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0 2500 5000 7500 10000 12500 15000 17500 20000 22500 25000 2 6 /1 0 6 /1 1 2 0 /1 1 6 /1 2 1 9 /1 2 C o n c a c i d o ( m g / L )

Concentrazione acidi (F2)post

1 9 /1 2 9 /1 23 /1 1 3 /2 2 7 /2 1 3 /3 2 8 /3 1 7 /4 9 /5 5/6 31 /7 Data analisi

Concentrazione acidi (F2)

1 9 /1 2 9 /1 23 /1 1 3 /2 2 7 /2 1 3 /3 2 8 /3 1 7 /4 9 /5 5/6 31 /7 Data analisi

Concentrazione acidi (F2)post-avvio

129 ac acetico ac propionico ac iso-butirrico ac butirrico ac TOT ac acetico ac propionico ac iso-butirrico ac butirrico ac TOT

Grafico n°30

Grafico n°31

Per quanto riguarda le analisi microbiologiche, i risultati ottenuti sono riportati nella seguente tabella.

Con i numeri 1 e 2 sono indicati i campioni rappresentativi dei corrispondenti digestori. 0 1000 2000 3000 4000 5000 6000 7000 8000 9000 10000 11000 12000 2 6 /1 0 6 /1 1 2 0 /1 1 6 /1 2 C o n c ( m g / L )

Concentrazioni NH

6,00 6,25 6,50 6,75 7,00 7,25 7,50 7,75 8,00 8,25 8,50 8,75 9,00 2 6 /1 0 6 /1 1 2 0 /1 1 6 /1 2 1 9 /1 2 P h

Per quanto riguarda le analisi microbiologiche, i risultati ottenuti sono riportati

Con i numeri 1 e 2 sono indicati i campioni rappresentativi dei corrispondenti

1 9 /1 2 9 /1 23 /1 1 3 /2 2 7 /2 1 3 /3 2 8 /3 1 7 /4 9 /5 5/6 Data analisi

Concentrazioni NH₄⁺-N; N-tot (F2)

y = 0,070x + 7,383 R² = 0,445 1 9 /1 2 9 /1 23 /1 1 3 /2 2 7 /2 1 3 /3 2 8 /3 1 7 /4 9 /5 5/6 31 /7 Data analisi

pH(F2)

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Per quanto riguarda le analisi microbiologiche, i risultati ottenuti sono riportati

Con i numeri 1 e 2 sono indicati i campioni rappresentativi dei corrispondenti

5 /6 31 /7 "NH4+/N" "N-tot" "pH" Lineare ("pH")

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Parametri ricercati:

Unità di misura

Risultati ottenuti Metodica

analitica

1 2

Temperatura al prelievo °C 41,6 41,2 Strumentale

Conta delle colonie a 30°C UFC/g 2,2.1012 8.1012 ISO 4833:2004 Conta delle colonie termofile UFC/g 2,8.1010 3.1010 ISO 4833:2004

Escherichia coli UFC/g <10 <10 ISO 16649-2:2001

Salmonella spp 25g assente assente ISO 6579:2004

Enterobatteriacee UFC/g <10 <10 ISO 21528-2:2004

Clostridi solfito riduttori UFC/g 2,1.104 2.103 UNI EN ISO 7937:2005 Clostridi non solfito riduttori UFC/g 3.106 2.104 UNI EN ISO 7937:2005

Muffe UFC/g <10 <10 ISO 7954:1987

Lieviti UFC/g 1,5.102 1,3.102 ISO 7954:1987

Tabella n°6

Per l’odore fortemente fermentativo dei campioni analizzati, ci aspettavamo un elevato numero di enterobatteriacee: in realtà le analisi hanno evidenziato che le colonie di tale famiglia, fortemente stressate, non sono state in grado di riprodursi nei normali terreni adoperati per la numerazione; solo con il terreno di prearricchimento, usato per la salmonella, si sono sviluppate colonie identificate come Proteus e Klebsiella.

Discussione

L’impianto di digestione anaerobica di Mantovagricoltura attua la cofermentazione di matrici vegetali ed animali per ottenere un’elevata produzione di biogas.

