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La bottega come modello pedagogico per il design

Una corrente di pensiero, compresente a quelle considerate finora, sostiene l’efficacia del metodo laboratoriale con il rapporto didattico che si configura nel modello maestro­allievo: tra questi vorremmo segnalare Branzi e Colonetti.

Andrea Branzi1

Polemico verso il modello razionalista della “ricerca del metodo” at tri­ buisce grande importanza al momento formativo: Branzi (2008) è consapevole del l’im portanza per il design della sua pedagogia, come palestra dove avviene buo na parte del dibattito intorno alla sua natura: “disegnare un nuovo oggetto significa anche cercare di far affiorare nell’uomo una capacità conoscitiva se pol­ ta nella com plessità dei linguaggi e delle informazioni”. Riconosce l’im portanza della pedagogia della Montessori nel lo spianare all’Italia l’interesse che si ma- nifesta negli anni Settanta verso la didattica rigorosa della scuola di Ulm. “La storia del design nel XX secolo è una storia di scuole, e il momento didattico è centrale in questa disciplina, è su questo modello che ci sono state e ci sono in corso le grandi battaglie, grandi confronti tra scuole di pensiero di verse, però è l’unica cultura che nel XX secolo ha valorizzato enormemente il mo mento di- dattico […] Il design ha una cultura che ha una grande presenza sul campo, ma poi ha il momento di elaborazione teorica complessiva nella strut tu ra scolastica, il cui progetto, la cui gestione è di per sé stesso un atto culturale proget tuale

(Branzi, 2006). Branzi legge nella realtà italiana due figure che diventano il pa- radigma dell’in segnamento del design, nel rapporto privilegiato che instaurano nella loro carriera con i bambini: Enzo Mari e Bruno Munari, che rap pre sentano e aderiscono a due filoni nella pedagogia attivistica del Novecento. Secondo Branzi, Enzo Mari si rifà al “ra zionalismo scientifico” di Maria Montessori se- condo il quale il bambino stes so è portatore di una razionalità elementare, per cui l’azione dell’educatore “con siste nel seguire ciò che dice il bambino (che sa le regole).” Munari, secondo Branzi, sembra corrispondere di più al pensiero delle sorelle Agazzi, Rosa e Carolina due pe da gogiste sperimentali attive nella prima metà del Novecento che introducono l’at tivismo in Italia, convinte che il bambino non sia spettatore involontario ma attore del processo formativo, e che l’educatore debba porsi di fianco al bam bi no con una discreta azione parallela, predisponendo situazioni e ambienti che fa voriscano le sue esperienze attraverso le quali apprende direttamente e spontaneamente. Il metodo intuitivo diviene il percorso principale dell’ap pren dimento del bambino. In questi due paradigmi Branzi vede riassunte e condensate le polarità del dibattito educativo italiano.

Branzi è uno dei fondatori della Domus Academy1, dove si pratica “una

didattica non più basata sulla tradizione della ricerca metodologica, ma piuttosto sulla valorizzazione del progettista, della personalità del progettista.” Sostiene che è necessario andare oltre l’idea dell’esistenza di metodologie scientifiche u tili per apprendere i meccanismi del pro getto, irriducibile a modelli nella sua montante complessità, e che è necessario piut tosto “spostare dal design” al “de- signer” la centralità del pro ces so formativo per ottenere personalità in grado di interpretare criticamente e in maniera innovativa ogni occasione di lavoro” (Branzi, 2008).

Aldo Colonetti

Colonetti2 sostiene “[…]in primo luogo una istanza di formazione teorica

sul progetto, in secondo luogo la bottega intesa come attività di formazione e di progettazione. Cosa significa concretamente questo? Che i professionisti sono i 1 Domus Academy, scuola privata milanese di design e moda.

2 Aldo Colonetti (Bergamo, 1945). Filosofo, storico e teorico delle arti e del design, direttore scientifico del gruppo Istituto Europeo di Design, IED. Direttore di Ottagono.

docenti, quindi non esistono docenti a tempo pieno, esistono professionisti che trasferiscono le proprie capacità progettuali a livello didattico. In secondo luogo, la bottega significa lavorare su ricerche, prototipi e progetti.” (Colonetti, 2006).

2. l

a formazIoneal desIgn ela scuola secondarIa

In Italia la formazione al design si svolge a partire dalla scuola seconda- ria: sono numerosi gli istituti di questo livello che fanno formazione sul design, nel senso più ampio, che hanno un indirizzo specifico con denominazioni talora obsolete o incongrue1. Queste scuole hanno re golamenti istitutivi e programmi

con profili professionali definiti, come nei professionali, e rivisti più volte dalle sperimentazioni, oppure senza una vera definizione di figura professionale in uscita, come nei licei artistici e negli istituti d’arte del progetto sperimentale “Michelangelo e Leonardo”.

