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Artefatti domestici tra ergonomia cognitiva, tecnologia e stili di vita. Il piano cottura come caso di potenziali applicazioni innovative

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Academic year: 2021

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Artefatti domestici tra

ergonomia cognitiva, tecnologia

e stili di vita

Il piano cottura come caso

di potenziali applicazioni innovative

Tesi di Laurea Magistrale

in Design del prodotto per l’innovazione

Laureanda: Francesca Bastianon matr. 885076

Relatore: Prof. Silvia Pizzocaro

A.A. 2018-2019

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Indice

Abstract (italiano) Abstract (inglese)

INTRODUZIONE E SIGNIFICATO DEL LAVORO DI TESI

i. Oggetto dell’indagine

ii. Contestualizzazione

iii. Questione centrale dell’indagine

iv. Metodologia d’indagine

v. Approccio e strategia per interventi progettuali vi. Limiti dell’approccio e vantaggi attesi

1. PREMESSE IN TEMA DI ARTEFATTI TECNOLOGICI 1.1. Cenni introduttivi al concetto di artefatto 1.2. Cenni di storia degli artefatti tecnologici

1.3. Assimilazione della cultura materiale nella società 1.4. Cultura del design e artefatti tecnologici

1.5. Da artefatto tecnologico a artefatto cognitivo

1.6. Il ruolo dell’artefatto tecnologico nella gestione della 1.7. Ambiente dell’artefatto tecnologico cognitivo

2. TECNOLOGIE E ARTEFATTI COGNITIVI NEL QUOTIDIANO 2.1. Evoluzione del significato di tecnologia

2.2. L’innovazione tecnologica nel divenire della società 2.2.1. Processi di sviluppo, diffusione, trasformazione 2.2.2. Diffusione della tecnologia: parallelismo fra 2.3. Evoluzione tecnologica come aspetto essenziale 2.4. Tecnologia del e nel quotidiano

conoscenza umana

delle tecnologie

dell’evoluzione sociale

innovazione scientifica e tecnologica.

11 12 15 15 15 15 16 16 17 19 19 21 21 22 24 25 27 29 29 31 32 35 36 37

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2.5. Come gli elettrodomestici modellano 2.6. Cognizione nelle attività quotidiane 2.7. Fasi del processo cognitivo

2.8. Progettista come mediatore fra soggetto ed

2.9. Comfort ed efficienza domestica, limiti e nuove direzioni 3. TECNOLOGIA IN CUCINA

3.1. Elettrodomestici e quotidianità domestica 3.2. Cenni di sviluppo storico dell’elettrodomestico 3.3. Stabilizzazione degli elettrodomestici

3.4. Cultura del comfort

3.5. Trasformazioni della tecnologia in cucina

3.6. L’ambiente cucina

3.7. Dinamiche dello spazio cucina: work triangle 3.8. Nuovi profili di utenza e stili di vita

4. STRUMENTI E CONCETTUALI PER REQUISITI PROGETTUALI

4.1. Nuovi paradigmi di progettazione

4.2. Possibili ambiti di ottimizzazione e innovazione in 4.3. Studi sull’interazione fra uomo e ambiente 4.4. Valutazioni sull’interazione fra uomo, tecnologia,

4.5. Componente cognitiva dell’elettrodomestico

4.5.1. Elementi di ergonomia cognitiva 4.5.2. Forme di interazione

4.5.3. Interfaccia e identità

4.5.4. Schemi che governano il comportamento

4.5.5. Sistema di feedback 4.6. Progettare la qualità d’uso

4.7. Guidare il processo: da ‘uso’ a ‘presenza’ la cognizione e la collaborazione

elettrodomestico

ambiente

ambiente cucina governano le funzioni

e per i pensili COTTURA

5. UN REPERTORIO DI CONFRONTO, ALCUNE ANALISI DI PRODOTTI ESISTENTI

5.1. Individuazione dei criteri di analisi

5.2. Introduzione alle analisi del piano cottura 5.3. Macrocategorie per un’analisi dell’esistente

5.4. Categoria cucina strutturata, tradizionale: Alpes Inox 5.5. Categoria cucina strutturata, smart: LAK Snaidero 5.6. Categoria cucina scomposta, tradizionale: Handy burner

5.7. Categoria cucina scomposta, smart: Samsung Away

5.8. Considerazioni finali

6. LINEE GUIDA PER POTENZIALI APPLICAZIONI AL PIANO 6.1 Dall’indagine conoscitiva alle linee guida applicative 6.2 Studio delle funzioni

6.2.1. Schemi di sequenze di lavoro

6.3 Proposta di concept

6.3.1. Misure ergonomicamente corrette per le basi 6.3.2. Cenni per aspetti dimensionali ed ergonomici 6.3.3. Prime configurazioni del concept

6.3.4. Illustrazione preliminare delle parti che 6.3.5. Proposta di work flow dell’interazione

6.3.5.1. Diagramma di flusso 6.3.6. Interfaccia

6.4 Render

7. INSERIMENTO NELL’AMBIENTE DOMESTICO

7.1 Ambientazioni 7.2 Scenari di utilizzo 40 40 41 43 44 49 49 50 51 51 52 56 57 61 65 65 66 67 68 70 71 72 73 75 76 77 78 81 81 82 83 86 90 94 98 102 105 105 106 108 112 114 114 115 118 122 123 126 132 139 139 144

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CONCLUSIONI BIBLIOGRAFIA

INDICE DELLE IMMAGINI INDICE DEI GRAFICI RINGRAZIAMENTI 149 153 161 163 167

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Abstract

L’obiettivo d’avvio di questa ricerca è di investigare il significato di innovazione nell’ambito degli artefatti tecnologici. All’interno dell’ampia categoria degli artefatti, particolare attenzione verrà data agli artefatti cognitivi, ossia artefatti che modificano i processi cognitivi svolgendo alcune attività un tempo destinate all’uomo. L’analisi si focalizzerà sugli artefatti cognitivi in ambito quotidiano e domestico, e più nello specifico in ambiente cucina. L’obiettivo ultimo di questa ricerca è di analizzare il rapporto che si instaura fra l’utente e gli elettrodomestici come prodotti di uso comune e l’impatto che essi hanno in termini di interazioni utente-prodotto.

La tesi si concentrerà sugli elementi di ergonomia e, in particolare, sull’ergonomia cognitiva allo scopo di proporre degli studi progettuali per l’ambiente cucina. L’ambiente cucina si è sempre più evoluto, diventando multifunzionale e agendo sia come centro di aggregazione sociale che come laboratorio di cucina vero e proprio. In passato la cucina era percepita esclusivamente come luogo di lavoro e per questo vigevano le regole dettate dal work triangle, ovvero un sistema di progettazione basato su tre punti e linee immaginarie che collegano fornelli, frigo e lavandino per migliorare l’efficienza del layout di una cucina. Tuttavia, tale paradigma necessita un aggior-namento per poter fornire prodotti in grado di collaborare con l’utente al fine di rendere l’espe-rienza di preparazione e condivisione del pasto più semplice, piacevole e divertente. Verrà perciò analizzato il piano cottura in quanto fulcro della cucina e punto focale della preparazione del cibo. Se da un lato le nuove regole che vigono all’interno della cucina consento maggiore libertà all’utente, dall’altro comportano anche dispersione di attenzione nei confronti del lavoro e quin-di possibili quin-disattenzioni durante il processo quin-di preparazione o adquin-dirittura situazioni quin-di pericolo. La parte di concept – delineato per somme linee – è stata sviluppata a partire dalla sintesi delle informazioni e delle considerazioni emerse dal quadro di approfondimento, dalle analisi svolte e dalla loro traduzione in requisiti progettuali. Questo processo ha portato all’elaborazione di un concept che ricorre sia a tecnologie esistenti che futuribili, al servizio di nuovi scenari di utilizzo e riti domestici e alla ricerca di una configurazione spaziale in linea con le esigenze contempora-nee. Il concept propone una rivisitazione del piano cottura tenendo conto delle nuove dinamiche e bisogni; l’attenzione è diretta verso una forma di user experience capace di adattarsi alle nuove esigenze degli utenti in cucina.

È proposto un piano cottura trasformato dal punto di vista della struttura in modo da consen-tire la fruizione di più utenti in contemporanea. L’aspetto dell’interfaccia, da sempre punto cri-tico del prodotto, è considerato un punto di forza del piano cottura, consentendo un controllo

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collaborativo e dinamico del prodotto. Questo lavoro descrive scenari e implementazioni in cui un’interfaccia intuitiva può collaborare in modo proattivo, senza intaccare il piacere di speri-mentare e la creatività dell’utente.

