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Valutazione bio-agronomica di un impianto di digestione anaerobica alimentato con matrici di origine vegetale ed animale

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(1)

FACOLTA’

PRODUZIONE E DIFESA DEI VEGETALI

PRODUZIONI VEGETALI

“VALUTAZIONE BIO

IMPIANTO DI DIGESTIONE ANAEROBICA

ALIMENTATO

VEGETALE ED ANIMALE

Relatore:

Prof. Sergio MIELE

FACOLTA’ DI AGRARIA

Corso di laurea

PRODUZIONE E DIFESA DEI VEGETALI

Curriculum

PRODUZIONI VEGETALI

VALUTAZIONE BIO-AGRONOMICA DI UN

IMPIANTO DI DIGESTIONE ANAEROBICA

ALIMENTATO CON MATRICI DI ORIGINE

VEGETALE ED ANIMALE”

Fabio BOLDRIGHI

1

DI AGRARIA

PRODUZIONE E DIFESA DEI VEGETALI

AGRONOMICA DI UN

IMPIANTO DI DIGESTIONE ANAEROBICA

DI ORIGINE

Candidato:

Fabio BOLDRIGHI

(2)

2

(3)

3

INDICE

PREMESSA

(pag.6)

INTRODUZIONE

(pag.8)

1)

BIOLOGIA DEL PROCESSO (pag.8) 1.1 Basi microbiologiche e chimiche (pag.8)

- Idrolisi e acidificazione (pag.11) - Acetogenesi (pag.20)

- Metanogenesi (pag.20)

1.2 Biochimica e cinetica del processo di digestione anaerobica (pag.26) 1.3 Tossicità ambientale dei bireattori (pag.36)

2)

PARAMETRI DI GESTIONE DEL PROCESSO (pag.39)

2.1 Gestione del bireattore (pag.39)

- HRT (pag.40) - SRT (pag.40) - OLR (pag.41) - CF (pag.41) - SGP (pag.42)

-

GPR (pag.42)

3)

TECNOLOGIA DEL PROCESSO (pag.47)

3.1 Aspetti generali (pag.47)

3.2 Impiantistica del processo di digestione anaerobica (pag.49)

- Sistema a vasche ricoperte (pag.49)

- CSTR (Continuosly Stirred Tank Reactor) (pag.50)

- Ottimizzazione delle prestazioni di un reattore CSTR (pag.54) - PFR (Plug Flow Reactor) (pag.58)

- UASBR (Upflow Anaerobic Sludge Blanket Reactors) (pag.60) - USR (Upflow Solids Reactor) (pag.63)

- BFR (Batch-Fed Reactors) (pag.63) - AFR (Anaerobic Filter Reactors) (pag.64) - FBR (Fluized Bed Reactors) (pag.66) - EBR (Expanded Bed Reactors) (pag.66) - CR (Contat Reactors) (pag.66)

(4)

4 - Selezione dei bioreattori in funzione delle categorie dei substrati da

fermentare (pag. 70)

PARTE SPECIALE

(pag.75)

PREMESSA (pag.75)

- Panoramica dell’impianto (pag.76) - Componentistica dell’impianto (pag.77) -

MATERIALI (pag.94)

- Biomasse di origine animale (pag.94) - Biomasse vegetali (pag.95)

• MAIS (pag. 95)

• FRUMENTO TENERO (pag.97)

• SORGO ZUCCHERINO (pag.97)

• LOIESSA (pag.98)

• POLPA SURPRESSATA DI BARBABIETOLA (pag.99)

• MARCO MELA (pag.100)

- Trasferimento di microrganismi degli insilati ai bioreattori

METODI (pag.102)

- Calcolo del rendimento dei substrati impiegati nell’impianto (pag.103) - Analisi microbiologica (pag.105)

• UNI EN ISO 4833:2004 (pag.106)

• UNI EN ISO 6579:2004 (pag.108)

• UNI EN ISO 7937:2005 (pag.109)

• UNI EN ISO 16649-2:2001 (pag.111)

• UNI EN ISO 21528-2:2004 (pag.111)

(5)

5 RISULTATI(pag.112) DISCUSSIONE(pag.131) CONCLUSIONI(pag.138)

APPENDICE

(pag.142) NORMATIVA(pag.142)

