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Donald Schön e la formazione del designer

Donald A. Schön (1930­1997) è stato il più influente filosofo del design e della formazione al design della sua generazione: ha cercato di far luce sul pro­ cesso della ricerca pratica combinando l’analisi concettuale con lo studio em- pirico del profes sionista esperto. In un’epoca di rapidi mutamenti ha in dagato i motivi della messa in crisi dello statuto delle professioni e della loro autonomia e ha cercato di dar conto della loro razionalità e moralità1. Ha formulato la sua

visione sul design nei termini di “attività riflessiva” e con le nozioni correlate di “pratica riflessiva”, “riflessione nell’azione” e “conoscenza in azione”.

La ricerca di Schön sulla pratica professionale si può ricondurre ad alcu- ne teo rie educative “chiave” nella ricerca del ventesimo secolo, co me la teo- ria dell’edu cazione esperienziale, e all’opera di alcuni pensatori come Dewey, Lewin2, Rogers3 e Kolb. Alla fine dell’Ottocento e fino allo sviluppo di queste

teorie il curriculum formativo del professionista prevedeva in sequenza lo studio della scienza di base, poi delle scienze applicate e infine, durante il praticantato, l’applicazione in opera delle scienze apprese durante la prima parte degli studi, 1 Sono questi gli argomenti centrali sviluppati nelle sue due principali opere The Reflective Practitioner

(1983) e Educating the Reflective Practitioner (1987) che gli hanno dato la fama. 2 Kurt Lewin (1980­1947). Psicologo tra i sostenitori della teoria della Gestalt.

scienze che avrebbero dovuto costituire il fondamento razionale della professio- ne. La crisi della professioni comincia quando si constata che i problemi della vita di tutti i giorni, che i professionisti solitamente affrontano, non si presentano chiaramente come casi in cui si possano applicare le generalizzazioni proprie delle scienze e l’approccio alla loro soluzione non si può definire razionale, se- condo gli standard. Schön sviluppa una alternativa epistemica secondo la qua- le la pratica del profes sionista, acquisita dalla tradizione e maturata attraverso l’esperienza, così come dallo studio della scienza, costituisce il nucleo della co- noscenza professionale.

Sia Dewey che Schön pongono la loro teoria come alternativa al modello della razionalità tecnica, tuttavia mentre per Dewey la pratica in sé stessa non è conoscitiva perché subentra solo nel distacco successivo della riflessione, per Schön il professionista ha il suo codice di conoscenza “esoterica” intessuto den- tro la pratica. La differenza rispetto alla concezione “del l’imparare facendo” è profonda: per Dewey la pratica riflessiva è simile al pensiero scien tifico e si ap- prende con l’indagine che si avvia ad una certa distanza dal pro ble ma pratico che lo ha generato, per cui il luogo deputato per compierla è il labo ra torio scientifico, mentre per Schön la pratica riflessiva è una forma di pensiero specifica che viene appresa nel bel mezzo dell’agone professionale e il suo luogo di sviluppo è lo studio di design. Propone così il superamento della tradizionale scis sione tra il pen sare e l’agire, il sapere e il fare, una scissione che nella cultura occi den tale ha origine nel pensiero greco e cristiano.

Prima di tutto Schön è un educatore e vuole che l’ipotesi sia verificata nel- le conseguenze e nelle implicazioni proprio allestendo un progetto per la forma- zione: il design costituisce il paradigma ideale, per molti aspetti, posto al centro delle professioni che definisce “designlike” simili al design (Wacks, 2001). Nei due testi citati indaga sperimen talmente la formazione del designer studiando i protocolli delle sessioni tra docente­studente nello studio di proget ta zione, allo scopo di cogliere i nodi salienti della formazione specifica e li va a verificare poi nell’analisi delle altre professioni, come nella composizione musicale, nella psi- coanalisi e nella consulenza manageriale. Una felice analogia, individuata da

Schön nell’analisi dell’apprendimento musicale, è evidenziata dalla metafora

Tavola n. 9. Le fasi della teo- ria della riflessione in azione di Schön.

dell’insegnante di design nel contesto scolastico- me “esecutore di uno spartito”, un progetto alle- stito da altri, che può consistere nello sviluppo del cur ricolo, nel seguire il libro di testo. La cono- scenza in azione ha dimensioni esplicitabili e al- tre tacite, in accordo con Polanyi, apprese non in astratto ma attraverso l’attività professionale, in uso.

