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FRIGORIFERO DISPENSA

4. STRUMENTI CONCETTUALI PER REQUISITI PROGETTUAL

4.5. Componente cognitiva dell’elettrodomestico

La comunicazione e la retorica hanno avuto e hanno sempre più un ruolo insostituibile nel fare accettare una nuova tipologia di prodotto: anche soltanto chiarire la tipologia di appartenenza di un prodotto fornisce ai suoi potenziali utenti informazioni utilissime.

Se da un lato il progresso tecnico e tecnologico ha ridotto la fatica fisica durate le attività lavorati- ve, dall’altro “ha comportato l’aumento dell’impegno psichico che richiede una maggiore attività mnemonica tesa all’elaborazione di concetti e alla presa di decisioni” (Rinaldi, 2012, p. 104). La componete cognitiva riguarda la capacità di elaborazione e interpretazione delle informazioni e la capacità di usare l’esperienza e i modelli interpretativi nei processi decisionali. Può accade- re però che le informazioni giunte dall’esterno siano difficili da comprendere e da interpretare, questo a causa di inadeguatezza dei sistemi o stress del soggetto (dovuto a situazioni personali o ambientali). Questo impedisce all’utilizzatore di stabilire una relazione immediata con il sistema e ostacola il compimento delle attività.

Nel caso degli elettrodomestici il compito di delucidare il funzionamento generale è affidato alle istruzioni per l’uso, mentre quello di fornire indicazioni operative sta nel corpo stesso dell’ar- tefatto. Questo secondo aspetto è chiaramente legato al compito del progettista, la tendenza il questa materia lavora verso una progressiva atrofia degli ordini di comando e nel contempo opera una ipertrofia degli organi di informazione. Complice è il fatto che gli elettrodomestici contemporanei incorporano sempre più funzioni complesse, per le quali è necessaria un’infor- mazione chiara strutturata e accessibile (esigenza nata nelle macchine utensili ma che ben presto si è trasferita a quelle di uso domestico).

Le tendenze descritte vanno ad enfatizzare l’aspetto immateriale dei prodotti, ma questo non deve distrarre dall’obbiettivo, ossia creare le basi per una comunicazione sempre più efficiente fra uomo e macchina. Nei maggiori elettrodomestici (lavatrici, lavastoviglie, apparecchi di intratte- nimento) osserviamo una preminenza delle aree di controllo rispetto a quelle di lavoro; invece negli oggetti in cui l’intervento operativo si limita all’azionamento del comando come accade nei piccoli elettrodomestici (frullatore, tritatore, ferro da stiro) l’utente è invitato ad interagire concretamente con l’artefatto in modo da accompagnare le prestazioni con un lavoro manuale.

In ogni caso, troviamo nell’oggetto tecnico dei display, delle manopole, dei pulsan- ti. Questa tipologia di oggetti viene definita come categoria dei visualizzatori, cioè a tut- ti quei quadri di controllo presenti nei più svariati elettrodomestici. Si possono defini- re visualizzatori quegli oggetti o parti di essi “che servono a trasmettere o mostrare una comunicazione, una prescrizione, un’istruzione.” (D’Auria e De Fusco, 1992, p. 418). Non sempre, al momento della progettazione, questi aspetti ricevono la giusta attenzione, pen- siamo ad esempio alle manopole di accensione dei piani cottura in cui è quasi sempre difficile mettere in reazione la manopola con il fuoco che si desidera accendere, oppure ricordiamo i frequenti casi in cui il controllo dell’automazione non viene gestito in modo adeguato, arrivando and una sovra-automazione che spesso confina con un non impiego del relativo oggetto. Le macchine che coinvolgono il lavoro umano devono dunque essere progettate tenendo conto di quali informazioni l’utente avrà bisogno per farle funzionare e inoltre dovranno essere studia- ti i modi in cui tali informazioni devono essere presentate.

4.5.1. Elementi di ergonomia cognitiva

È stato introdotto nei paragrafi precedenti il problema dell’eterogeneità dell’ergonomia. L’im- portanza dell’aspetto comunicativo nei prodotti di uso quotidiano spinge l’attenzione verso gli aspetti cognitivi dell’interazione. Vale a dire il modo in cui l’utente di una tecnologia percepisce, presta attenzione, decide e programma le sue azioni al fine di raggiungere un obiettivo, fattori ri- assumibili con l’espressione ‘ergonomia cognitiva’. La ricerca punta a comprendere l’interazione tra individuo e tecnologia allo scopo di progettare attrezzature a misura d’uomo.

