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Padova in soaza

3.9 La soaza ovvero la cornice

«Quanto alle cornici non è da dubitare che convengono (…) perché danno maestà alle pitture, che le fanno vedere quasi per una finestra (…)260»

A questo punto credo sia importante soffermarsi un momento proprio sui supporti fino a qui tanto nominati.

La soaza, parola che nel dialetto veneto è tuttora adoperata, ha il suo corrispettivo italiano nella cornice261.

Questa voce all’interno di un inventario che prevede presenza di quadri, è spesso presente a specificare la fattura del quadro (si fa eccezione per le voci semplificative di quadri/quadretti diversi ed altre in cui il notaio non ritiene di doversi soffermare sulla

259 Lamon, Le corporazioni padovane cit. pp. 33-114. 260 Mancini, Considerazioni sulla pittura, cit. pag. 145.

261La pratica artigiana del “costruire cornici” ha in Veneto una fortissima tradizione; in laguna,l’ addetto alla creazione di questi supporti beneficia di un trattamento privilegiato rispetto ad altri artigiani. A Venezia nasce la figura del “marangon da soaze” (falegname di cornici) che si colloca in una fascia professionale superiore rispetto al semplice “marangon da scuri” (falegname di imposte per finestre). Presumibilmente il corniciaio era ben più che un semplice esecutore, egli seguiva la lavorazione dalla scelta del legno fino alla laccatura del supporto.

Alla luce di quanto detto fin ora, non può più stupire il fatto che fosse proprio la cornice a conservare il valore economico del quadro stesso. Interessante a questo proposito L. Rizzo, Manuale per leggere una

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base, appunto) e risulta assumere un ruolo caratterizzante rispetto all’opera che vuole precisare262.

In casa degli eredi di Francesco Zambon, in una camera sopra la strada, si trovano due quadri con «soaza biancha che su li medesimi vi è il ritrato del sig.re (…) et l’altro un San

Girolimo». Nella stessa stanza un altro «quadro con soaza biancha e nera con le figure di S. Antonio».

Anche l’ordine di scrittura degli oggetti, in questo caso, ribadisce la precedenza che la cornice assume rispetto al soggetto, a conferma dell’importanza che essa riveste come caratterizzante dell’oggetto stesso. L’intelaiatura detiene, anche solo per la qualità intrinseco del materiale di cui è fatta, un peso economico superiore a quello della tela stessa ed assume valore notevole nella valutazione dei beni.

Le cornici che troviamo presenti in quest’inventario, sono delle più svariate fatture e di diversi materiali: «soaze» di cimolo finite a lauro o ad intaglio di cimolo «tutte dorade», di pero, o ancora a foglia di lauro.

Nel 1712 in casa della famiglia Rinieri, di cui si è parlato più sopra, apparentemente benestante (data la quantità di mobilio e oggettistica presenti nell’inventario) troviamo quadri di diverso soggetto e numerosissimi. Solo nella camera verso la corte, per fare un esempio, vi sono 29 quadri di figure di imperatori, […] con soaze nere di peraro, e ancora 1 quadreto con soaza dorà […] e altri con soaze nere di carta o con soaza intaglio, soaza dorata e giala o dorata e negra e tanti altri di diverso soggetto che va dal sacro al profano, alla ritrattistica al paesaggio, tutti immancabilmente con soaza.

262 La cornice viene nominata nei documenti che parlano di quadri e collezioni. Non solo, quindi, negli

inventari della borghesia ma anche nelle ricche collezioni, come ricorda lo stesso Mancini, ed ancora nelle botteghe dei mercanti d’arte sono presenti; questo a dimostrare l’importanza non marginale di tale supporto. Loredana Lorizzo precisa che, secondo l’inventario del mercante genovese Pellegrino Peri, nel suo negozio le cornici sono vendute a parte, disponibili in un vasto assortimento. Lorizzo, Il mercato

dell’arte a Roma, cit. pag. 330. Isabella Cecchini in uno studio sui documenti dell’archivio storico di Venezia

nota che i quadri elencati negli inventari presentano tutti la caratterizzazione rispetto alla presenza o meno della cornice, in alcuni casi è definita, anche qui, la fattura. La cornice è, infatti, parte del valore economico, oltre che estetico, del quadro. Cecchini, Al servizio dei collezionisti, cit. pag. 161.

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Non è difficile imbattersi in quadri o quadretti esposti senza cornice o dove la scarsa qualità della stessa viene chiaramente indicata (con «soaza vechia»).

La cornice dunque è un valore aggiunto al quadro, che tante volte non ha grandi pretese se non quella, appunto di essere circondato da un’intelaiatura di pregio, estetico più che economico.

Negli inventari e nelle stime così come nei documenti di dote la presenza di quadri non rappresenta che una minima parte dell’intero patrimonio della famiglia. Ma quali sono gli altri oggetti presenti nelle case dei padovani del 1600 e 1700 che risultano degni di nota, tanto da essere inseriti in un documento ufficiale?

Innanzitutto i mobili: careghe, scagni (sgabelli), casse, tavole e fornimenti in genere, nella maggior parte dei casi di noghera (noce) o di moltonina (ovvero pelle di montone) qualche volta colorata, usata per le sedie, alcuni decorati a cori d’oro (che presumibilmente potremmo tradurre con cuori d’oro già presente nelle abitazioni nobili veneziane e rappresentata essenzialmente da una tappezzeria di cuoio dorato263). Il mobilio rappresenta, di fatto, la ricchezza della famiglia e nei casi in cui ne viene stimato il valore, questo aspetto risulta evidente.

Troviamo però anche varie voci di utensileria domestica nelle camere adibite ad uno o all’altro scopo; oggetti in rame diversi si trovano soprattutto in cucina dove troviamo «Una calderiola rame», «due scaldapie» oltre a due secchi, un’altra caldiera e diversi utensili di latta o latton.

Nelle altre camere della casa si legge di abiti di vario genere (il «tabaro» era un indumento molto in voga nella moda borgese del tempo, tanto da influenzarne l’uso anche dei più nobili264) e di oggetti quali le «cadene da fogo», armadi e casse contenenti altro materiale.

Nulla sfugge alla scrittura notarile, neppure i numerosi quanto insignificanti oggetti d’uso quotidiano caratterizzanti le varie stanze della casa; ne sono un esempio le

263 In questo periodo esistono dei veri e propri artigiani dediti alla creazione di tappezzerie a cuoridoro. 264 Valsecchi, L’Italia, cit. pag. 65.

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grattacasa (grattugie), gli specchi, le casse, gli stramazzi e pagliarizzi (materassi), le lampade, i tamisi, le stadere (bilancia), le carriole e le botti che compaiono in diversa

misura nei documenti.

L’ampio spettro di tessili che vanno dall’abbigliamento alla biancheria da casa, concludono la lista degli oggetti che si possono trovare negli inventari patavini dell’epoca: mantilli e habiti, calze, coltre e così via.