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La legittimazione degli organi sociali di amministrazione e d

Analogamente a quanto previsto dall’art. 2377 cod. civ. con riferimento alle delibere assembleari annullabili, la legge attribuisce la legittimazione ad impugnare

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JAEGER,L’interesse sociale, op. cit., 174. In giurisprudenza v. App. Milano, 3 novembre

1987, in Giur. It., 1988, I, 2, 815.

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Così GALGANO, Diritto commerciale, Le società, op. cit., 157; OPPO,“Amministratori e sindaci di fronte alle deliberazioni assembleari invalide”, op. cit., 240 s., il quale ritiene che la tesi contraria apporterebbe alla legittimazione una limitazione della quale non vi è traccia nella legge.

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Sostengono l’impugnazione da parte degli organi di amministrazione e di controllo delle delibere approvate dall’intero capitale sociale LENER,Sub art. 2377 c.c., in NICCOLINI - STAGNO

D’ALCONTRES (a cura di), Società di capitali, Commentario, Napoli, 2004, 552; GUERRIERI,Sub art.

138 le delibere del consiglio di amministrazione contrarie alla legge o allo statuto ad alcuni soggetti tassativamente indicati dall’art. 2388 cod. civ.

Si tratta del collegio sindacale e degli amministratori assenti o dissenzienti nonché dei soci, come già visto, solo con riferimento alle deliberazioni lesive dei loro diritti.

Come per l’impugnazione delle delibere assembleari, anche con riferimento alle delibere consiliari il legislatore attribuisce la relativa legittimazione al collegio sindacale così ponendo la questione se sia a tal fine necessario che l’azione venga esperita dall’organo collegialmente inteso o se legittimati all’azione siano i singoli sindaci, individualmente considerati.

Alla luce del tenore letterale della disposizione, la quale fa espresso riferimento da un lato al «collegio sindacale» e dall’altro agli «amministratori assenti o dissenzienti», appare preferibile la prima soluzione sembrando la stessa frutto di una precisa scelta del legislatore238.

Un ulteriore interrogativo si pone con riferimento alla legittimazione degli amministratori, circoscritta dal dettato dell’art. 2388 cod. civ. a quelli assenti o dissenzienti, senza nulla stabilire in ordine a quelli astenuti, differentemente dall’art. 2377 cod. civ., il quale precisa che anche i soci astenuti hanno il potere di impugnare le delibere assembleari annullabili.

Tale ultima circostanza ha indotto a ritenere configurabile nella disciplina un difetto di coordinamento, e a consentire di equiparare gli amministratori astenuti agli assenti, in quanto non partecipanti alla votazione con riferimento a quella determinata delibera239.

238

Sul punto si sottolinea che l’espressione collegio sindacale è stata introdotta dal legislatore successivamente ad una prima formulazione della norma la quale conteneva un generico riferimento ai sindaci. Sostengono la collegialità dell’impugnazione da parte dei sindaci NAZZICONE,op. cit., 113;

VENTORUZZO, Sub art. 2388 c.c., in MARCHETTI – BIANCHI – GHEZZI – NOTARI (diretto da),

Commentario alla riforma delle società, Milano, 2007, 327;IRRERA,Sub art. 2388 c.c., in COTTINO – BONFANTE –CAGNASSO –MONTALENTI,Il nuovo diritto societario, Torino, 2009, 729, il quale ritiene

che rispetto alle società quotate la presenza del sindaco di minoranza avrebbe potuto indurre ad una

diversa soluzione del tema ed in senso analogo ABRIANI – MONTALENTI, “L’amministrazione:

vicende del rapporto, poteri, deleghe e invalidità delle deliberazioni”, in COTTINO (diretto da),

Trattato di diritto commerciale, vol. IV, 1, 650.

239

In tal senso, IRRERA, “La patologia delle delibere consiliari nella riforma del diritto societario”, op. cit., 1132 ss.;PISANI MASSAMORMILE,“Invalidità delle delibere consiliari”, op. cit.,

139 Ciò che sembra tuttavia emergere dalla lettera dell’art. 2388 cod. civ., che nell’elencare i soggetti legittimati all’impugnativa utilizza l’espressione «solo», è che l’elencazione ivi prevista sia interpretata in maniera restrittiva, escludendo la legittimazione di altri soggetti.

A ben vedere, il mancato riferimento agli amministratori astenuti pare quindi una dissonanza non casuale, probabilmente volta a sanzionare comportamenti incerti o passivi in considerazione delle disposizioni che chiedono agli amministratori uno svolgimento delle loro funzioni sempre informato e connotato da una diligenza qualificata.

La differente disciplina riservata ai soci ed agli amministratori potrebbe in questo senso ricondursi al fatto che mentre i soci non sono affatto obbligati ad intervenire in assemblea e quando vi partecipano tutelano un interesse individuale, gli amministratori sono al contrario tenuti ad intervenire in consiglio al fine di meglio espletare il proprio mandato240.