The thesis begins by investigating the meaning of innovation in the field of technological arti-facts, focusing on a particular type of artifacts called cognitive artiarti-facts, i.e., artifacts that modify cognitive processes by carrying out some activities once carried out by humans. Among the dif-ferent types of cognitive artifacts, this thesis will analyze cognitive artifacts in the home, more specifically in the kitchen environment. This allows to analyze the relationship between the user and the household appliances as commonly used products.

The thesis will focus on the elements of ergonomics and, in particular, on cognitive ergonomics in order to propose design studies for the kitchen environment. The kitchen environment has evolved more and more in recent years, becoming multi- functional and acting both as a so-cial gathering centre and as an actual cooking laboratory. In the past, the kitchen was perceived exclusively as a workplace and thus followed the rules established by the work triangle, which is a design system based on three points and imaginary lines that connect stoves, fridges, and sinks to improve the layout efficiency of a kitchen. However, this paradigm must be updated to be able to provide products that can collaborate with the user in order to make the experience of preparing and sharing the meal easier, more pleasant and enjoyable. The hob will thus be analysed as the core element of the kitchen and the focal point of food preparation. While on the one hand, the new rules that apply within the kitchen allow greater freedom for the user, on the other hand, they also involve a decrease in the attention with respect to the kitchen tasks. This can cause distraction during the preparation process or even lead to dangerous.

The concept part was developed starting from the synthesis of information and considerations emerged from the research and analysis carried out, and from their translation into design requi-rements. This process has led to the development of a concept that uses both existing and pos-sibly futuristic technologies. The concept will be situated in new scenarios of use and domestic rituals and the search for a spatial configuration in line with contemporary needs. The concept proposes a review of the hob taking into account the new dynamics and needs of the users, and there the attention will be devoted to a user experience capable of adapting to the new needs of users in the kitchen. A hob transformed from the point of view of the structure will be proposed in order to allow the presence of several users simultaneously. The appearance of the interface, which has always been a critical point of the product, will become a strong point of the hob, allowing a collaborative and dynamic control of the product. This work describes scenarios and implementations where an intuitive interface can collaborate proactively, without affecting the pleasure of experimenting and the creativity of the user.

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Introduzione

i.

Oggetto dell’indagine

L’analisi è stata impostata sulla ricerca del significato di innovazione nell’ambito degli artefatti tecnologici, analizzando l’incidenza che questi hanno nello sviluppo delle capacità cognitive. Ciò pone l’attenzione su un particolare tipo di artefatti: gli artefatti cognitivi. Se da un lato il progresso tecnologico ha ridotto la fatica fisica, dall’altro ha comportato l’aumento dell’impegno cognitivo introducendo sempre un maggior numero di processi che producono effetti cognitivi e competenze funzionali.

Nell’ampia categoria degli artefatti cognitivi, in questo scritto si prendono in analisi gli artefatti cognitivi in ambito domestico, e più nello specifico nell’ambiente cucina. Tra tutti gli ambienti del quotidiano che nelle ultime due decadi sembra essere destinato a cambiare di più, vi è la cucina. Infatti, essa è tutt’ora considerata l’ambiente che maggiormente influenza lo strutturarsi delle tecniche e delle pratiche che stanno alla base della cultura del quotidiano e quindi degli artefatti tecnologici.

Ciò che caratterizza e differenzia la zona cucina dal resto dell’abitazione è la presenza di artefatti tecnologici progettati con lo scopo di svolgere in maniera più efficiente alcune funzioni affidate in passato all’uomo: gli elettrodomestici.

ii. Contestualizzazione

Nello stato dell’arte, è chiaro che la contemporaneità sia dominata dalla comunicazione e dalla conoscenza, e che gli artefatti cognitivi possano essere tra i principali veicoli d’innovazione. Il concetto di artefatto cognitivo punta non tanto a una categoria di oggetti, bensì a una cate-goria di processi che producono effetti cognitivi e competenze funzionali. Nella vita di tutti i giorni, questo tipo di artefatto può includere, tra gli altri, gli elettrodomestici, in quanto pos-sono mettere in atto tecnologie che hanno una o più funzioni, e prevedono costanti interazioni con l’utente. Si tratta di una tematica particolarmente rilevante per i progettisti il cui compito non riguarda solo la progettazione di artefatti ma anche il mondo che dovrà interagire con essi.

iii Questione centrale dell’indagine

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maggio-re interazione con fra l’utente e l’elettrodomestico.

Gli elettrodomestici sono un ambito di indagine molto fecondo poiché rappresentano un pa-trimonio di dispositivi ampiamente diffusi, sia sotto l’aspetto dell’utilizzo che della produzione. Tuttavia, l’introduzione di aspetti innovativi fatica a trovare spazio poiché gli elettrodomestici sono prodotti maturi, che hanno raggiunto uno sviluppo completo e consolidato con il quale l’utenza ha ormai una forte familiarità.

iv. Metodologia d’indagine

Per sviluppare il lavoro di tesi è stata svolta inizialmente un’indagine sulla letteratura che ha permesso di focalizzare l’interesse verso gli artefatti cognitivi.

Per meglio comprendere le dinamiche in cucina, è stato svolto un approfondimento riguardo alla disposizione degli artefatti in questo ambiente e i movimenti che ne conseguono, in confor-mità con le linee guida del work triangle. Si tratta di un concetto usato per progettare il layout della cucina dal punto di vista dell’efficienza e della funzionalità, basato su tre punti e linee im-maginarie che collegano fornelli, frigo e lavandino. Si è deciso inoltre di focalizzare l’attenzione sul punto di maggiore interesse nella preparazione dei cibi: il piano cottura.

È stata quindi proposta una suddivisione dei piani cottura esistenti in quattro macroaree, in base alle loro caratteristiche: soluzioni strutturate-tradizionali, soluzioni strutturate-smart, soluzioni scomposte-tradizionali e scomposte-smart. In seguito, è stata sviluppata una sintetica scheda analisi per quattro esempi di particolare rilievo.

Lo studio dei prodotti ha permesso di approfondire e confrontare le caratteristiche delle diverse soluzioni, ponendole come base per lo sviluppo di una proposta di concept, a cui sono stati applicati alcuni principi di ergonomia emersi dalla letteratura. Data la proposta di nuovi utilizzi della cucina, si è ricorsi alla analisi dei compiti per analizzare gli spostamenti che si verificano nello spazio cucina e come essi avvengono. Infine è stata svolta una sommaria analisi delle in-terazioni fra il soggetto e il prodotto, allo scopo di progettare attrezzature capaci di rispondere meglio alle necessità degli utenti attuali.

v.

Approccio e strategia per interventi progettuali

In questa ricerca si cercherà di gettare le basi per una maggiore conoscenza ed implementazione dell’aspetto cognitivo negli elettrodomestici in ambiente cucina. La proposta di concept si occupa di analizzare le tre macro-aree dello spazio della cucina: zona lavaggio, zona preparazione e zona cottura. A questo scopo risulta essenziale l’approfondimento del design nell’industria degli elet-trodomestici bianchi, concentrandosi sul piano cottura in quanto il più rilevante allo scopo di ottimizzare la fruizione dell’ambiente cucina.

L’obbiettivo è quello di adattare gli elettrodomestici alle capacità cognitive, tenendo conto di chi ne fa uso e calibrando di conseguenza le funzioni motorie, il carico di lavoro, l’uso della memoria e dei processi decisionali.

La sfida principale è quella di riuscire a tradurre le innovazioni tecnologiche in prodotti con maggiori qualità comunicative, prestazionali ed ergonomiche. Si tratta di una proposta di rein-terpretazione dell’elettrodomestico che permette maggiore flessibilità e adattabilità sia dal punto di vista strutturale che collaborativo. L’idea è quella di proporre una visione più flessibile degli elettrodomestici e del loro uso, attraverso un sistema che lavori per obbiettivi e non per funzioni, puntando ad una migliore esperienza d’uso.

vi. Limiti dell’approccio e vantaggi attesi

Le difficoltà che si riscontrano negli interventi in ambito cucina portano a interventi sul progetto di vari aspetti, da quelli puntuali a quelli sistemici. L’esito della tesi è quello di aprire nuovi livelli di intervento progettuale che di conseguenza influenzeranno i possibili ambiti di intervento del progettista aprendo nuove aree di azione. La configurazione della cucina e degli elettrodomestici incorporati potrebbe consentire una struttura spaziale rinnovata, con un utilizzo più flessibile e dinamico degli spazi grazie ad un’interazione uomo-macchina facilitata.

Questo tipo di studio incontra dei limiti in termini di funzionalità delle scelte progettuali e di accettazione da parte dell’utente. Questo perché si tratta di intervenire su prodotti radicati e strettamente legati alla cultura materiale, allo stile di vita, all’efficienza nell’ambiente domestico e alla qualità della vita.