Il “professionista riflessivo” e la conversazione con la materia

La visione di Her bert Simon (1976) che derivava dagli studi sull’intel- ligenza artificiale, ha avuto molta influenza nel pensiero sul design suo con­ temporaneo; Simon intendeva la progettazione come la soluzione strumentale di un problema, come un pro ces so di ideale ottimizzazione; Schön si oppone a questa visione sostenendo che quasi tutte le mosse del pro get tista portano ad aperture nuove, quasi sempre impreviste. Il problem solving deve essere integra- to ricorsivamente con il problem setting, la ridefinizione del problema, ridefini- zione attraverso la quale gli obiettivi e i mezzi vengono rimessi in discussione ci- clicamente mano a mano che si avanza nella soluzione. In sostanza è necessario un approccio più sofisticato alla realtà, che riconosca la complessità e l’unicità di ogni situazione che non è mai riconducibile a facili schematizzazioni. Nella soluzione dei problemi, nelle fasi che vanno dalla progettazione alla soluzione, interviene sempre una dimensione soggettiva: “L’impostazione del problema è un processo nel quale, in modo interattivo, designiamo gli oggetti dei quali ci occuperemo e strutturiamo il contesto all’interno del quale ci occuperemo di loro” (Schön, 2006).

Nel capitolo terzo del “Il professionista riflessivo” del 1983, mette in di- scussione la distinzione classica tra conoscenza tecnica e artisticità nello svilup-

po dell’eccellenza professionale: riconoscendo l’intelligenza dell’azione ricono- sce uno statuto epistemologico autonomo al professionista per cui la teoria non è più sola men te esplicita e formalizzata ma si coniuga con una forma di teoria implicita e tacita. A far da guida du rante questo processo attivo sono due aspetti cognitivi, la “conoscenza” e la “rifles sione” nell’azione; la conoscenza, se c’è, si manifesta attraverso l’esecuzione spontanea e sapiente di un atto.

“La sequenza di momenti in un processo di riflessione nel corso dell’azione: l’azione a cui segue una reazione spontanea (tacita­implicita)

la risposta di routine produce una sorpresa (variazione nel caso del pro­ fessionista)

la sorpresa ci porta a riflettere nel presente dell’azione la riflessione ha funzione critica

che apre la strada all’esperimento.” (Schön, 2006, p. 60).

Secondo Schön il campo di applicazione più complesso “dell’agire pen­ sando” si colloca nell’esercizio delle professioni, la medicina e la giu ris pru denza, l’ingegneria e l’architettura, dove si esplica una razionalità tecnica che coniu- ga la preparazione teorica con la pratica quotidiana: non è più sod disfacente la spiegazione che giu sti fica questo agire secondo un percorso lineare che dai principi generali porta alla risoluzione dei problemi. Ciò che distingue questa da altri tipi di riflessione è il suo immediato signi ficato per l’azione. È la “teoria in uso” che è fondamentale nella rifles sione sull’ap prendimento organizzativo: nelle professioni che hanno a che fare con i materiali e gli oggetti, come l’ar- chitettura e il design, o con le persone, come l’insegnamento, la realtà oppone una sua resistenza nel pas sag gio tra il progetto e la realizzazione, e allo ra il rapporto con la situazione problematica consiste in un ciclico alternarsi di do­ man de e risposte, un processo di “con versazione con la materia”. Lo strumento principale di questa conversazione con la realtà è la metafora generativa, il ri­ portare la situazione problematica nuova all’es pe rienza precedente, a ciò che il professionista possiede e domina: “la vede come un qualcosa che è già presente nel proprio repertorio” (Schön, 2006). La metafora generativa ci consente di co- struire significato nelle circostanze continuamente mutevoli e disorientanti della

pro fes sione, dando continuità tra la vecchia esperienza e la nuova poiché ne individua i tratti comuni.

