 1810, con cui si delibera la creazione di un’unica accademia culturale, oltre a quella dedicata alle Belle Arti, favorendo così la fusione delle precedenti associazioni. Le attività del rinnovato istituto prendono avvio nel 1813 nella sede della

parte della comunità di dotti veneziani al suo rientro definitivo a Venezia, circostanza questa che conferma come egli potesse vantare già allora un certo credito presso gli intellettuali locali. Accanto a Cicogna, sotto la prima direzione assunta da Leopoldo Cicognara, troviamo nomi importanti di studiosi come i citati Giovanni Rossi, Francesco Caffi, Marc’Antonio Corniani degli Algarotti e Agostino Sagredo675. A testimoniare la partecipazione alle varie attività promosse in questa sede, dalle adunanze pubbliche ai dibattiti e soprattutto in occasione delle letture delle memorie che ogni socio doveva presiedere almeno una volta all’anno, sta la nutrita corrispondenza inviata a Cicogna dalla segreteria dell’Ateneo, dove rimane traccia anche dei vari riconoscimenti lui tributati. Per quanto riguarda le sue letture, queste spaziano dalla materia letteraria, con contributi su Dante e Boccaccio676, a varie memorie tratte dalle Inscrizioni Veneziane; ad esempio, al gennaio del 1833 risalgono i Cenni

sulla famiglia Superchi pesarese e veneziana677, mentre particolare apprezzamento riceveranno le Notizie di Francesco Sansovino lette in due giorni distinti, il 22 e il 29 settembre 1834678.

I suoi interventi si inseriscono dunque in quel clima di recupero della memoria di Venezia, che trova espressione nell’omaggio letterario a nobili famiglie o a personaggi ricordati per particolari meriti. In questa prospettiva va letto anche l’interesse nei confronti della materia antiquaria, che diventa oggetto di studio, prima ancora che di erudite pubblicazioni e occasione di letture pubbliche679. L’altro aspetto da rimarcare poi è la funzione svolta dall’istituto quale luogo di incontro e di condivisione di progetti, e lo

soppressa scuola di Santa Maria della Giustizia; cfr. Niero, 2004, pp. 89-132. In specifico sulla prima direzione dell’istituto si veda Paladini, 1998, pp. 243-252.

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Cfr. Gottardi, 2008, p. 178.

676 A condividere con Cicogna l’interesse nei confronti del Decamerone di Boccaccio è l’amico Bartolomeo Gamba, per cui si rimanda a Gottardi, 2008, pp. 174-185. Riferimenti precisi su interventi e letture pubbliche si ritrovano presso l’Archivio dell’Ateneo Veneto di Venezia (d’ora in poi AAVVe), b. 13/III, adunanze, cl. 1 (1814-1832).

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Al testo manoscritto, letto nell’adunanza del giorno 21 gennaio 1833, si accompagnano alcune note di Cicogna che ricorda di aver estratto tali notizie “dall’inedito fascicolo XII dell’Inscrizioni Veneziane di Emmanuele Antonio Cicogna gennaio 1833” a cui aggiunge la seguente precisazione: “L’onore che parecchi anni sono Nobilissimo Signor Conte Presidente, rispettabili signori Accademici, l’onore che parecchi anni sono mi fu senza alcun mio merito impartito di appartenere quale socio corrispondente a questo celebre Ateneo, vennemi per somma grazia e favor vostro accresciuto negli scorsi mesi collo avermi promesso a socio ordinario”; cfr. AAVVe, b. 6/I, attività letteraria e scientifica = cl. 2 (memorie e studi 1830-1833).

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Cfr. AAVVe, b. 3 e 4, II; il testo viene depositato dall’autore il successivo gennaio 1835. In questo caso le notizie sono tratte dal fascicolo XIII. È interessante ricordare come l’apprezzamento ricevuto per questo intervento si ritrovi alcuni anni dopo, sempre tra le pagine degli Atti dell’istituto (III, 1839, p. 51): “certo che fece opera erudita ma ben anche pia il socio nostro ordinario Emmanuele Cicogna, il quale ne raccolse le biografiche notizie, e con quell’accuratezza che spicca in tutti i suoi lavori ce le presentò a gradito argomento di lettura in due consecutive adunanze”.

