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Nel comma 3 della norma in esame si esprime, seppure in modo non particolarmente felice, il principio che si è detto

pre-siedere al meccanismo di tutela disciplinato dal D.P.R. n. 636, in base al quale — utilizzando a contrario la formula evidenziata nello stesso comma — i ricorsi contro gli atti impugnabili sono di norma ammessi soltanto per « vizi loro propri ».

Che cosa ciò significhi in particolare è problema che ha varia-mente impegnato dottrina e giurisprudenza, anche in rapporto alle diverse configurazioni sistematiche prospettate per l'intera mate-ria (133).

(131) Per più ampie indicazioni in materia, v. il commento (di GLENDI) al-l'art. 39 del D.P.R. n. 636 del 1972, in Commentario, cit., par. 13.

(132) Del resto, e più in generale, anche nel processo tributario ormai pa-cificamente si ammette la translatio iudicii nel caso di ricorso presentato a

com-missione incompetente: sull'argomento v. amplius il commento (di GLENDI) all'art.

2 D.P.R. n. 636 del 1972, in Commentario, cit., par. 6; MAGNANI, voce Commissio-ni tributarie, loc. cit.; nonché, da ultimo, Comm. centr. 15 novembre 1989, n.

6657, in Fisco, 1990, 1772; Cass. civ., 1" giugno 1990, n. 5150, ivi, 4286.

(133) Cfr. DE MITA, Le iscrizioni a ruolo delle imposte sui redditi, cit., 302

ss.; TREMONTI, Imposizione e definitività, cit., 249; MAFFEZZONI F., Atti impugna-bili e funzione del processo avanti le commissioni tributarie, cit., 1558 ss.;

Non pare dubitabile che da ciò emerga una sorta di specializ-zazione (e quindi di autonomia) nella connotazione dei singoli atti, ai fini specifici della loro regolamentazione nella dinamica dei fatti processuali. La formulazione della norma si muove in effetti in una prospettiva di individuazione degli elementi che di volta in volta caratterizzano l'espressione esterna dell'operare dell'Amministra-zione finanziaria, per appuntare su di essi l'iniziativa di contesta-zione del contribuente.

Assodato che ciò che distingue il singolo atto è in particolare il suo oggetto, ossia l'effetto che esso specificamente produce nel mondo delle situazioni giuridiche investite dal suo contenuto pre-cettivo, in cui appunto si esteriorizza l'esercizio della funzione (am-ministrativa) espletata in quella determinata fase del procedimento di applicazione dei tributi, è con riferimento ad esso che in concre-to deve essere individuata l'esistenza e la rilevanza dei motivi da far valere in sede d'impugnazione.

I vizi propri dell'atto non sono dunque in linea di principio tutti i possibili vizi concernenti la pretesa fiscale nel suo complesso, ma soltanto quelli evidenziabili con riferimento al suo contenuto carat-teristico, e segnatamente all'oggetto.

In questo senso si può dare un significato preciso alla norma, in armonia con la connotazione che la disciplina ha assunto, nono-stante una certa farraginosità della formulazione. Il suo testo, che in origine disponeva che « il ricorso contro l'ingiunzione o il ruolo è ammesso soltanto se tali atti non sono stati preceduti dalla notifica-zione dell'avviso di accertamento o del provvedimento che irroga le sanzioni pecuniarie ovvero per vizi loro propri », non sembra es-sere significativamente cambiato a seguito della nuova stesura, ri-proponendo una regola che già in precedenza aveva dato luogo a dubbi e divergenze sulla sua effettiva portata (134).

A parte infatti l'inclusione del riferimento all'avviso di mora e all'avviso di liquidazione dell'imposta, la formula in vigore sembra essere più che altro una rielaborazione di tipo lessicale del testo precedente, senza variazioni sostanziali apprezzabili (135).

( 1 3 4 ) C f r . G L E N D I , L'oggetto, cit., 4 3 2 ss.

(135) Se non per l'indicazione delle sanzioni tout court al posto delle

san-zioni pecuniarie, come già rilevato a proposito del contenuto del comma 1, e che tuttavia non appare di così sicura interpretazione; v. supra par. 5, anche per le

ul-— 5 8 1 ul-

—-Riguardo alla sua portata, occorre anzitutto chiarire il senso del riferimento alla mancata notificazione dell'avviso di accerta-mento o dell'avviso di liquidazione dell'imposta o del provvedimen-to sanzionaprovvedimen-torio.

