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Come s’accennava, benché possa sembrare scontato che, ana-

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ana-logamente a molti testi di viaggio, anche il giornale di Zuanne sia stato redatto per personale ricordo, la sua destinazione dovette essere invece esterna, e di ragguaglio per qualcuno che forse aveva pesato nella assun-zione stessa dell’autore presso la magistratura sindicale. Questa presenza è intuibile nelle parentesi interlocutorie sparse fra le pagine del diario.

251 Sono i librillos de memoria citati dalla lessicografia castigliana rinascimentale, e i Writing Tables d’età elisabettiana: quadernucci in sedicesimo dai «fogli vergini, alcuni dei quali ricoperti da uno strato di gesso, colla e vernice che permetteva di cancellare e riscrivere» (charTier 2006, 40).

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Difficile, se non impossibile, delineare una fisionomia appena meno che generica di tale committente. L’assenza di positivi riferimenti al rango e a eventuali ruoli professionali depone peraltro su una notevole intrinsecità con lo scrivente, ed è probabilmente da questa constatazione che Elena Svalduz ha recentemente avanzato la candidatura del Torso, sodale di Zuanne – come egli stesso fa intendere dalle sue pagine – anche al di fuori della contingenza peragratoria. Non si vede tuttavia perché il Torso si sarebbe dovuto far illustrare situazioni e circostanze che gli erano note autopticamente, comprese quelle legate alle diversioni dal percorso uffi-ciale, a Ferrara, Bologna Mantova e Milano; né v’è da credere, se fosse stato lui il destinatario dello scritto, che Zuanne avrebbe avuto necessità di metterne nero su bianco il nome in occasione di una delegazione spe-ciale cui egli aveva partecipato252. Un passo come il seguente, relativo al soggiorno veronese, «Altre assai cosse sono che me riporto recitarle a

bocha» [437], pare anzi implicare una figura del tutto estranea al viaggio

e destinata a essere rivista soltanto al ritorno: quando cioè, rileggendo di concerto le note prese per via, altri particolari sarebbero riaffiorati alla memoria e sarebbero stati verbalmente affiancati a quelli già fissati per iscritto. Questa procedura di integrazione verbale – oltre a rafforzare l’ipo-tesi di una scrittura compiuta sostanzialmente già durante il percorso – avrebbe allora coinvolto, vien fatto di credere, anche l’incredibile dimen-ticanza che, sempre a Verona, Zuanne aveva commesso in rapporto all’A-rena; e l’aggiunta marginale che, come visto poc’anzi, denunciava la lacuna, acquista allora senso compiuto quale appunto strumentale alla rammemorazione, una volta che lo scrivente si fosse chiuso in conciliabolo con il suo committente. Pare infatti indubbio che di commitenza si debba parlare, in merito a un rapporto che vede Zuanne farsi interprete – le osservazioni testé fatte lo dimostrano – di una volontà forse anteriore, nonché alla partenza, al suo stesso coinvolgimento nella spedizione sindi-cale. Dove tale volontà, e l’identità a essa implicata, si possa collocare, in termini gerarchici non meno che geografici, è questione che per impo-starsi trova esclusivo appoggio, al solito, entro le righe stesse del diario. Si può dunque muovere da alcune constatazioni. La cura con cui Zuanne

252 Si tratta dell’andata ad Adria, che dei sindici coinvolge il solo Francesco Salomon e, su sua indicazione, ha per funzionari soltanto il Torso e Zuanne: «et perché ne fu forza, a messer Hiero-nymo et mi, sequitar il Magnifico messer Francesco Salamon, dignissimo patron nostro, per fin in Adria, over Ari, se partissimo la dominica avanti il mercori de Ruigo, che fu alli 2 de aprile, et lasassimo li altri Signori a Roigo» [52].

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descrive Sacile e Pordenone potrebbero far dubitare della origine friulana del corrispondente, non fosse che si trattava di località, oltre che al limite occidentale della Patria e quasi sconfinanti nel Trevigiano, dalla giurisdi-zione peculiare: con Caneva, essa pura nel medesimo quadrante occiden-tale, Sacile e Pordenone costituivano al tempo della dominazione vene-ziana «ville separate» dal resto della Patria, dunque dotate di «indipen-denza [...] pressoché totale, dovendo infatti il podestà che le reggeva ren-dere conto direttamente a Venezia, ricorrendo o sottostando solo in momenti eccezionali alla parola del luogotenente»253. Per quanto riguarda Sacile, il Sanudo dell’Itinerario avvertiva la situazione precisando «ben-ché Zazil sia in la patria di Friul, tamen non è soto Udene»254; sempre il Sanudo, di lì a un ventennio, nella Descrizione della Patria del Friuli avrebbe ribadito la disomogeneità anche in rapporto alla geografia, propo-nendo il Livenza, su cui Sacile sorge, in termini che ne offuscano il ruolo di discrimine geografico e amministrativo fra Trevigiano e Friuli255 (il fiume, a suo dire, nasce «quasi ale dicte confine»). Pordenone, che era città dell’Impero ancora ai tempi dell’Itinerario sanudiano, nemmeno dopo essere passata a Venezia nel 1508 aveva conosciuto la piena integrazione al Friuli, e quando Zuanne la visitò, nel 1536, costituiva infatti da tempo il feudo concesso dalla Serenissima a Bartolomeo d’Alviano in riconosci-mento dei meriti che il condottiero aveva conseguito nel riscatto cam-braico. Di lì a poco, nel 1537, la morte senza eredi del figlio dell’Alviano, Livio, comportava il ritorno fra i domini diretti di Venezia nel Friuli e raffermava, ancora una volta, la specialità statutaria della cittadina256. La distinzione di Sacile e Pordenone rispetto a Udine lascia comunque inten-dere che, se in fondo il confronto poco rileva per determinare la cittadi-nanza originaria dell’interlocutore, molto probabile è invece essersi trat-tato di persona legata all’ambiente udinese, in quanto Udine era sede del Patriarcato di Aquileia e dal momento che a tale istituto è decisamente