- Aspetti normativi che regolano la produzione, la gestione e la retribuzione del biogas e dell’energia elettrica ottenuti da fonti rinnovabili(pag.142)

• FINANZIARIA 2008(pag. 142)

• DECRETO LEGGE 159/2007 CONVERTITO IN LEGGE 222/07(pag.144)

• REGOLAMENTO (CE) N.1774/2002(pag.146)

• REQUISITI SPECIFICI PER IL RICONOSCIMENTO DEGLI IMPIANTI DI PRODUZIONE DI BIOGAS(pag.149)

BIBLIOGRAFIA

(pag.152)

SITOGRAFIA

(pag.153)

(6)

6

PREMESSA

La storia del biogas è stata caratterizzata da due fasi. La prima risale agli anni ’80 mentre la seconda ha avuto inizio nel decennio successivo, quando sono state adottate nuove tecniche di digestione anaerobica che hanno permesso agli agricoltori-allevatori di ottenere un effettivo ritorno economico dell’investimento.

La situazione dei primi anni ’80 è fotografata dal censimento effettuato dall’ ENEA nel 1983. In Italia esistevano una sessantina di impianti che funzionavano con scarti della attività agricola e zootecnica. Oggi giorno la maggior parte di quegli stessi impianti non sono più attivi così come le ditte costruttrici che li hanno realizzati.

Il problema dell’epoca è dovuto al fatto che venivano costruiti impianti di digestione anaerobica che avevano più che altro lo scopo di abbattere le sostanze inquinanti senza valutare bene i costi economici di tale operazione. Infatti le tecnologie adottate erano di stretta derivazione industriale e di troppo difficile gestione da parte degli agricoltori. Con l’avvento degli anni ’90 la situazione è cambiata in meglio poiché ha iniziato a diffondersi una nuova generazione di impianti di biogas semplificati e a basso costo, che oltre a recuperare energia, permettono di controllare gli odori e di stabilizzare i substrati impiegati.

Ad accrescere l’interesse nei confronti degli impianti di biogas che utilizzano il gas prodotto in cogenerazione ha contribuito il provvedimento Cip n. 6 del 26 aprile 1992, riguardante i “Prezzi dell’energia elettrica relativi a cessione, vettoriamento e produzione per conto dell’ENEL, parametri relativi allo scambio e condizioni tecniche generali per l’assimilabilità a fonte rinnovabile”, che stabiliva un regime tariffario particolarmente favorevole nel caso di autoproduttori che cedevano all’ENEL l’intera potenza elettrica ottenuta da impianti alimentati a biomasse.

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7

Poi i provvedimenti contenuti nel Cip n.6/92 sono stati sospesi e sostituiti in accordo ad una direttiva europea con i cosiddetti certificati verdi (dlgs 387/2003).

Dal 2002 è stato definito l’obbligo, da parte di tutti i produttori di energia elettrica da fonte convenzionale, di immettere in rete, ogni anno, una quota di elettricità prodotta da fonti rinnovabili (tra cui il biogas) pari ad una percentuale prefissata. Per poter rispettare tale quota, i produttori di energia da fonte convenzionale devono acquistare i cosiddetti certificati verdi dai produttori di energia rinnovabile.

E’ così nato un mercato dei certificati verdi gestito dal GSE (Gestore Servizi Elettrici).

L’applicazione di tecniche di digestione anaerobica oltre a ridurre le emissioni di metano porta ad una riduzione delle emissioni di ammoniaca e di altri gas serra, come pure di composti organici volatili non metanici spesso odorigeni, causa di cattivi odori. La captazione del biogas permette inoltre di sostituire i combustibili fossili con combustibili da fonti rinnovabili.

Oggi giorno stiamo vivendo un momento storico in cui il prezzo del petrolio è superiore ai 140 $ al barile, le scorte alimentari mondiali sono in esaurimento a causa della sempre maggiore richiesta di cibo da parte di Paesi come L’India e la Cina, ed i prezzi dei cereali sono quindi molto elevati. Per questo motivo una differenziazione delle risorse produttive è auspicabile per tentare, nel caso della digestione anaerobica, di preservare sì l’ambiente, fornendo però energia per lo sviluppo del Paese.

