Padova in soaza
3.3 Un caso: un’abitazione patavina
Proviamo a prendere in esame una casa e percorriamone la planimetria attraverso le parole stesse del notaio.
È la casa del (quondam) Domenico Bassa, dove Bernardo Arrigoni si appresta a redigere l’inventario: anno 1646, Padova, contrada di Santa Sofia222.
Dall’ «Intrada» (in altri casi detta «intrà» o sostituita dal Portico) dove, qui come nella maggior parte dei casi, troviamo mobili e solo raramente uno o due quadri, procediamo verso la zona più interna dell’abitazione con le varie stanze. In «(…) una camera verso la corte» troviamo mobili decorati d’oro, tavolini, sedie e sgabelli, uno specchio, libretti d’arme e, per la prima volta, anche la presenza di quadri, sono due: «un quadro grande
221 Ringrazio la dottoressa Fantini D’Onofrio per la delucidazione sull’argomento, poiché la maggior parte
delle voci presenti negli inventari riguardavano cose vecchie o rotte e solo raramente si faceva riferimento ad oggetti novi. Lo stesso discorso è affrontato da Guerzoni quando parla di tranelli delle fonti, egli rileva come le cifre degli inventari fossero volutamente espresse al ribasso per limitarne l’esborso di tasse di successione. Guerzoni, Apollo e Vulcano, cit. pag. 241.
222 La contrada di Santa Sofia è una delle zone più nominate negli inventari da me visionati. Il quartiere fu
incautamente soppresso all’indomani della prima guerra mondiale per accogliere nuove abitazioni. Nell’ignara demolizione si perse un contenitore di numerosi, quanto sconosciuti, monumenti cittadini; poiché la contrada accoglieva numerose abitazioni di illustri personaggi quali quella di Pietro d’Abano e del Mantegna. Nello stesso quartiere ma sotto la parrocchia di San Mattia (ora estinta) si trovava Via Volto del Lovo, che si ritroverà ancora nel proseguo di questo capitolo. Interessante a questo proposito il contributo di L. Gaudenzio, Per l’iconografia di Padova. Aspetti di un quartiere scomparso, in «Padova» n. 2, 1966, pp. 1-8. ASPd Bernardo Arrigoni, b.4427, p.244r-246v.
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con soaze dorade» e «un altro quadro più picolo». Non si ritiene utile precisarne il contenuto, eppure sembrano ricoprire un ruolo non secondario all’interno della stanza, poiché vengono enumerati uno alla volta né si usa per loro la dicitura “diversi”.
Proseguiamo con una camera a questa contigua che si trova sopra la strada, anche qui non mancano mobili di vari tipo ed è riscontrabile una notevole presenza di strumenti musicali che sono: «Sie viole / un chitaron Quattro chitare alla spagnola / Libri da musicha diversi», questo lascia pensare ad un ambiente di svago, dedicato alla musica o di diletto per la famiglia.
La stanza successiva è la sala di sopra che contiene mobilio per lo più di noce, il pezzo forte qui è un mobile decorato a cuoi d’oro223 (quest’adornamento è molto in voga nella Repubblica Veneziana, all’epoca dei fatti; lo stesso modello decorativo è riscontrabile nell’inventario del patrizio Manfrin analizzato da Linda Borean224) ed azzurro, nella sala sono nominate anche due camere: una grande ed una piccola con antiporta.
La presenza di «una Zelosia» che, secondo il dizionario del dialetto veneziano di Giuseppe Boerio, è una grata da cui si può vedere senza essere visti225, conclude l’elenco per questa stanza.
223 Secondo studi compiuti in materia, esistevano a Venezia delle vere e proprie maestranze dedite alla
creazione di dette tappezzerie; erano chiamati coridoro, appunto. Si veda: Montecuccoli degli Erri, I
“botteghieri da quadri” cit. pag. 143. E ancora: Cecchini, Le figure del commercio, cit. pag. 381.
224 L. Borean, S. Mason, Collezionismo d’arte a Venezia. Il settecento. Venezia 2009, pag. 339.
Seppure risulti incerta la dicitura con cui la decorazione si presenta in numerosi inventari padovani, dove questa compare come «cori d’oro», si può ritenere che la stessa sia da associarsi alle diverse diciture incontrate in diversi documenti relativamente all’ornamento di mobili o stanze. Altre indicazioni di questo tipo si trovano anche negli inventari Ferraresi curati da Cappelletti, Ghelfi e Vicentini, nella sezione pertinente alla borghesia (da pag 185), segnate con la locuzione corame d’oro, oltre che in altri volumi pertinenti all’argomento; citerei in particolare Mariani Canova, Alle origini della Pinacoteca civica, cit, pag 117. All’inizio del Seicento il lavoro dei cuoridoro appartiene all?Arte veneziana dei pittori. Si veda: Cecchini, Le figure del commercio, cit. pag. 391.