Le conoscenze sviluppate nell’ambito dell’ergonomia cognitiva consentono di sviluppare sistemi usabili ossia in grado di ridurre il carico di lavoro imposto all’utente e la probabilità di commet- tere errori.

L’ergonomia cognitiva copre una zona molto ampia dell’interazione uomo-macchina, può es- sere indentificata con “quella parte dell’ergonomia che si riferisce all’attività mentale del lavoro” (Re 1995, p. 76) attività che può essere presente anche nelle attività più esecutive o manuali sia riguardo all’organizzazione del lavoro.

L’ergonomia cognitiva ha come oggetto di studio l’interazione tra il sistema cognitivo umano e gli strumenti per l’elaborazione di informazione. La conoscenza prodotta da questo studio è utilizzata per supportare la progettazione di strumenti appropriati per i più svariati usi, dal lavoro, all’educazione, al divertimento ed è legata principalmente allo sviluppo delle tecnologie a base informatica. Realtà che ha assunto nel corso degli ultimi anni un ruolo determinante nella nostra organizzazione sociale.

Queste trasformazioni hanno sollevato una serie di problemi psicologici, sociali: lo sviluppo di competenze per padroneggiare i processi di lavoro attraverso le nuove tecnologie, lo spostamen-

to cognitivo coinvolto nella transizione dal controllo di un processo al monitoraggio di sistemi automatizzati (Bainbridge 1987; Sarter and Woods 1992). L’innovazione tecnologica ha anche aperto la possibilità di migliorare le prestazioni umane aiutando, espandendo e riorganizzando le attività cognitive umane attraverso la progettazione di strumenti avanzati, una sfida affrontata dall’ingegneria cognitiva e dall’usabilità (Hollnagel e Woods 1983, Norman and Draper 1986, Nielsen 1993). L’ergonomia cognitiva affronta questi temi, da un lato, sviluppando modelli delle strutture della conoscenza e meccanismi di elaborazione delle informazioni che spiegano come gli individui svolgono i loro compiti lavorativi (fare pianificazione, risoluzione dei problemi, de- cision-making, usare strumenti e coordinarsi con altre persone); dall’altra, sviluppando metodi per ridefinire il processo di progettazione dell’ambiente cucina. Le due attività sono strettamente collegate perché l’integrazione delle esigenze e dei requisiti degli utenti nella progettazione di sistemi e organizzazioni è vista come l’unica risposta possibile per una trasformazione riuscita dell’ambiente di lavoro.

L’obbiettivo dell’ergonomia cognitiva è quello di fornire conoscenze di supporto per progetta- re “strumenti appropriati per i più svariati usi” allo scopo di elevare l’usabilità (usability) dei prodotti (Statuto della Società Europea di Ergonomia Cognitiva EACE costituita nel 1987). L’ergonomia cognitiva si occupa quindi di indagare sulle finalità dell’utente per poter migliorare l’interazione con il sistema cognitivo umano.

È importante sottolineare che l’ergonomia cognitiva è racchiusa in ogni tipo di progettazione di oggetti tecnologici ma anche oggetti d’uso, poiché l’interazione tra uomo e artefatto è sempre mediata dal sistema cognitivo. Tale sistema è il centro focale che mette in connessione il processo di progettazione con l’utente che dovrà utilizzare il prodotto.

Gli esseri umani costruiscono essi stessi gli artefatti con cui interagiscono, in tal senso ogni piano di azione progettato dalla mente prevede l’utilizzo di oggetti materiali esterni, in altre parole l’artefatto crea e attiva rappresentazioni mentali legate all’azione compiuta per usare l’oggetto, modulando l’attività del sistema cognitivo. Questa ipotesi è stata confermata da recenti studi di neuro imaging che hanno evidenziato come la semplice visione di oggetti manipolabili innesca reazioni cerebrali motorie che si attiverebbero solo se il soggetto manipolasse o azionasse l’ogget- to (Chao & Martin 2000).

