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La commissione della Camera incaricata dell’esame del disegno (composta dal presidente Salandra, e dagli onorevoli Matteotti, Ber

tone, Bonomi, Colosimo, De Nava, Fera, Lazzari, Paratore) presentò

il 21 novembre due distinte relazioni. In quella di maggioranza,

Salandra definisce « degna di conforto e di ammirazione la fede, che

il Governo dimostra, di portare a compimento l’opera immane in

che i pien i p o te ri del g o v ern o fossero lim ita ti dal v o to consultivo d i u n a c o m ­ m issione di senatori e d e p u ta ti; m a alla richiesta p a re che f o n . G io litti si fosse p ere n to riam e n te op p o sto ». E in au d i rilev av a p o i che, se da u n a p arte la richiesta dei p ien i p o te ri da p a rte d i u n g o v ern o che si era p ro cla m ato ossequioso della v o lo n tà del p arla m en to « aveva u n o stran o sapore », dall’altra « bisognava riconoscere che m o lti d ep u tati avevano preso o m b ra n o n p e r am o re delle teorie della divisione dei p o te ri, m a p e r il tim o re d i n o n riuscire così a im p e d ire la rifo rm a burocratica auspicata a fio r di la b b ra » (I pieni poteri al governo per la riforma burocratica, 29 g iu g n o 1921, in Cronache, voi. VI, p . 227). Il C alandra (op. cit., p. 375 n.) rip ro d u c e questo b ran o m u tilan d o lo e in te rp re tan d o lo com e una critica n ei co n fro n ti di G io litti, anziché del p arla m en to , ostile a una vera rifo rm a della pubblica am m inistrazione. L o stesso E in a u d i, esam inando i risultati della delega o tte n u ta dal successore di G io litti, B o n o m i, co n la legge 13 agosto 1921, constatava co n ram m arico che l’uso che ne era stato fa tto andava a v an ­ ta g g io esclusivo della b u rocrazia (L ’insuccesso fatale della riforma burocratica, 11 febbraio 1922, in Cronache cit., p p . 543-6).

tredici m esi»; per cui « n o n può non deve... la Cam era opporgli contrasti e limitazioni», anche perché non si deve dimenticare che « il G overno... è surto per un non disconoscibile atto di volontà del Paese, sanzionato, con l’intuito politico che è nel genio della stirpe, dalla necessaria investitura del Sovrano e dal largo ed esplicito voto di fiducia della Cam era stessa » 58. Al Salandra sarà certamente sem­ brato di rivivere il « m aggio radioso » del 1915.

Anche il relatore di m inoranza Giacomo M atteotti aveva chiaro il problem a, sia pure da opposte sponde. N o n era una cosa eccezio­ nale in sé che un governo chiedesse una delega, anche ampia, per realizzare determ inate riform e. Erano piuttosto le m otivazioni ad­ dotte in questa circostanza a generare il sospetto circa l’esistenza di un secondo fine, quello di svuotare - con il consenso del Parlam ento - i poteri di sindacato delle assemblee. La verità è che « il disordine am ministrativo ed econom ico attuale non tanto dipendono da difetti del Parlam ento, m a traggono inizio proprio dal momento in cui il Parla­

mento cessò di funzionare normalmente, e la legislazione, anziché conform e

alle norm e costituzionali, fu tutta affidata, dalla dichiarazione di guerra in poi, al potere esecutivo, all’alta burocrazia e alle altre forze che sulle prim e due hanno agito... È allora più che mai strano che, proprio nel m om ento in cui il Parlam ento ha ripreso in parte il suo funzio­ nam ento, ricom inciata la discussione dei bilanci, ristabilito il severo controllo della sua Comm issione di finanza, proprio ora il governo arresti il ritorno alla norm alità e ci riporti alla nefasta legislazione per d ecre to » 59. N el prim o discorso di Mussolini alla Cam era (21 giugno 1921) il futuro duce aveva am m onito che « se si voleva salvare lo Stato, si doveva abolire lo Stato collettivista e tornare allo Stato manchesteriano »60 ; ora, M atteotti si domanda se questa sia ancora l’idea del governo; se esso ritenga «funzioni... da abbandonare... quelle delle assicurazioni contro la disoccupazione e la malattia, le leggi protettrici del lavoro, i sussidi alla marina mercantile, alle boni­ fiche, alle strade, ai ponti, alle costruzioni edilizie, agli im pianti tele­ fonici, ecc. »; se questa era la strada che il governo intendeva battere, allora bisognava rendersi conto che se ne sarebbe avvantaggiata sol­ tanto la speculazione di « certi gruppi capitalistici e bancari, che non sono i più noti per disinteressato patriottism o ».