La componente animale della miscela avviata alla digestione anaerobica è sicuramente in grado di fornire un’importante produzione di biogas perché

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ricca di proteine e grassi che presentano elevate rese metanigene. Anche gli insilati impiegati sono eccellenti substrati da fermentare perché ricchi di zuccheri fermentescibili. Possiamo quindi affermare che la dieta fornita ai digestori è sicuramente ideale dal punto di vista dei rendimenti delle matrici impiegate.

Dall’analisi dei dati elaborati per conoscere le rese di questi materiali, rileviamo innanzitutto un picco iniziale dei rendimenti che si verifica proprio a ridosso dell’inizio dell’attività dell’impianto, quando, cioè, l’equilibrio chimico- trofico dei digestori è ancora adeguato ad un positivo sviluppo della biomassa microbica fermentante. Dopodiché si è verificato un calo continuo delle rese di biogas, anche se il loro valore assoluto rimane di tutto rispetto, attestandosi intorno ai 940 m3/t s.s. Riteniamo utile ricordare che nei primi mesi d’analisi il dato dei rendimenti si attestava oltre i 2000 m3/t s.s.

Le stesse considerazioni sono ripetibili per l’analisi dei dati riferiti alla qualità del biogas prodotto. Anche qui la concentrazione del CH4 era maggiore nei

mesi di gennaio, febbraio e marzo. In questo periodo il tenore di metano si attestava intorno al 65%. Poi, con il passare del tempo, la percentuale è scesa al 55-60%. Tali valori sono sicuramente normali per un impianto di queste caratteristiche, ma, visto che i substrati impiegati sono di ottimo livello e considerato che, comunque, l’impianto è stato in grado di produrre biogas di maggiore qualità, è d’obbligo considerare ulteriori aspetti.

A tale scopo, sono utili le analisi chimiche che riguardano le condizioni di esercizio dei reattori. L’osservazione dei risultati mette chiaramente in evidenza che in corrispondenza della bassa concentrazione degli acidi, i rendimenti dei substrati erano più consistenti rispetto ai periodi in cui la concentrazione degli stessi acidi organici aumentava considerevolmente.

Tale situazione potrebbe dipendere da un mutamento di condizioni ambientali e trofiche che si esplicano all’interno dei reattori e che si ripercuotono sulla efficienza di trasformazione delle varie famiglie batteriche presenti.

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Per questo motivo riteniamo importante approfondire il tema dei lipidi, come precursori d’acidi grassi volatili, che si accumulano nei reattori causando problemi d’inibizione dell’attività di degradazione batterica.

Nell’impianto oggetto di studio la fonte di lipidi è rappresentata, per la maggior parte dall’idrobios il quale, per la sua stessa formulazione, è costituito da molti grassi animali.

Nello studio di Cirne et al. è stata valutata l’influenza della concentrazione lipidica sull’idrolisi e sulla biometanogenesi di un substrato ricco di lipidi prodotto artificialmente in laboratorio, con lo scopo di verificarne gli effetti sulla digestione anaerobica. L’esperimento è stato condotto impiegando concentrazioni crescenti di lipidi, valutate sulla base della loro richiesta

chimica d’ossigeno (COD). Le concentrazioni di lipidi impiegate

nell’esperimento sono state di 5-10-18-31-40-47 (% peso/peso). La ripresa della piena produzione di metano dalla fase d’inibizione causata dall’aggiunta di lipidi è stata pari al 100% in tutte le tesi prese in considerazione, ad eccezione di quella stressata con il maggiore apporto di lipidi. In questo studio è stata altresì valutata l’influenza dell’aggiunta di lipasi sulle fasi di metanogenesi, considerandone gli effetti di ulteriore inibizione. In un ambiente anaerobico i lipidi sono idrolizzati in acidi grassi e glicerolo. Questo processo è catalizzato da una lipasi extracellulare che è escreta dai batteri idrolitici. L’ulteriore conversione dei prodotti di idrolisi ha luogo all’interno della cellula batterica. Il glicerolo è convertito in acetato tramite acidogenesi mentre gli acidi grassi a catena lunga sono convertiti in acetato o propionato a seconda del tipo d’acido grasso utilizzato. Durante questa fase, in base al livello d’efficienza dei batteri metanigeni idrogenotrofi, può essere liberato anche dell’idrogeno.