Interessante è notare che in uno dei palazzi veneziani che affacciano sul Canal Grande, Ca’ Vendramin Calergi, sia presente una sala detta appunto cuori d’oro che prende il suo nome dalla tappezzeria che ne decora le pareti.
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Si prosegue con l’inventario di un’altra camera a questa adiacente; sono circa sessanta voci che comprendono mobilio nella prima parte, abiti e biancheria nella seconda. Tra questi troviamo alcune voci interessanti cui vale la pena accennare: si tratta di «Un chitaron con sua cassa» e, ancora, «un sechiello di peltre da Acquasanta» per non parlare dell’argenteria che comprende due sottocoppe, dodici forchette e sei cucchiai, una saliera e sei cestelli dorati.
Oltre la descrizione di quest’oggettistica di pregio troviamo, finalmente, anche i quadri, sono due: «Una Madonna» di cui, per altro, non è precisata la natura di quadro (potrebbe presumibilmente essere anche un’incisione) e «Un’altra Madonna con un quadretto».
Usciamo da questa stanza per andare in cucina. Qui il materiale descritto è quello proprio dell’ambiente in cui ci troviamo; oggetti in rame, ferro e latta e ferri da fuoco per la preparazione dei cibi.
Si scende e si va «da basso», visitiamo gli ultimi due ambienti dove troviamo «inazzi grandi e picoli» (tini per il vino), mastelli per lavare la biancheria e nella «caneva» (cantina) altri attrezzi simili ed una botte.
Diversamente che in altri inventari incontrati, questo si conclude senza ulteriori scritture alla fine del documento. Altre volte il notaio si premura di concludere con la sua firma o, come nel caso del documento redatto per Gerolimo Benvegnù, annota gli oggetti che riceve come compenso per il suo lavoro, ricordandoli come parte integrante dell’inventario appena concluso.
Nel caso appena citato il suo onorario prevede, tra le altre cose degli «anelli oro piere diverse» e un «fillo coralli»226.
Ma ritorniamo al nostro caso. L’abitazione in contrada di Santa Sofia, appena analizzata, presenta come abbiamo visto ben sette ambienti disposti, secondo le parole del notaio, su due piani.
226 L’esempio qui citato è chiarificatore della condizione economica dei funzionari della città, tuttavia
quella di annotare gli onorari dei notai nel documento in stesura, può essere ritenuta una circostanza isolata piuttosto che una prassi in uso al tempo. ASPd, notarile, Nicolò Arrigoni, b. 4436, p. 128v
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Al piano basso c’è l’entrata, due camere e la cantina, al piano superiore la sala principale (dove l’elenco si fa più fitto di oggetti) e la cucina.
Questa del signor Bassa, non è da inserirsi tra le abitazioni più grandi incontrate durante il lavoro di ricerca ma rimane, comunque, un buon esempio della qualità degli inventari incontrati.
Altre abitazioni tra quelle analizzate presentano diverse stanze il cui numero varia dai quattro ai circa dodici ambienti.
Oltre a quelli già citati, troviamo:
-portego (portico)
-spazzacusina (stanza dove si trova un lavello in pietra)
-canevon (-cantina grande-in alcuni casi presente assieme alla caneva) -granaro (granaio)
-soffitta
-lissiara (lavanderia) -corte
-camarin (stanza piccola con varie destinazioni) -camarin salvarobbe (dispensa)
-stalla
Non sono presenti, diversamente da inventari trovati in altri studi simili (mi riferisco alle ricerche di Simona Savini Branca227 o a quelle di Linda Borean e Stefania Mason228 per Venezia, ambienti dedicati allo svago e all’erudizione quali ad esempio: la galleria, la biblioteca o studioli di qualsivoglia genere.
227 Savini Branca, Il collezionismo Veneziano, cit. pag. 119.
228 Borean, Mason, Collezionismo d’arte, cit. Appendice documentaria, e L. Borean, S. Mason, Figure di
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