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dimostra, tra gli altri, il caso della pubblicazione del Dizionario del dialetto veneto a cura di Giuseppe Boerio, con il sostegno erudito di Cicogna e la cooperazione di Nicolò Tommaseo e Daniele Manin, quali soci dell’istituto, entrambi esperti di letteratura dialettale e popolare680

. Ma al di là delle proposte e dei singoli incarichi affidati a Cicogna681, tra cui spicca la nomina a consigliere accademico (1852) e quella di membro della commissione di Storia Veneta (1862)682, giova notare come il sodalizio tra studiosi e Ateneo si confermi quale momento importante di confronto ideologico. Tale riflessione va estesa allora in senso più ampio ai numerosi istituti e società accademiche dove lo scambio tra intellettuali assume la funzione di acceleratore della messa in atto di proponimenti e programmi culturali finalizzati anche alla salvaguardia del patrimonio veneziano.

Così è nel passaggio dalla fase della conoscenza all’intervento diretto che gli enti locali vengono ad assumere un ruolo fondamentale rispetto a quella che abbiamo individuato come seconda chiave di lettura nell’analisi delle collaborazioni istituzionali, ovvero l’esercizio della tutela.

In tale contesto, molteplici e di natura diversa risultano le consulenze richieste allo studioso; dal sostegno nell’ambito dei restauri promossi dalla Fabbriceria di San Marco, alla partecipazione ai programmi di inventariazione del patrimonio veneziano, qui esemplificata dalla commissione consultiva istituita dal Genio Civile, fino al progetto di musealizzazione del Museo Archeologico della Marciana.

È in qualità di studioso e competente in materia antiquaria che Cicogna prende parte ai programmi di intervento sul patrimonio marciano che, a partire dalla fine degli anni Trenta dell’Ottocento, coinvolgono indistintamente studiosi, artisti e restauratori. Per la gestione dei beni ecclesiastici, infatti, l’ufficio della Fabbricceria, normalizzato nel 1806 per volere del governo napoleonico683, poteva valersi di consulenti esterni competenti in materia

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Cfr. Gottardi, 2008, in particolare p. 185 nota 25.

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È sotto la guida di Leonardo Manin, direttore dal 1832 al 1848, che l’erudito riceve la proposta di nomina a segretario della Classe di Lettere, accanto al citato Gamba, all’editore Emilio de Tipaldo e al poi riconfermato Giovanni Bellomo; cfr. AAVVe, b. 3/II, cl. 1 (1812-1864), soci, il processo verbale reca la data del 13 agosto 1832.

682 AAVVe, b. 3/II, soci, cl. 1 (1812-1862); attraverso lo spoglio del fascicolo è possibile seguire le nomine dei membri componenti. Per Cicogna, si segnala il mandato a membro del Consiglio Accademico per la Classe di Lettere, ricevuto il 26 luglio 1855 (BMCVe, Epist. Cicogna 1194/ c.s.), e la nomina nel 1861 a bibliotecario della libreria interna alla fondazione, per cui cfr. Veludo, 1847, II, p. I, pp. 428-429. Dell’incarico per la Commissione di Storia Veneta, rimane traccia, invece, in una lettera scritta a Zanotto, al quale l’ormai anziano e cagionevole Cicogna confidava “di non essere più nell’età per partecipare attivamente ai suoi programmi”; cfr.

ivi, Epist. Cicogna 1284/187, lettera di Emmanuele Cicogna, Venezia 3 aprile 1862. 683

Agli inizi dell’Ottocento risale infatti il decreto napoleonico che stabilisce il trasferimento della cattedrale veneziana dalla chiesa di San Pietro in Castello alla basilica di San Marco, con l’inclusione dell’antica cappella

artistica e in grado di fornire un sostegno scientifico alle varie attività promosse dall’istituto. Ma il caso dell’erudito assume particolare significato in quanto la sua collaborazione viene preceduta dalla proposta di nomina, poi rimasta tale, a Fabbricere della basilica cattedrale di San Marco, nomina che gli avrebbe garantito piena facoltà nella gestione degli interventi sul patrimonio di competenza684.