L’ergonomia cognitiva applicata alla progettazione della zona cucina può portare alla realizzazio- ne di prodotti dalla massima usabilità ed offre metodi di indagine aggiuntivi che possono aiutare i designer in ambito non solo di progettazione ma anche nelle fasi successive di vita del prodotto.

4.5.2. Forme di interazione

L’interattività viene definita da Manzini (1990, p. 36) come “la forma assunta nel tempo dal rap- porto di azione e retroazione tra soggetti e oggetti.” Procede dicendo che tutti gli oggetti devono

interagire con l’utilizzatore e con l’ambiente, perciò tutti gli oggetti sono interattivi da sempre. Secondo questa concezione la forma fisica stabilita in fase di progettazione è un programma di interattività, in quanto stabilisce un determinato uso che si esprime in maniera analogica. L’oggetto tradizionale che interagisce con l’utilizzatore si limita ad esistere ed è compito del sog- getto scegliere gli usi e attribuire significati, dando luogo ad una interazione asimmetrica. Questa famiglia di oggetti ha la capacità di modificare il loro comportamento in funzione di variabili esterne, stabilendo un colloquio con l’utilizzatore e innescando una comunicazione che tende alla simmetria. Il prodotto diventa una sorta di interlocutore virtuale con il quale siamo chiamati a confrontarci.

Ci si chiede dunque, questa nuova generazione di prodotti cosa sa fare in più rispetto a quella precedente? È più facile o difficile interagire con il prodotto? Se osserviamo ad esempio le ultime generazioni di elettrodomestici ci rendiamo conto di come l’innovazione sia spesso percepita dal pubblico come inutile complicazione, una sorta di “gadgettizzazione” del prodotto. Allo stesso modo la sofisticazione delle interfacce può portare a tecnologie evolute senza però migliorare la qualità dell’interazione.

Date queste considerazioni possiamo affermare che l’interattività è qualcosa che ha luogo nel tempo, quindi progettare l’interattività significa progettare nella quarta dimensione temporale. Il tempo diventa il valore di parametro organizzativo delle qualità.

Gli oggetti interattivi hanno la caratteristica di imporre la loro presenza, richiedendo uno sforzo dal punto di vista temporale da parte dell’utilizzatore per questo possono risultare più invaden- ti degli oggetti tradizionali. Questa categoria di prodotti può arrivare ad irritare, se gli oggetti vengono progettati in modo non adeguato, si pensi ad esempio ad una lavatrice che parla o alla segreteria telefonica; l’utilizzatore finirà per avere la percezione di smarrimento e perdita del con- trollo della situazione.

4.5.3. Interfaccia e identità

Il prodotto per esprimere una qualità, un plus prestazionale rispetto alla precedente generazio- ne ha bisogno di una sua identità precisa e riconoscibile. La nostra relazione con gli oggetti è innanzitutto un rapporto mentale, l’utilizzatore si è fatto un’immagine mentale del prodotto costruendo la sua entità immateriale che sovrasta quella reale e materiale, da questa immagine dipendono le possibilità di successo di un prodotto innovativo. Ecco perché le innovazioni han- no bisogno di training per poter poi essere inserite in realtà culturali di riferimento. Il plus che deve essere offerto diventa inseparabile dal modo in cui verranno comunicate le funzioni e le prestazioni. In questa prospettiva l’interfaccia è intesa non solo come la superficie attraverso cui si scambiano informazioni, ma anche la struttura con cui si organizzano i flussi informativi in entrata e in uscita dalla macchina, diventa terreno in cui si stabilisce l’effettivo sviluppo perfor-

mativo della macchina o dei prodotti. L’interfaccia dell’oggetto che elabora l’informazione non è il funzionamento effettivo ma è una rappresentazione della sua logica di funzionamento, sta alla capacità dell’utilizzatore di capirla, quindi più l’interfaccia si avvicina al modo di pensare del soggetto, più la simulazione sarà riuscita.

Si tratta quindi di trovare una risposta alla domanda: quale insieme di prestazioni è coerente con l’identità che sto cercando di produrre?