Tale mancata notificazione può in effetti dipendere essenzial-mente da due ordini di motivi, e cioè dalla omissione (o nullità) del-la notifica di un atto, del-la cui previa emanazione è espressamente prevista nel procedimento di applicazione del tributo, ovvero dal fatto che invece tale precedente emissione non sia normativamente contemplata. Nel primo si ha evidentemente una deviazione dall'i-ter normale di esplicazione dell'attività amministrativa prefigurato dalla legge, nel secondo si realizza al contrario un'ipotesi di contra-zione della procedura voluta dallo stesso legislatore.

Così come riconosciuto in dottrina e in giurisprudenza (136), pare che, per adeguate ragioni di carattere formale e sostanziale, l'omissione — o nullità — della notificazione dell'atto che doveva normativamente precedere l'ingiunzione, il ruolo e l'avviso di mora (identificato nell'avviso di accertamento, di liquidazione, e nel provvedimento che irroga la sanzione), possa costituire di per sé valido motivo d'impugnazione e congruo presupposto per l'annulla-mento dell'atto emesso in sua mancanza (137); potrebbero altri-menti aprirsi per gli uffici possibilità di mutamento delle procedure non previste dalla legge, con riflessi assai negativi sul corretto svol-gimento dell'attività amministrativa e sulla garanzia delle posizioni soggettive interessate. La circostanza che un determinato atto in certi casi cumuli caratteri e funzioni proprie di altri atti non può in-fatti che essere ipotesi risultante da espressa regolamentazione normativa, sulla base della quale si determina conseguentemente un particolare assetto della procedura: al di fuori di questo, si ha semplicemente una fattispecie di illegittimità nell'esercizio del po-tere d'imposizione che dà fondamento ad un (ulteriore) motivo di censura (è solo da notare la naturale equivalenza a questi fini tra l'omissione dell'emanazione dell'atto e la sua mancata notifica, pur

teriori indicazioni. Quanto all'attualità dei riferimenti all'ingiunzione, v. le consi-derazioni svolte supra, al par. 6.

(136) V. GLENDI, op. cit., 434; Cass. civ., 22 ottobre 1981, n. 5229, in Giu-st. civ., 1982, I, 700.

(137) V. Comm. centr., 17 marzo 1986, n. 2385, in Comm. trib. centr.,

quando esso esita — perché non avvenuta o perché affetta da nulli-t à — , il che semplicemennulli-te ne conferma il caranulli-tnulli-tere recenulli-tnulli-tizio).

Altro è il caso in cui non sia previsto che l'avviso di accerta-mento, l'avviso di liquidazione e il provvedimento irrogatorio della sanzione debbano precedere l'emanazione dell'ingiunzione, del ruolo o dell'avviso di mora. Per la nuova formulazione della norma ora inserita al comma 3 dell'art. 16, si ammette il ricorso contro tali ultimi atti « anche per motivi diversi da quelli relativi a vizi loro propri », con un'espressione che appare non del tutto chiara nel suo significato. In effetti, i motivi di cui si parla non possono con-cernere vizi di altri atti, che qui non sussistono, pur esulando dalla pura e semplice considerazione dei predetti « vizi propri ».

Si tratta dunque di motivi in un certo senso a sé stanti, che tro-vano il loro punto di riferimento al di fuori dell'area di norma diret-tamente investita dagli effetti del provvedimento che si impugna, in un ordine di argomentazioni che logicamente precede quello tipolo-gicamente proprio all'atto stesso, costituendone comunque il pre-supposto necessario e trovando perciò in esso naturale specificazio-ne. Tali motivi attengono essenzialmente alla generale condizione del soggetto passivo nei confronti dell'Amministrazione finanziaria, con riguardo in particolare a quanto non sia stato già precedente-mente definito in modo irreversibile attraverso l'operare del mec-canismo delle decadenze e dell'intervenuta immodificabilità delle situazioni così regolamentate.