Dunque, sebbene rinunciatario alla prestigiosa carica, Cicogna riceve dall’istituto l’invito a prendere parte alla commissione per il completamento del restauro della Pala d’Oro, sollecitato da Leonardo Manin nell’aprile del 1847: “Essendo stata istituita una commissione per riconoscere se un antico parapetto d’argento dorato, ed alcuni dipinti in tavola che si trovavano all’esterno della Pala d’oro meritano d’essere conservati e restaurati; di detta commissione la Fabbricieria ha creduto di elegermi come presidente, e come tale interesso la di lei gentilezza a voler ella pure far parte della medesima”685. Lo scopo della richiesta è chiaro: stabilire l’opportunità di un intervento su alcune delle opere, paliotto e dipinti annessi alla Pala d’Oro, facenti parte del ricco Tesoro di San Marco.

Si tratta, nel primo caso, del paliotto d’argento trecentesco in uso originariamente presso l’altare maggiore della Basilica di San Marco, su cui l’erudito riferisce con una lettura storico-iconografica dell’opera, fornendo anche le nuove iscrizioni agli orefici Luigi e Pietro Favero, allora impegnati nel restauro delle formelle686. È interessante notare che del fatto si dà

palatina. Alla Fabbriceria verrà riconosciuto l’antico nome di Procuratoria di San Marco con Decreto Regio del 1931, mantenendo le finalità di tutela, restauro e mantenimento della basilica, del campanile e delle attuali pertinenze. Ancora nella prima metà dell’Ottocento, la commissione era mista, formata da cinque membri, tra cui il presidente e il tesoriere, a cui si accompagnavano spesso figure provenienti dall’ambiente accademico e culturale; oltre a questi, vi erano anche alcuni consulenti esterni di solida di preparazione tecnica, come architetti o ingegneri. Sull’organizzazione e gli sviluppi dell’istituto si considerino i rimandi contenuti nel volume

Quaderni della Procuratoria, 2006.

684 Cicogna rinuncia al prestigioso incarico appellandosi all’impegno assunto, solo qualche mese prima, come Consigliere Straordinario dell’Accademia di Belle Arti; cfr. BMCVe, Epist. Cicogna 1208/1, lettera del 16 ottobre 1840.

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Ivi, Epist. Cicogna 1208/2, lettera del 4 aprile 1847. Due mesi dopo l’erudito viene invitato a partecipare ad una riunione della commissione a “seguito del verbale eretto per il riconoscimento dell’antico Paliotto in argento dorato di ragione della Basilica di san Marco e per l’esame degli antichi dipinti che servivano di custodia della Pala d’Oro” (ivi, Epist. Cicogna 1208/3, 8 giugno 1847). Mittente di entrambe le missive è Leonardo Manin (1771-?), nipote dell’ultimo doge di Venezia, ricordato per alcuni studi compiuti sulle monete e oselle veneziane, come ricorda lo stesso Cicogna, suo amico e corrispondente; cfr. Nani Mocenigo, 1916, pp. 55, 64, 169. Per un approfondito studio sulla Pala d’Oro si rimanda al volume a cura di Hahnloser, Polacco, 1994.

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“Ebbi in questo mese di settembre un dono prezioso dalla Fabbriceria di San Marco. Vennero a me i due bravi orefici Favero, detti Buri, e mi esposero che avendo ad accomodar l’antico Paliotto d’oro ossia parapetto dell’altar di San Marco che adoperavasi prima dell’attuale, ch’è stato portato via fin dal 1808 dalla chiesa di S. Pietro in Castello e mancando in esso alcune iscrizioni latine che sovrastanno delle tavolette d’argento cesellato con fatti della vita di San Marco bramerebbero che io supplissi alla mancanza. Io accettai l’incarico. Mi recai a vedere il Paliotto e notai le iscrizioni che mancavano”; cfr. BMCVe, Ms Cicogna 2845, c. 6528, 1859. A riguardo, si segnala anche la presenza di un fascicolo contenente varie annotazioni di mano di Cicogna relative al

notizia nei Diari dove si ricorda il curioso episodio del recupero da parte di Cicogna di un frammento del paliotto originale, altrimenti destinato ad essere rifuso687. La seconda richiesta, invece, fa riferimento al ripristino della pala di Paolo Veneziano e delle due tavole attribuite a Francesco de’ Franceshi e Maffeo Da Verona, utilizzate in origine con funzione di “custodia” dell’opera di oreficeria e oggi conservate presso il Museo Marciano688

. In questo caso, la corrispondenza inviata dalla segreteria dell’istituto può attestare il coinvolgimento dell’erudito, senza fornire tuttavia informazioni aggiuntive sulla natura del suo impegno, almeno fino al dicembre dello stesso anno, quando egli viene interpellato per l’ultima volta da Manin “onde stabilire il modo di collocamento dei predetti dipinti (…) che devono essere riposti retro la Pala d’Oro”689.