Gli elettrodomestici più di altri oggetti pongono dei vincoli sulla loro innovazione ed è inoltre necessario tener conto di vincoli culturali che portano l’utente a seguire determinate convenzio-ni nell’uso del prodotto. L’intervento innovativo deve essere perciò cauto e calibrato, in quanto le modifiche apportate nei prodotti di uso quotidiano comportano uno sforzo importante da parte dell’utente; per il progettista questo si rivela allo stesso tempo un limite e una sfida.

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1.1. Cenni introduttivi al concetto di artefatto tecnologico

La parola artefatto significa “fatto con arte, fatto ad arte, dove arte è un’attività umana regolata da accorgimenti tecnici e fondata sullo studio e sull’esperienza, e solo successivamente un’attività da cui nascono prodotti culturali che sono oggetto di giudizi di valore, reazioni di gusto o simili” (De Michelis, 1998, p. 4). Questa osservazione rimarca il fatto che qualunque cosa inventata dall’uomo per potenziare il proprio pensiero o le proprie azioni è un artefatto.

Sull’originario significato del sostantivo artefatto ci vengono presentate espressioni come “opera eseguita con arte della mano umana” o anche “opera eseguita con arte umana non di natura” (Gabrielli, 2015, p. 32). Prown (1993) afferma che si tratta di una parola composta - da arte e fatto - dove arte, artis, significa abilità nel congiungere, e fatto da factum che deriva da gesto, azione e facere (fabbricare o fare): da cui il senso degli artefatti intesi come “oggetti fatti o modificati dagli uomini”. Tale definizione enfatizza il significato utilitaristico della conoscenza che si applica alla fabbricazione di un oggetto. Il termine artefatto possiede un ambito specifico di utilizzo e nel caso di area linguistica latina può essere accomunato al termine manufatto. Nel testo Nacci (1998) l’artefatto viene presentato come il risultato dell’applicazione di una tecnica che ne delinea l’applicabilità esso afferma che “poche cose meglio dell’oggetto tecnico possono essere assunte a rappresentazione della conoscenza operante della realtà; l’idea evocata dallo strumento, di qualcosa destinato a svolgere una funzione specifica” (Nacci, 1998, p. 87). In modo più puntuale, il significato in senso stretto di manufatto riporterebbe all’oggetto realizzato con l’uso esclusivo dell’attrezzo mano, riconducendo al mondo della manifattura.

Inoltre, il termine artefatto può portare con sé connotazioni peggiorative con riferimento all’artificioso. Nella definizione di artefatto, la lingua italiana richiama un’accezione negativa e riporta al significato di falso, innaturale, includendo un’accezione spregiativa che riflette la profonda diffidenza che l’uomo nutre per i suoi prodotti.

Con l’introduzione del termine artefatto, è possibile estendere la riflessione all’espressione cultu-ra materiale. Manzini (1990) definisce infatti gli artefatti come una forma estesa di materializ-zazione dei contesti culturali, delle forme organizzative, dei sistemi tecnici, degli interessi econo-mici e della volontà di affermazione dei progettisti o dei gruppi di progettisti, degli imprenditori e dei settori produttivi. Da un punto di vista diverso è possibile inoltre assumere che “L’artefatto è dunque anche oggetto culturale grazie all’intrico narrativo che lo avvolge”, ben oltre il mero

1. PREMESSE IN TEMA

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oggetto funzionale o l’oggetto come merce (Penati, 2014, p. 27).

Per meglio delineare il campo d’azione della tesi verrà riportato in seguito uno schema in cui si circoscrive il significato del termine ‘artefatto’.

Per attribuire un senso al termine è stato necessario tralasciare alcuni aspetti, infatti, in colore arancione è sottolineata la strada che si intende percorrere nell’approfondimento di questa tesi. Dall’ampia nozione di artefatto innanzitutto vengono suddivisi i due aspetti che lo caratteriz-zano: artificiale e naturale. Di conseguenza, viene poi sollevato l’aspetto tecnologico contenuto nell’artefatto per arrivare ad evidenziare il concetto di artefatto tecnologico cognitivo nell’am-biente quotidiano.

Grafico 1: Schema di collocamento dell’artefatto tecnologico

ARTIFICIALE NATURALE BIOLOGICO artefatto tecnologico artefatto tecnologico cognitivo tecnologia nel quotidiano artefatto tecnologico non cognitivo artefatto non tecnologico cognitivo artefatto non tecnologico NON BIOLOGICO ARTEFATTO artefatto non tecnologico non cognitivo riflessivo esperienziale

1.2. Cenni di storia degli artefatti tecnologici

Lo studio della storia degli artefatti riporta allo studio dell’evoluzione della tecnologia. Gli arte-fatti sono il risultato dell’applicazione di una tecnica e delineano la sua applicabilità. L’artefatto evoca l’idea di qualcosa destinato a svolgere funzioni specifiche. Hughes ricorda inoltre che “gli artefatti fisici duraturi proiettano nel futuro le caratteristiche che provengono dalla costruzione sociale e che essi hanno acquisito nel passato quando sono stati progettati” (Nacci, 1998, p. 96). Volendo tracciare un sintetico e solo indicativo percorso storico dello sviluppo degli artefatti, è possibile assumere che per quanto arcaica sia una società umana, è possibile riconoscervi delle tecniche, e se si possono trovare società senza istituzioni politiche, non esistono società senza tecnica. L’inizio della storia degli oggetti si colloca almeno 30.000 anni fa (Attali, 2007, p. 32). Circa 6.000 anni fa, in massima parte gli oggetti non hanno ancora né nome né identità propria, sono degli artefatti e come tali, scambiabili.

Sebbene la produzione di artefatti abbia da sempre fatto parte dello sviluppo dell’uomo, solo in epoche storiche moderne si affermano discipline come l’archeologia, l’antropologia culturale, l’analisi economica, la storia della tecnica, che riservano un’attenzione specifica allo studio di artefatti, oggetti d’uso, merci, macchine, grandi sistemi socio-tecnici.

Le grandi innovazioni tecnologiche sono, a loro volta, il motore per l’apparire di nuovi artefatti. Per esempio, l’elettricità contribuì a trasformare la società e nel 1920 comparvero le prime lava-trici e i primi frigoriferi, per poi trasformarsi in un mercato di massa. In tempi ben più recenti, gli anni Ottanta hanno visto l’emerge nel mercato dei personal computer, destinati a diffondersi nei decenni successivi.

Jean Baudrillard descrive bene come la civiltà urbana abbia assistito ad una “successione accelera-ta delle generazioni di prodotti, di apparecchi, di gadgets, di fronte ai quali l’uomo appare come una specie particolarmente stabile. Gli oggetti quotidiani proliferano, i bisogni si moltiplicano, sembra che il vocabolario non basti più per nominarli” (Baudrillard, 1972, p. 7).

L’attuale modo di vivere si basa su soluzioni che affondano le radici su un sistema di oggetti che si è stabilizzato nel passato.

1.3. Assimilazione della cultura materiale nella società

Con l’antropologia culturale e grazie a Bronislaw Malinowski (1962), la cultura degli artefatti è entrata a far parte della cultura umana in modo sistematico. Egli afferma “la cultura comprende gli artefatti (artifacts), i beni, i processi tecnici, le idee, le abitudini, i valori che vengono trasmessi socialmente”. Inoltre osserva che “la cultura nel suo aspetto materiale è anzitutto un corpo di artefatti strumentali”. Malinowski (1962) sancisce l’incidenza del mondo artefatti nello svilup-po della cultura. L’analisi degli artefatti permette di comprendere tutti gli aspetti del sistema: il

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progetto, la fabbricazione, la distribuzione, la percezione, l’organizzazione sociale, l’uso, l’intera-zione con le prestazioni dell’artefatto. In sostanza si può dire che l’artefatto è un mezzo che mette in comunicazione l’ambiente interno (costruzione dell’artefatto) e l’ambiente esterno (condizio-ni in cui opera l’artefatto). Sullo sfondo di questi studi si intravede l’approccio sociologico ai grandi temi di studio delle società di massa, dove è presente una forte attenzione agli elementi cominciativi degli artefatti. Ricordiamo a questo proposito le teorie proposte negli anni Sessanta e Settanta da Abraham Moles (1969) e Jean Baudrillard (1972) che approfondiscono lo studio degli oggetti soprattutto dal punto di vista del loro impatto nella società, definita “società dei consumi”.

A conclusione si accenna al pensiero di Simondon (1958), che assume che l’oggetto tecnico è un punto di partenza, e non di arrivo, su ogni ragionamento riguardo la tecnica. Attraverso l’oggetto tecnico la cultura diviene tecnica e la tecnica cultura, si tratta dunque del perno su cui si incar-dina la produzione culturale.