La mancata corrispondenza alla legge di quanto presupposto con riferimento alla suddetta condizione determina l'impugnabilità, nei termini previsti, dell'ingiunzione, del ruolo e dell'avviso di mo-ra « anche per motivi diversi da quelli relativi a vizi loro propri », cioè proprio per una sorta di illegittimità sostanziale che ne inficia alla base il contenuto.

Nonostante il legislatore sembri individuare a questo proposito una sfera di elementi patologici propri dell'atto, per distinguerli da quelli cui hanno riguardo i detti motivi, pare corretto ritenere che la generale configurazione della materia comporti un'assimilazione agli effetti processuali dei due ordini di elementi, sì da poter consi-derare anche i secondi, in questi particolari casi, come vizi dell'at-to (138).

(138) Altrimenti in effetti vi sarebbe un controsenso: v. GLENDI, L'oggetto, cit., 4 3 6 ss.

— 5 8 3 —

Ritenere diversamente significherebbe allontanarsi da quel meccanismo rigoroso di fasi concatenate che si è visto caratterizza-re fondamentalmente il processo in questione, secondo un sistema vòlto appunto a determinare una progressiva definizione della posi-zione del contribuente nei confronti dell'Amministraposi-zione finanzia-ria attraverso il graduale consolidamento derivante dalla raggiunta definitività degli atti da questa emanati o delle decisioni emesse dalle commissioni tributarie. Il procedimento di applicazione delle imposte è così costituito in senso lineare, e senza soluzioni di connuità, da una serie più o meno vasta — in relazione alle svariate ti-pologie strutturali e di applicazione dei tributi — di momenti in cui si puntualizza lo stato del rapporto che mette in relazione il sogget-to passivo con l'ente imposisogget-tore. Tali momenti acquistano rilevanza sul piano formale secondo sequenze la cui caratteristica fondamen-tale è appunto quella di una progressiva (e irreversibile) acquisizio-ne di certezza giuridica sulla sussistenza e sulla regolamentazioacquisizio-ne di determinate fattispecie.

Ciò corrisponde a un'esigenza fondamentale dell'ordinamento tributario, che trova nell'attuale disciplina del processo contenuta nel D.P.R. n. 636 del 1972 un'espressione abbastanza eloquente, seppure non sempre convenientemente e congruamente evidenzia-ta (139). Il che spiega d'altronde le incertezze che ancora sussisto-no in sede applicativa sul funzionamento dell'indicato sistema, sia in dottrina che in giurisprudenza, conseguenti (anche) alla tradizio-nale varietà e complessità del contenzioso in materia fiscale, origi-ne di elaborazioni teoriche ed interpretative piuttosto divergen-ti (140) e al fatto che solo recentemente la regolamentazione della materia ha avuto un indirizzo orientato verso una più marcata con-notazione di omogeneità e di coerenza.

Per quel che specificamente concerne il principio in esame, contenuto nell'abrogato comma 2 e nell'attuale comma 3 dell'art. 16, la giurisprudenza ne ha dato ripetuti, conseguenti riscontri (141).

(139) Per quanto in particolare concerne la — normativamente assente — regolamentazione del rapporto tra atto d'accertamento ed avviso di liquidazione,

e tra iscrizione a ruolo e avviso di mora, v. GLENDI, L'oggetto, cit., 437, nel testo

e a nota 84.

(140) Cfr. supra, par. 1.

(141) Con riferimento al' ruolo, v. Comm. centr., 7 marzo 1984, n. 2245, in

Boll, trib., 1985, 1678; ID., 15 ottobre 1985, n. 8552, cit.; con riguardo

all'ingiun-zione, per l'inammissibilità del ricorso in mancanza di impugnativa contro l'avviso

È stata anche ritenuta l'inammissibilità del ricorso contro il ruolo proposto per contestare il rifiuto di riconoscimento della spet-tanza di un'esenzione, formalizzato in precedenza con atto del-l'Amministrazione non impugnato dal contribuente (142).

Quanto all'identificazione dei « vizi propri » dell'atto, essi pos-sono evidentemente rilevare sia sul piano sostanziale che su quello formale, a seconda che riguardino rispettivamente elementi che hanno attinenza alla realizzazione del prelievo, o che invece con-cernano specificamente la regolarità della procedura seguita, con una varietà di contenuti dipendente sia dalla tipologia dell'atto che dalla concreta funzione ad esso riferibile nella dinamica del proce-dimento applicativo del tributo.