E’ stato rilevato che gli acidi grassi a catena lunga hanno effetto tossico acuto sull’attività anaerobica di alcuni batteri, sia idrogenotrofi che acetoclastici; in molti casi questo effetto tossico risulta essere permanente.[15]

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Impiegando una tecnologia sperimentale di digestione anaerobica che prevede la continua miscelazione dei substrati, si è appurato, durante la fase di metanogenesi, che l’iniziale fase di “lag” può essere attribuita alla rapida costruzione di acidi grassi volatili (sia a catena lunga che a catena corta) [15] Dopo il ventunesimo giorno di digestione la concentrazione dell’acetato, del propionato e del butirrato sono simili, ad eccezione della tesi con il 47% di lipidi. Dopo il quindicesimo giorno l’acetato e il butirrato decrescono sensibilmente mentre il propionato rimane alto. Alla fine dell’esperimento la concentrazione degli acidi grassi a catena corta appena visti è molto bassa (< 2 g/L). [15]

Il fatto che il profilo degli acidi risulti simile (ad eccezione della tesi al 47% di lipidi) e che l’inibizione della produzione di biogas si sia registrata per le tesi al 31% e al 40% di lipidi indica che gli acidi grassi a catena corta non sono i principali responsabili dell’inibizione della produzione di gas. Questa ipotesi è avvalorata ulteriormente dal fatto che l’inibizione generalmente si verifica dopo che la concentrazione degli acidi a catena corta si è abbassata.

I risultati, invece, indicano che l’acetogenesi è inibita dagli acidi grassi a catena lunga in tutte le tesi, indipendentemente dalla percentuale di lipidi con le quali queste siano state arricchite. Il lavoro di Cirne et al. individua nell’acido palmitico il principale responsabile del fenomeno.

L’aggiunta dell’enzima lipasi ha inibito ulteriormente la produzione di biogas poiché, liberando nuovi acidi grassi volatili, viene diminuita ulteriormente la capacità del sistema di metabolizzarli. La tesi alla quale era stata aggiunta la massima quantità di enzima ha presentato un tasso di inibizione maggiore. Anche se in questo studio gli acidi grassi a lunga catena vengono considerati i responsabili del decremento della produzione di biogas, va sottolineato però che l’acido propionico, avendo un turnover piuttosto breve (1h), può causare tossicità anche molto spinta a seguito di accumulo. Probabilmente questo meccanismo si verifica anche nei digestori oggetto del nostro studio, poiché se

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in letteratura è indicato che la concentrazione di tale acido non deve superare la soglia di 3000 mg/L [2], nel nostro caso si attesta mediamente sui 10000 mg/L.

In letteratura è presente anche un ulteriore studio di Chen et al. che si occupa della individuazione e della descrizione di tutte le possibili cause di inibizione della metanogenesi. Anche in questo caso gli acidi grassi volatili in eccesso sono considerati un fattore fortemente stressante per i batteri metanigeni. Nello studio si afferma che gli acidi grassi volatili a catena lunga possono causare inibizione già a basse concentrazioni a carico dei batteri gram-positivi, mentre lo stesso non si verifica per quelli gram-negativi [16].

Gli acidi grassi a catena lunga dimostrano tossicità acuta nei confronti del consorzio batterico a seguito del loro adsorbimento all’interno della parete e della membrana cellulare che causa interferenze a livello di trasporto e di azione protettiva di questi due apparati cellulari [16]

L’assorbimento di un sottile strato di acidi grassi alla biomassa, porta alla flottazione della stessa con il conseguente pericolo che venga dilavata ancora prima che possa essere colonizzata dai batteri del consorzio batterico anaerobico.

Nei reattori di tipo UASB la flottazione dei fanghi granulari può avvenire ancora prima che gli acidi grassi possano diventare tossici [16].

