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Quadro Storico

2.2 La pittura a Padova

2.2.1 Collezionare in Veneto tra Sei e Settecento

Sono numerosi gli studi in materia di collezionismo privato che hanno fatto la loro comparsa nel corso degli ultimi anni; questi, seguendo le orme di già compiute indagini sull’argomento hanno voluto offrire nuovi spunti di ricerca, rivelando l’attualità di un argomento più che mai aperto.

A partire dal pluricitato Haskell che nel suo volume Mecenati e Pittori introduce alla diffusione del collezionismo privato veneziano considerato erede del mecenatismo statale ed ecclesiastico dei secoli precedenti e necessario garante di uno status quo che deve essere continuamente affermato132.

Partendo da queste stesse considerazioni, Goldthwaite asserisce che la necessità di collezionare sia altresì «(…) the competitive instinct directed against other collectors»133; gli abitanti dei territori veneti non disdegnano questa competizione. Il Seicento rappresenta, infatti, un periodo di grande splendore per il collezionismo di questa regione; sostiene Pomian che «nelle città venete del XVII secolo i proprietari di quadri dovevano essere molto numerosi. Ci si può perfino domandare se fosse possibile che un esponente del patriziato urbano non ne possedesse affatto (…)»134, questo può dare almeno un’idea di quanto il collezionismo veneziano, in questo tempo, stia acquisendo in termini di prestigio e anche di volume.

Il recente studio curato da Linda Borean e Stefania Mason, intende restituire una visione completa del collezionismo veneziano che dalle sue origini certificate arriva fino ai primi decenni dell’Ottocento, indagando anche particolarità specifiche dettate dal nuovo corso degli eventi. In particolare, nel saggio dedicato alle collezioni della Venezia

132 F. Haskell, Mecenati e Pittori. Studio sui rapporti tra arte e società italiana nell’età barocca, Firenze

1966, pp. 378-379.

133 Goldthwaite, The painting industry, cit. pag. 281. 134 Pomian, Collezionisti, amatori, cit. pag. 129.

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barocca, si trova un interessante accenno al gusto collezionistico dei nuovi nobili135

seicenteschi. La neonata classe sociale, che entra a far parte di diritto dell’aristocrazia lagunare, può vantare ricchezze cospicue che impiega anche per adornare le case di dipinti atti a ricalcare lo stile di vita aristocratico di nuova conquista e si fa per altro portatori di nuove scelte di gusto che aprono la strada ai cosiddetti foresti ancora poco apprezzati dalla nobiltà autoctona. Afferma a tal proposito Gaier che il collezionismo espresso da questi patrizi di nuova investitura «conosce uno spettro morfologico più ampio, considerata la maggior libertà di azione di cui disponevano gli homines novi di fronte al modello offerto dalle collezioni aristocratiche (…) le raccolte, slegate dai vincoli imposti (…) riflettano in misura maggiore, le vicende culturali, sociali e personali del proprietario»136 e questo li proietta verso un’acquisizione massiccia di opere, una politica collezionistica che punta a stupire per quantità piuttosto che per qualità. Si assiste a Venezia, in questo periodo, alla diffusione della pittura di genere ad opera degli stessi artisti stranieri di cui si parlava; diversamente che a Padova, nella città lagunare si tendono a preferire tematiche marine e battaglie oltre alle consuete nature

135 S. Mason, Dallo studiolo al «camaron» dei quadri. Un itinerario per dipinti, disegni, stampe e qualche

curiosità nelle collezioni della Venezia barocca in Il collezionismo d’arte a Venezia. Il Seicento. Venezia

2007, pp. 3-41 in part. pag. 22.

Parlando di nuovi nobili s’intende comunemente definire quella classe veneziana che, a partire dalla metà del XVII secolo, può fregiarsi del titolo nobiliare e della regolare iscrizione nel Libro d’oro della nobiltà veneziana.

136 M. Gaier, Mecenatismo e collezionismo della nuova nobiltà veneziana nel Seicento. L’esempio di

Gerolamo Cavazza in Il collezionismo a Venezia e nel Veneto ai Tempi della Serenissima, Venezia 2005, pp.

181-208, in part. pag. 182.

Gaier propone a tal proposito un dibattito aperto negli anni che vede da una parte la visione di Haskell, supportata anche da Savini Branca, la quale sostiene l’assenza di una qualche cultura artistica nella nuova classe nobiliare che rende incapace di accogliere le spinte contemporanee. Questa viene confutata, negli ultimi anni, da nuove ipotesi che portano al totale ribaltamento di tale asserzione. Gaier sostiene essere proprio il mecenatismo dei nuovi nobili a guidare nel Seicento le scelte di gusto della nobiltà storica. Si veda anche E.M. Guzzo, La fortuna della pittura italiana, non veneta, nelle collezioni veronesi in Il

collezionismo a Venezia e nel Veneto ai Tempi della Serenissima, Venezia 2005, pp. 287-320, egli

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morte. Molto inferiore è l’interesse per le scene di vita quotidiana e per i pitocchi tanto più apprezzati nella città del Santo; scrive a tal proposito Goldthwaite che il mutato gusto artistico che prevarica le grandi scene di storia e i dipinti religiosi, è sospinto da una nuova classe di acquirenti di livello economico inferiore rispetto agli usuali compratori. Questa nuova tendenza di gusto, continua Goldthwaite attira gli artisti fiamminghi che com’è noto «(…) had a tradition of doing products of this kind»137. Oltre a questo, Cecchini fa notare che emerge una nuova e più ampia varietà di soggetti che fa da contrappeso ad una probabile riduzione della qualità dei dipinti stessi, segnale della nuova direzione presa dal mercato in favore di una domanda più ampia da parte di una classe con disponibilità economiche più limitate138.