Non si deve poi trascurare che l’art. 2391, terzo comma, cod. civ. riserva un regime parzialmente difforme all’impugnazione della delibera consiliare viziata per conflitto d’interesse, rispetto alla quale legittima in senso generico gli amministratori, fra i quali rientrano certamente quelli astenuti, nonchè quelli che abbiano votato a favore della delibera, qualora sia stato violato l’obbligo di informativa da parte dell’amministratore in conflitto d’interessi.

Il consenso dell’amministratore si è infatti formato, in quest’ultimo caso, sulla base di informazioni errate o incomplete, e non sarebbe possibile sapere quale sarebbe stato il voto dell’amministratore se avesse saputo che uno o più membri del consiglio di amministrazione avevano un interesse ad una determinata operazione della società.

531; ABRIANI – MONTALENTI,“L’amministrazione: vicende del rapporto, poteri, deleghe e invalidità delle deliberazioni”, op. cit., 650; VENTORUZZO, Sub art. 2388 c.c., op. cit., 327 s., che ritiene

l’esclusione della legittimazione degli amministratori astenuti non coerente con le regole di funzionamento del consiglio e con le altre soluzioni adottate dalla riforma.

240

Così Trib. Milano, 24 maggio 2010, in Società, 2010, 8, 1026.

Nello stesso senso GUERRIERI,Sub art. 2388 cod. civ., op. cit., 734 e MOSCO,Sub art. 2388

cod. civ., in NICCOLINI -STAGNO D’ALCONTRES (a cura di), Società di capitali, Commentario, Napoli, 2004, 632.

140 Gli indici normativi appaiono quindi contrastanti dal momento che il legislatore da un lato esclude la legittimazione del consigliere astenuto con riferimento all’impugnativa generale di cui all’art. 2388 cod. civ., e dall’altro lato la ammette in caso di delibere adottate in conflitto d’interessi.

Nel tentativo di spiegare le scelte compiute dal legislatore potrebbe ritenersi che egli, nell’inibire l’iniziativa dell’astenuto, abbia inteso porre un più severo onere d‘informazione in capo a tutti gli amministratori, i quali dovrebbero attivarsi in occasione delle riunioni consiliari e prendere una posizione netta a favore o contro le proposte di delibera nell’ottica della diligenza professionale loro richiesta, così precludendo la possibilità di svolgere un efficace controllo ex post sulla delibera stessa.

Tale soluzione non sarebbe invece proponibile nel caso dell’art. 2391 cod. civ., ove l’astensione potrebbe riflettere un’opzione non obbligata ma comunque legittima dell’amministratore che intenda evitare qualsiasi interferenza sulla decisione del collegio e che non dovrà pertanto vedere ridotti i propri poteri di controllo successivi sulla delibera che presenta dei profili di invalidità.

Ci si deve inoltre interrogare sulla legittimazione all’impugnativa delle delibere consiliari da parte dei nuovi amministratori che abbiano accettato la nomina successivamente alla delibera viziata ma anteriormente al termine di decadenza, nonché di quei soggetti che pur essendo amministratori al momento della delibera perdano tale qualifica successivamente.

Con riferimento alla prima questione appare condivisibile la soluzione secondo la quale sia ammissibile l’impugnazione degli amministratori nominati successivamente.

Sebbene possa apparire contraddittorio ricondurre alla posizione di amministratore assente o dissenziente un soggetto che al momento della deliberazione non sarebbe stato in nessun caso legittimato a partecipare alla riunione,

141 si deve infatti ritenere che gravi anche sull’amministratore entrante il dovere di agire con diligenza e di non dare esecuzione ad atti invalidi241.

Maggiormente controversa è apparsa la questione della legittimazione dell’ex amministratore ad impugnare le delibere consiliari viziate.

Le difficoltà in argomento sono emerse in virtù del rinvio contenuto nella norma all’art. 2378 cod. civ., in materia di impugnazione della delibera assembleare, il cui principio sottostante al secondo comma porterebbe a ravvisare l’esigenza che lo

status di amministratore permanga in capo al ricorrente per tutta la durata del

processo242 .

Si deve tuttavia rilevare che il secondo comma dell’art. 2378 cod. civ., applicabile peraltro nei limiti della compatibilità, pare corrispondere ad una ratio peculiare, propria delle impugnazioni di delibere assembleari da parte dei soci, e relativa alla permanenza del requisito del possesso azionario minimo per essi dalla normativa richiesto, come tale difficilmente estendibile al caso di impugnazione di delibere consiliari da parte degli amministratori, la cui permanenza in carica non è peraltro richiesta dallo stesso art. 2378 cod. civ. nemmeno per le impugnazioni delle delibere assembleari.

La cessazione dall’incarico non esonera peraltro gli amministratori dalle responsabilità che dovessero derivare dall’esecuzione della delibera invalida con la conseguenza che essi manterrebbero l’interesse ad agire per l’impugnazione243.