Per completezza, conviene ricordare come, con l'art. 1, com-ma 3, D.P.R. n. 636, siano state trasferite alla giurisdizione delle commissioni tributarie particolari controversie promosse da singoli possessori di fondi in materia catastale, precedentemente attribuite alle commissioni censuarie, ora attratte alla sfera di cognizione de-gli organi di giustizia tributaria verosimilmente per contiguità d'og-getto, senza che nella norma suindicata e neppure nell'art. 16 si provveda ad ulteriori specificazioni in argomento (143).

Ciò determina seri dubbi sulle modalità di collegamento tra le diverse normative, date anche la varietà e l'articolazione della di-sciplina tuttora vigente delle operazioni catastali contenuta in vari testi di legge pre-riforma (144): testi cui il successivo D.P.R. 29 set-tembre 1973, n. 604 (sulla revisione degli estimi e del classamento del catasto terreni e del catasto edilizio urbano) ha operato ampi

r i n v ì i .

di liquidazione, v. Comm. centr., 28 maggio 1982, n. 2841 in D ^ Prat trib

1983; II, 374 ss.; Io., 29 maggio 1982, n. 1280, m Boll. nò.. 1983 536 ss.,

Comm trib. di 1° grado di Roma, 27 giugno 1983, in Consulenza, 1984 110; l o . ,

10 gennaio 1983, ivi, 1984 , 300; Comm. centr., 13 luglio 1983, n. 2049, in Dir.

I J t b 1984 II, 774; Comm. centr., 15 ottobre 1986, n. 7773, m Fisco 1987,

4751- Comm trib. di 2° grado di Pavia, 20 gennaio 1987, ivi, 1987, 4173; Comm.

trib di 1° grado di Roma, 16 giugno 1987, in Corr. trib., 1987,2574.

(142) V Cass civ 6 luglio 1978, n. 3343, cit.; nello stesso ordine di

consi-derazioni, v. Cass. civ., 26 gennaio 1987, n. 722, cit; Comm. centr., 27 gennaio

1 9 8 6' (143)3 V.' il commento all'art. 1 del D.P.R. n. 636 del 1972, in Commentano, cit., par. 20, anche per gli opportuni riferimenti bibliografici.

(144) Tra i quali v. il R.D. 8 ottobre 1931, n. 1572; R.D. 12 ottobre 1933, n. 1539- R D. 8 dicembre 1938, n. 2153; R.D.L. 9 aprile 1939, n. 589, conv. con mod. nella L 29 giugno 1939, n. 976; R.D.L. 13 aprile 1939, n. 652, conv. con mod. nel-la L. 11 agosto 1939, n. 1249; D.P.R. 1° dicembre 1949, n. 1149.

— 5 8 5

—-V'è da tener presente infatti che, secondo la particolare rego-lamentazione del catasto: a) non sempre gli atti che corrispondono alle operazioni c.d. individuali (contemplate al comma 3 dell'art. 1 D . P . R. n. 636) sono direttamente notificati agli interessati, ricorren-dosi talvolta alla pubblicazione degli stessi, quale forma di comuni-cazione da cui decorre il periodo utile per eventuali contestazio-ni (145); b) la soppressione della procedura normalmente prevista per il riesame delle operazioni effettuate appare di assai dubbia congruenza ed efficacia (146); c) lo stesso regime dei termini sem-bra poco compatibile con quello regolato dal comma 5 dell'art. 16 D . P . R. n. 636, chiaramente dedicato alle controversie basate sulla emanazione degli atti impositivi indicati al comma 1 (147).

Dubbi e incertezze sono evidentemente il risultato di una rego-lamentazione chiaramente aggiuntiva, che ha voluto con una certa frettolosità eliminare le attribuzioni giurisdizionali delle commissio-ni censuarie in materia catastale: l'intera disciplina del processo ex D . P . R. n. 636, completamente modellato sui ritmi dell'imposizione tributaria, lo dimostra.