Per quanto riguarda Padova, il collezionismo è soprattutto di matrice religiosa mentre si hanno, ad oggi, soltanto poche notizie sulla presenza di grandi commissioni private in città tra il XVII e il XVIII secolo139. Nella città del Santo le quadrerie, ancora poco indagate,

appartengono soprattutto alle famiglie patrizie le quali prediligono il genere del ritratto esaltatore della nobile genealogia familiare e riscatto di un orgoglio assopito dalla sudditanza lagunare140. A Padova è diffuso, altresì il gusto per dipinti di matrice veronesiana, le quali si prestano ad arricchire soprattutto gli arredi delle dimore private;

137 Goldthwaite, The painting industry, cit pag. 285. 138 Cecchini, Al servizio dei collezionisti, cit. pag. 159.

139Un tentativo magistrale di restituire a Padova un compendio sul collezionismo d’arte cittadino è stato fatto da Padre Antonio Sartori in una ricerca iniziata all’inizio degli anni Trenta e durata per circa quarant’anni

Indagando ben quattro Archivi di Stato (Padova, Venezia, Vicenza e Firenze), l’Archivio dell’Arca del Santo, l’Archivio vescovile di Padova e la biblioteca Comunale di Treviso, il padre francescano ha raccolto una vastissima miscellanea di documenti che coprono la storia artistica della città dal XIII al XX secolo. In questo studio, che si sviluppa per oltre seicento pagine, troviamo individui poco conosciuti accanto ai più famosi (anche solo perché oggi danno il nome a vie cittadine) personaggi della città: dai più padovani Giusto de’ Menabuoi e Altichiero, fino agli apporti extraregionali del Castagno, del Lippi e di Paolo Uccello partendo neanche a dirlo da un pittore del calibro di Donatello. Questo solo per fare qualche nome. A. Sartori, Documenti perla storia dell’arte a Padova a cura di C. Fillarini, Vicenza 1976.

140 V. Mancini, Per la storia del ritratto a Padova tra Cinque e Seicento: la sorprendente ‘pinacoteca’ degli

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la grande ammirazione per questo genere di opere rende attendibile l’idea di un mercato di copie specializzato141. Fantelli ricorda, inoltre, come il collezionismo cittadino

nei primi anni del Settecento fosse attento alle novità pittoriche senza, comunque, riuscire a spingersi all’estremizzazione del nuovo, questo consente la presenza in città di artisti di correnti diverse.

Venezia e Verona concentrano, secondo Pomian, le maggiori collezioni di quadri della regione, mentre per i padovani l’interesse per l’antichità annulla quasi totalmente il gusto per la pittura142.

A questo proposito è da citare, tra i collezionisti più illustri, Marco Mantova Benavides vissuto in città nel XVI secolo, docente universitario, giurista ed appassionato studioso di antichità; la sua collezione, secondo quanto sottolinea Vincenzo Mancini, riflette un culto profondo per «calchi, statue, monete, rilievi, iscrizioni antiche; pur senza precludersi curiosità per stranezze varie (…)»143 ma non è disdegnabile neppure la presenza di stampe e di quadri i cui contenuti di preferenza storici e didascalici lasciano spazio anche a generi altri quali, ad esempio, il paesaggio di matrice fiamminga ed il ritratto in prevalenza di amici e familiari oltre che di personaggi illustri144.

Come per altre collezioni di pregio, parte delle raccolte padovane del Benavides sono andate disperse; causa dell’impoverimento delle collezioni è da attribuire allo stesso giurista che in tarda età si vede costretto, da ingenti debiti, a liberarsi dei pezzi più pregiati della sua raccolta.

Uno dei maggiori problemi ini questo settore è rappresentato proprio dalla successione ereditaria dei quadri dopo la morte del proprietario. Alcuni studi

dimostrano che, in questi casi, il destino delle raccolte può non essere univoco; nella maggior parte delle ipotesi il possessore delle opere lega i suoi averi con

141 G. Baldissin Molli, Gusto, collezionismo e mercato di opere veronesiane a Padova nel secolo XVII in

Bollettino del museo civico di Padova, LXXXIV, 1995, pp. 67-87, in part pag. 70.

142 Pomian, Collezionisti amatori e curiosi, cit. pag. 130.

143 V. Mancini, «Vertuosi» e artisti. Saggi sul collezionismo antiquario e numismatico tra Padova e Venezia

nei secoli XVI e XVII, Padova 2005, pag. 81.

144 Lo stesso Mancini (Vincenzo) ricorda la presenza di un ritratto di Tiziano appeso sopra la porta

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fidecommesso per evitarne la dispersione, ma c’è anche chi, come il podestà Giacomo Correr, invita gli eredi a vendere i quadri per far moneta145. In questo secondo caso si

può assistere ad una messa all’incanto dell’intera collezione, in una piazza della città146.