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Il ruolo defilato rispetto alla magistratura titolare comportò,

tuttavia, qualche vantaggio. Mentre i sindici, fisiche emanazioni dell’au-torità centrale, erano tenuti all’osservanza di protocolli ufficiali e perciò costretti a una permanente visibilità presso le località visitate, i funzionari tra cui Zuanne si trovava non avevano obblighi altrettanto vincolanti e, solo che disponessero di un poco di tempo libero dalle mansioni ordinarie, lo spendevano con una certà libertà: anche girovagando per diporto in

luo-ghi affatto eccentrici all’itinerario preordinato. Nessun motivo ufficiale sta

infatti alle spalle della gitarella alla casa di Petrarca ad Arquà effettuata

con Girolamo Torso mentre la magistratura sedeva nella vicina Monselice; e ancor meno si ravvisano ragioni diverse dalla personale iniziativa per le escursioni che, con il Torso sempre e con gli altri colleghi di segreteria, Zuanne compì a Ferrara, Bologna, Mantova e Milano, terre d’altra giuri-sdizione che la veneziana.

«Di lui [...] tanto è onorata la sepoltura in Arquà e la casa, ove lui stava, che di lontanissimi e remotissimi paesi vengono persone a visitar quella villa»55: l’orazione abbozzata da Sperone Speroni per la casa del Petrarca, ancorché posteriore, coglie lo sfondo emotivo retrostante alla visita del 1536 meglio di quanto trapeli dalle carte di Zuanne. Il secolo e mezzo intercorso dalla morte del poeta aveva irrobustito il culto per i

55 Sommario di un’oratione in difesa della casa del Petrarca, in SPeroni, Opere 1740, t. V, 559-564: 559; cfr. anche BellinaTi 1979, 217; BanZaTo - MaGliani 2003, 90.

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luoghi della sua estrema residenza terrena, sicché il pellegrinaggio ad Arquà era divenuto obbligo per quanti si potessero dire, a qualche titolo, uomini di lettere. Le nuove risorse messe a disposizione dall’arte tipogra-fica contribuirono in misura signitipogra-ficativa alla propaganda, con biografie che ovviamente si concludevano nel nome di Arquà e commenti alle rime petrarchesche, come quello di Alessandro Vellutello edito nel 1525, che arrivavano a ricostruire minutamente il rito funebre lì celebrato nel 1374. Giusto nel 1536, Il Petrarcha spirituale di Girolamo Malipiero si apriva con un’incisione che aveva per sfondo la località euganea56. Ma lo stile con cui il diario riporta l’arrivo nella «villa» dell’agro patavino, «cavalcassimo m. Hieronimo et mi in un logo dimandato Arquà lontano di Moncelese miglia 3», è distaccato quanto basta per far apparire Zuanne estraneo all’ormai tradizionale venerazione: il toponimo non gli dice granché, se lo deve accompagnare con la formuletta di rito per tutte le località toccate, «un logo dimandato Arquà», e anche la successiva descrizione dei cimeli petrarcheschi sembra ignorare del tutto la notorietà da essi acquisita fra gli estimatori, tanto che Zuanne si fa carico di trascrivere con qualche fatica epigrafi celebrative già comodamente disponibili in quelle edizioni cui si accennava (ma non è improbabile un tardivo ricorso a esse, come capiterà di dire nella nota al testo). Non si può stabilire con quale animo la gita venisse affrontata dall’altro partecipante, il Torso, ma è verisimile che proprio da lui, e da una più matura consapevolezza dell’aura culturale circondante la località, l’iniziativa abbia tratto origine; quel che è certo, è che l’attenzione di Zuanne rispetto alla risonanza petrarchesca del posto pare l’incidentale conseguenza di una maggiore curiosità per la funzionale distribuzione delle stanze nella dimora del poeta e per le belle vedute godibili dai poggioli.

Per quanto sommaria, la testimonianza di Zuanne precede di parec-chi decenni la descrizione della casa del Petrarca firmata da Ercole Giovannini57, e di un secolo pieno quella compresa nel Petrarcha

redi-vivus di Iacopo Filippo Tomasini58, collocandosi fra le più antiche sinora note assieme al cursorio accatastamento di un contratto di compravendita del 145459. L’edificio visitato, che allora apparteneva alla congregazione

56 Petrarcha spirituale 1536, Aiv.

57 GioVannini 1623 (l’opera risale tuttavia al tardo Cinquecento).

58 ToMaSini 1635, 136-145.

59 calleGari 1925, 8. L’atto, del 10 aprile di quell’anno, registra appunto la vendita al mona-stero di San Giorgio di Venezia.