Schön descrive il funzionamento della conoscenza tacita, o implicata nell’azione, esercitata come abito mentale dal professionista capace. In parti- colare nel testo “Educazione del professionista riflessivo” Schön spiega che lo studente che vuole diventare esperto in una professione deve diventare riflessivo nel senso che riflette nel corso dell’azione e impara a riflettere mentre lavora bene, con una meta­riflessione, sulla riflessione stessa.

La formazione al design secondo Schön

Schön ritiene che un conto sia progettare, un conto eseguire: la professione del designer consiste nel con ce pire, piani ficare sognare qualcosa alla quale di conseguenza sarà data vita seguendo le linee guida progettate. L’equivoco nella formazione si pone quando si intende il verbo “to design” nel senso di “esegui- re”; nella profes sione del designer è dominante la pre­con cet tualiz zazione, come nelle altre professioni “design­like”, alla quale segue l’ese cu zione che è compito degli operativi, i quali a loro volta non sono dei banali esecutori ma degli inter- preti. In realtà Schön è molto più sfumato nella distinzione tra concettualizza- re e modellizzare. Tutte le attività professionali hanno un aspetto con cettuale e uno operativo ma in questi casi l’aspetto concettuale è senz’altro do minante: per esempio chi esegue musica compie una azione ma nello stesso tempo sovra impone una struttura concettuale interpretativa allo spartito e quindi si trova ad essere allo stesso tempo compositore e esecutore.

A questo si integra il concetto del design come “cornice sperimentale”: in fatti non si tratta di imporre alla materia una forma che si ha in testa tenendo conto delle considerazioni tecniche, come ritengono gli studenti nel caso da lui sperimentato, quindi di avere solo il controllo concettuale sulla situazione. Piut- tosto si tratta di un argomento incerto e indeterminato di sperimentazione che permette di scoprire una coerenza che sta sopra tutto, dove l’idea iniziale nel processo viene messa in crisi. Sarà la materia a rimandare la risposta che condi- zionerà i passi successivi, a volte anche negando all’idea iniziale la pos sibilità di uno sviluppo; alla fine dal dialogo emergerà una nuova coerenza.

Le conseguenze sulla formazione sono di tre ordini: la prima è che il de- sign è olistico e non è fatto di pezzi singolarmente apprendibili, perché consiste nel lavorare attraverso la forma, un ordine coerente, un mondo di significati che comprende tutte le componenti di una situazione data. La seconda è che il design si può imparare ma non è insegnabile con il metodo della lezione tradizionale, ma solo con operazioni pratiche in una cornice sperimentale usando un media- tore iconico. La terza conseguenza è che il buon design dipende dalla ca pacità di individuare le qualità desiderabili e indesiderabili nel mondo che si sta esplo- rando. Gli studenti non possiedono queste capacità e esse non possono essere veicolate attraverso il linguaggio verbale: il linguaggio del design è una parte in- separabile della pratica complessa parola­azione una ”forma di vita”, così come viene suggerita da Wittgenstein, filosofo al quale Schön fa volentieri riferimento.

Il ruolo dell’insegnante professionista riflessivo

Pertanto il pensiero educativo di Schön deriva dalla concezione del design appena esposta. L’insegnante è un allenatore che conosce la professione e che introduce lo studente a questa forma di vita con tre compiti: trattare i problemi nodali del design attraverso la combinazione delle “mosse”, delle parole, delle descrizioni, in modo da trasmettere la capacità di far fronte a situazioni analo- ghe. Personalizzare le dimostrazioni e le descrizioni in modo che si adattino al dialogo con chi non possiede strategie e parole adatte. Coltivare la relazione con gli studenti che possono facilmente sentirsi sco raggiati nel difficile e problema- tico processo in corso perché hanno una dipendenza dall’insegnante.

