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Le colture ortive maggiori ―

1. Parte Generale ―

1.2 Innovazione di prodotto ―

1.2.2 Le colture ortive maggiori ―

Con il termine di ortive ―maggiori‖ si intendono quelle specie vegetali che sono largamente coltivate e prodotte nel territorio.

La diversità biologica presente nel regno vegetale è il risultato di un lungo e continuo lavoro di naturale evoluzione che ha permesso alle piante di adattarsi e vivere in condizioni climatiche differenti e di resistere agli attacchi dei fitofagi e dei parassiti. L'umanità è intervenuta in questo processo di diversificazione, selezionando i tipi di piante più idonei alla coltivazione ed ai gusti del consumatore. Gli incroci realizzati sulle piante sono rivolti ad ottenere un incremento della produzione, una migliore qualità ed una protezione delle piante da fitofagi e parassiti.

Il risultato ottenuto negli ultimo 50 anni è stupefacente, se pensiamo che la percentuale dell'incremento della produzione agricola ha superato la percentuale dell'incremento della popolazione. ll successo raggiunto in agricoltura fra 1950 e il 1960 è conosciuto con il termine di green revolution, il processo di rivoluzione dell‘agricoltura che ha trasformato diversi Paesi da importatori ad esportatori di prodotti agricoli. Per contro, però, il rinnovamento della configurazione dell‘agricoltura ha determinato alcuni aspetti negativi, come un'eccessiva produzione di alimenti nei Paesi sviluppati, eccessivi costi dell'energia richiesta per l‘adozione delle moderne tecniche colturali, negativo impatto ambientale a causa dell'incremento dell‘utilizzo dei mezzi chimici di produzione ed un ridotto numero di genotipi utilizzati; quest‘ultimo aspetto ha determinato l‘opportunità di avviare specifici programmi tesi alla conservazione ed alla salvaguardia della biodiversità (Frusciante, et al., 2000).

Durante l'ultimo secolo, coltivazioni intensive attuate con metodi e tecniche colturali sempre più sofisticate hanno determinato la riduzione della diversità genetica di molte specie ortive (Peron, 1992; Sun e Hang, 1998). L'umanità ha utilizzato circa 7000 specie di piante per alimentari, curarsi e per altre necessità, ed altre 70000 specie sono conosciute per alcune parti commestibili (Principe, 1991). Una piccola parte di queste specie è attualmente coltivata, e solo 150 di esse sono coltivate su larga scala,e circa 82 specie

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forniscono il 90% di fabbisogno alimentare mondiale (Prescott-Allen e Prescott- Allen, 1990).

Esempi di ortive ―maggiori‖ sono afferenti alle famiglie delle Solanaceae, Asteraceae, Apiaceae, Chenopodiaceae, ma molte afferiscono alla famiglia delle Brassicaceae.

L'Italia è infatti il centro di diversificazione genetica di alcune Brassicaceae coltivate, come cavolfiore e cavolo broccolo. Il cavolfiore rappresenta una tradizionale coltura ortiva diffusa in Sicilia, dove peraltro sembra si sia diversificata in diversi tipi e forme spesso intermedie con quelle del cavolo broccolo, da cui si ipotizza che abbia preso origine. La diversità genetica che si riscontra in Sicilia è di grande interesse da parte della comunità scientifica nazionale ed internazionale che già da alcuni decenni ha posto l'attenzione sullo studio e sulla valutazione delle diverse cultivar diffuse sull‘Isola. I tipi di cavolfiore a corimbo pigmentato, diffusi unicamente in Italia, consentirebbero di ampliare la gamma cromatica del prodotto contribuendo ad ampliare la richiesta di mercato. Tali tipologie, inoltre, sono oggetto di grande attenzione per la valenza salutistica che esprimono che è sostenuta da diversi composti antiossidanti. Tale aspetto è particolarmente avvertito per il cavolfiore violetto che trova la sua area di tradizionale coltivazione nella Sicilia centro orientale ed in particolare nella provincia di Catania. Il cavolo broccolo possiede un panorama contrassegnato da tipologie molto diversificate tra loro. Per il cavolo broccolo, come tipologie siciliane, sono presenti due raggruppamenti cavolo broccolo asparagio e cavolo broccolo a testa. Al primo gruppo fanno parte i broccoli a foglia, al secondo solo il broccolo a testa, caratterizzato dalla produzione di un solo corimbo di colore principalmente verde (Viani, 1929).