Ora, sebbene la documentazione in nostro possesso non consenta di ricostruire in concreto il contributo offerto dallo studioso690, di fatto, però, essa ci permette di prendere atto della sua partecipazione alla vicenda in veste di consulente, chiamato a rispondere sulla qualità delle opere691. Allo studioso, infatti, si chiede un parere sul valore storico-artistico al fine di stabilirne la convenienza di un restauro, ma senza tuttavia sollecitare questioni di natura tecnica, demandate, invece, ai restauratori coinvolti nel cantiere. Non va sottaciuto, infatti, il limite di questa sua collaborazione che qui sembra rimanere circoscritta entro un

citato frammento per cui cfr. ivi, Ms Cicogna 3241/7. Sulla storia e relativo restauro del noto paliotto si veda in specifico il contributo di Gallo, 1958, pp. 11-21.

687 Sull’episodio del dono del frammento, raffigurante i santi Ermagora e Marco Evangelista, e oggi conservato presso il Museo Correr di Venezia dove arriva tramite il legato Cicogna, si veda Gallo, 1958, in particolare pp. 14-15.

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Per una lettura storico-iconografica delle opere si rimanda al contributo di Fiocco, 1994, pp. 161-171. In particolare, per la pala di Paolo Veneziano si veda Goffen, 1996, pp. 313-333, con riferimento anche al restauro avviato da Andrea Tagliapietra per conto dell’Accademia di Belle Arti (1848).

689 BMCVe, Epist. Cicogna 1208/1, lettera del 11 dicembre 1847. Il restauro della Pala d’Oro viene ricordato nell’opuscolo dal titolo La Pala d’oro dell’I.R. patriarcale basilica di San Marco pubblicato da Giovanni Bellomo in occasione dell’inaugurazione dell’opera, nel maggio del 1847. È Veludo, 1887, p. 19 a ricordarci invece la lettura da parte di Cicogna dell’iscrizione scoperta sotto l’immagine del Salvatore collocata nella sezione centrale della Pala e poi “di necessità ricoperta”. Legata invece al rifacimento della facciata nord della basilica è la commissione da parte della Fabbriceria (BMCVe, Epist. Cicogna 1208/7, lettera del 29 ottobre 1863) della stesura di un’iscrizione su lapide da collocarsi all’esterno dell’edificio per commemorare l’intervento eseguito dalla bottega dello scalpellino Giacomo Spiera sotto la direzione dell’architetto Giovanni Battista Meduna (1800-1880). Del testo dell’iscrizione, palese omaggio al mecenatismo imperiale, rimane traccia in una bozza di mano dell’autore all’interno del fascicolo. L’impresa viene ricordata nelle Osservazioni di Zorzi, 1877, p. 48, poi ripresa in Dalla Costa, 1989 che ricorda anche la partecipazione di John Ruskin al dibattito contro i pesanti restauri ottocenteschi sul complesso marciano.

690 Per quanto riguarda l’intervento sulle citate tavole, esito negativo hanno dato anche le ricerche condotte presso l’Archivio Storico dell’Accademia di Belle Arti, dove invece si conserva il fascicolo relativo al restauro della Pala d’Oro per cui cfr. ASABAVe, b. 95, fasc. 3, Fabbriceria San Marco restauro Pala d’Oro 1847.