Proprio la natura fisica del materiale in digestione può essere la causa del più o meno elevato grado di tossicità degli acidi, poiché se la natura e la granulometria del materiale in sospensione all’interno dei digestori è elevata, questi presenteranno anche una maggiore area superficiale che potrà essere ricoperta dal film lipidico.

Più in generale si ricorda quanto da tempo appurato, e cioè che la digestione di materiali ricchi in lipidi può causare occlusioni all’interno dei fermentatori a causa della formazione di blocchi anche di rilevante dimensione, costituiti da

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grassi e biomassa fermentante. Questo fa sì che le matrici organiche da valorizzare tramite la digestione non siano degradate correttamente. Inoltre la biomassa batterica che colonizza queste concrezioni può essere dilavata via tramite l’allontanamento delle occlusioni neo-formate, determinando una perdita di microrganismi atti alla fermentazione.

Gli ultimi rilevamenti hanno stabilito che la concentrazione degli acidi totali è, per entrambi i digestori, pari a circa 20000 mg/l. Una concentrazione d’acidi così elevata ha agito negativamente sulla presenza di batteri afferenti alla famiglia delle Enterobacteriacee che risultano presenti con un numero esiguo di popolazioni. L’assetto microbiologico è sicuramente influenzato da un ambiente chimico abbastanza estremizzato.

I substrati d’origine animale che vengono cofermentati unitamente agli insilati, sono ricchi di proteine. Come si può desumere dalla Tabella 1, che riassume i risultati delle analisi effettuate su un campione d’idrobios, la quantità d’azoto organico ed azoto organico solubile nonché il basso rapporto C/N causano un’ elevata produzione di N-tot ed NH4+-N a livello dei digestori. Infatti, le analisi

dei bioreattori ci dicono che la loro concentrazione media, sia per il fermentatore 1 che per il 2, è di circa 7000 mg/l nel primo caso e 5000mg/l nel secondo. Eccessive dosi d’azoto sono riscontrabili anche nel digestato della vasca di stoccaggio (7,4 Kg/t).

Nello studio di Chen et al. si identifica anche nell’ammonio una causa di tossicità per il consorzio batterico anaerobico. Tale tossicità, secondo lo studio, si verifica perché esso determina una variazione del pH intracellulare, causa una aumento dell’energia richiesta per il mantenimento della cellula batterica e favorisce l’inibizione di specifiche reazioni enzimatiche.

L’NH3 è la principale forma di azoto ammoniacale presente nelle soluzioni

acquose [10].

Nel lavoro di Chen et al. si ipotizza poi che l’NH3 sia la principale causa di

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molecola idrofoba, può diffondere passivamente all’interno della cellula causando squilibri protonici e carenza di potassio.

Fra i quattro tipi di microrganismi anaerobici, i batteri metanigeni sono i meno tolleranti nei confronti della presenza dell’NH3 e subiscono un repentino calo

del loro tasso di crescita. [16]

Se la concentrazione dell’NH3 incrementa da 4051 a 5734 mg/l la popolazione

acidogenica risulta stressata, mentre la popolazione metanogenica perde il 56,5% della sua attività.[16]

In diverse condizioni d’esercizio, concentrazioni d’ammonio comprese fra 1700 e 14000 mg/l sono risultate inibenti il processo di metanogenesi. [16]

I valori indicati sono compatibili con quelli tipici dei digestori oggetto del nostro studio e questo ci induce ad affermare che deve essere prestata molta attenzione, oltre che alla concentrazione degli acidi organici, anche alla problematica dell’azoto.

Ci sono informazioni contrastati circa la maggiore o minore sensibilità all’NH3

dei batteri metanigeni acetoclastici o idrogenotrofi. Alcuni studi [16] riportano come il minor tasso di crescita e la minore produzione di biogas siano imputabili ai batteri acetoclastici.

Un’attenta analisi va effettuata riguardo alle interazioni fra le varie forme di azoto ammoniacale e il pH del mezzo. Se l’azoto ammoniacale è dannoso al consorzio batterico, lo diviene ancora di più per valori di pH spostati verso la basicità.