L‘ampia variabilità interspecifica ed intraspecifica riscontrata in Sicilia per il genere Brassica fa ritenere l‘Isola un centro di origine e diversificazione primario per B. oleracea (Gray, 1989; Gomez Campo e Gustafsson, 1991).

La coltivazione del cavolfiore, sulla base di dati statistici FAO (2004), è estesa su 893.200 ha in tutto il mondo, la produzione totale è pari a 16.432.000 t e la produzione unitaria media è di 18,4 t ha-1. L‘Italia a livello mondiale occupa il

quarto posto dopo Cina, India e Francia (Ferrari e Di Cesare, 2001). Nell'ultimo ventennio (1983-2004) la diffusione della coltura è stata in continua crescita, le

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superfici si sono quasi raddoppiate (+ 91%) mentre la produzione ha manifestato un incremento del 145%.

La coltivazione del cavolo broccolo in Italia interessa una superficie pari a 11.000 ettari concentrati maggiormente nel sud. La produzione annua totale è tra 120.000 e 130.000 tonnellate. I principali paesi europei interessati a questa coltura sono Spagna, Inghilterra e Polonia.

In Italia la ricchezza del germoplasma autoctono è molto presente grazie all‘elevata varietà di cultivar, alla diversità dei sistemi colturali e dei paesaggi. Oggi non si parla più di agricoltore, ma di breeder che può essere privato o pubblico, il cui obiettivo è quello di soddisfare la domanda proveniente dai mercati nazionali ed internazionali creando dei genotipi idonei (Inglese e Caruso, 2006).

La biodiversità diventa allora risorsa solo se la società la riconosce come tale e ne distingue i tratti qualificanti (Marino, 2002).

In base alle diverse condizioni ambientali le specie vegetali, così come quelle animali, tendono a selezionarsi naturalmente e a definire adattamenti e tolleranze nei confronti di diverse forme di stress, dando luogo agli ecotipi (Azzi, 1967). Si è arrivati pertanto all'esistenza di tipi o forme locali che riuniscono le caratteristiche di produttività con quelle di resistenza alle condizioni pedoclimatiche (Scarascia Mugnozza e Swaminathan, 1997). Di contro le varietà migliorate, per via della selezione, maggiormente rivolta verso performances produttive, risultano avere una base genetica più ristretta (Lo Verde, et al., 1997). Salvaguardare la biodiversità varietale non rappresenta soltanto un'esigenza primaria per il miglioramento genetico, ma risponde soprattutto all'esigenza di non alterare eccessivamente quegli equilibri biologici che la natura faticosamente ha predisposto per la sopravvivenza delle specie (De Giorgio, 1997).

Salvaguardare le specie può avere una sua valenza economica, infatti i contributi diretti ed indiretti dell'ambiente e della biodiversità all'economia di una nazione sono stati di notevole interesse per molti studiosi. Ci sono stati molti tentativi per quantificare i benefici economici diretti derivanti dalle risorse naturali e i benefici indiretti derivanti dalla protezione degli ecosistemi. I benefici economici diretti derivanti dal mantenimento della biodiversità possono

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riguardare il valore estetico e ricreativo, i benefici derivanti dal mantenimento degli ecosistemi o dalla riduzione dei parassiti e delle malerbe (Ehrenfeld, 1981).

L'importanza della biodiversità per l'agricoltura e per la medicina è spesso sottovalutata. Infatti, quando si realizzano degli incroci ai fini del miglioramento genetico di una coltura si ricorre spesso a materiali non ancora utilizzati (Santopolo, 1997).

L'adozione e l'attuazione della conservazione della biodiversità sostenibile sono fondamentali per sostenere le aree protette. Ma lo sviluppo di strategie efficaci per raggiungerli è problematica. Questo è spesso causa di una conoscenza limitata circa l'impatto delle politiche di conservazione della biodiversità sul sostentamento delle popolazioni indigene (Brown e Goldstein, 1984; Aylward, 1991; Ezebilo, 2010).

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