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benedettina di San Giorgio in isola a Venezia, mancava ancora delle migliorie decorative apportatevi dai proprietari subentrati ai monaci intorno alla metà del secolo60, presentando quell’aspetto che Sperone Speroni riteneva ancora vicino all’età del Petrarca e che, nella sua ora-zione, si rammaricava non fosse stato preservato dai nuovi residenti. Zuanne non poteva vedere né gli affreschi degli interni, fatti eseguire solo successivamente e ancor oggi visibili (il Giovannini, incurante della loro data recente, li integrerà nel suo resoconto come parte del corredo origi-nario), né il portale d’ingresso in stile rustico aggiunto ancor più tardi e di cui si rammenterà il Tomasini. Per quanto si può capire, il viaggiatore del 1536 entrò nel maggiore dei due cortili ancor oggi esitenti, varcando il muro di cinta sotto una tettoia provvisoria (questa sarà stata la «bella lobia over andido», secondo il significato del friulano lòbie, «portico formato ad archi; tetto fatto in luogo aperto»)61 non più ricordata nelle successive testimonianze ma forse coincidente con la pergula del 145462; quanto al «colombaro in facia del muro» visto in questo medesimo spazio, ancorché collimi onomasticamente con la columbaria dell’atto quattrocentesco non può corripondere a essa, poiché quest’ultima era chiaramente ubicata sul fronte posteriore dell’edificio. La struttura registrata da Zuanne par-rebbe invece interessare l’accesso dal cortile alla casa, sia che fosse una sopraelevazione muraria – una specie di torretta ribassata, praticabile, adibita a spazio di servizio nel piano inferiore –, come pure un semplice elemento aggettante – ligneo e precario? – a protezione dell’ingresso. L’«altra corte salizata de quadrelli» dipende da una suddivisione dello spazio esterno non ancora effettuata nel XV secolo: dovrebbe coincidere con quella che sta a sinistra per chi guardi la facciata. Adibita a giardino secondo Zuanne, che concorda con il Giovannini e il Tomasini, mancava, allora, della scala esterna d’accesso all’edificio, che fu aggiunta da Paolo Valdezoco, proprietario dalla metà del Cinquecento e commitente di

60 Il padovano Paolo Valdezoco subentrò nella proprietà nel 1546, mentre Andrea Barbarigo ne risulta detentore per il 1556; gli succedette un altro patrizio veneto, Francesco Zen, proprietario sino al 1603 (Codice di Arquà, XIV-XV). Dei tre, il Valdezoco perpetuava con l’acquisto il culto familiare per il poeta di Laura che, sul piano testuale, il suo ascendente Bortolamio aveva concre-tizzato nell’incunabolo del Canzoniere impresso a Padova nel 1472: episodio importante nella tradi-zione delle rime, trattandosi di editradi-zione condotta direttamente sull’autografo dei Rerum vulgarium fragmenta, allora in possesso della padovana famiglia dei Santa Sofia e ora Vat. lat. 3195: su questi aspetti si veda Belloni 2001, XIII-LIV; BanZaTo - MaGliani 2003, 47, 68, 90.

61 Nuovo Pirona, s.v. Lobeâl, Lòbie.

62 Una domus partim de muro et partim de lignamine solerata coperta cuppis cum una curte et una pergula a parte anteriore ipsius domus (calleGari 1925, 9).

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riati interventi, affreschi interni compresi. A contornare il recinto Zuanne incontrò «altanette atorno atorno, con mille galantarie suso seminate»: forse aiuole cintate di mattoni (se si intepreta «altanette» come “alti-nelle”, che sono una forma di laterizio), adatte anche ad ospitare alberi di ginepro e – inevitabilmente, vien da dire, visto il ruolo simbolico dell’es-senza arborea presso il cantore di Laura – di lauro («et su ditte altane gli sono alcuni zenevuri grandi et vechi con li soi làvarni atorno ditta corte»): anche i visitatori posteriori ne videro qualcuna. Di ulteriori due spazi scoperti menzionati nel diario, il «broilo» restrostante l’edificio dovrebbe coincidere con uno dei due «broduli» del 145463, cioè con quello pian-tato a frutteto64 che il Tomasini chiama vinetum; l’altro, detto «horto» da Zuanne, è riconoscibile come l’appezzamento di minore estensione che si apre tuttora sul fianco meridionale della casa. Nel 1536 era sovrastato da un «un belissimo puozuol», ancora raffigurato nelle incisioni secentesche del Tomasini. La descrizione dell’interno si restringe sostanzialmente al piano superiore, perché il pian terreno continuava a essere impiegato alla stregua di locale di servizio, come già un secolo prima.

In assenza di quegli affreschi ispirati al Canzoniere che il Valdezoco, come detto, solo poi avrebbe commissionato, gli spazi si presentavano troppo frugali per suscitare particolare interesse, sicché il resoconto appare piuttosto veloce. La sola stanza a imprimersi nella memoria pare essere stata lo studiolo petrarchesco, probabilmente per l’angustia inver-samente proporzionale alla fama del suo antico ospite. Tuttavia Zuanne dimostra di aver preferito agli interni, sia pure carichi di memorie culte, la vista amena che si godeva all’esterno, prontamente riguadagnato affac-ciandosi al già ricordato «puozuol [...] che guarda tutti li monti et colline ivi circumvicini» e che – nuovo particolare inedito – era dotato di un «sechiaretto da lavarsi le mani»65: cioè di un lavabo. Come avrebbe poi ricordato il Tomasini, nel vano che conduce al poggiolo le pareti portavano graffiti nomi e note dei visitatori succedutisi nel tempo. A uno di questi vanno certo imputati i versi latini che Zuanne lesse sul muro del poggiuolo stesso, e che trascrivendo preservò dalla inesorabile scomparsa dovuta – vien fatto di credere – alle intemperie: «Francisci domus est Petrarche; cetera norunt Et Tagus et Ganges, forsan et Antipodes». L’anonimo autore,

63 Ivi, 9.

64 Unus brodulus camporum septem vel circa - plantatum vineis palestris et sclavis et ulivariis et aliis arboribus fructiferis et non fructiferis. (Ibid.; BanZaTo - MaGliani 2003, 83).

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che adattava al luogo e al poeta laurano il distico elegiaco sulla tomba di Pico Mirandolano in San Marco di Firenze66, mostrava di avere la stoffa del turista culturale67.