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Con Milano le autonome peregrinazioni di Zuanne e soci ebbero

fine, e la compagine extravagante riguadagnò i capifila, ancora residenti a Bergamo, via Lambrano e Pioltello. Nella città lombarda la sosta si protrasse per quasi un mese (ventiquattro giorni), in ragione – è facile intuire – del rilievo amministrativo che essa aveva per il dominio veneto. Ciò diede modo a Zuanne di visitarla con agio, e di descriverne l’assetto urbano con meticolosa precisione. Tanta puntualità non è sfuggita agli sto-rici dell’architettura, che proprio a Zuanne si sono rivolti per ricostruire la fisionomia di una città successivamente modificata da drastici interventi. Le campagne di restauro e consolidamento delle difese murarie bergama-sche disposte dall’autorità veneziana a partire dalla metà del secolo XVI

136 Non trovo infatti notizia – salvo errore – nella pur meticolosa rassegna dei mirabilia ambro-siani offerta da MoriGi 1619, 43-53.

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compromisero infatti una fisionomia risalente a età remote, intervenendo soprattutto nella manomissione di edifici profondamente radicati nelle tradizioni locali138. Questo il caso di Sant’Alessandro, all’inizio di Borgo Canale, che il viaggiatore friulano fece in tempo a vedere prima della sua completa distruzione (1561) e del conseguente riallineamento della cinta difensiva: e la descrizione, assai attenta, trova riscontro puntuale nelle testimonianze coeve, anche iconografiche139. Ma i cantieri di Bergamo, al di là delle esigenze strategiche, erano aperti anche per il riassetto degli edifici sacri, molti dei quali risalenti all’età comunale; erano aperti, e in una precarietà che non mancava di apparire censurabile al diarista. Come ha illustrato recentemente Graziella Colmuto Zanella, in Santa Maria Maggiore Zuanne dovette vedere «Il collegamento tra la navata – nuova ed insieme arcaica –, l’aborto di transetto e la parte non demolita delle strutture medioevali di S. Vincenzo», ovvero un coacervo di conati stilistici che egli sunteggiò attribuendo all’edificio un «carattere di “loco vechio et antiquo”»140. L’interno della struttura accoglieva però «il più bel coro certo che sia in Italia, tutto frisiato sotilissimamente et lavorato de alcuni intagli fatti de nogaro con alcune porte belle et alcuni animali de varie sorte che non è possibile a descriverlo». Zuanne non mostra di sapere, ma a quegli stalli intarsiati avevano lavorato, fra il 1522 e il 1532, Lorenzo Lotto e Giovan Francesco Capoferri141; riporta invece – con una punta di grossolanità venale – che per quella struttura si erano spesi «da 9 in 10 millia ducati»; e, da liturgista quale si rivela anche in altre circo-stanze, dedica osservazioni alle qualità degli organi presenti nelle chiese del posto142.

138 Già nel febbraio del 1526 Francesco Maria della Rovere aveva provveduto a un sopralluogo, denunciando le condizioni disastrose in cui si trovavano le difese (FoPPolo 1977, 31). I lavori di rifacimento si intensificarono nel 1561, allorché Sforza Pallavicino intraprese la distruzione di Borgo Canale (ivi, 33), cui avrebbe fatto seguito quella degli altri borghi, sino al completamento dell’opera nel 1590.

139 Data infatti al 1529 la Madonna con Bambino e Santi di Jacopino Scipioni, ora nella chiesa bergamasca di San Pancrazio, dove uno degli effigiati (San Proiettizio) regge un modellino del Sant’Alessandro: vi si riconoscono la facciata porticata e il sovrastante loggiato a tre fornici, quello centrale ospitante la statua equestre del titolare (Mencaroni ZoPPeTTi 2007, 26). Appena percepi-bili, nell’ordine inferiore e ai lati del portale principale, l’Adamo ed Eva di cui, come si sta per dire, ragiona Zuanne.

140 Si cita da colMuTo Zanella 1999, 195, (42); PaGani 1988, 357. Sul soggiorno del prete friu-lano in Bergamo si veda inoltre FerlinGheTTi 2013, 302 e note.

141 corTeSi BoSco 1987. Zuanne lo vide ancora in via di realizzazione, «compiuto solamente nella balaustrata e nei ventisei stalli antistanti l’altare» (PaGani 1988, 354).

