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Come ho ricevuto la commissione per il documentario

Nonostante l’esperienza con Claudio Paroli si fosse rivelata del tutto appagante (anche in termini economici), la frequenza con cui lavoravo alle

news era tutto sommato bassa. In poche parole avrei avuto bisogno di lavorare

di più per pagare l’affitto, la spesa, per vivere.

Dopo qualche vano tentativo di cercare lavoro come montatore rispondendo ad annunci online che mi rimbalzavano alla prima e-mail, presi a ciondolare per Bondi Beach (la zona in cui abitavo) iniziando a bussare alle porte di pizzerie e ristoranti.

Nel frattempo ricevetti una buona notizia. Prima di partire dall’Italia avevo lavorato con una scuola media ligure per la realizzazione di un video di cui avevo curato la regia. Il video, che aveva partecipato al concorso nazionale “I giovani ricordano la Shoah”, si era aggiudicato il primo premio.

Mi scrissero che ci sarebbe stata una premiazione in pompa magna con tanto di Presidente della Repubblica, alla quale ovviamente non avrei partecipato. Ero sorpreso e soddisfatto per quella vittoria che proprio non mi aspettavo e nemmeno avevo calcolato, ma dopo aver brevemente festeggiato davanti ad una birra, mi resi conto di quanto quella vittoria era lontana dall’Australia. La mia ragazza mi disse che l’Istituto di Cultura Italiana, dove lavorava, stava organizzando una giornata di proiezioni proprio in occasione della Giornata della Memoria e che forse, avrei potuto mostrare il video per capire se avessero voluto inserirlo nel programma.

La mia proposta fu presa in considerazione e credo non tanto per la qualità del lavoro o la tematica affrontata, ma per il fatto che il video aveva vinto un premio e che quel premio, in Italia, sarebbe stato consegnato ai ragazzi della scuola da personaggi illustri. Insomma, avrebbero proiettato il cortometraggio

questo era l’importante anche se non avevo nessun tipo di aspettativa successiva o interesse ad essere recensito su “La Fiamma27”.

Al termine della proiezione del video, dopo gli applausi e qualche commento della direttrice, diversi presenti in sala mi avvicinarono per farmi domande e apprezzamenti: sulla messa in scena, sulla bravura dei ragazzi che hanno recitato o riguardo alla natura del premio vinto in Italia (dovetti deluderne alcuni spiegando che no, non c’erano stati premi in denaro). Fu a quel punto che conobbi Umberto e Carmen Lavezzari, una coppia di settantenni che mi incuriosirono subito per il loro modo di porsi, di parlarmi e chiedermi informazioni, il tutto con uno strano accento genovese al quale la donna mescolava ritmicamente parole o frasi inglesi. Carmen andò dritta al punto evitando troppe felicitazioni di convenienza per il video ed il premio, dicendomi che voleva farmi una proposta. In qualità di vice presidente dell’Associazione Liguri d’Australia, stava organizzando una grande mostra fotografica per ricostruire, attraverso le immagini, la storia della loro immigrazione. Le feci i miei più sinceri complimenti, ma lei proseguì incurante delle mie lodi aggiungendo che quello che le interessava era un “film”, un documento da proiettare durante il periodo della mostra come ulteriore strumento per raccontare la loro esperienza. Avrebbe voluto insomma dar voce al fenomeno immigrazione grazie a interviste fatte direttamente ai protagonisti viventi che avevano partecipavano e stavano ancora partecipando a quell’avventura iniziata per molti dopo la seconda guerra mondiale. Le sue idee erano di una chiarezza spiazzzante.

Mi sembrava un progetto molto interessante tanto che, mentre la donna continuava a parlarmi senza prendere fiato e talvolta cercando rapidamente consensi con intercalari del tipo “You know?” o affermazioni come <<potrebbe essere all right>>, io già mi vedevo un pre-montaggio del lavoro con tanto di sequenze liriche paesaggistiche con emu, serpenti, dingo o

27 La Fiamma, quotidiano d’informazione italiana a Sydney. Fu pubblicato per la prima volta nel 1947

mantenendo un ruolo centrale per la comunità italiana ed essendo per lungo tempo l’unica fonte di informazione per gli immigrati italiani.

coccodrilli accompagnate da musiche drammatiche, voci off acusmatiche e altri tipi di inserti di repertorio provenienti da chissà quale archivio storico o privato. Insomma, ritornato alla realtà e riacquistata una ragionevole dose di razionalità, cercando di darmi un tono professionale dissi che sì, la proposta era interessante, ma ci sarebbero stati da definire una serie di aspetti relativi alla produzione, capire quali sarebbero dovuti essere gli spostamenti, insomma c’era bisogno di un piano di lavorazione per il quale avrei dovuto tener conto di elementi come… il budget… La donna disse che le sembrava tutto molto ragionevole e che se avessi voluto iniziare a farmi un’idea, il budget era di duemila dollari. Il resto lo avrebbero speso per la stampa delle fotografie e l’allestimento della mostra.

Beh, che dire, mi aveva spiazzato. Avrei voluto dire che andava benissimo, che il progetto mi entusiasmava e che in quel momento anche duemila dollari erano una buona cifra per le mie tasche, ma confermando il mio interesse per un progetto del genere aggiunsi che forse era il caso di parlarne più dettagliatamente per capire meglio altri aspetti e soprattutto dicendole che io non avevo nessuna conoscenza in merito al fenomeno immigratorio italiano in Australia (per non parlare dell’esperienza dei Liguri). Presi la sua business- card e prima di salutarmi, dicendomi che sarei potuto andare a trovarla a Manly prendendo un traghetto da Circolar Quai, mi presentò Umberto, il marito. Potrei scrivere pagine a pagine su questo “personaggio”, ma non sarebbero sufficienti: la cosa che capii subito, dopo aver parlato un quarto d’ora con quell’anziano signore, fu che avrei accettato quel lavoro e che Umberto avrebbe avuto sicuramente gran voce in capitolo.