1.4. Cultura del design e artefatti tecnologici

Per orientarci nella complessa mappa degli artefatti tecnologici contemporanei prendiamo come spunto la suddivisione proposta ormai alcune decadi fa da Ezio Manzini (1990), che propone quattro categorie di prodotto: l’oggetto spontaneo, l’oggetto in serie, l’oggetto performativo e interattivo e l’oggetto della memoria.

Il primo, l’oggetto spontaneo, è caratterizzato da tempi di produzione che si misurano in secon-di, ad esso si avvicinano tutti i prodotti usa-e-getta. La produzione punta ai grandissimi numeri ed è interamente gestita dalla macchina. Qui il progetto dell’oggetto coincide con il progetto del sistema produttivo. L’oggetto in serie variata è caratterizzato da una produzione in serie ad alta flessibilità tale da permettere di realizzare in serie prodotti diversi; ne fanno parte i prodotti che rispondono ad una domanda diversificata. Il sistema produttivo presenta analogie con il primo ma ha delle variabili che possono essere modificate, senza interrompere drasticamente il flusso. La progettazione presenta due fasi ben distinte: la progettazione del sistema di base, e la proget-tazione del singolo modello, che dovrà operare all’interno dei limiti del sistema base. L’oggetto performativo e interattivo è caratterizzato dall’articolazione delle prestazioni di cui è capace. Si avvicinano a questa fascia i prodotti altamente informatizzati (televisioni, elettrodomestici, di-stributori automatici) vengono realizzati da poche aziende in grande quantità. In questo caso il progetto avviene su più livelli: da un lato i progettisti dei componenti di base, dall’altro chi ha il compito di personalizzare i vari componenti in vista di un obbiettivo specifico. L’oggetto della memoria è, infine, il più difficile da definire, e comprende tutti quei prodotti che sono destinati a durare nel tempo e nei confronti dei quali si stabilisce un rapporto simbolico e affettivo da parte dell’utilizzatore. Le motivazioni che stanno alla base di questo tipo di prodotti non sono

l’econo-micità e la performatività, ma valori simbolici e culturali lontani dalle tecnologie e dall’alta pro-duttività. In questa area il progetto è ancora un’attività unitaria. Gli effetti dell’innovazione sono tanto più leggibili quanto più ci si allontana dagli oggetti della memoria. Essi hanno una predo-minanza di aspetti simbolici e culturali, contengono un valore nostalgico che appare perduto. Nella prospettiva del disegno industriale, queste categorie di oggetti possono assolvere la fun-zione di elementi che strutturano il sistema umano. Pur essendo consapevoli che la dinamica del mondo attuale porta verso l’universo comunicativo, e quindi accanto al compito di dare forma ai prodotti (aspetto tangibile), il designer si occupa anche di progettare i relativi sistemi interagenti (aspetto intangibile) (Maldonado, 2005).

Già negli anni Settanta Victor Papanek (1973) afferma che la progettazione è il più potente mez-zo attraverso il quale l’uomo plasma il suo ambiente naturale e realizza i suoi strumenti. Questo aspetto richiede una grande responsabilità morale da parte del progettista, perché può produrre innovazione capace di rispondere ai veri bisogni dell’uomo. Idea che viene riproposta negli scritti di Maldonado (1995, p. 87): “Gli oggetti alla cui progettazione ricorre il disegno industriale cambiano sostanzialmente la loro fisionomia a seconda che, in un determinato orientamento socio-ecnonomico, si preferisca privilegiare certi fattori piuttosto che altri, per esempio, i fattori tecnico-economici o tecnico-produttivi rispetto a quelli funzionali o simbolici.”

L’area d’intervento del disegno industriale rimane quella attinente al processo formativo degli oggetti come elementi strutturali dell’ambiente umano. Maldonado (1995) prosegue afferman-do: “gli oggetti partecipano, sempre di più, alla dinamica dell’universo comunicativo […] ciò non toglie che una parte considerevole dell’attività del disegnatore industriale rimanga fortemente ancorata al compito di ‘dare forma’ a oggetti materiali che, piaccia o meno, continuano a stabilire un rapporto assai tradizionale con gli utenti, ossia un rapporto che si esplica, appunto, tramite la natura materialmente tangibile degli oggetti.”

L’aspetto di progettualità che oggi richiede l’attività industriale non si limita agli aspetti dell’am-biente fisico, ma anche a quello sociale e culturale. L’attività di progettazione che punta a sfrut-tare al meglio le potenzialità d’interazione con la realtà sociale e con le dinamiche socioculturali deve riuscire a penetrare in ambienti non comunemente legati al design. Infatti, da un lato la cultura progettuale appiattita su quella del progetto non riesce a creare un prodotto in gra-do di entrare nel circuito del consumo, e quindi tenderà a ridursi ad una poetica o posizione culturale. Nella situazione opposta, se la cultura del progetto si conforma a quella industriale, porta a progetti e prodotti privi di spessore, che eseguono esclusivamente esigenze produttive e commerciali.

Già nel 1961 al congresso ICSID di Venezia Tomás Maldonado attribuisce al design una “ragio-ne d’insieme” poiché dà “forma al prodotto”, “integrando e coordinando” tutto quanto par-tecipa alla realizzazione di questa forma. In maniera più sintetica, Enzo Frateili (1969), vedeva nel design la convergenza di contenuti morfologici, tecnologici e sociologici. Nel 1972, Gillo

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Dorfles, con l’espressione total design, tratteggia una metodologia che, integrando materie tec-nologiche e non, ha l’obiettivo di creare prodotti e processi di successo.

Maldonado (1995) sostiene che il design, pur avendo connotati tecnici, non può prescindere dall’evoluzione di un sistema culturale definendo il designer un “integratore di competenze”. Tosi (2017) riesce bene a descrivere questa complessità di relazioni: “La cultura di progetto è una forma di interpretazione della società, che esprime il punto di vista del consumatore, all’interno del processo di concezione e realizzazione dei prodotti. È una particolare espressione della do-manda del tutto differente da quella che può emergere, per esempio, da una ricerca di mercato” (Manzini, 1990). La cultura del progetto coglie le domande inespresse e si innesta sulla dinamica socioculturale. Per esercitare questo ruolo sarà necessario ricorrere ad una formazione di cono-scenza tecnica, capacità visionaria e sensibilità.

1.5. Da artefatto tecnologico a artefatto cognitivo

Ad oggi sappiamo molto sui processi cognitivi come l’attenzione, la percezione e la memoria, ma in proporzione poco su “i ruoli di elaborazione delle informazioni riprodotti dagli artefatti e come interagiscono con le attività di elaborazione delle informazioni dei loro utenti” (Norman, 1991, p. 72), a testimonianza di ciò si nota un deficit negli studi sugli artefatti intesi come manu-fatti in grado di influenzare le attività dell’utente attraverso le loro proprietà formali e funzionali. Il concetto di artefatto cognitivo è collegato all’idea di oggetto che si esprime. La comunicazione fra le persone e oggetti era stata esplorata nella mostra Talk to me, al MOMA nel 2011, in cui erano stati esposti sistemi, installazioni, creazioni che fanno parte della sfera comunicativa come interfacce, schermi, tablet, oggetti di robotica: quello che Baudrillard (1972, p. 47) ha definito in termini di “narrazione amplificata”, dove le nuove tecnologie modificano il modo di mettere in connessione uomo e oggetti proponendo un “dialogo plurale” (Baudrillard 1972, p. 49). Nel panorama contemporaneo il valore comunicativo degli oggetti è sempre più importante rispetto al valore d’uso: “gli oggetti sono reti di relazioni, inserite all’interno di reti più grandi” (Baudril-lard 1972, p. 52). Se gli oggetti, anche quelli più banali, ci parlano di relazioni, di intelligenza collettiva, di comunicazione interpersonale e sociale, allora si può dire che essi ci parlano della complessità sociale contemporanea.

L’utilizzo di un artefatto cognitivo trasforma la conoscenza per la quale è stato progettato allo scopo di svolgere in maniera più efficiente alcune funzioni solitamente affidate alla mente dell’uomo. Esso esegue funzioni ripetitive, un tempo destinate all’uomo per permettergli di affi-nare nuove e più complesse abilità. Gli artefatti cognitivi hanno quindi implicazioni di tipo eco-logico, nel senso che mutano radicalmente il mondo, l’approccio al mondo, i modi di acquisire la conoscenza, di funzionare del pensiero, e di conseguenza portano con sé una nuova domanda educativa con la conseguente necessità di ripensare le modalità di trasmissione della conoscenza.