In realtà l’avvio al design, può iniziare dalla scuola secondaria negli Isti- tuti professionali, Licei artistici e nelle Scuole d’arte: i corsi specifici di de sign “in dustriale” sono pochi e collocati all’interno di istituti con una tra dizione lo- cale di lavorazione di materiali come legno, ceramica, vetro, come una sorta di versione ammodernata della vecchia formazione all’artigianato. Mol to più nu- merosi i corsi di design della moda, e soprattutto di “comu nicazione visiva” (la chiameremo così per differenziarla dalla grafica d’arte), che sono circa 170, dis- seminati nelle diverse tipologie di istituti. In questo con teggio sono stati voluta- mente tralasciati i corsi inerenti la tipografia, che hanno un carattere sicuramente affine, ma non sono di vocazione “progettuale”, anche se l’attuale richiesta di addetti alla tipografia include la fase di pre­stampa che alla quale viene sempre

1 Denominazioni incongrue come “Grafica pubblicitaria” che non ha riscontri nel mondo professionale, o altre più spesso legate alla realtà produttiva del territorio sul quale sorgono le scuole e che continuano una tradizione artigianale centenaria: tipo gra fica, della lavo razione del legno, della ceramica, tessile, vetraria, orafa.

più spesso richiesta una funzione “progettuale”1. Da tempo si assiste al dibattito

circa la necessità di affidare ruoli con una formazione più elevata e di maggior qualità a chi gravita intorno al mondo del la comunicazione e del design: si chie- de la formazione di quei tecnici che inventano e producono il cosid detto “made in Italy” e dovrebbero fare la differenza qualitativa in un mon do dove la nostra produzione è seriamente messa in crisi dai processi di glo balizzazione. Dai dati del rapporto Gallico (2007) 2 si desume tuttavia che nelle aziende il designer

viene di fat to ancora assimilato ad un tecnico, più precisamente a quello che era con si de rato il “disegnatore” in un contesto industriale più che post­industriale, e che l’ambiente di formazione di questo tecnico è ancora la scuola secondaria3.

La formazione preuniversitaria al design è quindi una realtà cospicua che tuttavia non viene mai a trovarsi, neppure in modo accidentale, sotto l’atten- zione, o la curiosità, della comunità pro fes sionale e accademica, anche se si suppone che una parte dei diplomati che hanno scelto questo ambito di studi 1 Il peso di questi corsi nella secondaria, al di là di una innegabile rile van za numerica, si può dedurre dal quadro del sistema occupazionale italiano dalla rilevazione Unioncamere­Ministero del Lavoro (SIE, 2006) sui “Titoli di studio richiesti relativamente alle professioni riconducibili al Design”. Ol- tre centomila aziende sono state intervistate riguardo ai fabbisogni professionali richiesti; nella ta- bella sono riportati i risultati della ricerca per alcune delle fi gu re riconducibili al settore del design.

Codice

ISCO Descrizione professione Qualifica professionale Diploma Laurea Totale

34710 Disegnatori artistici e pubblicitari 107 786 47 940 31180 Disegnatori tecnici e progettisti 238 2655 436 3329 34193 Tecnici di marketing, pubblicità e

pubbliche relazioni

10 1025 1287 2322

In percentuale decisamente elevata le aziende hanno espresso la richiesta di as sunzione di profili di livello medio, corrispondente al diploma/qualifica rila sciato dagli Istituti Secondari. Fa eccezione il settore marketing­pubblicità per il quale la laurea è richiesta con una percentuale maggiore.

2 Il “Rapporto sulla formazione al design in Italia” (Gallico 2007), segnala la presenza nel 2004/05 di 861 corsi di design a livello universitario o superiore e ne analizza dettagliatamente la natura. Con il termine generico “design” si intende parlare di formazioni a professioni diverse che vanno dal design indu stri a le al grafico, al design della comunicazione, e della moda. Nel rapporto è accennata appena di sfuggita l’esistenza dei corsi che avviano al de sign dentro la scuola secondaria.

3 È pienamente condivisibile la preoccupazione per una formazione inadeguata non sufficiente e non adatta alle sempre più sofisticate competenze necessarie ad elevare la qualità innovativa e tecnologica dei prodotti e dei servizi nel settore del design: negli ultimi due decenni, a fianco della progettazione del prodotto – design industriale – si sono affermate professioni come il design della comunicazione e dei servizi che richiedono formazioni di base solide e specializzazioni successive, laurea di secondo

completino la loro formazione proprio nei corrispondenti corsi universitari di design industriale, comunicazioni visive, moda, ma purtroppo non esistono dati a conforto di questa ipotesi1. Bisogna ammettere che nella scuola secondaria i

corsi sul design hanno carattere eterogeneo, con una programmazione curricola- re regolata in maniera precisa nei professionali a indirizzo grafico­pubblicitario, con una attenzione particolare agli aspetti del marketing; nelle altre tipologie di Scuole, licei e istituti d’arte, la programmazione e la definizione delle figure in uscita, è lasciata alla scelta autonoma delle singole scuole.