Questo per quanto riguarda i provvedimenti conseguenti alle operazioni individuali: per quel che concerne i risultati delle opera-zioni generali, è da ritenersi debba valere la regola sancita dal comma 4 dell'art. 16 (148) sulla disapplicazione da parte della com-missione tributaria in relazione all'oggetto dedotto in giudizio, salva l'eventuale impugnazione nella diversa sede competente ( T . A . R . ) .

V'è solo da aggiungere una considerazione sulla possibilità che un atto catastale « individuale », concernente la materia prevista dal comma 3 dell'art. 1, ritualmente comunicato al possessore, co-stituisca presupposto per l'emanazione di uno degli atti di cui al comma 1 dell'art. 16: in questa ipotesi pare corretto assumere come

(145) V., infatti, gli artt. 9, 37, 38 R.D. 8 ottobre 1931, n. 1572; gli artt. 131, 154 R.D. 12 ottobre 1933, n. 1539; gli artt. 109, 125 R.D. 8 dicembre 1938, n. 2153; gli artt. 13, 15, 30 R.D.L. 13 aprile 1939, n. 652; l'art. 81 D.P.R. 1° dicembre 1949, n. 1142; in dottrina BAFILE, Introduzione al diritto tributario, cit., 184 ss.;

MAFFEZZONI F., Atti impugnabili e funzione del processo avanti alle commissioni tributarie, cit., 1398; GLENDI, L'oggetto, cit., 396 ss.

(146) V. la disciplina sopra richiamata in materia di formazione e conser-vazione del catasto rurale ed urbano.

(147) Per specialità di materia, dovrebbe ritenersi prevalente la disciplina enunciata al riguardo nelle leggi catastali e soltanto in via eventualmente sussi-diaria operante il termine generale dei sessanta giorni dalla notificazione dell'atto.

operante il meccanismo di preclusione evidenziato nello stesso arti-colo, per cui al contribuente che non avesse impugnato l'atto cata-stale, lasciando che in tal modo divenisse definitivo secondo le re-gole proprie della materia, sarà inibita la contestazione del provve-dimento che lo presuppone, nei limiti della stessa presupposizione.

13. La norma sulla disapplicazione degli atti generali ritenuti illegittimi da parte delle commissioni non era contenuta nell'origi-nario testo dell'articolo, essendo stata introdotta per effetto dell'art. 7 D.P.R. 3 novembre 1981, n. 739: rispecchia l'indirizzo, richiamato in precedenza, tendente a rendere più definiti, con ulteriori specifi-cazioni, il carattere e i limiti del particolare sistema di contenzioso.

Nonostante un'apparente linearità di formulazione, il suo si-gnificato non appare del tutto chiaro, come più avanti si vedrà, in specie per quanto riguarda l'inciso che fa salva l'eventuale impu-gnazione degli atti in discorso nella diversa sede competente; come impostazione di base, la regola mira comunque a rovesciare l'o-rientamento, prima affermatosi soprattutto in giurisprudenza, se-condo cui la decisione sull'atto generale assunta dal giudice ammi-nistrativo ordinario o la sopravvenuta non impugnabilità dello stes-so erano necessari in quanto pregiudiziali per la pronuncia delle commissioni tributarie, le quali non avrebbero potuto far altro che prenderne atto, ai fini dell'emanazione del proprio giudizio (149).

Con la norma in esame si è invece stabilito che la commissione possa « disapplicare » tali atti, in relazione all'oggetto dedotto in giudizio, qualora dovesse ritenerli illegittimi. E una disposizione importante, in base alla quale risulta ulteriormente definito (per estensione) l'ambito di competenza delle commissioni e sono riaf-fermati i caratteri di snellezza e speditezza che si sono voluti dare con la riforma al processo tributario.

(149) V. per tutte Cons. Stato, ad. plen., 12 novembre 1965, n. 32, in Boll,

trib., 1966, 65; ID., sez. V, 20 febbraio 1968, n. 112, in Foro amm., 1968, I, 186;

Comm. centr., 1" luglio 1970, n. 6956, in Boll, trib., 1970, 2085; nonché già Cass.

