3 In principio proporzionalità
3.3 Il principio di proporzionalità nell’Ue
3.3.3 La durata della detenzione La ragionevole prospettiva di allontanamento
avere la ≪durata quanto più breve possibile≫. Si impone altresì un obbligo di diligenza a carico delle autorità nazionali. Di talché il trattenimento non può durare per più di quel
202Questo dispone che ≪fatto salvo l'arresto iniziale da parte delle autorità incaricate dell'applicazione della legge, disciplinato dal diritto nazionale, il trattenimento dovrebbe di norma avvenire presso gli appositi centri di permanenza temporanea≫.
203La Commissione europea ha invitato a limitare il termine massimo del “fermo” a quarantotto ore, eccetto nei casi in cui venga disposto in zone di frontiera.
204La Corte ha infatti affermato che ≪la finalità della direttiva 2008/115 – ossia l’efficace rimpatrio dei cittadini
di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare – risulterebbe compromessa se gli Stati membri non potessero evitare,
mediante una privazione di libertà come il fermo di polizia, che una persona sospettata di soggiornare irregolarmente fugga ancora prima che la sua situazione abbia potuto essere chiarita≫.
205Recentemente, la Commissione europea (Recommendation of 7.3.2017 on making returns more effective when
implementing the Directive 2008/115/EC of the European Parliament and of the Council, C(2017) 1600 final, in
www.ec.europa.eu, 7 marzo 2017) ha raccomandato gli Stati di eliminare il divieto di rimpatrio dei minori non
accompagnati in quanto potrebbe fungere da “pull factor” verso l’Ue, ed in quanto il rimpatrio potrebbe essere
nel “best interest of the child”. La Commissione ha poi invitato gli Stati a ripensare il divieto assoluto di
trattenimento dei minori, che, evidentemente, amplifica il rischio di fuga, invalidando le operazioni di
48 che sarebbe necessario se le autorità effettuassero le pratiche amministrative con la ≪debita diligenza≫206.
Il regolamento Dublino dispone, rafforzando la diligenza richiesta allo Stato membro, che ≪qualora una persona sia trattenuta≫ per realizzare un trasferimento, lo stesso ≪deve avvenire non appena ciò sia materialmente possibile≫.
Ovviamente poi la sussistenza dei motivi del trattenimento non giustifica lo stesso a tempo indeterminato. Infatti, quando quelle condizioni non sussistono più, viene meno la ragione giustificativa della detenzione. Stesso discorso vale quando la privazione della libertà personale, in corso di detenzione prolungata, appaia sproporzionata rispetto allo scopo da perseguire, e, per quanto riguarda la direttiva rimpatri, quando ≪non esiste più alcuna prospettiva ragionevole di allontanamento≫. Preliminare all’esame di tale profilo è l’esame della durata massima della detenzione, stabilita solo dalla direttiva rimpatri207 e
dal regolamento Dublino.
L’art 15, § 5, dir. 2008/115/CE impone che ciascuno Stato membro fissi nel diritto interno la durata massima. Questa non può essere superiore ai sei mesi, salvo che non si renda necessario un prolungamento, in quanto, pur essendo stato compiuto ogni sforzo, ≪la mancata cooperazione≫ dello straniero o ≪i ritardi nell’ottenimento della necessaria documentazione da parte dei paesi terzi≫ causano un ritardo nella conclusione del procedimento. Questi motivi di cui al § 6 si aggiungono a quelli che giustificano il trattenimento per il primo periodo, che devono permanere per tutta la durata della detenzione208. La durata di questa seconda “tranche” non può mai essere superiore a
dodici mesi209.
206La direttiva accoglienza trae quella che è la principale conseguenza della violazione di tale regola, ovvero che eventuali ≪ritardi nelle procedure amministrative non imputabili al richiedente non giustificano un prolungamento del trattenimento≫. Si tratta – come notato a proposito della giurisprudenza CEDU - di un’applicazione del canone di adeguatezza, che qui si traduce nel fatto che la detenzione non possa essere prolungata se, con un espletamento diligente della procedura amministrativa, le autorità avrebbero potuto realizzare lo scopo cui la stessa è funzionale. Ciò andrebbe infatti oltre il tollerabile.
207La dir. 2008/115/CE ha portato ≪alla convergenza≫ della durata massima del trattenimento negli Stati
membri dell’Unione europea. Complessivamente, sottolinea la Commissione europea, Comunicazione della
commissione al consiglio e al parlamento europeo sulla politica di rimpatrio dell'Unione europea, COM(2014) 199
final in www.ec.europa.eu, 28 marzo 2014., p. 19-20, tale livellamento è stato al ribasso, ma la situazione è ben più complessa. Otto Stati membri hanno aumentato la durata, tredici l’hanno diminuita. Va calcolato però che ≪in almeno nove Stati≫ non era previsto un termine massimo e che la durata massima prevista dalla c.d. “direttiva rimpatri” e assunta a parametro di adeguamento è di diciotto mesi.