Ricordiamo che non è sempre facile individuare questa classe di oggetti, la cui funzione può essere così sintetizzata: “Per mezzo di un artefatto cognitivo non è solo la singola attività ad essere modificata ma anche il modo di pensare e modificare l’azione, le modalità percettivo motorie di interazione con l’ambiente e l’interazione sociale ad essa correlata (…)” (Colombi, Lupo, 2016, p. 39).

Gli artefatti cognitivi mutano radicalmente l’approccio al mondo, i modi di acquisire la cono-scenza e i modi di sviluppo del pensiero. Per questo incorporano una parte di storia intellettuale di una particolare cultura e sono l’espressione fattuale di una teoria. Gli utenti di questi artefatti accettano queste teorie, sebbene spesso inconsapevolmente. Un artefatto cognitivo non modifi-ca la modifi-capacità di elaborazione della mente umana ma modifimodifi-ca il contenuto delle conoscenze che sono coinvolte nell’elaborazione delle informazioni. Poiché la nostra abilità nell’elaborare cono-scenze dipende criticamente dal loro contenuto, di fatto un artefatto cognitivo, modificando il contenuto, modifica anche la possibilità di essere creativi o meno.

Alla comparsa di un nuovo artefatto cognitivo, si accompagna generalmente per l’uomo una perdita della capacità mnemonica, in quanto la memoria viene spostata all’esterno, su supporti in grado di conservarla; ma, grazie a questo spostamento, per la mente, si aprono tuttavia spazi nuovi e possibilità insondate, la cognizione si trasforma, acquisisce nuove funzioni.

1.6. Il ruolo dell’artefatto tecnologico cognitivo nella

gestione della conoscenza umana

Chiara Colombi ed Eleonora Lupo (2016) evidenziano che la natura relazionale degli artefatti può essere divisa in:

• una dimensione pragmatica: relativa ai significati e ai comportamenti che gli oggetti assu-mono nei diversi contesti d’uso in cui si trovano;

• una dimensione culturale: relativa alla capacità degli oggetti di addensare culture e la loro stessa storia.

• una dimensione cognitiva: relativa ai processi di costruzione trasformazione e trasferimento della conoscenza dell’uomo, operati dagli e tramite gli artefatti.

Nel corso dello sviluppo di questa tesi si è cercato di focalizzarsi nello specifico sull’artefatto co-gnitivo. Secondo la definizione di Norman gli artefatti cognitivi sono “quei dispositivi artificiali che mantengono, mostrano o operano su informazioni al fine di servire una funzione rappre-sentativa e che influenzano le prestazioni cognitive umane” (Norman, 1991, p. 38). Si tratta di sistemi artificiali ideati dall’uomo per agire in vari modi sull’informazione, nello specifico per

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conservare, presentare, operare sull’informazione, espandendo in tal modo le capacità cognitive dell’utente. Gli artefatti cognitivi sono, in breve, oggetti creati dall’uomo che hanno la funzione di aiutare o migliorare le nostre capacità conoscitive: come per esempio i semplici calendari, le liste di cose da fare, i computer o ogni dispositivo che ci ricorda un compito da eseguire o qual-cosa da non dimenticare. Norman (1993) include nella definizione l’aspetto mentale accanto a quello fisico, materiale: il concetto di artefatto cognitivo punta quindi non tanto a differenziare una categoria di oggetti, quanto una categoria di processi che producono effetti cognitivi. Secondo Heersmink gli artefatti cognitivi sono quelli che “modellano e trasformano il nostro sistema cognitivo” (Heersmink, 2013, p. 466). Heersmink (2013) propone una sua classificazio-ne distinguendo due tipi di funzioclassificazio-ne per gli artefatti cognitivi: quella propria e quella sistemica. La funzione propria è quella che direttamente coinvolge un processo cognitivo. La funzione sistemica è quella che un artefatto cognitivo svolge in un determinato istante, al di là del proces-so cognitivo. Di fatto Heermink propone una classificazione che integra proprietà funzionali e informazionali . RAPPRESENTATIVE Funzione: veicolare informazioni NON RAPPRESENTATIVE o ambientali strutturali spaziali rappresntativi simbolici

iconici (es.: mappe o rap-presentazioni

iconi-che)

(es.: termometro che mostra il cambia-mento della

tempe-ratura)

(es.: linguaggio, numeri, simboli

ma-tematici)

grazie alla loro strut-tura forniscono nuove informazioni pe rmilgiorare la

per-formance congitiva codificano informa-zioni di tipo spaziale, consentendo un risparmio di energie

Come evidenziato in precedenza gli artefatti cognitivi veicolano informazioni influenzando le prestazioni cognitive umane. Fasoli e Carrara (2016) propongono una classificazione degli ar-tefatti tecnologici esaminando il modo in cui essi diffondono le informazioni. Nel loro scritto “Classificare gli artefatti cognitivi: una proposta” (2016) le informazioni vengono suddivise in due categorie: le informazioni di tipo rappresentativo e quelle non rappresentative. Nello sche-ma della pagina a sinistra viene riportata in sche-maniera sintetica tale ricerca.

1.7. Ambiente dell’artefatto tecnologico cognitivo

Lo spazio in cui abitiamo è popolato da artefatti e sono essi che restituiscono un significato agli ambienti in cui viviamo, trasformando lo spazio in un luogo, in cui le nostre azioni acquisiscono un senso specifico e lo rendono funzionale alle nostre esigenze. Qualunque artefatto si presenta ai suoi utenti in un determinato contesto d’uso, si colloca in una rete spaziale e in una rete di relazioni sociali in cui determinate funzioni vengono compiute. Spesso è la situazione in cui ci troviamo a governare l’utilizzo dell’oggetto stesso. Infatti, la qualità delle funzioni che svolge può dipendere dalla sua accessibilità, ossia dalla disponibilità dell’artefatto all’impiego; dalla portabilità, cioè che esso si trovi nel punto in cui serve e nel momento in cui serve, e dalla mobilità, che è la proprietà degli oggetti di muoversi e rendersi accessibili nello spazio dove servono (De Michelis, 1998). A questo proposito Michela Deni (2002) afferma che gli oggetti costituiscono gli spazi e, allo stesso tempo, guidano l’utilizzatore e lo indirizzano verso sequenze d’azione specifiche, manipolando di conseguenza le interazioni umane. Questi modi di agire degli oggetti evidenziano il loro carattere fattivo: gli oggetti presenti in un luogo creano un determinato ambiente e la relazione degli oggetti di conseguenza è l’interpretazione dello spazio stesso. Gli oggetti immersi in un ambiente si caricano di significati più complessi e articolati rispetto agli oggetti presi singolarmente. Inoltre in un contesto condiviso con altri oggetti assumono valori che dipendono dalle caratteristiche degli altri oggetti. Ogni soggetto è immerso in uno spazio fisico, da questo esso trae l’informazione necessaria a costruire uno spazio mentale, un’immagine del mondo che va oltre quello che l’ambiente sensoriale comunica.

Grafico 2: classificazione degli artefatti tecnologici (tratto da Fasoli M., Carrara M., 2016, p. 56).

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2.1. Evoluzione del significato di tecnologia

“La tecnologia è caotica e complessa. È difficile da definire e da capire. Nella sua molteplicità è piena di contraddizioni, complicata dalle follie umane, salvata da buone azioni occasionali e ricca di conseguenze involontarie. Spesso è equiparata in maniera limitativa ai computer e a internet. È complesso definire la tecnologia in tutta la sua complessità” (Hughes, 2006, p. 3). Questa è una prima definizione che Thomas Hughes (2006) dà di tecnologia, evidenziando la difficoltà di delimitare il significato del temine e affermando che spesso la tecnologia è presentata nel conte-sto del suo impiego (ad esempio in ambito di trasporti, di energia o di produzione industriale). Il termine “tecnologia” è entrato nel linguaggio comune durante il XX secolo, specialmente dopo la Seconda Guerra Mondiale. Prima di allora venivano utilizzate parole come “arti prati-che”, “scienze applicate” e “ingegneria”. Secondo l’Oxford English Dictionary il primo uso della parola “technology” risalirebbe al XVII secolo, con l’accezione di trattato sulle arti pratiche e industriali.

Nel 1829 Jacob Biegelow utilizzò la parola nel suo libro Elements of technology, taken chiefly from a course of lectures delivered at Cambridge, on the application of the sciences to the useful arts (Bigelow, 1829). Ci si riferiva a tecnologia e arti utili come termini interscambiabili. Secondo Bigelow la tecnologia non aveva a che fare solo con i manufatti, ma anche i processi di produzio-ne. La tecnologia è inoltre intesa come un processo creativo e per questo legato all’ingegnosità umana. L’enfasi sull’ingegnosità deriva dalla radice greca teks, che significa intessere o fabbricare, e più in generale dalle parole Tekton e Technè, riferite a costruttore o falegname. Nel 1958 il gruppo di storici che costruirono la Society for The History of Technology discussero se la società dovesse essere rappresentata con la parola familiare “ingegneria” oppure “tecnologia”. Optarono per il secondo termine, in quanto più vasto e meno definito.