58. Raccolta cit., voi. VI, p a rte III, p p . 4-5. 59. Raccolta cit., p p . 7-8; il corsivo è n e l testo.

60. Passo citato da E. R o s s i, Padroni del vapore e fascismo, B ari, Laterza, 1966, p p . 37-8.

Al Senato, la discussione fu vivace e animata. Achille Loria pro­ nunciò un intervento a lui congeniale, dichiarando che avrebbe ap­ poggiato il governo purché questo avesse preso esempio da... Lenin. Solo così avrebbe dim ostrato « l’enorm e dedizione che oggi si compie ai suoi piedi. È forse infatti la prim a volta nella nostra storia nazio­ nale che si assiste allo spettacolo di un Parlam ento che si suicida abdicando alle sue prerogative secolari... O ra è necessario che il dolore di questo sacrificio trovi un corrispettivo luminoso nei bene­ fici delle feconde restaurazioni. E solo a tal patto quest’ora preago­ nica della sovranità parlam entare potrà essere un giorno acclamata dalle benedizioni riconoscenti dei nostri successori»61.

Al cinismo (ma anche al tono di realistica profezia) del Loria seguiva il dotto distacco di Luigi Einaudi, che am m oniva il governo a tenersi lontano « dal principio dell’uguaglianza, inteso come ugua­ glianza formale», nel procedere alla riform a tributaria; e a tutelare invece il principio che il risparm io no n va tassato (mentre è ammis­ sibile la tassazione « di quei salariati il cui salario supera il m inim o necessario per l’esistenza»62). Prendeva poi la parola il m inistro del Tesoro Tangorra. « Com e m ai la burocrazia rim ane tale e quale? ». Per il ministro, « si tratta di una questione di m etodo ». D ate le resi­ stenze provenienti dagli interessi minacciati da una riform a radicale della pubblica amministrazione, « il concetto di poteri eccezionali nelle m ani del Governo per risolvere questo problem a è un concetto che si presenta naturalm ente » ; tanto più oggi, con un governo che « si propone di semplificare lo Stato, di ridurre lo Stato a una struttura assai più semplice » 63.

Anche per il senatore Zupelli, presidente della Commissione B onom i precedentemente ricordata, gli ostacoli alla riform a della pubblica amministrazione provengono anzitutto dall amministra­ zione stessa. « M agari si potesse infondere nella massa degli impiegati quello stesso sentimento di altruismo che voi, on. Mussolini, avete saputo infondere nei vostri eroici squadristi! ». P urtroppo la burocra­ zia è refrattaria al « gesto eroico esteticamente bello ». Gli altri ostacoli alla riform a provengono da « resistenze locali con ripercussioni elet­ torali e conseguenti pressioni parlam entari », oltre che da « resistenze sindacali minaccianti scioperi bianchi e rossi ». Questi due ordini di

61. Raccolta cit., p. 148. 62. Raccolta cit., p. 152. 63. Raccolta cit., p. 173.

resistenze - prevedeva da buon profeta l’oratore - « saranno da questo governo superati senza esitazione ».

Il testo del progetto governativo divenne la legge 3 dicembre 1922, n. 160. Q uello che era stato negato a Giolitti, nonostante i lavori di una apposita commissione parlamentare, si concedeva a Mussolini senza neppure obbligarlo a rendere espliciti i som m i capi dell’azione che il governo intendeva perseguire. N el dibattito parla­ m entare, infatti, i fascisti si astennero dall’intervenire, lasciando agli esponenti della vecchia élite liberale - « rigenerata » dal nuovo clima politico - quasi l’onere dell’esegesi delle volontà del ministero.

6. Quel che cade e quel che resta delle « bardature di guerra ».

La fiducia dei liberisti si rivelò tuttavia ben risposta. Il nuovo

governo riuscì a smantellare le « bardature di guerra » compiendo

celermente l’opera faticosamente iniziata da Nitti e Giolitti, e attri­

buendosi con facilità l’intero merito dell’operazione.

C om e sappiamo, la legislazione bellica era farraginosa e talvolta incoerente. Tuttavia, l’esperienza economica della guerra aveva im ­ presso soprattutto in alcuni alti funzionari una mentalità totalm ente nuova, e non facile ad estirpare : la mentalità del pianificatore pubblico dell’economia, del « m inistro collettivista della produzione », come Luigi Einaudi scriveva preoccupato nel 1919, con trasparente parafrasi del celebre scritto del B a ro n e 64. Il fascismo era chiamato dunque