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Diversamente, egli si pone nei confronti degli interventi affidati ai restauratori accademici, su cui non mancano riflessioni e pareri tecnici per cui si rinvia infra cap. 4.2.

esame piuttosto sommario del valore puramente storico del bene. D’altro canto, se l’episodio ci offre una conferma dell’attenzione prestata allora al “mantenimento” e alla conservazione del patrimonio marciano, va sottolineato come discutibili siano gli stessi criteri di intervento, riconducibili ad una politica di restauro, fondata ancora su metodi empirici e in alcuni casi improvvisati di cui si fa carico l’istituto delle fabbricerie, sprovvisto, infatti, di specifiche competenze nonché di un adeguato sostegno finanziario692. E lo dimostra la scelta di non esibire il paliotto con le sue lacune, integrate, invece, con nuove aggiunte, a discapito dell’originalità dell’opera.

Ma tralasciando per il momento il dibattito sul restauro conservativo e sulla posizione assunta da Cicogna di cui si dirà approfonditamente in relazione all’attività dell’Accademia di Belle Arti, ciò che qui preme notare è il ruolo assegnato a categorie diverse di intellettuali chiamate a rispondere su questioni riguardanti la tutela del territorio. Lo dimostra la composizione delle varie commissioni di natura consultiva, da quelle accademiche a quelle istituite dalle fabbricerie, che, soprattutto nella prima metà dell’Ottocento, si affidano a figure di studiosi-eruditi interpellati a vario titolo a fornire le proprie conoscenze sul patrimonio storico-artistico cittadino.

Sono figure note a livello locale, spesso senza particolari esperienze amministrative, come nel caso di Cicogna, ad occupare cariche di un certo interesse nell’esercizio della tutela693. Intellettuali di provenienza diversa, borghesi e rappresentanti della vecchia nobiltà, artisti e professori accademici, e tecnici, quali ingegneri, svolgono nel periodo preunitario un ruolo fondamentale di tramite tra gli istituti di cultura e le strutture governative locali.

Pur riconoscendo un denominatore comune nella scelta di figure ben inserite all’interno degli istituti di cultura cittadini, rimane di difficile definizione il profilo di queste “persone dell’arte” che, come sottolineato da Andrea Emiliani, fra restaurazione e unità nazionale offrono un contributo concreto alla catalogazione e inventariazione del patrimonio storico-artistico694. Non sorprende allora che i nomi ricorrenti siano gli stessi che ritroviamo negli organi consultivi dei principali istituti di cultura, ovvero Accademia di Belle Arti e Istituto Veneto di Scienze Lettere ed Arti, deputati alla promozione e alla salvaguardia del patrimonio e operativi sul territorio in diretta collaborazione con l’apparato governativo695.

692 Sul ruolo della Fabbriceria di San Marco in rapporto all’attività della Commissione Provinciale di Belle Arti si rimanda a Vendramin, 2006-2007, in particolare pp. 2-3, 4-21.

693 Sugli sviluppi della tutela dagli antichi stati italiani rimane fondamentale il contributo di Emiliani, 1978.

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Cfr. Emiliani, 1988, pp. 7-15.

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In questa prospettiva va letto quindi un interessante episodio che vede protagonisti accanto a Cicogna, in veste di “persona dell’arte”, i pittori Paolo Fabris e Carlo Blaas, e lo scultore Luigi Ferrari, interpellati “per una commissione istorico-artistica-militare (…) promossa dal direttore del Genio barone di Scholl”696

. È lo stesso erudito a darci notizia del mandato ricevuto nel dicembre del 1858 dalla Luogotenenza delle Province Venete su indicazione della locale Direzione del Genio, organo consultivo tecnico del governo, allo scopo di “notare quei monumenti d’arte e di storia che stanno sparsi nei magazzini addetti alla Direzione del Genio”. Come si apprende dai documenti conservati all’interno della corrispondenza inviata al nostro da Giacinto Namias, allora segretario dell’Istituto Veneto, la commissione doveva essere formata da membri dell’Accademia di Belle Arti e dell’Istituto di Scienze Lettere ed Arti, precisando nel primo caso di volere “delegare due membri, uno cioè pei dipinti, l’altro pegli oggetti di scultura”, mentre nel secondo “soltanto uno pegli oggetti d’antichità”. A questi viene richiesto di relazionare sugli “oggetti artistici” presenti presso gli Stabilimenti Militari di Venezia al fine di censire l’intero patrimonio e di segnalare eventuali situazioni critiche697.

Dunque, ad affiancare l’erudito sono figure legate all’ambiente accademico alle quali