Ad oggi, tracciare in modo unitario e sintetico la complessità delle trasformazioni tecnologiche in atto nei processi industriali che portano all’attuale ambiente artificiale è pressoché impossibi-le. Questo è dovuto anche al fatto che la diversificazione sta alla base di ogni evoluzione, con co-esistenza di tecnologie precedenti con quelle più mature, e arcaismi che continuano a interagire con le ultime tecnologie.

Se consideriamo i prodotti della fase preindustriale possiamo identificare una profonda omo-geneità strutturale e produttiva: erano presenti migliaia di manufatti diversi, realizzati

manual-2. TECNOLOGIE E ARTEFATTI

COGNITIVI NEL QUOTIDIANO

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mente, era sempre la mano dell’uomo a plasmare l’oggetto. La rivoluzione industriale ha creato una rottura in questa uniformità: a fianco di prodotti realizzati con tecniche antiche, si è pre-sentata una nuova generazione di prodotti (prodotti industriali) che derivano da tempi e da modalità stabilite dalla macchina.

Dopo il 1880, la seconda Rivoluzione Industriale introduce l’istruzione tecnica e scientifica, le scienze sociali e la rapida espansione dei centri urbani. La tecnologia si presenta ora come lo stru-mento in grado di modellare la storia e le forze culturali, che a loro volta, creano i presupposti e modellano le invenzioni tecniche. Nel tempo i sistemi tecnologici e organizzativi si differenzia-no, diventando sempre più eterogenei, ampi e complessi, così da richiedere approcci interdisci-plinari e interattivi, per condividere punti di vista e informazioni diverse.

Al pari della seconda Rivoluzione Industriale, la Rivoluzione dell’Informazione implica una tec-nologia nuova e pervasiva: personal computer, World Wide Web, web browser. La tectec-nologia, così come ogni altra attività dell’uomo, ricostruisce il mondo e i cambiamenti che essa comporta interferiscono sia sull’ambiente fisico che su quello mentale.

Attualmente la tecnologia sta rivelando un carattere flessibile ed evolutivo: assistiamo infatti ad una tecnologia organica, dinamica e integrata, capace di interagire e adattarsi all’ambiente. Le macchine informatiche hanno profondamente modificato la nostra cultura e hanno inciso sulla nostra concezione di mente e intelligenza, modificando e talvolta sostituendo le nostre facoltà.

2.2. L’innovazione tecnologica nel divenire della società

Come evidenziano Borgna e Ceri (1998, p. 65), “le chances di sviluppo tecnologico di un paese dipendono in grande misura dalle capacità di utilizzare le innovazioni tecnologiche”. Nello stes-so scritto viene evidenziata l’impossibilità di governare l’innovazione, a causa delle scarse possi-bilità di prevedere il futuro con sufficiente chiarezza. Questo perché la tecnologia pervade ogni strato della società e quindi diventa complesso valutare le implicazioni sociali e culturali della sua penetrazione in ogni sfera della vita. L’analisi condotta dagli stessi autori (Ceri e Borgna, 1998, p. 67) enfatizza la stretta relazione fra società e tecnologia: “Nell’atto di produrre e usare tecnologia esteriorizziamo noi stessi, entriamo in relazione con la società e concorriamo nel medesimo a tempo a sviluppare il medium sociale e tecnico entro il quale viviamo. Prendiamo ad esempio i computer: sono essi stessi costrutti sociali, anelli di un meccanismo per la costruzione sociale della conoscenza.”

Le proprietà della struttura della conoscenza non sono estrapolabili da quelle dei singoli indivi-dui o dai processi che fluiscono tra loro, non esiste separazione tra elementi tecnologici e società: le macchine e gli apparati tecnici fungono da intermediari nelle relazioni sociali e queste relazio-ni si riflettono a loro volta nelle tecnologie. In quest’ottica guidare la tecnologia dal suo interno significa guidare il sistema sociotecnico. Ecco perché, come sottolinea Sterling (2005), i

progetti-sti devono progettare non solo per gli oggetti o per le persone, ma per le interazioni tecno-sociali che collegano persone e oggetti: “l’idea è che non si considera più l’oggetto come un manufatto ma come un processo” (Sterling, 2005, p. 45)

Il cambiamento tecnologico è governato da sistemi sociali che plasmano i sistemi tecnologici. Questo accade non solo nella fase di diffusione, ma anche in quella di invenzione e innovazione, possiamo quindi affermare che la realtà storica, politica, sociale, economica e geografica sono es-senziali nella comprensione delle dinamiche innovative (Bijker, 1987). Non si sceglie una tecno-logia perché è efficiente, ma diventa efficiente perché la si è scelta; la rilevanza degli attori sociali si verifica anche nella fase di diffusione dei prodotti, comportando una semplificazione degli stessi, e una modificazione da parte degli utenti. A questo punto sorge spontaneo chiedersi se è l’offerta o la domanda sociale a determinare l’innovazione. Possiamo rispondere che il 60-80 per cento delle innovazioni si sono sviluppate in risposta ai bisogni, si evince quindi che l’attività ideativa dell’offerta dipende dalla domanda.

Se analizziamo la tecnologia come un mezzo per la diffusione della conoscenza, potremmo pren-dere in esame gli effetti di inclusione legati alla rapidità con cui si riesce ad avere accesso alla cono-scenza. Si veda il caso di internet, che obbliga ad uno sforzo di apprendimento e aggiornamento continuo. Gli effetti sociali del progresso tecnologico, tuttavia, non sono riconducibili esclu-sivamente a processi tecnico meccanici. Di conseguenza l’impatto che la tecnologia ha in una società è in grado di trasformare gli aspetti dell’innovazione tecnologica. Infatti, l’innovazione non dipende solo dal tipo di tecnologia e processo di apprendimento, ma anche da incentivi di natura economica che regolano la creazione e la diffusione dell’innovazione. A questo proposito, lo storico francese Lucien Febvre affermava che “ogni epoca ha la propria tecnica e questa tecnica si conforma allo stile dell’epoca” (Febvre 1935, pg. 82). Uno degli elementi che contribuisce a rendere complicata la comprensione della tecnologia è il fatto che è difficile scindere il campo della tecnica da quello della tecnologia, tanto che di frequente tendono ad avere un significato intercambiabile: “Tecnica e tecnologia dovrebbero indicare l’insieme delle regole cui è affidato il processo produttivo e, rispettivamente, la trattazione sistematica di tali regole. In effetti, in pa-rallelo con la diffusione dei processi di produzione basati sull’applicazione del sapere scientifico, piuttosto che sull’invenzione empirica o sull’ingegnosità artigiana, è andato diffondendosi l’uso di tecnologia come nuovo sinonimo di tecnica. In tale uso è tuttavia implicito il riferimento alle regole basate del sapere scientifico” (Kingery, 1993).

Sullo stesso argomento vi sono posizioni contrastanti, infatti troviamo i termini tecnica e tecno-logia con significati distinti: le tecniche vengono descritte come le abilità, i processi e i metodi cui gli esseri umani accedono per poter utilizzare gli strumenti (ossia, utensili, dispositivi, mac-chine, più in generale mezzi di lavoro). Più in generale tecnica è “la capacità pratica di operare per raggiungere un dato fine, in quanto basata sulla conoscenza ed esperienza del modo in cui è possibile raggiungerlo” (Enciclopedia Treccani, lemma “tecnica”). La tecnologia invece si

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riferi-sce a sistemi organizzati che, attraverso l’uso degli strumenti e lo sfruttamento delle conoriferi-scenze tecniche, esegue determinati compiti è persegue finalità date.