In alcuni casi la chiave è quella di far simulare della macchina un funzionamento noto o propor- re attività pratiche che l’utilizzatore già conosce. Questo valore può essere definito ‘metafora’, come strumento di progetto. Si tratta dunque di definire quel particolare insieme che rende l’oggetto interattivo una individualità riconoscibile, chiara, stimolante e gradevole.

Dal momento che attualmente non sono più le strutture e i meccanismi ad essere determinanti ai fini della comprensione dell’oggetto, si dovranno dunque inscrivere nel prodotto riferimenti culturali collegabili all’insieme delle prestazioni. In fase di progettazione si dovrà ricercare una immagine coerente con le funzioni del prodotto e con l’ambiente in cui si inserisce: si tratta di trovare una connessione fra forma e riferimenti tecnici culturali capaci di esprimere le perfor- mance del prodotto.

Ogni prodotto è protagonista di un intero sistema di interfacce che coinvolge diversi soggetti, ha diverse finalità e configura diversi modi di collaborazione.

Possiamo raggruppare le funzioni in due grandi categorie: operativa e comunicativa. Nella ope- rativa, avvengono i processi di interazione fra utenti e interfaccia, e il sistema di interazione fra utente e prodotto. Quella comunicativa, serve per governare il processo interattivo con l’inter- faccia. La funzione dell’interfaccia comunicativa è quella di fornire le informazioni necessarie per prendere decisioni esecutive. Le azioni del prodotto vengono invece provocate mediante interfacce operative, che pur essendo talvolta integrate rimangono concettualmente separate. L’interfaccia comunicativa trasmette segnali impulsi informazioni sulla propria offerta presta- zionale e sul proprio stato di funzionamento.

Sia le interfacce comunicative che quelle operative mettono il prodotto in relazione con l’u- tente oppure stabiliscono connessioni più o meno automatizzate con componenti o prodotti appartenenti allo stesso sistema. Nonostante questo, le interfacce comunicative non posso essere concepite separatamente da quelle operative. Anceschi (2006, p.64) le differenzia definendole: “interfacce per fare” e “interfacce per sapere”. Il disegno industriale tende a focalizzarsi sulle prime legate all’agire. Sembra essere incalzante l’interpretazione di Bonsiepe (1995) che intende l’interfaccia legata all’agire come componente di un prodotto “sia tratti di impugnatura di una forbice, di un manico di martello o del programma di un computer” (Bonsiepe, 1995, p.89). Avere una chiara visione di insieme delle interfacce comunicative e cogliere in ogni momento i rapporti gerarchici tra le informazioni che vengono fornite dal prodotto, è utile per guidare l’utente verso l’informazione necessaria nel momento adeguato. La qualità dell’interfaccia è un

aspetto cruciale, infatti per l’utente “l’interfaccia è il prodotto” (Di Nocera p. 14).

Per comprendere meglio qual è il ruolo dell’interfaccia nella progettazione del sistema cucina e consentire la buona riuscita dell’interazione è necessario introdurre il concetto di modello men- tale.

Norman (1983) ha identificato tre modelli principali di interazione fra uomo e tecnologie: • modello mentale dell’utente; si tratta di una rappresentazione della macchina che sviluppa

l’utente nel momento in cui inizia ad usarla. È un modello non stabile nel tempo infatti subisce modifiche in base all’esperienza dell’utente.

• immagine del sistema, è basato sull’immagine che l’utente si è fatto del sistema tendo conto dell’aspetto fisico, dello stile dell’interazione, della forma e del contenuto delle informazio- ni.

• modello concettuale del sistema, si tratta di un modello accurato realizzato per scopi scien- tifici ed usato dal progettista per realizzare il sistema.

Una progettazione efficiente deve quindi essere basata su un modello concettuale derivato dall’a- nalisi dell’utente e dei compiti che dovrà svolgere nel determinato ambiente.

