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La compatibilità con gli articoli 2377 e 2378 cod civ

2. La legittimazione ad impugnare le delibere consiliari

2.1 La compatibilità con gli articoli 2377 e 2378 cod civ

La formulazione dell’art. 2388 cod. civ. prevede l’applicazione, in quanto compatibili, degli articoli 2377 e 2378 cod. civ.

In virtù di quanto precedentemente esaminato è noto che il potere di impugnare le delibere assembleari non costituisce un potere attribuito all’azionista non consenziente in quanto tale ma presuppone tre distinti requisiti: la titolarità del diritto di voto, l’afferenza di tale diritto alla deliberazione impugnata ed il possesso di una partecipazione minima al capitale sociale.

Si pone pertanto il problema di capire se la legittimazione ad impugnare le delibere del consiglio di amministrazione debba fondarsi esclusivamente sulla titolarità del diritto leso o richieda una legittimazione qualificata, fondata sulle regole di cui all’art. 2377, terzo comma, cod. civ.

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In questo ordine di idee BAUMS,op. cit.,203; KRIEGER, „Aktionärsklage zur Kontrolle des

Vorstands und Aufsichtsratshandelns“, ZHR, 1999, 354; RAISER, “Das Recht der

Gesellschafterklagen“, ZHR, 1989, 9 ss.; ZÖLLNER, „Die sogenannten Gesellschafterklagen in

Kapitalgesellschaftsrecht“, ZGR, 1988, 420 ss.

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Sul punto SCHMIDT, „Die Beschluβanfechtungsklage bei Vereinen und

Personengesellschaft. Ein Beitrag zur Institutionenbildung im Gesellschaftsrecht“, in LUTTER –

MERTENS – ULMER (herausgegeben), Festschrift für Walter Stimpel zum 68. Geburtstag am 29.

November 1985, Berlin – New York, 1985, 221;HOFFMANN –BECKING, op. cit., 361; BAUMS,op. cit.,

204.

Dall’analisi della giurisprudenza successiva al caso Holzmüller, emerge che le ipotesi in cui viene ammessa la Abwehrklage possono essere ricondotti a due Fallen Gruppen: la violazione del diritto dell’azionista a partecipare alle decisioni sociali e la violazione del diritto di opzione.

124 È in primo luogo evidente che dei requisiti di legittimazione previsti per l’impugnazione delle deliberazioni assembleari non sono suscettibili di trasposizione nel contesto delle delibere consiliari quelli legati al diritto del socio di prendere parte alla votazione ai fini dell’adozione della delibera impugnata.

In mancanza di un diritto di partecipazione del socio cade quindi la limitazione relativa ai soci assenti, dissenzienti e astenuti nonché quella relativa alla necessaria sussistenza del diritto di voto del socio rispetto allo specifico oggetto della deliberazione impugnata.

Il difetto di partecipazione dell’azionista non sembra invece precludere l’applicazione del requisito del possesso azionario minimo (costituito si ricorda dal cinque per cento, ridotto all’uno per mille nelle società cosiddette aperte) del socio impugnante, non apparendo esso collegato alla circostanza che il socio sia legittimato a prendere parte al procedimento deliberativo e risultando pienamente coerente con la tendenza del sistema azionario a costruire i rimedi societari di protezione degli azionisti dinanzi agli organi gestori come poteri della minoranza qualificata e non come poteri del singolo.

In virtù della mancanza di diritto di voto dei soci in consiglio di amministrazione è logico pensare che per verificare il raggiungimento delle percentuali richieste dall’art. 2377, terzo comma, cod. civ., si dovrebbe tenere conto di tutte le azioni del socio impugnante e non certo di quelle aventi diritto di voto con riferimento alla deliberazione.

È pur vero che il requisito soggettivo della titolarità di una quota qualificata di capitale potrebbe sembrare incompatibile con l’ambito della causa petendi prevista per l’impugnativa di tali delibere e cioè la lesione di diritti.

Al tempo stesso sarebbe però fortemente contraddittorio che proprio in tema di invalidità delle delibere consiliari ove più evidenti sono i rischi di destabilizzazione, mancasse poi ogni criterio selettivo della serietà e rilevanza dell’iniziativa e si lasciasse ogni socio leso in un suo diritto libero di minare la stabilità della decisione dell’organo di gestione.