Originariamente, l’innovazione era stata definita da Schumpeter (1934) come la prima intro-duzione nel sistema economico e sociale di un nuovo prodotto, procedimento o sistema. Ciò implica un atto imprenditoriale capace di far passare un’invenzione dallo stato di idea a quello di concreta applicazione commerciale. Questo stato prevede l’impiego di prototipi e impianti pilo-ta, processo che può rivelarsi costoso sia in termini economici che di tempistiche. Anche dopo la fase di lancio, un’innovazione può incontrare numerose difficoltà per affermarsi oppure può essere superata da innovazioni rivali. La definizione schumpeteriana non è limitata alle innova-zioni tecniche o di prodotto ma riguarda anche le innovainnova-zioni organizzative, gestionali, l’apertu-ra di nuovi mercati, la scoperta di nuove fonti di approvvigionamento, l’innovazione finanziaria. Per Schumpeter (1934) il termine innovazione è da utilizzare non solo in ambito di lancio di un nuovo prodotto ma riguarda il processo di innovazione nella sua interezza, l’esito finale delle innovazioni che hanno successo e la diffusione delle stesse. Schumpeter (1937) tendeva inoltre a definire gli innovatori come personaggi eroici e i modificatori successivi come imitatori. In se-guito, ridefinì la sua posizione ricordando che, per esempio, “L’automobile non avrebbe assunto l’importanza odierna e non sarebbe divenuta un fattore così potente di mutamento della nostra vita se fosse rimasta come agli inizi e non avesse modificato le condizioni ambientali (ad esempio le strade) per favorire il proprio sviluppo” (Schumpeter, 1934, p. 104). Da qui le due categorie classiche di innovazione: incrementale e radicale, in base alle modifiche avvenute durante la fase di diffusione.

Rimane inoltre tuttora importante mantenere la differenza fra innovazione e invenzione: l’in-venzione è un’idea astratta che ancora non ha valore economico. Solo nel momento in cui l’idea astratta viene trasformata in un prodotto fisico che produce utilità e quindi soddisfa i desideri umani, allora si può parlare di innovazione. Sempre a Schumpeter (1934) si deve la definizione di invenzione come una risposta creativa e, per questo difficilmente prevedibile, poiché si deve confrontare con fattori di imprevedibilità socioeconomica. Inoltre, l’oggetto tecnico non è uni-dimensionale ma è un mezzo espressivo cognitivo ed estetico cognitivo, esso cambia velocemente ecco perché è molto complesso comprendere come si costruiscono delle caratteristiche dominan-ti e imputare ad esse la responsabilità dello sviluppo.

2.2.1. Processi di sviluppo, diffusione, trasformazione

delle tecnologie

In questo paragrafo si riassumono in sintesi due dei principali approcci alla descrizione del pro-cesso dello sviluppo tecnologico.

(i) Teorie della tecnologia come costruzione sociale

Esistono tre strati di significato della parola “tecnologia” come esposto da MacKenzie e Wajcman (1999):

• in primo luogo, c’è il livello di oggetti fisici o singoli artefatti;

• In secondo luogo, la “tecnologia” può riferirsi ad attività o processi, come la produzione di acciaio o lo stampaggio.

• In terzo luogo, la “tecnologia” può riferirsi alla conoscenza delle persone intesa sia come sapere che come saper fare. Un esempio è il “know-how” che va dalla progettazione di una bicicletta fino al funzionamento di un dispositivo ad ultrasuoni nella clinica ostetrica. In sostanza, l’introduzione di qualcosa di psicologicamente o storicamente nuovo diventa un’in-novazione se dà luogo ad un nuovo campo di ricerca o ad un nuovo settore produttivo e merce-ologico. Successivamente grazie allo sviluppo e all’affermazione delle innovazioni scientifiche e tecnologiche di base sarà possibile assistere all’applicazione nei singoli prodotti.

Pinch e Bijker (1987) sostengono che sia la scienza che la tecnologia sono culture socialmente costruite e che il confine tra loro è una questione di negoziazione sociale e rappresenta una di-stinzione di fondo. Inoltre proseguono assumendo che non esiste un solo modo, o un modo migliore, di progettare un artefatto.

Secondo l’approccio SCOT (Social Construction of Technology) una tecnologia non assume una forma compiuta in maniera lineare, ma tante forme quanti sono i gruppi sociali che parte-cipano al dibattito creatosi attorno a essa. Prima di approfondire questa teoria è produttivo in-trodurre il significato di tecnologia e dei suoi elementi proposta da Olsen e Engen (2007, p. 14):

The term ‘technology’ is a slippery one. The common perception is that technology is machines, devi-ces, and tools used for some purpose. Technology is also understood as artefacts. The Concise Oxford Dictionary defines technology as the ‘‘science of practical or industrial arts; ethnological studies of the development of such arts; application of science.’’ Here, technology is understood as knowledge. However, this definition misses the hardware aspect that is the commonly held perception of tech-nology in everyday language. Maybe the most common way of defining techtech-nology is to integrate artefacts and knowledge, for example ‘artefacts and knowledge about their operations.’ But these definitions are missing the context in which all technologies exist. SCOT [….] expands these defini-tions by including what we normally consider as ‘‘social’’ elements of technology.

Le fasi con cui una tecnologia viene ideata, sviluppata e diffusa sono essenzialmente tre: • La fase della flessibilità interpretativa (interpretative flexibility), ovvero una funzione ben

specifica viene a essere incorporata – da un inventore, da un’impresa, da un gruppo di ri-cerca – in un artefatto, la cui forma non è definitiva, ma è anzi destinata a subire profondi cambiamenti.

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si arrogano il diritto – per vari motivi – di influenzare la forma che ha assunto l’artefatto. In questa fase solitamente si viene a creare un pubblico dibattito su quale sia la forma migliore che l’artefatto debba assumere, dove migliore non vuol dire solo tecnologicamente ottimale, ma anche socialmente accettato.

• Quando i vari gruppi sociali coinvolti in questo dibattito cominciano a essere d’accordo su quale sia la forma ottimale, si viene a creare un meccanismo di chiusura (closure mechani-sm) che ha lo scopo di definire una volta per tutte l’artefatto. Tale meccanismo procede at-traverso differenti gradi di stabilizzazione finché l’artefatto risultante non viene considerato un problema.

Poiché i gruppi sociali diversi hanno interessi diversi, tendono ad avere anche opinioni diverse sulla corretta struttura dei manufatti. Di conseguenza, la stabilizzazione dei manufatti è spiegata facendo riferimento agli interessi sociali imputati ai gruppi interessati e alla loro diversa capacità di mobilitare risorse nel corso del dibattito e della controversia.

(ii) Il determinismo sociale

L’approccio sociologico allo studio dell’innovazione tenta di esaminare il modo in cui la strut-tura sociale influenza sia il processo che i prodotti di un’attività innovativa (Sharif, 2005). Per quanto vi sia un impegno attivo da parte delle società nei confronti della tecnologia, l’importan-za degli aspetti tecnici è considerevole. Secondo il punto di vista del determinismo tecnologico, l’interazione tra società e tecnologia è che la società e la tecnologia sono sfere separate e i cam-biamenti tecnici avvengono autonomamente all’interno della sfera tecnologica. In quest’ottica la società non ha influenza sulla tecnologia, ma collabora a farle prendere una certa direzione di sviluppo (Elle et al., 2010). Il determinismo tecnologico si basa sui due principali fattori: l’autonomia della tecnologia e il ruolo determinante della tecnologia sullo sviluppo della società. Questo approccio implica una visione lineare e monodimensionale dello sviluppo tecnologico. Le critiche mosse al determinismo tecnologico, sostengono che si dovrebbe riuscire a dimostrare che il funzionamento della tecnologia sia una costruzione sociale.

MacKenzie e Wajcman (1999) confermano che il determinismo tecnologico contiene una verità parziale, spiegando che la tecnologia è importante, non solo per le condizioni materiali della nostra vita e per il nostro ambiente, ma anche per il modo in cui viviamo socialmente.

Per concludere si può affermare che il compito dei progettisti non riguarda solo gli artefatti in sé, ma devono anche considerare il modo essi interagiscono fra loro, nell’ambiente sia fisico che mentale, agendo come un componente in un sistema. Se un componente viene rimosso da un sistema o se le sue caratteristiche cambiano, gli altri artefatti nel sistema modificheranno le ca-ratteristiche di conseguenza. In altre parole, gli innovatori sono meglio visti come costruttori di sistemi: si destreggiano su una vasta gamma di variabili mentre tentano di mettere in relazione le variabili in modo duraturo e completo.

2.2.2. Diffusione della tecnologia: parallelismo fra

innovazione scientifica e tecnologica

L’innovazione deve essere profittabile cioè avere utilità per gli individui/consumatori e quindi capacità di garantirsi una diffusione sul mercato; ma anche profittevole, cioè generare un ritorno economico che remuneri gli investimenti fatti per sua realizzazione.

In sostanza non basta l’idea, ma occorre che attorno a questa si sviluppi un ecosistema - inteso come il complesso dei rapporti umani, sociali, politici, economici e naturali che compongono le società - che sappia usare e fare di quella novità un elemento di sviluppo e crescita. Si tratta di un sistema di assunti e saperi che in un determinato periodo storico riescono a condizionare l’attività di problem solving degli individui. Concetto che, come descritto precedentemente il fisico e storico Kuhn riassume con il termine: paradigma.