(8)

8

INTRODUZIONE

1 BIOLOGIA DEL PROCESSO

1.1 Basi microbiologiche e chimiche

La decomposizione metanigena è un processo in grado di espletarsi solo in condizione di anaerobiosi completa, grazie alla quale varie popolazioni di batteri specializzati possono decomporre, attraverso diversi processi metabolici, la sostanza organica in biossido di carbonio e metano.

La reazione stechiometrica di seguito riportata rappresenta la stabilizzazione anaerobica di una generica matrice organica.

CaHbOcNd → nCwHxOyNz + mCH4 + sCO2 + rH2O + (d – nx)NH3

Con: s = a – nw – m r = c – ny – 2s

Si ha la parziale distruzione di materiale organico complesso con formazione di metano, biossido di carbonio, acqua ed ammoniaca.

L’attività biologica anaerobica è stata evidenziata in un ampio intervallo di temperatura: tra – 5 e + 70 °C. Esistono, tuttavia, differenti specie di microrganismi classificabili in base all’intervallo termico ottimale di crescita: psicrofili (inferiori a 20 °C), mesofili (tra 20 °C e 40 °C) e termofili (superiori ai 45 °C).

La metanogenesi è storicamente considerata un processo costituito essenzialmente da tre fasi. La prima coinvolge batteri che producono acidi utilizzando come substrati materiali organici come carboidrati, lipidi e proteine previa una loro completa idrolisi. Tale attività consiste nella produzione di acidi organici, alcohols e chetoni. La seconda fase coinvolge invece batteri in grado di trasformare le specie chimiche precedenti in acido acetico, acido formico, idrogeno molecolare e biossido di carbonio. Infine, a partire dai prodotti della fase precedente, si arriva alla metanizzazione, cioè la formazione di metano dall’acido acetico oppure attraverso la riduzione del biossido di carbonio

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9

utilizzando l’idrogeno come co-substrato. In minor misura si ha la formazione di metano a partire dall’acido formico. Queste sono le schematizzazioni delle due reazioni di metanizzazione:

• CH3COOH→CH4↑+ CO2

• CO2 + 4H2 → CH4 ↑+ 2H2O

Essendo il gas metano poco solubile in acqua, passa subito nella fase gassosa mentre il biossido di carbonio in parte rimane nella fase acquosa e in parte passa in quella gassosa.

Evidenze sperimentali e pratiche hanno dimostrato come in realtà l’acetato e l’idrogeno abbaino un effetto di tipo feed-back negativo nei confronti dei batteri acetogeni stessi, provocando una sorta d’inibizione della loro attività. Per questa ragione, per ottenere un efficiente bilanciamento dell’attività batterica stessa all’interno dei fermentatori e per far si che le reazioni che hanno luogo al loro interno siano in grado di equilibrarsi in modo corretto, è necessario che tali prodotti inibenti vegano continuamente rimossi da parte dei batteri metanigeni.

Siamo in grado di definire le grandi famiglie di batteri intra ed extracellulari che danno luogo all’insieme di reazioni che portano alla generazione di metano, cioè il prodotto di interesse economico-energetico che sta al vertice dei processi di valorizzazione anaerobica della sostanza organica. Abbiamo le seguenti tipologie batteriche:

 batteri idrolitici

 batteri acidificanti (omoacetogeni e acetogeni)

 batteri metanigeni

Essi sostengono rispettivamente le seguenti reazioni trofico metaboliche:

(10)

 acetogenesi

 metanogenesi

In figura n°1 sono schematizzate le fasi del processo e le relative famiglie batteriche che vi presiedono.

Figura n°1 (fonte[2])

1 sono schematizzate le fasi del processo e le relative famiglie batteriche che vi presiedono.

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(11)

11 Idrolisi e acidificazione

In questa prima fase del processo di degradazione della sostanza organica, i polimeri complessi delle proteine, dei polisaccaridi e dei lipidi vengono scissi in oligomeri e monomeri. Questi ultimi rappresentano il substrato per le reazioni operate da altri microorganismi presenti all’interno del reattore.