A sua volta il docente come tale sta compiendo professionalmente una azione di “design”, infatti ha una libertà di movimento nell’applicare il curricolo e le indicazioni dei libri di testo, ma si trova di fronte ad una con formazione indeterminata alla quale deve dare senso attraverso la speri mentazione. Compie una iniziale prima lettura della realtà scolastica, delle indicazioni del curricolo, delle caratteristiche del gruppo di studenti e quindi stabilisce un primo set di si- gnificati. Quindi sperimenta attraverso l’osservazione, le mosse e le operazioni, che assomigliano al voler imporre la forma alla materia, un po’come nel caso dello studente novizio che abbiamo considerato prima, solo che l’insegnate non

ha un equivalente mondo virtuale sul quale sperimentare, cancellando e ripro- vando, ma si trova ad affrontare una situazione reale. Secondo Schön il buon insegnante non tenta di forzare sul gruppo un progetto precostituito, operazione che viene definita manipolazione, ma nella attività discorsiva apre e facilita la discussione, la ricerca del signi fi cato e la “forma” dell’insegnamento emerge dalle sue “mosse”. L’attività euristica individua le competenze in relazione alla loro rilevanza per la società, per lo studente o perché costituiscono esse stesse un terreno fecondo per fare la didattica dei casi o l’apprendimento discorsivo, nel qual caso il loro significato si svela attraverso la sperimentazione congiunta con gli studenti praticando la riflessione dentro la lezione stessa.

Che cosa rende diversa la professione dell’insegnante rispetto alle altre design­like? Il più importante compito che l’insegnate deve imparare ad affron- tare è la gestione dei rapporti interpersonali tra studente e docente.

Altri scritti sul design

Tra il 1984 e il 1992 a dimostrazione del suo interesse diretto e non episo- dico per il design, Schön pubblica quattro articoli sulla rivista di ricerca “Design Studies”.

Compie ricerche sperimentali per capire come avviene una discussione tra progettisti circa le opposte opinioni a favore o contro una determinata soluzione, per capire come avviene una scelta progettuale e lo spostamento verso la succes- siva come frutto di una ricerca dentro un campo epistemologico preciso (1984).

Nel secondo studio (1988) prende forma l’espressione “transazione o di- scorso con i materiali” a indicare il modo con cui il designer conosce e ragiona, escludendo espli ci tamente i concetti di “problem solving, processo informativo o ricerca” (p. 182). Nel progetto la rappresentazione visiva è la costruzione del pensiero stessa: “schizzi, diagrammi, disegni e modelli funzionano come mondi virtuali” attraverso i quali sperimentare a basso costo.

Nell’articolo del 1992 introduce il concetto della “conversazione con i ma­ teriali” che avviene attraverso il medium del disegno e nel quale la visione ha la maggiore importanza. Afferma con forza che i modelli di descrizione del design che com portano una esclusiva attività intellettuale, come per esempio la ricerca

di varia bili o l’amministrazione dei vincoli, sono insoddisfacenti a spiegarne la complessità; l’unità minima dell’azione del progettare, che chiama “mossa di design”, come la costruzione di figure, la loro valutazione e la com prensione del- le conseguenze della mossa, si gioca tutta su diversi modi di vedere. Il designer attraverso il disegno esplora il problema e compie delle scoperte sulle relazioni tra gli elementi: l’accumulare singoli ritrovamenti gli conferisce una visione am- pia che gli permette di comprendere la situazione nel suo insieme e di orientare e stimolare ulteriormente la progettazione. Questa conoscenza è un bagaglio che sarà utile a percepire e identificare le strutture morfologiche profonde delle suc- cessive situazioni, anche se si presenteranno in scenari e domini diversi. Schön conclude che questi risultati, ai quali giunge sperimentalmente, hanno profonde implicazioni nella formazione del designer:

la nozione di “progettazione” è un processo educativo in sé perché porta alla comprensione di sistemi e strutture complessi,

è importante perciò che venga sollecitata una riflessione consapevole sul pro­ cesso perché il difficile lavoro di esplicitazione delle conoscenze e delle sco- perte via via ottenute contribuisce a renderle acces sibili e soggette al control- lo cosciente,

è essenziale il rafforzamento delle competenze della rap presen tazione, com­ preso l’uso del disegno digitale, come mezzo per vedere le cose in modo nuovo; il com puter sarà il mezzo per “catturare, archiviare, manipolare, gesti- re e riflettere su quello che si vede” (p. 156).