Questo risvolto biochimico si esplica poiché all’aumentare del pH aumenta il rapporto NH3/NH4. L’ instabilità delle forme dell’azoto determina squilibri nei

processi metabolici che conducono alla degradazione degli acidi grassi causando un accumulo degli stessi. Conseguentemente a quest’ultimo aspetto, assistiamo ad un abbassamento del pH che si traduce nella diminuzione del rapporto NH3/NH4; per diminuzione della quota di NH3.

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La situazione appena vista si potrebbe paragonare a quella dell’’impianto di Mantovagricoltura, dove si verificherebbe, in base ai dati da noi raccolti, una sorta di equilibrio dinamico che rende il sistema in grado di continuare a lavorare, ma che determina, nel tempo, un calo dei rendimenti delle matrici apportate. L’eccellente qualità dei substrati d’origine animale mantiene alta la produzione di biogas però nasconde problematiche d’indubbia incidenza sulla efficienza complessiva dei digestori.

Conclusioni

La digestione anaerobica, tramite codigestione di biomasse d’origine animale e vegetale, è una risorsa economico-energetica d’interesse attuale e d’indubbio valore ambientale. Per questi motivi, il suo impiego si sta diffondendo abbastanza velocemente anche in Italia, dato che risulta in grado di fornire agli agricoltori una nuova fonte di reddito, purché inserita in un contesto aziendale attento e rispondente all’esigenze di tipo tecnologico e ambientale. In relazione a ciò, il nostro lavoro, ha considerato proprio la realtà di un impianto all’avanguardia per la fermentazione di matrici di origine vegetale ed animale. La sua ubicazione, in piena pianura Padana, lo inserisce in un contesto economico di alta produttività, caratterizzato da un elevato grado di incidenza agricola e zootecnica. Per questo motivo i gestori dell’impianto possono usufruire di substrati con caratteristiche idonee per una loro valorizzazione anaerobica efficiente, cosa che in altri contesti territoriali potrebbe risultare di difficile replicazione.

Il lavoro svolto ha seguito due punti focali di sviluppo. Il primo riguarda proprio la valutazione dell’efficienza di questo insediamento energetico attraverso la determinazione dei rendimenti dei substrati impiegati. Il secondo punto è riferito, invece, essenzialmente ad un’analisi microbiologica del consorzio batterico insediato nei digestori.

Durante la caratterizzazione di questi due aspetti è emerso chiaramente che essi risultano strettamente correlati, poiché sono, essenzialmente, le due facce di una stessa medaglia.

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In termini assoluti, il rendimento dei substrati impiegati è risultato essere di buon livello e quindi d’interesse pratico applicativo.

Durante la fase iniziale d’esercizio dell’impianto, i m3 di biogas prodotti per tonnellata di sostanza secca hanno superato anche le 2000 unità, per poi scendere fino a valori compresi fra 500 e 1000. In corrispondenza degli ultimi periodi di studio dell’impianto il dato del rendimento si è attestato su valori medi intorno ai 950 m3 /t s.s.

Questi dati riflettono quanto indicato in bibliografia per la codigestione di matrici con caratteristiche paragonabili a quelle impiegate nell’impianto di Mantovagricoltura.

Il nostro studio ha altresì consentito di porre in evidenza problematiche relative alla situazione trofico metabolica ed ambientale dei reattori poiché i livelli di concentrazione degli acidi organici (in particolar modo del propionico) sono molto elevati e sicuramente eccessivi rispetto alla condizione di “marcia” ideale. Questa problematica è speculare a quella delle concentrazioni d’azoto ammoniacale (NH4+) e d’azoto totale (misurato come NH4+). Infatti, anche la

loro presenza supera, di molto quella che dovrebbe essere tollerata in normali condizioni di funzionamento. Gli squilibri che ne derivano fanno sì che avvenga un calo della produzione di biogas, o meglio, pur restando comunque su valori elevati, l’impianto non riesce più ad esprimere l’efficienza produttiva massima, sul livello di quella fornita in corrispondenza della fase d’avvio dell’impianto.