253 GoTTardi 1984, 77-78.

254 Sanudo, Itinerario, 414; si veda anche BenZoni 1999, 16.

255 Sanudo, Descrizione, 29-30: «per miglia 8 bone [dal castello di Sbroiavacca] se va ala Mota richo e grosso castello distante in tutto da Udene circa miglia 30 dicta Mota e posta a le confine del Frioli et Trivisano et situata su le rive del fiume Livenza el qual fiume sorze al pie de uno monte quasi ale dicte confine in uno loco dicto la Ternita circha miglia 40 lutano da Udene e miglia uno dal castel de Polcenico [...] El dicto assai habundante et navegabel fiume de Livenza il quale poi fra verde rive Sicille Porto Buffale [Portobuffolè] e ditta Mota cum quieta unda ha visitato. Tandem partendo il Frioli dal Trivisano a Cavorle [Caorle] mescola la sua dolce aqua cum le salate unde de lo Adriatico occeano».

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probabile fosse legato anche il diarista di San Foca. Le prove, che sono già state segnalate, di una familiarità del destinatario con Udine si ricavano del resto dalla assimilazione di alcuni dei luoghi visitati a piazze, chiese e altri scorci cittadini. La banale distinzione fra potere civile e religioso porterebbe a sospettare, dietro all’anonimato, un prelato di rango gerarchi-camente superiore al cronista, che da questi si poteva attendere succulenti primizie intorno al clero delle località toccate e alle sue relazioni con l’autorità veneziana, magari in una prospettiva di contrapposizione fra Chiesa e Stato per la rivendicazione di diritti e autonomie antichi. Zuanne però non sembra possedere credenziali adeguate a tale eventualità; anzi, la sua sordità risulta massima proprio allorquando gli si prospettano situa-zioni che interessano lo stesso coté patriarchino cui egli si direbbe appar-tenere. Paradigmatico il caso di Verona, poiché fra le tante lacune che come si è visto punteggiano la descrizione di questa città si può aggiun-gere il silenzio assoluto intorno alla tradizionale subordinazione del capi-tolo della cattedrale veronese al Patriarca d’Aquileia: subordinazione che proprio in quel torno di tempo costituiva tema di delicata discussione. Nel 1531 Matteo Giberti, vescovo di Verona, aveva infatti tentato di sottomet-tere alla propria giurisdizione spirituale il capitolo dei canonici, inten-tando per questo causa al Patriarcato aquileiese. La resistenza dei cano-nici, evidentemente interessati a conservare l’autonomia dal presule locale, comportò il progressivo coinvolgimento del Senato veneto, sino a un compromissorio arbitrato che, ancora quattro anni dopo, risolse solo in parte il dissidio257. In concomitanza con la chiusura, pur apparente, di questa lite, il 1535 vedeva però insorgere analoga controversia fra Aquileia e l’abate del monastero di Santa Maria in Organo258. La tensione fra le varie parti coinvolte persisteva, insomma, e doveva anzi essere pal-pabile durante l’ispezione sindicale del 1536; e il prete friulano visitava i focolai del dissidio, la cattedrale nonché, appunto, la chiesa di Santa Maria in Organo. Orbene: della prima, Zuanne mostra di non conoscere il vescovo, pur avendo posato gli occhi sul blasone dello stesso Giberti (la descrizione, paradossalmente, è bastevole all’identificazione); quanto alla seconda, s’è visto sopra come l’attenzione venisse interamente monopoliz-zata dalla scultura della «muletta». E tutto questo nonostante egli avesse avuto sotto gli occhi, per dire così, i presupposti stessi di tali ingerenze

257 SeraFini 1996, 104, con bibliografia.

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del potere ecclesiastico dal quale egli stesso direttamente doveva dipen-dere: perché vide l’epigrafe della chiesetta di Sant’Elena, commemorativa della visita di Pellegrino I nel 1140, e fu informato di come quel patriarca aquileiese avesse riconsacrato il luogo, producendosi dunque in un atto solenne e dalle molte conseguenze giurisdizionali. Ma, precisamente, Zuanne non andò oltre l’aneddoto, e continuò pertanto a ignorare che l’in-tervento di Pellegrino era servito a corroborare la consuetudine ut

cano-nici […] sint liberi in ecclesia atque canonica beati Georgii259 sub jure et

dominio atque regimine Aquileiensis Patriarchae, ita ut nullus Episcopus, qui nunc est vel qui pro tempore fuerit, aliquam litem vel molestiam aut injuriam, tam in officis quam in beneficiis, illis inferre possit260.

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