Riprogettare la formazione del designer

Schön compie un numero rilevante di osservazioni sperimentali proprio nell’ambito della progettazione, architettonica e del design, e appunto per questo i suoi suggerimenti trovano una corrispondenza immediata nel campo della for- mazione al design. In particolare la formazione è vista secondo una prospettiva che non si può ritenere esclusivamente pedagogica o psicologica. Ritiene che la progettazione, come metodo o forma mentale, non possa essere insegnata at- traverso i metodi d’aula con sueti perché è una forma di conoscenza esperta che avviene nel corso dell’azione, è una attività olistica che non si può apprendere

spezzettandola, è una attività creativa che può portare a nuove scoperte proprio nel corso della “conversazione con gli oggetti” e infine ha la sua consistenza nell’abilità del progettista di riconoscere la qualità dei suoi stessi obiettivi.

L’apprendimento del design avviene attraverso una pra tica riflessiva che può avvenire in tre modi:

con l’auto istruzione, che è il più inconsueto e difficile,

con l’apprendistato lavorativo, un apprendimento spesso inefficace,

e con lo stage, una situazione che si avvicina al mondo reale, ma è “off­line”, si attua sotto la guida di un tutor esperto, il quale sa come impostare e risol- vere il problema nella forma adeguata perché lo studente possa costruire una capacità personale spendibile in successive esercitazioni, e lo deve fare co- struendo una relazione educativa efficace che aiuta a riflettere nel corso dell’azione pro get tuale.

Questo dialogo possiede tre caratteristiche essenziali, in quanto avviene nel contesto degli sforzi di progettazione dello studente, fa uso di azioni quanto di paro le, infatti spesso il tutor ricorre al disegno intervenendo a sua volta sul progetto dello studente e analizza la pratica in termini di “mosse” le cui con- seguenze e implicazioni attraversano diversi domini (op. cit.p. 183), e infine dipende da una reciproca rifles sione.

La riflessione in azione è ipotizzabile su più livelli: nel corso della proget­ ta zio ne fino ad un meta­riflessione sulla descrizione della progettazione. È ne- cessario pertanto che vi sia una esplicitazione del livello a cui sta avvenendo la riflessione nel corso della conversazione tutor­studente, come è necessaria l’esplicitazione delle aspettative di autonomia rispetto alle consegne date, pro- prio perché ciò consente allo studente di comprendere il valore delle osserva- zioni del tutor. Il tutor di fronte ai problemi progettuali deve bilanciare la sua capacità risolutiva con la necessità di con sentire spazio decisionale allo studente; un modo di farlo consiste nel proporre, di volta in volta, modalità di soluzioni diverse lasciando libero lo studente di scegliere e produrre a sua volta nuove possibilità.

La sperimentazione congiunta e la dimostrazione

Esistono diversi stili di tutoraggio per esempio quello della “spe ri men­ tazione congiunta” che si applica quando si avvia una riflessione comune alla ri- cerca di possibili vie riso lutive in modo da aiutare lo studente a comprendere che è a sua volta libero di defi nire gli obiettivi. Questa via è praticabile se il problema risulta scomponibile in passi più brevi, collocati entro limiti ben definiti, ma di- venta più ardua se il tutor vuol comunicare una modalità di lavoro più comples- sa, nel qual caso è più efficace lo stile della dimostrazione e dell’imitazione. Il tutor deve improvvisare una prestazione professionale punteggiata da riflessioni, offrendo diverse descrizioni e punti di vista sul progetto, con linguaggi diversi, verbale, visivo, espressivo, perfino cor porale e attoriale, in modo da far emerge- re la sua idea di progettazione. Lo studente ottiene i risultati più rilevanti quanto più sa sospendere la propria idea e riprodurre il pro cesso esemplificato dal tutor, per scoprire il significato delle “mosse”. Il tutor molto spesso “dimostra” allo studente aspetti della progettazione allo scopo di aiutarlo a cogliere sperimen-