Ne consegue, allora, che una corretta analisi di un impianto di questo tipo debba attentamente considerare gli effetti che matrici diverse, impiegate congiuntamente per l’alimentazione dei digestori, possono avere sugli equilibri biochimici del sistema. I nostri studi hanno dimostrato che la qualità nutrizionale dell’idrobios è elevatissima. Nonostante questo, il suo impiego, deve essere sempre “ponderato” attentamente poiché è chiaro che una grossa percentuale dell’azoto e degli acidi organici in eccesso, cui sopra abbiamo fatto riferimento, derivano proprio da questo substrato.

140

Per questa ragione è indispensabile pervenire ad una cofermentazione bilanciata, che preveda sempre l’apporto di insilati in quantità adeguata al fabbisogno giornaliero. Il tutto nel rispetto della resa e qualità del biogas prodotto, che risultano strettamente collegate al tipo di “dieta” dei microrganismi. Ogni variazione, come è noto, altera, in genere, il rendimento dei reattori. Dalla sperimentazione da noi svolta è emerso chiaramente che l’idrobios ha una resa in biogas (quantità e qualità) superiore a quella ottenuta con i soli materiali d’origine vegetale. Gli insilati contengono, infatti, quantità più o meno rilevanti di lignina che appare recalcitrante alla digestione anaerobica. In ogni caso, comunque, dalla nostra sperimentazione viene confermato che gli insilati apportano una buona quantità di zuccheri mantenendo, allo stesso tempo, una sorta di “granulometria” nel materiale in fermentazione che limita la formazione di grossi coaguli di lipidi che potrebbero abbattere i rendimenti.

A questo punto appare legittimo porsi la seguente domanda: ma allora, perché non alimentare per intero un fermentatore anaerobico solo con idrobios? La sperimentazione condotta ci permette di poter affermare, al di sopra di ogni ragionevole dubbio, che questa scelta sarebbe molto rischiosa per gli equilibri microbiologici esistenti nel digestore, equilibri estremamente delicati e suscettibili d’incrinarsi, con gravi conseguenze per la sostenibilità economica dell’impianto. La motivazione di questa tentazione ha due basi serie: la prima, l’elevato prezzo dei cereali; la seconda, di natura essenzialmente morale: è giusto interferire con le catene alimentari del food e del feed per produrre biogas e, quindi, per cogenerazione, energia elettrica e termica? Per questi motivi auspichiamo che, in un prossimo futuro, l’attenzione delle istituzioni e dei ricercatori venga finalizzata ad individuare nuove piante, in grado di sostituire al meglio i cereali nella fermentazione anaerobica.

Dall’attività fin qui svolta, stante la complessità della tematica oggetto di ricerca, risulta di sicuro interesse indagare metodi che permettano di abbattere

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le “specie” chimiche indesiderate. Per gli acidi organici, il compito è molto difficile perché sono conosciute sole poche soluzioni tecnologiche in grado di diminuire la concentrazione di questi composti. Sarebbe, ad esempio, possibile aggiungere del calcio per favorire la produzione di sali che, precipitando, allontanerebbero gli acidi dalla soluzione, ma questa possibilità - è già riportato in bibliografia- ha solo effetti modesti e temporanei, tanto da essere considerata solo un palliativo.

Per quanto riguarda l’azoto, invece, esistono alcune soluzioni interessanti. E’ possibile effettuare l’eliminazione dello ione ammonio tramite “stripping” oppure precipitazione chimica. Noi abbiamo verificato, come soluzione migliore, la semplice ed economica pratica che prevede la sospensione del rimescolamento dei substrati mezz’ora prima e dopo l’aggiunta di nuovi materiali ai digestori. Questa precauzione operativa ha aumentato l’HRT dell’impianto, ma ha diminuito la presenza di sostanza organica nell’effluente poiché le particelle solide si depositano maggiormente sul fondo del digestore. L’aumento del tempo di ritenzione idraulica determina una riduzione dei fenomeni d’inibizione. Anche l’aggiunta di materiali adsorbenti come le zeoliti, noi abbiamo sperimentato la clinoptilolite, appare d’interesse, stante l’affinità di quest’ultima per lo ione ammonio. In tal caso si ha un vero e proprio “sequestro” di tale ione, che riduce così la sua azione inibente. Allo stesso

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