208Art. 15 § 4 dir. 2008/115/CE.
209Questa norma ha attratto diverse critiche ragionevoli da parte della dottrina. Vi è chi come CAMPESI, Le
libertà degli stranieri, cit., p. 386, ha sostenuto che il prolungamento della detenzione basato sul
comportamento non collaborativo dell’espellendo rappresenti ≪una sorta di punizione dalla malcelata finalità deterrente≫. Vedi anche BALDACCINI, op, cit., p. 130.Le criticità aumentano se si considera che la Corte di giustizia, nel caso Kadzoev, ha chiarito che ≪il periodo durante il quale una persona è stata collocata in un Centro di permanenza temporanea […] non deve essere considerato un trattenimento ai fini dell’allontanamento ai sensi dell’art. 15 della direttiva 2008/115≫. Ciò significa che, laddove uno straniero in stato di privazione della libertà nell’ambito di un procedimento di rimpatrio presenti una domanda di protezione internazionale, come efficacemente spiegato da WILSHER, op. cit., p. 196, viene ≪fermato
49 Nella procedura di trasferimento di cui al reg. (UE) 604/2013, lo Stato membro che ha ricevuto una domanda di protezione internazionale, ma che non si ritiene competente, può chiedere allo Stato membro che considera competente di ≪prendere in carico≫ il richiedente protezione internazionale. Quando in questo procedimento si innesta il trattenimento del richiedente protezione, tale richiesta deve essere effettuata entro un mese dalla data della domanda210. Terminato tale periodo, il richiedente protezione
internazionale deve essere rilasciato. Presentata nei termini la richiesta, laddove entro due settimane non pervenga la risposta dell’altro Stato membro, il silenzio equivale ad accettazione e comporta l’obbligo dello Stato richiesto di prendere o di riprendere in carico il richiedente. Dall’accettazione (anche implicita) oppure dal venir meno dell’effetto sospensivo del ricorso o della revisione211 (momento a partire dal quale è
possibile disporre il trasferimento) decorre il termine accelerato di sei settimane per effettuare la presa o ripresa in carico della persona trattenuta212. Anche qui, laddove il
termine decorra infruttuosamente, il richiedente dovrà essere rimesso in libertà.
A tal punto è possibile tornare a riflettere sulle “ragionevoli prospettive di allontanamento”.
In Kadzoev, la Corte di giustizia ha chiarito che per tale concetto si debba intendere ≪una concreta prospettiva di esecuzione dell’allontanamento≫, che deve essere apprezzata con riguardo ai termini fissati dall’art. 15, § 5 e 6, e quindi rispetto alle cause che giustificano il primo periodo di trattenimento e quelle che giustificano il suo prolungamento. Questa “concreta prospettiva” non sussiste se appare ≪poco probabile≫ che l’interessato venga accolto in un paese terzo nel rispetto dei suddetti termini213.
Pretendere che vi sia una prospettiva concreta di allontanamento significa cristallizzare nel dato normativo una specifica declinazione del principio di
l’orologio sotto la direttiva rimpatri≫ (trad. nostra), quindi il trattenimento complessivo potrebbe legittimamente andare oltre i diciotto mesi.
210Art. 28, § 3, reg. (UE) 604/2013. 211Vedi art. 27, reg. (UE) 604/2013.
212Ai sensi dell’art. 29,reg. (UE) 604/2013, in assenza di trattenimento il termine per il trasferimento, che va dall’accettazione della richiesta, è di sei mesi.
213Come già ricordato, il paragrafo 1, richiedendo la “due diligence”, impedisce un prolungamento del
trattenimento laddove questo sia imputabile alle autorità nazionali, e impone così il rilascio al giudice del riesame. Per cui tale ipotesi non dovrebbe ricadere sotto il paragrafo 1. Diversamente, laddove il ritardo venga ostacolato da cause imputabili alle autorità nazionali, non in conseguenza però di una loro negligenza, la “concreta prospettiva” di allontanamento deve necessariamente essere apprezzata nel primo termine previsto dalla normativa nazionale - comunque non superiore a sei mesi - in quanto un prolungamento per un secondo periodo, al massimo di dodici mesi, non potrebbe essere previsto per cause imputabili allo Stato membro, ma solo allo straniero o al paese terzo (sul c.d. ≪blame attribution approach≫ vedi MANANASHVILI, op. cit., p. 752-753). Per cui, in tale caso, l’autorità che effettua il riesame deve chiedersi se appare “concreta” la prospettiva, e quindi probabile, che le autorità riescano a rimpatriare il trattenuto entro il termine di cui al paragrafo 5, rimuovendo la causa che ostacola il rimpatrio, quindi ad esempio, procurandosi il vettore per il trasporto. Allo stesso modo, laddove il ritardo sia imputabile allo straniero o al paese terzo, l’autorità del riesame non deve chiedersi se sia o meno “possibile” che nel lungo periodo il paese terzo fornisca la necessaria documentazione o che lo straniero cessi di ostacolare il rimpatrio.,
50 proporzionalità214 che trova un’importante elaborazione anche nella giurisprudenza
CEDU215 e dell’HRC.