civ., sez. un., 16 ottobre 1954, n. 3753, in Foro it., 1955, I, 493; in dottrina

MAF-FEZZONI F., La giurisdizione tributaria nell'ambito della giurisdizione

amministrati-va, cit., 584; TESAURO, Tipologia delle decisioni delle commissioni tributarie, in Dir. prat. trib., 1982, I, 1352 ss.; GLENDI, L'oggetto, cit., 620 ss.; FERRARI, L'im-pugnazione degli atti amministrativi generali, in Corr. trib., 1987, 1830 ss.;

sul-l'applicazione della nuova normativa, in giurisprudenza, v. T.A.R. Veneto, 9

giu-gno 1984, nn. 223 e 224, in Comm. trib. centr., 1984, II, 998 ss.; nonché infra, nel

— 5 8 7

—-La norma riecheggia la disciplina contenuta nella legge 20 marzo 1865, n. 2248, ali. E, abolitiva del contenzioso amministrati-vo, laddove regola l'attività del giudice ordinario in presenza di un atto emanato dalla Pubblica Amministrazione (v. in particolare gli artt. 2, 4 e 5): se non che, com'è stato appropriatamente osserva-to (150), in quesosserva-to caso sussisosserva-tono elementi particolari che richiedo-no una valutazione specifica della richiedo-normativa considerata.

La motivazione comune è fondata sull'esigenza di risolvere i problemi derivanti dall'esercizio concorrente della funzione ammi-nistrativa e di quella giurisdizionale sulle stesse materie: la prima differenza è data peraltro dal fatto che nella fattispecie l'organo giudicante non appartiene all'a.g.o., ma ad un sistema di giurisdi-zione amministrativa speciale, che ha come tale il potere di annul-lamento (secondo le modalità previste nella legge) degli atti emessi dall'Amministrazione; inoltre, il riferimento operato dal comma 4 dell'art. 16 è limitato, tra questi, ai soli atti generali.

Può dirsi che la struttura della disposizione considerata denoti un'evidente peculiarità, che si spiega in buona misura con gli stessi caratteri riscontrabili nel sistema di contenzioso di cui fa parte. La norma, anche a prescindere dalle motivazioni ufficialmente addotte per la sua introduzione (151), rispecchia in effetti l'impostazione iniziale dell'articolo, che ammette alla competenza delle commis-sioni una serie di atti caratterizzati comunque dal riferimento a casi specifici, in relazione ai quali si attua il procedimento applicativo dei tributi affidati al giudizio delle stesse commissioni.

Queste hanno dunque una competenza definita non tanto dal tipo di situazioni soggettive coinvolte (152), quanto dal tipo di atti per i quali si ammette il ricorso, tra cui non rientrano, appunto, gli « atti generali ».

Ciò dipende essenzialmente dal fatto che per loro tramite an-cora non si realizza la pretesa tributaria nella sua concretezza, co-me espressione di un potere amministrativo di applicazione di

nor-(150) V. GLENDI, L'oggetto, cit., 622 ss. e a nota 161, dove si contesta in

proposito anche quanto affermato nella stessa Relazione ministeriale.

(151) V. in argomento quanto evidenziato nella Relazione ministeriale, in rapporto alla configurazione del processo tributario come « giudizio sul credito d'imposta e sulla correlativa obbligazione » in corrispondenza a situazioni giuridi-che di diritto soggettivo.

(152) In ipotesi diritti soggettivi, sicché gli interessi legittimi rientrerebbe-ro in quella degli organi della giustizia amministrativa: criticamente v., per tutti, GLENDI, voce Contenzioso tributario, cit., par. 5; TESAURO, Istituzioni, I, cit., 288 ss.

me che per la tipicità dei contenuti richiedono una regolamentazio-ne particolare del relativo contenzioso, quanto piuttosto se regolamentazio-ne pre-parano le condizioni di esplicazione, la cui problematica rimane perciò distinta e assimilabile a quella tipica degli atti sottoposti al vaglio della ordinaria giurisdizione amministrativa. Il riferimento all'« oggetto dedotto in giudizio » fatto al comma 4 dell'art. 16 è il-luminante in proposito, col suo significato limitativo dell'ambito d'incidenza della pronuncia resa dalle commissioni.

La formulazione della norma (e il suo coordinamento col com-ma 1) lascia chiaramente intendere che non è ammesso impugnare direttamente l'atto generale davanti al giudice tributario, il quale tuttavia può ritenerlo (non dichiararlo) illegittimo, e di conseguenza disapplicarlo per quanto concerne la particolare fattispecie