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Le competenze verbali ed espositive

Jonson (2005 riprendendo Tomes e altri, 1998) rileva che il design è visto comunemente come un atto di creatività individuale nel quale, sia la ver ba liz­ zazione che l’analisi, sono marginalmente rilevanti, o al più strumenti di co­ municazione. Al contrario dell’opinione comune e infondata, nelle fasi iniziali del design la verbalizzazione è il più potente strumento di indagine e sta al la pari del disegno a mano libera. I risultati della ricerca individuale sono po co a poco negoziati con altri designer e, successivamente con il committente, fi no alla reci- proca soddisfazione. In questa fase la capacità di articolare significati attraverso 1 Tools. Nelle interfacce digitali si designano così gli strumenti virtuali che permettono di compiere

la parola è parte centrale della com petenza professionale, associata alla comu- nicazione visiva, e in parallelo alla capacità di interpretare i messaggi verbali in termini visivi. Sotto questo profilo l’intero processo è di ret to verso il raggiungi- mento di una mutua e accettabile traduzione verbale del brief, in quanto il desi- gner rende possibile al committente la visualizzazione anticipata di qua nto egli desidera come risultato finale dell’azione. Tomes usa una immagine suggestiva per descrivere questo processo dicendo che si stabilisce tra cliente e designer un “dizionario privato” di traduzione tra il piano ver bale e il piano visuale.

La parola è fondamentale al processo di pensiero stesso, e ne enfatizza gli aspetti collaborativi e sociali: tra i casi esaminati dallo studio di Jonson solo lo studente di design della moda, sembra non usare strumenti verbali per con­ cettualizzare perché nella prima fase del processo ideativo lavora es sen zialmente in solitudine. L’interazione visivo-verbale mo stra in modo interessante che le forme espressive e le idee dell’uomo emergono in superficie ma sono create dal- le strutture profonde dell’istinto del linguaggio. La combinazione nell’uso dello strumento verbale e visuale suggerisce una interazione tra gli stessi, un dialogo descritto anche come “linguaggio del design” (Schön, 1993) il “problema della traduzione” (Tomes e altri 1998) o il “ciclo della immagine­parola” (Dorner, 1999).

Queste considerazioni vanno a incidere in maniera rilevante non solo sul processo formativo del designer, in particolar modo sul graphic designer, ma an- che sull’immagine di sé stessi che hanno i professionisti: capita spesso di sen tirli affermare che non vogliono parlare del loro lavoro. Il giovane profes sionista o l’apprendista non tarderà a rendersi conto che il design non è infatti un’espres- sione personale e che la capacità di interconnettere ambito visivo e ambito ver- bale fa parte integrante del processo progettuale.

Disegnare e verbalizzare

L’esposizione dei lavori degli studenti davanti ad un uditorio, di solito composto dai loro compagni, è di notevole importanza perché implica una stret- ta connessione tra comunicazione, costruzione della conoscenza e es pres sione

multimodale. L’esposizione si rivela tanto più importante ed efficace in quanto assume valore trasversale e disegna una competenza di base necessaria a scuola quanto indispensabile nell’attività professionale. Uno studio recente (Dannels, 2008) dimostra che i tipi di abilità coinvolte sono cin que: dimostrazione sistema- tica dell’evoluzione del progetto, spiegazione com prensiva del visual, appoggio trasparente alle intenzioni progettuali, al lestimento credibile di una “scena” di presentazione, e una gestione appropriata del l’in terazione con l’uditorio.

La prima competenza che lo studente deve dimostrare, e che viene valutata, è la dimostrazione sistematica dell’evoluzione del progetto. Si richiede infatti allo studente di affiancare al visual del design una narrazione organizzata at­ traverso la quale descrive la sua evoluzione. Allo studente è ri chiesto di inda- gare il processo di ideazione, come è andato maturando il progetto, come ha costruito le relazioni tra le varie soluzioni, o parti della ricerca, e di descrive- re i modi attraverso i quali il concetto progettato è venuto emer gendo dagli stati iniziali in modo ordinato. La descrizione può essere orale, non ne­ cessariamente scritta, ma la stesura di una traccia può essere utile. In sos tanza l’atto “narrativo” ha valore in sé quanto l’azione del disegno progettuale. La seconda competenza riguarda la spiegazione chiara e coerente del visual:

essere chiari e specifici nella coordinazione tra l’esposizione del ma teriale vi sivo e la spiegazione dello stesso. La presentazione orale deve corrisponde- re direttamente con ciò che si vede, non genericamente. Per esem pio si dirà “il secondo disegno” piuttosto che “uno dei disegni intermedi”, si userà un linguaggio tecnicamente corretto. Lo studente deve spiegare in modo chiaro e persuasivo le ragioni super le quali le scelte di progetto realizzano le inten- zioni, risolvono il problema posto oppure lo pongono sotto un punto di vista nuovo. La ricerca dimostra che gli studenti esitanti sulla descrizione di come hanno risolto il problema lasciano l’audience non convinta di fronte alla vali- dità del progetto stesso.

Un’altra importante competenza rilevata dallo studio riguarda il coin vol gi­ mento del l’uditorio, sia visivamente che oralmente, attraverso una dimostra- zione credibile che sia persuasiva e chiara allo stesso tempo. Per esempio gli

studenti che sono abili a fare questo e che possiedono una visione chiara di ogni aspetto dell’impatto della presentazione sanno cosa mostrare, controlla- no come si presentano loro stessi fisicamente, quanto ac curatamente hanno preparato il visual, otterranno una comunicazione senz’altro più efficace. Gli studenti che hanno successo nella presentazione possiedono abilità di par-

tecipazione e relazionali: possiedono una gestione appropriata del l’in te­ razione. Ciò implica la capacità di coinvolgere l’uditorio non solo nella pre- sentazione in sé ma anche l’abilità nel gestire la percezione dell’uditorio, la reazione e il feedback. Gli studenti che la possiedono gestiscono in modo equilibrato la valutazione su loro stessi, dei loro pari, e rispondono in modo appropriato al loro uditorio: sono impegnati proattivamente nel ciclo del feed­ back, sicuri che il valore dei commenti dell’uditorio sulla loro opera sono frutto di una diversa prospettiva che può essere assai produttivo prendere in considerazione. Anziché rimanere sulla difensiva gli studenti che si sentono sicuri divengono onesti e riflessivi circa la loro interazione. Rispetto al rituale della critica essi diventano pertinenti e danno giudizi ponderati sui lavori de- gli altri.

Un altro risultato ottenibile dall’esposizione orale del progetto è che attraver- so di essa lo studente acquisisce i concetti e i valori della professione, riesce meglio a capire come pensa e parla un designer: in sostanza è facilitato nello sviluppare il concetto di una identità professionale. Come ha fatto notare Schön (1985) nello studio del design si tende a vedere nel processo creativo un certo mistero: mettere allo scoperto ciò che sembra misterioso, durante la presentazione del lavoro, è il modo più semplice e diretto per demolire questo preconcetto (Morton J, O’Brien D. 2005).