Per comprendere il rapporto che intercorre fra l’innovazione e l’artefatto è interessante riprende-re il pensiero di Kuhn (1969). Egli afferma che le fasi attraversate dalla scienza si ripetono cicli-camente, ed è possibile dividere questa evoluzione in cinque fasi: la Fase 0 è il periodo chiamato pre-paradigmatico, caratterizzato dall’esistenza di molte scuole differenti in competizione tra di loro prive di un sistema di principi condivisi. In questa fase, lo sviluppo di una scienza assomiglia più a quello delle arti e presenta molta confusione. A un certo punto della storia della scienza in esame, viene sviluppata una teoria in grado di spiegare molti degli effetti studiati dalle scuole precedenti; nasce così il paradigma. Ossia l’insieme di teorie, leggi e strumenti che definiscono una tradizione di ricerca all’interno della quale le teorie sono accettate da tutti i cultori. La condivisone del paradigma coincide con l’inizio della Fase 1, ovvero, l’accettazione del para-digma. Una volta definito stabilmente il paradigma ha inizio la Fase 2, ovvero, quella che Kuhn chiama scienza normale. Nel periodo di scienza normale gli scienziati sono visti come risolutori di problemi. Questa fase segue i principi di fondo dettati dal paradigma, che non vengono messi in discussione, anzi, ai quali è affidato il compito di indicare le coordinate dei lavori successivi. In tale fase vengono sviluppati gli strumenti di misura con cui si svolge l’attività sperimentale, e i risultati di questa fase costituiscono la maggior parte della crescita della conoscenza scientifica. In questo periodo di scienza normale si otterranno sia successi, che insuccessi, che per Kuhn, prendono il nome di anomalie, cioè eventi che vanno contro il paradigma. Sarà compito dello scienziato tentare di risolvere tali anomalie. In seguito, si passa alla Fase 3 dove lo scienziato si scontra con le anomalie, se risultano insormontabili, allora sarà necessario mettere in discussione le credenze consolidate. Aprendo la Fase 4 ossia la crisi del paradigma, che comporta la creazione id nuovi paradigmi sviluppati non dalle teorie precedenti ma dall’abbandono degli schemi prece-dentemente seguiti. Entrando infine nella Fase 5: la rivoluzione (scientifica). In questo periodo di scienza straordinaria, si aprirà una discussione all’interno della comunità scientifica su quali dei nuovi paradigmi accettare.

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In conclusione, è doveroso riportare alcune critiche fatte al pensiero di Kuhn che parte dal pre-supposto che la scienza sia il risultato di un consenso e non si basi su criteri oggettivi. Inoltre, non tiene conto del fatto che per lunghi periodi molti paradigmi hanno coabitato, non riuscen-do a prevalere totalmente uno sull’altro (Lakatos, 1993).

2.3. Evoluzione tecnologica come aspetto essenziale

dell’evoluzione sociale

La relazione profonda fra l’uomo e l’oggetto in una certa misura riassume l’integrazione dell’uo-mo con il dell’uo-mondo. “La tecnologia forma da sempre un anello essenziale dell’evoluzione della specie umana, sotto il profilo biologico, sociale e culturale. Quindi è necessario approfondire i rapporti fra tecnologie e processi culturali” (Gallino, 2007, p. 36). Nell’esplorazione fra i rappor-ti di tecnologia e gli attori sociali, verrà proposto il concetto di tecnologia come: “popolazione di sistemi materiali e non materiali derivati dall’impiego razionale delle conseguenze scientifiche d’una data epoca la fine di risolvere con la maggiore efficienza” (Gallino, 2007, p. 37).

Se è vero che l’evoluzione tecnologica è parte attiva dell’evoluzione culturale allora si può dire che la prima è parte dell’evoluzione biologica dell’uomo. Promuovere lo sviluppo di sistemi tecnolo-gici come mezzi per accrescere la probabilità di sopravvivere e riprodursi comporta una amplifi-cazione dei sistemi stessi. Infatti, il perfezionamento di una tecnologia prevede il suo sviluppo e la differenziazione.

Nell’inventare e costruire entità artificiali quali sono le macchine, nell’atto di produrre e utilizza-re una tecnologia, noi esteriorizziamo una parte di noi stessi, entriamo in utilizza-relazione con la società e concorriamo a sviluppare l’ambiente sociale e tecnico nel quale viviamo. Non è possibile sepa-rare gli elementi umani dagli elementi tecnologici: le relazioni umane si riflettono negli apparati tecnici, ecco perché è essenziale sviluppare una comunicazione adeguata fra i due elementi. Si possono identificare innumerevoli tipi di atteggiamenti nei confronti della “macchina”: in ge-nerale si può instaurare familiarità, intrattenere rapporti di amicizia o esaltazione delle potenzia-lità. Oppure, al contrario, si possono utilizzare le macchine come semplici strumenti d’uso, senza percepire alcun fascino. Prendiamo per esempio il treno: all’inizio molti fuggivano terrorizzati quando lo vedevano, il treno terrorizzava chi ignorava le sue caratteristiche. Invece chi ci lavorava nel settore attribuiva alla macchina ha un significato diverso, vedendo le possibilità di sviluppo futuro del mezzo. Qui si ricorda l’evoluzione della percezione di spazio e tempo legata a questo avanzamento tecnologico, e come in seguito abbia aperto vie sempre più efficienti, enfatizzando questa nuova percezione di tempo e spazio. Infatti, ogni macchina e l’uso che se ne fa rispecchia sempre il contesto socioculturale dell’epoca in cui è stata ideata.

L’ambiente nel quale la tecnologia si sviluppa non presenta solo un vincolo per il lavoro di pro-gettazione, ma anche una condizione per la sua esistenza. I prodotti sono elementi di un quadro

tecnologico e fanno quindi parte di un vocabolario all’interno del quale si sviluppano le inte-razioni. La tecnologia dipende dalle condizioni sociali della ricerca tecnologica e dunque dal sistema della produzione e del consumo, motivo per cui la tecnologia non può essere descritta esclusivamente in termini scientifici.

La tecnologia non è altro che uno strumento in mano agli attori sociali del mutamento tec-nologico. infatti, tecnologia e società sono due termini di una relazione stretta: la prima è una espressione e componente della seconda, ed è inoltre una condizione primaria. Il progressivo uniformarsi a livello mondiale delle strutture istituzionali e sociali in forza dei processi di inter-nazionalizzazione dei mercati e la diffusone delle tecnologie economicamente più efficienti, in-fluenza lo sviluppo e la diffusione delle tecnologie, l’evoluzione della tecnica è quindi un fattore essenziale dell’evoluzione naturale (Simondon, 1958).

Bonsiepe (1993) evidenzia la centralità dell’elemento sociale in ambito tecnologico: “La dina-mica del cambiamento sociale, presumibilmente provocata dal cambiamento tecnologico, è più complessa di quanto si fosse immaginato inizialmente. La tecnologia non è tanto una questione di strutture tecniche, quanto una questione sociale”.

Attualmente possiamo assistere ad una presenza della tecnologia sempre più ampia che riguarda tutti gli ambiti del vivere; questo comporta una perdita di connessione con il reale che diventa sempre più una rappresentazione dello stesso. In questo contesto il valore comunicativo diviene più importante del valore d’uso. Ecco che “tutti gli oggetti anche quelli più banali ci parlano di relazioni, intelligenza collettiva, di comunicazione interpersonale e sociale, ciò equivale a dire che parlano della complessità del sociale contemporaneo” (Gras, 1997, p. 51).

L’impatto che ha la tecnologia in una società è in grado di discriminare alcuni aspetti dell’inno-vazione tecnologica, infatti, l’innodell’inno-vazione non dipende solo dal tipo di tecnologia e processo di apprendimento, ma anche dagli incentivi che regolano la creazione e la diffusione dell’innova-zione. Attualmente l’innovazione tecnologica ci pone di fronte ad un bivio: da un lato il tempo il tempo di introduzione delle innovazioni si presenta con i connotati dell’urgenza e del non restare indietro. Dall’altro il tempo dell’insediamento è lungo e irreversibile (Gras, 1997).

2.4. Tecnologia del e nel quotidiano

La tecnologia è penetrata in ambiti imprevedibili e la sua commistione con la vita di tutti i giorni risulta sempre più invasiva e complessa, proponendo oggetti semplici all’uso dove la tecnologia è nascosta.

La strada per la stabilità di un oggetto nella vita quotidiana è articolata specialmente nel caso di prodotti con tecnologia integrata. Spesso prodotti innovativi non sono capaci di catturare su-bito l’interesse degli utenti, ma hanno bisogno di tempo per essere compresi e accettati, questo accade soprattutto se si tratta di inserirli nell’ambito domestico. Alain Gras (1997) propone due

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