125 Depone in questo senso anche la circostanza per la quale, in presenza di delibere parimenti lesive dei diritti del socio, si verificherebbe la paradossale conseguenza per cui, se sprovvisto delle percentuali richieste dalla legge, egli rimarrebbe privo di tutela reale in relazione alle delibere dell’organo di cui fa parte e si gioverebbe invece di tale tutela con riferimento alle deliberazioni di un organo al quale è estraneo214.

Si osserva inoltre che esigenze di coerenza del sistema impongono di ritenere che in caso di delibere consiliari aventi ad oggetto competenze assembleari (aumento del capitale sociale a pagamento, emissione di obbligazioni convertibili, fusione fra società controllante e controllata nei casi di cui agli artt. 2505 e 2505 bis cod. civ.; istituzione e soppressione di sedi secondarie; trasferimento della sede sociale nel territorio nazionale, riduzione del capitale sociale in caso di recesso del socio) trovi applicazione la disciplina di cui agli articoli 2377 – 2379 ter per l’invalidità delle delibere assembleari e la legittimazione del socio non sia quindi limitata alla lesione di un suo diritto ma possa investire ogni delibera contraria alla legge o allo statuto.

A rilevare sarebbe quindi solo la delibera in sé ed il relativo profilo d’invalidità, e non invece l’organo che lo ha determinato215.

In verità, la lettera della legge indica che l’invalidità delle delibere dei due organi, assemblea e consiglio di amministrazione, è regolata in modo parzialmente

214

In tal senso PINTO,op. cit., 211 ss.; GUERRIERI,Sub art. 2388 cod. civ., op. cit., 742 ss.;

PISANI MASSAMORMILE,“Invalidità delle delibere consiliari”, op. cit., 549, nota 70; MODULO,Sub art.

2388 c.c., in SANDULLI –SANTORO (a cura di), La riforma delle società, I, Torino, 2003, 446 s.;

SPIOTTA,“L’amministrazione”, in COTTINO –BONFANTE –CAGNASSO –MONTALENTI,Il nuovo diritto societario, Torino, 2009, 506 s.; FERRARI, “Consiglio di amministrazione delibere consiliari e richiesta cautelare di sospensione il commento”,in Società, 1, 2011.

Contra IRRERA,“La patologia delle delibere consiliari nella riforma del diritto societario”,

op. cit., 1132 ss. secondo cui sarebbe incongruo applicare tale segmento di disciplina alle delibere del

consiglio di amministrazione lesive di diritti dei soci, tenuto conto della gravità del vizio; ABRIANI – MONTALENTI, in ABRIANI –AMBROSINI –CAGNASSO – MONTALENTI ( a cura di), Le società per azioni, Padova, 2010, 652 s., secondo cui la gravità delle ipotesi di invalidità delle delibere consiliari

che possano arrecare danno diretto al socio e la previsione legale che rinvia alle norme sulle delibere

assembleari in quanto compatibili inducono ad una maggiore cautela; BERNABAI,“Le impugnative di

delibere assembleari e degli atti di amministrazione (I parte)”, in Società, 2, 2006, 156.

215

In tal senso IRRERA, “La patologia delle delibere consiliari nella riforma del diritto societario”, op. cit., 1132 ss; BERNABAI,op. cit., 156.

126 differente, così stabilendo che il mutare dell’organo impone il parziale mutare della disciplina dell’invalidità dell’atto.

Sembra quindi più coerente, anziché condurre ad uniformità la disciplina dell’invalidità delle delibere in ragione dell’identità di contenuto delle stesse, tenere piuttosto conto della diversità degli organi che di volta in volta le assumano.

Dovrebbe quindi essere l’organo a dettare la disciplina dell’atto e della sua eventuale invalidità, in considerazione di una scelta consentita dall’autonomia statutaria ed effettuata in funzione della diversa disciplina che l’uno o l’altro organo sono rispettivamente tenuti a seguire nell’assumere una decisione, seppur identica sotto l’aspetto contenutistico.

Sarebbe invero incongruente applicare le regole di funzionamento e composizione di un organo ed i rimedi avverso l’invalidità degli atti dallo stesso provenienti predisposti con riferimento ad un altro organo216.