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Sempre attento al particolare curioso, meglio se dotato di venature facete, Zuanne indugia sulla superstizione che coinvolgeva a Bergamo le due sculture di Adamo ed Eva presenti sulla facciata di Sant’Alessandro, e narra come le donne locali ne erodessero vandalicamente i volti per ricavarne un supposto afrodisiaco, o un altrettanto presunto rimedio alla sterilità143; credenze che erano diffuse, con le varianti del caso, in tutta Europa, e che coinvolgevano, ancor prima che i Progenitori, santi dal nome parlante come il Foutin provenzale della chiesa di Varailles. Di passaggio, poi, nella Cappella Colleoni, dopo aver ammirato l’architettura e gli intagli classicheggianti dell’Amadeo e dopo essersi improvvisato critico d’arte per dare conto dell’insolito dinamismo dei leoni alla base dei due sepolcri del capitano bergamasco, il viaggiatore cede all’incorreg-gibile sua inclinazione umoristica e passa al blasone parlante del grande condottiero, fornendone una descrizione perfettamente in equilibrio fra scienza araldica e comicità scurrile. Le «arme» del Colleoni gli si presen-tano «con 3 coionazi dentro, grandi, doi bianchi et uno rosso: che certo è una bella cossa a vederli»144.

I «coionazi» allegramente ricordati per lo stemma del Colleoni per-dono, assieme al suffisso alterativo, ogni ilare sfumatura quando il termine acquista puro valore d’ingiuria. Di poco superata Bergamo, immessisi anzi ormai sulla strada del ritorno, i magistrati e i loro accoliti trascorrono per le località rivierasche del Benaco, attraversando una zona politica-mente delicatissima perché contigua con domini forestieri, il Milanese e l’Impero, e perché interessata da antiche rivalità giurisdizionali fra città pure ormai assoggettate alla Serenissima. La qualifica di «coion» di cui il diarista gratifica il massimo rappresentante dello Stato veneziano, il capitano e provveditore di Salò e della Riviera, è tutt’altro che scherzosa, ma appunto calzante con un quadro che ha a che vedere con tutto ciò. Fra la tarda primavera e l’estate del 1536, infatti, si era riaperta una vertenza giurisdizionale fra Salò e Brescia per cui la seconda rivendicava il diritto di estendere la propria autorità sulle contrade del Benaco. La richiesta era stata per il passato fieramente respinta dai maggiorenti salodiensi, che si erano ripetutamente querelati anche dinanzi all’autorità centrale

143 PaGani 1999, 122 (21).

144 L’ineccepibilità della descrizione meglio si comprende se la si paragona con quella latina, «Duos colionos in campo rubeo de supra et unum colionum rubeum in campo infra ipsum campum ruebeum», di un documento tardoquattrocentesco edito da Giuliana Crevatin nell’edizione a sua cura della Vita di Bartolomeo Colleoni di Antonio Cornazano (cornaZano 1990, 597; Doc. I).

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veneziana, trovando ovviamente sostegno nei delegati di quest’ultima; ma tra il maggio e il luglio del 1536 la resistenza era andata affievolendosi per responsabilità diretta del capitano e provveditore, Francesco Tron, che aveva capitolato dinanzi alla prepotenza bresciana. Fatto imprigionare ed espellere il delegato bresciano che nel giugno aveva abusivamente provveduto all’assegnazione degli alloggiamenti per la milizia locale, il Tron era tornato sui suoi passi e quell’assegnazione aveva concordato con i rettori di Brescia145. Non erano tentennamenti da poco, specie se visti dalla prospettiva squisitamente statale della delegazione sindicale: Venezia, riconoscendo alle città acquisite al suo dominio la validità degli antichi statuti locali, garantiva sì una relativa autonomia amministrativa, ma precisamente allo scopo di isolare luogo da luogo, e per meglio eser-citare così un controllo gerarchicamente superiore e onnicomprensivo. Le scaramucce giuridiche di Brescia e Salò, sfuggendo di mano al rap-presentante del potere centrale, creavano il pericoloso precedente di una autonomia che da amministrativa poteva farsi politica, e che pretendeva di conseguire con la forza delle proprie norme statutarie obiettivi che solo al governo veneto spettava di sancire. L’intemperanza verbale di Zuanne condensa, insomma, quello che doveva essere il giudizio unanime dei sin-dici e dei loro assistenti più qualificati nei confronti di un amministratore che si dimostrava totalmente – e colpevolmente – inconsapevole delle priorità del suo mandato.

6. «Illocoè FortIssImo»: lattenzIoneperlenoVItàmIlItarI