Il materiale aggiunto al fermentatore può essere sia di tipo particolato che liquido. Sicuramente una buona pratica di gestione della fermentazione anaerobica è indirizzata nello sminuzzare il più finemente possibile i vari materiali che vengono introdotti all’interno del bioreattore. Questo implica che la superficie colonizzabile dai microorganismi batterici aumenti notevolmente permettendo una migliore degradazione della sostanza organica e, di riflesso, una maggiore efficienza del processo. Infatti i batteri idrolizzanti possono colonizzare direttamente la superficie dei substrati forniti loro, oppure possono emettere degli enzimi extracellulari in grado di scindere le molecole organiche complesse. I monomeri che ne risultano sono resi disponibili per il trasporto all’interno delle cellule dei batteri acidificanti. I microrganismi acidogeni fermentativi trasformano questi substrati in piruvato, che viene poi convertito in acidi grassi volatili (in particolar modo propionato e butirrato), alcoli e chetoni che rappresentano i substrati di partenza per la successiva fase acetogenica.

Durante la prima fase d’idrolisi, i monomeri e gli oligomeri organici, in particolare zuccheri e aminoacidi, possono inibire l’attività dei batteri idrolitici stessi. Quindi, anche in questa fase, è d’obbligo creare le condizioni idonee per cui tali specie chimiche possano essere trasformate, nel più breve tempo possibile, evitandone, quindi, un dannoso accumulo.

La fermentazione degli aminoacidi si conclude con la formazione di ammonio. In figura n°2 è rappresentato un primo schema che r appresenta la serie di fasi che portano alla degradazione chimica della sostanza organica.

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La bioconversione della sostanza organica in metano è sicuramente una fermentazione anaerobica complessa che richiede una sinergica azione da parte di diversi microrganismi. Proprio durante la prima fase si ha una differenziazione di substrati che per essere demoliti devono essere colonizzati da diverse specie batteriche idrolizzanti, specifiche per il substrato che decompongono. Per questo motivo analizzeremo ora i composti chimici che rappresentano il substrato trofico di questa ampia categoria di batteri.

 Cellulosa

La cellulosa è un biopolimero del D-glucosio. I monomeri sono connessi gli uni agli altri tramite legami β-D-1,4. Ogni gruppo idrossilico dei residui glicosilici è in grado di formare legami idrogeno. Anche per questo motivo le catene di cellulosa presentano una elevata stabilità e resistenza. La capacità poi delle catene polimeriche di cellulosa di associarsi per dare luogo alla formazione di fibre, fa si che essa si renda meno disponibile alla attività degradativa degli enzimi cellulosolitici.

I batteri che utilizano come substrato la cellulosa sono: Bastoncelli Gram-negativi non sporigeni e Cocci Gram-positivi non sporigeni. Ruminococcus

flavescens e Ruminococcus albus sono i cocci maggiormente frequenti ed

attivi.[1]

Vi può anche essere un’attività degradativa operata da specie batteriche afferenti al genere Clostridum. Va comunque indicata la presenza, seppur limitata numericamente, di batteri come l’Eubacterium cellulosolvens e di alcuni protozoi anaerobici ciliati che contribuiscono, nel complesso, ad una degradazione spinta della cellulosa. Per quanto riguarda poi gli enzimi extracellulari prodotti dai batteri è utile dare qualche indicazione relativa al

Clostridium Thermocellum. Questo Clostridium contiene sia endoglucanasi (β

1,4-glucan glucanoidrolasi) che esoglucanasi (β1,4-glucan cellobioidrolasi). Queste cellulasi non sono sensibili all’ossigeno e sono termicamente stabili.

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Le endoglucanasi agiscono in maniera randomizzata sul polimero della cellulosa e l’azione finale combinata delle endo e delle esocellulasi determina la scomposizione della molecola in cellodestrine che saranno prontamente trasferite all’interno delle cellule batteriche per ulteriori catabolismi. L’optimum di pH per le endo e le esoglucanasi risulta compreso fra 5 e 6. Non essendo questi enzimi costitutivi, è possibile che venga indotta la loro produzione tramite la presenza di oligomeri di cellulosa. Anche lo ione calcio sembra avere un effetto stimolante l’induzione dell’attività di queste cellulasi. Se la struttura della cellulosa è presente sottoforma cristallina l’azione delle endoglucanasi viene impedita ma, la progressiva azione delle esoglucanasi sul sito non riducente delle lunghe molecole di cellulosa, consente l’attacco da parte delle endolgucanasi e quindi una progressiva degradazione del polimero.