64. U n esem pio d i m e n talità statalistica e « dirigistica » (com e o g g i si direbbe) era rap p resen tato , secondo E in a u d i, da V incenzo G iuffrida. Q uesti era stato c o m ­ m issario all’em ig razio n e presso il m inistero degli esteri (1908-10); p o i d ire t­ to re generale del T eso ro nel 1917 (m inistro il N itti); q u in d i d ire tto re generale del m in istero dell’industria, co m m e rc io e la v o ro (istituito il 22 g iu g n o 1916); nel 1919 d ire tto re generale d el m inistero p e r gli ap p ro v v ig io n am e n ti e con­ sum i alim e n tari (istituito il 22 m a g g io 1918). N el 1919, ap p u n to , E inaudi den u n ciav a il sem p re p iù esteso ric o rre re a « co n tin g en tam e n ti, com m issioni di rip artiz io n e , accertam en ti d i costi, associazioni d i fabbricanti, g iu n te m in i­ steriali, su b co m itati d i ind u striali e di o rg an izzato ri d i co n su m ato ri» com e l ’applicazione su la rg a scala d i « una vecchia idea d ell’o n . N itti, m anifestata fin da parecchio te m p o p rim a della gu erra, resa canone d i g o v ern o dal G iuf­ frida, il quale d u ra n te la g u e rra volle essere il v e ro e l ’unico reg o la to re dell’e c o n o m ia italiana. È u n ’idea spiccatam ente tedesca, di u n tedeschism o ca ttiv o stile, che condusse q u el paese alla ro v in a » (Disciplina degli approvvi­ gionamenti, 8 lu g lio 1919, in Cronache, v oi. V , p. 281). A ltro v e, E in a u d i espri­ m eva suo m a lg rad o a m m iraz io n e p e r il G iuffrida, « il rappresentante tip ico , il p iù fo rte e v o litiv o d i tu tta u n a falange d i fun zio n ari v e n u ti su dalla g uerra, c h e ... ferm a m e n te cre d ette ro d i aver salvato il paese, d i aver fatto tu tto , di

a raccogliere l’appello, per cinque anni pronunciato invano dai libe­ risti, a mandare a casa i «padreterni», cioè gli alti funzionari (e gli uom ini politici) che avevano coperto responsabilità economiche du­ rante il conflitto e la cui permanenza negli uffici suonava in contraddi­ zione con ogni im pegno di ripristino dei meccanismi di m erc ato 65.

U n simile appello venne raccolto soltanto per metà. Vennero, è vero, aboliti enti e organi orm ai inutili; m a soprattutto si procedette a sottrarre al controllo parlamentare le varie gestioni di guerra, risol­ vendo ogni cosa a livello di esecutivo.

Esemplare in proposito è la vicenda del com itato interministeriale creato con decreto luogotenenziale del 16 novem bre 1918 per «pro­ muovere e coordinare l’azione delle varie amministrazioni statali per il passaggio dallo stato di guerra allo stato di pace ». Esso era presie­ duto dal ministro del Tesoro, e ne facevano parte i m inistri della guerra, della marina, delle arm i e munizioni, dei trasporti, dei lavori pubblici e dell’industria. Tale com itato aveva il potere di disporre la rescissione, sospensione, proroga, ecc. dei contratti in corso fra l’am - ministrazione statale e i privati per forniture, opere e lavori dipen­ denti dallo stato di guerra. Suoi organi erano una giunta esecutiva e u n collegio arbitrale.

Il governo Giolitti nom inò con legge 19 luglio 1920, n. 999, una commissione parlamentare di inchiesta con l’incarico : a) di « accer­ tare gli oneri finanziari risultanti a carico dello Stato, per spese dipen­ denti dalla guerra, e le m odalità della loro erogazione»; b) di «pro­ cedere alla revisione dei contratti, delle commesse, delle indennità

aver frenata la speculazione, d i avere te n u ti a freno i p r e z z i... N ella R ussia di Lenin esiste u n gran d e com m issariato dell’eco n o m ia n a z io n a le ... G iuffrida sogna il m inistero della p ro d u zio n e , d i cui eg li sarà il capo e che reg o le rà tu tta l’eco n o m ia del paese» (Il delirio del comando e la corsa alla rovina. A proposito del fenomeno Giuffrida, 26 d ic e m b re 1919, in Cronache, v oi. V, p p . 532-40). N e g li anni T re n ta il G iuffrida si avvicinò al fascism o. M o rì nel 1940. C irca i ra p p o rti fra G iuffrida, B eneduce e N itti, cfr. la p refazione di quest’u ltim o a V. Giuffrida, Problemi di ieri e di oggi, R o m a , Ed. della Bussola, 1945.

65. « A R o m a spadroneggia u n piccolo g ru p p o d i p ad re tern i i q u a l i... ig n o ran o in special m o d o la v e rità fo n d am e n tale: che o g n u n o d i n o i deve confessarsi ig n o ran te d i fro n te al p iù u m ile p ro d u tto re , il quale rischia lav o ro e risp arm io nelle sue in tr a p re s e ... B isogna licenziare questi p a d re te rn i o rg o ­ gliosi ... O g n u n o rito rn i al suo m e s tie re ... Industriali e op erai sono capaci di intendersi tra di lo ro e si sono intesi anche di recente, co m e si fa fra gente che lo tta e che rischia » (Licenziare i padreterni, 1° febbraio 1919, in Cronache, vo i. V, p. 49).

di requisizione e di espropriazione, dei compensi attribuiti in sede di