3 In principio proporzionalità
3.2 Il Comitato dei diritti dell’uomo ed il principio di proporzionalità La mandatory detention
L’art. 9 ICCPR sancisce il divieto di arresto e detenzione arbitraria. L’HRC, chiamato a interpretare il concetto di arbitrary detention, in Van Alphen contro Olanda, ha chiarito che il concetto di “arbitrary detention” va oltre quello di legalità della detenzione, assumendo un significato che, anche alla luce dei lavori preparatori all’art. 9, include il rispetto di qualità come la prevedibilità e la proporzionalità della misura180.
Il Comitato si è occupato di detenzione amministrativa diverse volte a partire dal caso V.M.R.B. contro Canada (1987)181. Ha però costruito la sua giurisprudenza mediante le
pronunce sulla politica di detenzione australiana.
Il leading case è A. contro Australia182 del 1997 che si riferisce ad un caso di detenzione
di un cittadino cambogiano dal 1989 fino al 1994. Si è già accennato alla detenzione amministrativa in Australia, ma ci siamo occupati dell’aspetto “offshore”. Tale politica, che viene sviluppata dal 2001 con l’inaugurazione della “Pacific Solution”, veniva preceduta dalla detenzione sistematica (“mandatory detention”)183 dei “boat people”
giunti sulle coste australiane senza un visto regolare. Questi venivano detenuti fino alla definizione della loro situazione giuridica. Il Parlamento nel 1992 aveva autorizzato con effetto retroattivo la detenzione dei migranti giunti in Australia via mare tra il 1989 e il
179Amuur contro Francia, punto 41; Saadi contro Regno Unito, Grande camera, punto 64, corsivo aggiunto. 180HRC, CCPR/C/39/D/305/1988, van Alphen contro Olanda, 23 luglio 1990. Questo affermava ≪"arbitrariness" is not to be equated with "against the law”, but must be interpreted more broadly to include elements of inappropriateness, injustice and lack of predictability. […]≫. Aggiungeva: ≪Further, remand in custody must be necessary in all the circumstances, for example, to prevent flight, interference with evidence or the recurrence of crime≫
181HRC, CCPR/C/33/D/236/1987, V. R. M. B. contro Canada, 18 luglio 1988. 182HRC, CCPR/C/59/D/560/1993, A contro Australia, 30 aprile 1997. 183 A contro Australia, punto 7.3, corsivo aggiunto.
43 1992, prevedendo, di lì, una durata massima di duecentosettantatre giorni, poi rimossa nel 1994. Il Parlamento australiano estendeva la mandatory detention a tutti gli stranieri giunti irregolarmente sul territorio dello Stato australiano.
Nel caso A. contro Australia, questa rivendicava di praticare una simile politica per evitare che si insediassero nella comunità stranieri non autorizzati ad entrare e per assicurarsi la disponibilità degli stessi nel caso in cui la loro richiesta di entrare fosse stata respinta184.
Il Comitato era chiamato a chiarire se il mero ingresso illegale potesse di per sé giustificare una ≪indefinite and prolonged detention≫185. Qui il Comitato definiva il test
che attuerà di lì in poi nel campo della detenzione amministrativa, affermando che ≪la detenzione non dovrebbe continuare oltre il periodo per cui lo Stato può fornire una giustificazione appropriata≫. Ritiene che dal mero ingresso illegale possa discendere la necessità di svolgere indagini, che giustificherebbero un breve periodo di detenzione. In seguito, devono esservi motivi di carattere qualificato, quali il rischio di fuga o la mancanza di cooperazione. L’HRC giustifica così una politica che, in contrapposizione con la mandatory detention, potremmo definire di “basic detention upon arrival”. Tale politica è strettamente correlata all’esigenza di “schedare” chi entra, per conoscere l’identità, il Paese di provenienza, l’eventuale profilo criminale, per ridurre in modo radicale la fuga di stranieri prima dell’identificazione. Così, all’ingresso, o comunque al contatto tra autorità e straniero, vi è il “bilanciamento” tra interessi contrapposti, che dopo un breve periodo deve esaurirsi nella prevalenza del diritto alla libertà.
Allora l’Australia avrebbe di certo potuto trattenere i ”boat people” anche per l’esame della domanda, ma solo laddove, all’esito di una valutazione individuale, fosse risultata la sussistenza di un rischio di fuga o la mancanza di cooperazione a giustificazione della misura186. Invece, lo Stato non dimostrava che vi fossero adeguate giustificazioni per una
detenzione prolungata, così l’HRC concludeva per la violazione dell’art. 9 § 1, ICPPR. In C contro Australia187 (1999) l’HRC è giunto alla medesima conclusione chiarendo
altresì che è dovere dello Stato operarsi per adeguare il trattamento del richiedente anche alle mutate circostanze personali. Ciò vuol dire che i canoni “funzionalistici” dell’idoneità e della necessarietà sono insufficienti per il rispetto dell’art. 9, implicando questo un sindacato sull’”adeguatezza” che potrebbe così portare verso l’abbandono della detenzione, seppure ogni altra misura potrebbe non essere sufficiente a realizzare lo
184A contro Australia, punto 7.1, corsivo aggiunto. 185A contro Australia, punto 9.2
186Il General comment n. 35 del 2014 (CCPR/C/GC/35, p. 5-6, punto 18) supporta l’interpretazione della norma che fin qui si è proposta. Il Comitato afferma che ≪i richiedenti asilo che entrano illegalmente nel territorio di uno Stato possono essere detenuti per un breve periodo iniziale per poter documentare il loro ingresso, registrare le loro richieste, e determinare la loro identità se questa è in dubbio≫. Afferma poi che sarebbe arbitrario detenerli, mentre la loro domanda viene esaminata, laddove non sussistano particolari esigenze (come evitare una fuga probabile), che potrebbero ostacolare quelle di carattere amministrativo e che con misure alternative non potrebbero essere soddisfatte. Vedi anche HRC, CCPR/c/74/D/794/1998, Samba Jalloh
contro Olanda, 26 marzo 2002, punto 8.2.
44 scopo. Nel bilanciamento pesano soprattutto le condizioni di salute del detenuto188 e la
sua situazione familiare189.
Va posto l’accento su un ultimo profilo. Già nelle Concluding Observations del 1995 sugli Stati Uniti, l’HCR invitava a metter fine alla politica di detenzione potenzialmente indefinita, definendone un termine massimo di durata per coloro che, allo stato degli atti, non potessero essere allontanati dal territorio190. È poi ritornata sul punto in una
serie di ricorsi individuali in cui ha ribadito il principio secondo cui: ≪individuals must not be detained indefinitely on immigration control grounds if the State party is unable to carry out their expulsion≫191.
Alla luce di questa analisi, va certamente condivisa l’osservazione di Wilsher, che ritiene che per l’HRC, nell’incontro tra i poteri del sovrano e la libertà del migrante, l’unico “diritto” fondamentale sia quello del migrante192.