4.5.4. Schemi che governano il comportamento

L’affordance viene utilizzato riferendosi ad artefatti manipolabili che racchiudono le proprietà fisiche dell’oggetto che invitano all’utilizzo (Norman 1997). Nel campo della progettazione è necessario distinguere fra affordance reali e percepite, nel campo degli elettrodomestici sono presenti entrambi i tipi di interfacce. Quando l’affordance intesa come invito all’uso corrisponde alla funzione per la quale un oggetto è stato progettato allora il prodotto avrà prestazioni più soddisfacenti, quando invece vi è un conflitto allora risulteranno incomprensioni da parte dell’u- tente nello svolgimento del compito. Applicare il principio di affordance nella progettazione dell’ambiente cucina contribuisce a realizzare un sistema efficiente, dove l’utente possa portare a termine i propri compiti

Un ulteriore elemento che dirige il comportamento dell’utente è il mapping. Si tratta di un termine tecnico con il quale si indica la correlazione tra più elementi. In particolare, ci si riferi- sce ad una corrispondenza fra configurazione dei comandi di un artefatto e l’aspetto delle parti dell’artefatto sul quale i comandi vengono azionati. In ambiente cucina “quando l’effetto corri- sponde a quello previsto si parla di un buon mapping, mapping naturale. Ad esempio, quando il layout dei controlli di un piano cottura corrisponde a quello dei fuochi, vi è somiglianza di layout; se in seguito all’azione di sterzare a sinistra, la ruota dell’auto gira a sinistra, vi è affinità di comportamento; quando un pulsante di emergenza è rosso vi è affinità di significato […] È auspicabile posizionare i controlli in modo che la loro disposizione corrispondano al layout e al comportamento del dispositivo” (Lidwell, Holden, Butler, 2008 p. 121). La soluzione migliore

è quella che crea una relazione immediata tra controllo ed effetto, e non lo stesso controllo per più funzioni. Se ciò non è possibile sarà necessario ricorrere a modalità visive diverse per indicare le funzioni attive.

Grafico 7: due esempi di mapping per un piano cottura. I comandi sono evidenziati in giallo e in rosso la posizione in

cui sono collocati i fuochi.

4.5.5. Sistema di feedback

Tutti i canali sensoriali sono utili per ricevere informazioni trasmesse dalla macchina, i più uti- lizzati sono la vista e l’udito.

Nella progettazione ergonomica il designer deve chiedersi che tipo di segnalazione acustico/visi- va deve mettere in atto. Questo va scelto in base ad una serie di fattori:

• le caratteristiche del messaggio (se è rapido la segnalazione audio è preferibili, se è complesso è necessaria la segnalazione visiva;

• le caratteristiche del contesto (se l’ambiente è buio, rumoroso, se le vibrazioni possono in- terferire con l’azione della macchina);

• le caratteristiche della prestazione (ad esempio se l’operatore si sposta dalla postazione perde la possibilità del controllo visivo);

• l’interpretazione ossia l’attribuzione di un significato ad un segnale in un determinato con- testo, in questo caso entra in gioco l’aspettativa dell’utente sul sistema. Ad esempio, se la temperatura si abbassa ci si aspetta che l’indicatore si abbassi, mentre se si alza che l’indica- tore si sposti verso l’alto.

Se la programmazione dei dispositivi non tiene conto delle aspettative e dell’esperienza dell’u- tente, sarà alta la probabilità di riscontrare errate interpretazioni del segnale e di conseguenza risposte non efficaci.

Particolarmente importanti sono i sistemi di feedback, si tratta di quell’informazione di rimando data dall’utilizzatore in seguito ad un azionamento. Con l’affermarsi della psicologia cognitivi-

sta si sono formati nuovi modelli dell’elaborazione dell’informazione visiva (Sperling 1960, Ru- melhart 1970). Il rapporto fra attenzione e riconoscimento è stato motivo di dibattiti, sono state analizzate in particolare la funzione selettiva dell’attenzione e il variare della capacità attentiva, si tratta di aspetti essenziali nei processi di elaborazione dell’informazione. Infatti, la funzione percettiva può fungere da filtro e determinare una limitazione percettiva o una selezione delle informazioni in entrata (Norman 1968).

“Secondo alcuni studi è possibile il riconoscimento di uno stimolo per volta perché l’attenzione agisce come un filtro, selezionando quale stimolo verrà riconosciuto fra i molti che arrivano simultaneamente. Secondo altri studiosi, invece, tutti gli stimoli sono potenzialmente riconosci- bili, anche quando sono simultanei, ma mentre passano in memoria, e verranno poi ricordati, gli altri vengono dimenticati immediatamente.” (Reed, 1988, p.15).

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