Dopo aver montato le singole interviste, mi trovavo davanti ad una manciata di nuclei separati che non interagivano ancora tra loro. Ho deciso di creare una nuova sequenza (nominandola “Master”) sulla quale avrei trasferito il materiale in un ordine cronologico che avrebbe definito la struttura del documentario.
Avrei dovuto mescolare le carte nel modo più funzionale per mantenere contiguità tematica ed anche per invogliare lo spettatore a seguire la narrazione.
Una soluzione possibile per facilitare i passaggi tra un’intervista e l’altra, o per creare momenti di maggior respiro tra esse, sarebbe stata inserire delle sequenze che definirei liriche o paesaggistiche, per una migliore dialettica tra gli esterni e gli interni delle abitazioni . Avevo infatti diverse immagini della Baia di Jarvis (la località in cui avevo intervistato Maria Lambert), immagini di Sydney (sia riprese effettuate dal bus che dal ferry, il traghetto) ed alcuni esterni delle case degli immigrati, ma soprattutto le immagini di repertorio in super8. Quello di cui avevo bisogno per articolare quel girato era un supporto audio, delle musiche. Scartata subito l’ipotesi di utilizzare materiale edito e protetto da diritti di copyright, ho contattato un mio giovane amico di Carrara che studia tutt’ora composizione elettronica a Milano. Dopo avergli illustrato il progetto, Gabriele Gasparotti mi ha giustamente detto che avrebbe dovuto visionare il materiale per farsi un’idea delle immagini a cui la sua musica doveva far da commento. Capivo perfettamente la sua esigenza, ma non volevo preparargli un DVD con delle lunghe inquadrature raffiguranti canguri,
grattacieli, spiagge, fiumi o sobborghi di Sydney. Doveva vedere le sequenze montate, con i giusti tempi delle inquadrature, ma per creare questo ritmo io avevo bisogno della musica. Un cane che si mordeva la coda. Conoscendo il
suo modo di comporre, i suoi gusti, ho deciso di descrivergli per telefono le immagini che volevo musicare e qualche eventuale preferenza riguardante alcuni suoni o strumenti che sentivo adatti. In principio, questa soluzione sembrava parecchio maldestra, per niente professionale secondo Gabriele. Ma preso dall’entusiasmo sono riuscito a convincerlo aggiungendo che al massimo ci saremmo divertiti. Forse il mio background di chitarrista e la mia discreta conoscenza dell’armonia ci hanno aiutato a comunicare a distanza e, tramite internet, ho avuto modo di ascoltare i provini posizionandoli sulla
timeline e capendo subito il tipo di atmosfera che riuscivano a creare sulle
immagini. È stato curioso ricevere i files via Skype e ascoltarli in tempo reale sul computer discutendo in cuffia potenziali modifiche o semplicemente apprezzandone il risultato.
Con una soundtrack originale a disposizione non avevo più scusanti. Potevo montare liberamente senza badare alla contiguità tra un’inquadratura e l’altra lavorando sul ritmo, montando a tempo sfruttando il battere o il levare della musica per fare uno stacco o una dissolvenza. Ho iniziato a lavorare sulle immagini di Jarvis Bay pensando all’importanza che questa sequenza doveva avere. In primo luogo doveva servire a dar respiro alla struttura: la precedente intervista ad Anna Mansueto era piuttosto lunga e l’intimità raggiunta durante le riprese mi aveva suggerito scelte di piani molto stretti. Inoltre sentivo l’esigenza di mostrare un po’ di Australia: non tanto quella della metropoli di Sydney, ma quella selvatica che anche io avevo visto per la prima volta nella baia di Jarvis. Dopo l’immagine di Anna seduta nello spazio angusto della sua cucina italo-australiana, ho dissolto l’audio della scena (la canzone di Tino Meisano che la donna stava cantando con commozione) per introdurre, sulla musica di Gasparotti, lo spazio aperto e incontaminato della baia. Questa parte di montaggio è stata emozionante perché mi ha restituito (e mi restituisce tutt’ora), le sensazioni che ho provato a Jarvis. La prepotenza della natura in Australia è visibile anche a Sydney, ad Hyde Park in pieno centro, quando
passanti, o quando giri l’angolo e dietro un grattacielo di cinquanta piani, ti trovi inaspettatamente sotto le fronde di un albero incredibilmente alto.
Ma non avevo mai visto un canguro e non avevo idea di che cosa fosse un emu. A Jarvis, ho avuto il mio primo incontro ravvicinato con quegli strani animali e il materiale che ho girato, credo che in certi momenti risenta di uno sguardo curioso, come quello di un bambino di fronte alla novità. Ricordo che appena tornai a Sydney, per prima cosa spedii frammenti di quelle immagini via internet ai miei nipoti e a mia madre. Insomma, nella sequenza di Jarvis ho cercato di restituire quello stupore che ho provato sul posto, la forza di un paesaggio naturale che mi ha colto all’improvviso e che ho cercato di registrare per restituire un ritratto dettato dall’ingenuità e dalla meraviglia. La musica di Gasparotti è servita a commentare questa sequenza di spiaggie bianche, di case e giardini ripresi dall’automobile, di pellicani e canguri giganti che riposavano nel giardino dei Lambert come da noi farebbero dei sornioni cani da guardia. La sequenza procede avvicinandosi alla casa sulla baia, per poi guadagnare la cucina e la preparazione di un piatto ligure preparato per l’occasione: gnocchi al pesto. Adesso potevo inserire le interviste che già avevo montato.
Allo stesso modo ho utilizzato la musica di Gabriele per alleggerire gli altri passaggi tra un’intervista e l’altra permettendomi breve sintagmi di immagini ancora una volta utile a rallentare la tensione e prendere respiro dopo una lunga testimonianza.
Un altro brano originale (suonato e registrato da Danilo Rasori, un “collega”
videomaker), intitolato per l’occasione “City by bus”, ha accompagnato il
materiale sulla città ripreso in gran parte da un autobus con il quale ho montato l’ultimo blocco che precede di poco il finale.
Se dovessi definire il ruolo della musica in Ma se ghe pensu, potrei definirlo essenzialmente “non diegetico”, una musica di commento esterna all’azione. La terminologia è stata abilmente adattata da Chion, che ha così introdotto la distinzione tra <<musica da schermo>> (identificata in quanto <<emanante
da una fonte presente o suggerita nell’azione>>) e <<musica da buca>> (in riferimento ad una buca d’orchestra immaginaria). Tutta la musica che ho utilizzato è di natura non diegetica, salvo nella sequenza di Anna in cui, la canzone di Tino Meisano Da Spezia a Ventimiglia, proviene da una fonte visibile e percepibile nella scena. In tutti i casi assume (sempre per dirla con Chion), un valore empatico, ovvero <<partecipa direttamente alle emozioni del personaggio, vibrando simpaticamente con esse, avvolgendole, prolungandole, e amplificandole>>38, nonostante talvolta il “personaggio” sia
il paesaggio che viene mostrato. La musica è presente infatti soltanto in quelle che ho definito “sequenze liriche” e mai come sottofondo extradiegetico per commentare le testimonianze degli immigrati. Questa scelta è dovuta alla volontà di mantenere la massima aderenza alla realtà della scena, senza caricarla emotivamente per sottolineare o enfatizzare i contentuti.