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Esistono numerose sequele neurologiche che possono far seguito ad un trauma lieve, anche se, nella maggior parte dei casi, un’adeguata gestione diagnostico-terapeutica del trauma determina un recupero funzionale completo.

Le più note complicanze di un trauma cranico lieve sono:

- cefalee post-traumatiche, presenti in una percentuale variabile dal 25 al 78% dei pazienti affetti da TBI177,178,179;

- disturbi del sonno; - epilessia post-traumatica; - vertigini post-traumatiche;

- lesioni traumatiche dei nervi cranici, con conseguenti anosmia, diplopia o nevralgie faciali;

- sindrome da secondo impatto; - sindrome post-commotiva; - encefalopatia traumatica cronica.

La “sindrome da secondo impatto” è una condizione caratterizzata dallo sviluppo di un rapido e catastrofico edema cerebrale in seguito di un secondo insulto traumatico cerebrale di tipo commotivo, che avviene in un paziente ancora sintomatico per il primo evento. Affinchè si manifesti questa complicanza non è necessario che il primo TBI sia severo, ed il secondo TBI può essere anche minimo180,181.

Questa condizione è fatale nel 50% dei pazienti e nei sopravvissuti determina gravi disabilità in quasi il 100% dei casi182. Studi su modelli animali hanno dimostrato una maggiore vulnerabilità ad un secondo trauma commotivo da parte di tessuti nervosi immaturi e ciò potrebbe rendere ragione della maggiore frequenza della SIS negli under18183,184.

L’encefalopatia traumatica cronica, invece, si riferisce a quell’aggregazione di deficit cognitivi e neuropsicologici (modificazioni del comportamento, depressione e tendenze suicide) provocati da traumi cranici lievi ripetuti nel tempo. Sono stati descritti anche casi caratterizzati da parkinsonismo o anomalie della deambulazione e dell’eloquio. Si verifica

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tipicamente in atleti di sport di contatto come boxe o rugby. Non esistono, ad oggi, biomarkers per la diagnosi, in quanto questa è basata su reperti anatomopatologici (reperti tipici sono l’atrofia corticale, l’ampliamento dei ventricoli e la deposizione di proteina tau)185.

Sindrome post-commotiva

Come già esposto, la commozione cerebrale si realizza quando al trauma cranico conseguono lievi alterazioni neurobiochimiche ed alterazioni microstrutturali reversibili che si esprimono mediante disfunzioni neurologiche transitorie, a risoluzione spontanea, rappresentate da uno stato confusionale, da amnesia transitoria e dalla perdita di coscienza. Suddette manifestazioni tendono a regredire autonomamente nell’arco di pochi giorni o settimane dal trauma nella maggioranza dei pazienti, quando tuttavia tale sintomatologia persiste più a lungo viene denominata sindrome post-commotiva (PCS).

Secondo i criteri stabiliti dall’ICD-10 del 1992186 per poter definire la sindrome post-

commotiva è necessaria la persistenza di almeno 3 dei seguenti 8 sintomi: cefalea, fatica, irritabilità, disturbi del sonno, instabilità posturale, deficit di memoria, deficit di concentrazione e alterazioni della sfera affettiva. Tale sindrome ha un’incidenza pari al 10%-58% ad un mese da un trauma cranico lieve ed i fattori di rischio maggiori per il suo sviluppo sono il sesso femminile e l’età avanzata.

La natura eziopatogenetica di questi disturbi è stata a lungo dibattuta. Fino ad alcuni anni fa si riteneva che la sindrome trovasse una spiegazione unicamente a livello psicosomatico; è stata invece dimostrata la persistenza di anomalie funzionali cerebrali mediante studio con PET, sia per quanto riguarda l’analisi metabolica (up-take di glucosio), sia mediante analisi perfusionale187. In alcuni pazienti la sintomatologia può essere spiegata dallo sviluppo di lesioni intracraniche conseguenti al trauma lieve: in questi casi gli esami di neuroimaging strutturale, quali la TC e la risonanza magnetica saranno in grado di evidenziare anomalie, spesso non identificate alla prima TC smc, quali contusioni cerebrali, ematomi intracerebrali, subdurali o epidurali. Queste lesioni quali possono progredire nel tempo, conducendo ad un deterioramento lento dello stato cognitivo. E’ ciò che avviene, ad esempio, in pazienti con EDH inizialmente diagnosticati come vittime di mTBI, i quali dopo un “intervallo lucido” durante il quale risultano asintomatici, vanno incontro ad un deterioramento dello score GCS. Tali pazienti saranno definitivamente riclassificati come affetti da TBI moderato o severo36, 41.

Sono stati inoltre elaborati test neuropsicologici atti ad individuare deficit cognitivi precoci, quali il Rivermead Postconcussion Symptoms Questionnaire188 e l’Hopkins Verbal Learning A test (HVLA)189.

La prognosi della PCS è solitamente buona; i sintomi tendono a risolversi entro 3-12 mesi dall’evento e soltanto nel 10-15% dei casi si protraggono per 1 anno. la durata della sindrome è in relazione col numero iniziale di sintomi lamentati, infatti il 50% dei pazienti che presenta tre sintomi resta sintomatico fino a 6 mesi dopo il trauma188,190.

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Evoluzione del trauma cranico

L’evoluzione di un trauma cranico dipende da numerosi fattori tra i quali: - entità del danno;

- grado e durata della perdita di coscienza; - associazione con lesioni extra-neurologiche;

- età: in generale nei pazienti anziani si osserva un incremento della mortalità; - tempestività delle cure medico-chirurgiche.

Superata la fase acuta è importante fare una stima degli esiti. Fra le numerose classificazioni elaborate per una valutazione globale ed univoca del danno residuo, la Glasgow Outcome Scale (GOS), elaborata nel 1975, è la più utilizzata. Tale classificazione prevede cinque categorie di risultati finali misurabili a sei mesi di distanza dal trauma:

1) decesso del paziente;

2) stato vegetativo persistente: vi sono inclusi pazienti che non mostrano alcun segno di contatto con l’ambiente; aprono gli occhi, ma non sono in grado di eseguire un comando o di parlare;

3) disabilità severa: i soggetti in questo stato presentano disturbi fisici associati a disturbi mentali; sono dipendenti al 100% da caregivers, necessitando di assistenza continua per la gestione delle attività di base;

4) disabilità moderata: comprende pazienti con deficit intellettivi, psichici o motori di grado variabile, ma in grado di condurre una vita quasi del tutto indipendente e di riprendere l’attività lavorativa anche se ad un livello inferiore rispetto a quanto consentito prima dell’evento traumatico;

5) buon recupero: in questo caso i soggetti ricominciano a condurre una vita normale, il lavoro e le attività svolte prima del trauma.

Il successo del sistema GOS è legato essenzialmente al fatto che il giudizio sull’esito del trauma è espresso mediante la valutazione di parametri funzionali piuttosto che su criteri strettamente neurologici.

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Valutazione e gestione del paziente con TBI in fase acuta

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