3.3.3.1 Il dovere di espellerli, l’impossibilita di farlo: una vita dentro?
Ricordano i giudici di Lussemburgo in Kadzoev che decorso il termine di cui all’art. 15, § 6, il trattenuto deve essere rilasciato216.
Eppure, la stessa Corte di giustizia in El Dridi ha ritenuto che anche dopo il rilascio la decisione di rimpatrio ≪continua a produrre i suoi effetti≫ e che, quindi, non cessa l’obbligo dello Stato membro di tentare di dare esecuzione alla stessa217. Ai nostri fini, il
problema è che la direttiva rimpatri non si preoccupa del “poi”, nonostante la percentuale delle persone espulse dopo il trattenimento è assai lontana dal 100%, condizione su cui evidentemente poggia la regolamentazione. Infatti, come chiarito dalla Corte nel caso Mahdi, nell’ipotesi in cui lo straniero venga rilasciato per assenza di ragionevoli prospettive di allontanamento (ma stesso discorso vale nel caso di decorrenza dei termini), la dir. 2008/115/CE non impone agli Stati membri di fornire allo straniero un titolo per permanere regolarmente sul loro territorio. Il rilascio dei titoli ≪per motivi caritatevoli, umanitari o di altra natura≫218 rimane una facoltà, non un obbligo giuridico.
In assenza di una posizione della Corte sul punto, come rileva Romano, ≪la risposta alla domanda: che ne è dello straniero rilasciato e inespellibile sul quale continua a gravare un provvedimento di espulsione, rimane interamente affidata alla disciplina statale≫219.
Allora ci si chiede se, dopo aver disposto la liberazione dell’espellendo, sia possibile disporre un nuovo trattenimento dopo un periodo di libertà.
Il principio di proporzionalità impone che la detenzione sia anche adeguata. Sembra di per sé inaccettabile un’ulteriore compressione della libertà personale giustificata sulla base dello stesso presupposto, e cioè l’irregolarità dello status. L’interpretazione che pare più in linea con l’intento della direttiva di non impedire l’esercizio dei poteri coercitivi in una materia intimamente sovrana e, allo stesso tempo, fissare seri limiti agli stessi, porta alla conclusione che, spirato il termine massimo di diciotto mesi, le autorità amministrative hanno “esaurito” il loro potere d’interferenza sulla libertà personale, cosicché possono essere utilizzate solo misure alternative detenzione220.
Ci sembra ragionevole ritenere che sia possibile ridisporre il trattenimento, laddove lo straniero sia stato rimesso in libertà in quanto non sussistevano ragionevoli prospettive di allontanamento e le stesse possano ritenersi sopravvenute quando si trovi in libertà.
214Vedi Kadzoev, Presa di posizione dell’avvocato generale Ján mazák, 10 novembre 2009 215Si ricordino in particolare le riflessioni suscitate dalla sentenza Mikolenko v. Estonia. 216Kadzoev, punto 60.
217Corte di giustizia, El Dridi, causa 61/11 PPU, 28 aprile 2011, in curia.europa.eu, punto 58.
218Art. 6, § 4, dir. 2008/115/CE.
219A.ROMANO, La Corte di giustizia e la direttiva “rimpatri”, in Questione giust., n. 3/2014, p. 117, corsivo aggiunto.
51 Sempre che la detenzione non sia già durata oltre i termini massimi consentiti dal diritto nazionale e si mantenga all’interno degli stessi221.
In Mahdi, la Corte ha anche affermato che, in base al considerando 12 della direttiva, incombe sugli Stati membri l’obbligo di rilasciare la c.d. “conferma scritta” della situazione dello straniero che non è ancora possibile allontanare. Non è chiaro quali garanzie attribuisca. L’Avvocato generale riteneva che ≪un documento di tal genere permetterebbe di evitare che la persona sia fatta nuovamente oggetto di fermo […] nel caso in cui le venisse richiesto ancora una volta di provare la sua situazione specifica in occasione di una verifica o di un controllo amministrativo≫. Allora, sviluppando tali considerazioni, il trattenimento sarebbe vietato “rebus sic stantibus” e le autorità nazionali avrebbero l’onere di dimostrare la probabilità del rimpatrio e, quindi, l’inattualità di quella conferma scritta. Questa soluzione permetterebbe di evitare inutili periodi di trattenimento, funzionali ad accertare ciò che le autorità nazionali già conoscono. È quindi l’unica interpretazione che pare rispettosa del canone della buona fede imposto dalla giurisprudenza CEDU.