 Emicellulosa

L’emicellulosa è un polisaccaride ramificato a catena corta che può essere, in certi casi, il maggior costituente della biomassa vegetale. Questo polimero può essere costituito da esosi, pentosi, oppure da altre tipologie di zuccheri. Molte emicellulose presentano dei legami β-1,4, ma quelle contenenti il galattosio, presentano nella loro struttura legami β-1,3.

La tipologia più frequente d’emicellulosa è denominata D-xilano ed è costituita da catene composte da unità di D-xilosio che vanno a formare la struttura portante del polimero. Questa catena è a sua volta connessa ad altre sub unità costituite da L-arabinosio. Altre tipologie d’emicellulosa sono i D-mannani, D-glucosio-D-D-mannani, D-galatto-D-gluco-D-mannani e gli L-arabino-D-galattani.[1]

Bacterioides riminicola e Bacterioides fibrisolvens sono in grado di utilizzare le

emicellulose come substrato trofico, quindi come fonte principale di carbonio.

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degradare le emicellulose, ma non sono in grado d’impiegare le emicellulose isolate come fonte energetica.

Altri microrganismi in grado di decomporre le emicellulose sono i Bacterioides

adolescentis, Bacterioides infantis , e Peptostreptococcus productus.[1]

Visto che la variabilità delle emicellulasi è molto spiccata, di riflesso anche il corredo enzimatico dei batteri idrolitici appena visti, è molto articolato. Ne fanno parte ad esempio l’ L-arabinasi, galattanasi, mannanasi e D-xilanasi. Per una corretta ed efficiente demolizione delle emicellulose è richiesta un’ azione sinergica da parte di tutti gli enzimi che abbiamo appena visto. La L-arabinasi è un’α-1,3-L-arabinifuranosidasi che libera l’ L-arabinosio dalla catena di arabinoxilano. La D-galattanasi e la D-mannanasi sono considerate rispettivamente β-1,4-galattan galattanoidrolasi e β-1,4-mannan mannanoidrolasi. Essi degradano il D-galattano e il D-mannano in modo randomizzato. L’enzima D-xilanasi presenta, invece, un’elevata affinità per il D-xilano. Come detto è necessario che si verifichi una sinergica azione da parte di questi enzimi poiché è dapprima necessario che vengano liberati i residui laterali delle catena di emicellulosa per permettere poi ad altri enzimi di degradare direttamente lo “scheletro” portante del polimero liberando cosi in soluzione gli oligomeri e poi i monomeri di tutti gli zuccheri costituenti.

 Lignina

La lignina è presente, nei tessuti vegetali, in percentuali medie pari al 20-30%. In particolare la sua presenza è frequente nei tessuti vascolari delle piante e svolge un ruolo importante poiché cementa i componenti polisaccaridici della parete cellulare.[1]

La lignina è un complesso polimero aromatico tridimensionale formato da coppie di radiacali liberi di fenilpropano. Il legame più frequente nella struttura della lignina è il legame β fenile.

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Per quanto riguarda la digestione anaerobica della sostanza organica, la lignina rappresenta un serio problema poiché, per il momento, non esistono enzimi batterici in grado di operare una sua degradazione nelle condizioni ambientali tipiche di un bioreattore. Questo fa si che se introduciamo del materiale vegetale con elevato tenore di lignina, quest’ultima non potrà essere demolita e quindi non darà il suo contributo energetico per la produzione di biogas. Alcune evidenze sperimentali [1] lasciano supporre che in particolari condizioni di crescita possano svilupparsi batteri in grado di demolire la lignina, anche se al momento, la loro caratterizzazione, non è stata completamente compiuta. Sicuramente la scoperta di tali batteri ed una loro utilizzazione all’interno del fermentatore potrà fornire sicuri vantaggi sia da punti di vista tecnologici che economici in termini di resa del processo.

 Pectina

Le sostanze pectiche si ritrovano nella parete cellulare e negli strati intracellulari delle piante. Esse caratterizzano molti tessuti molli della pianta e sono più difficili da ritrovare nelle specie spiccatamente di tipo legnoso. Dal punto di vista chimico, la pectina è una catena dell’α-1,4-D-acido galatturonico con residui metilati di gruppi carbossilici.

I microrganismi in grado di metabolizzare la pectina sono, ad esempio, i

Lachnospira multiparus, Bacterioides fibrisolvens, Bacterioides ruminicola, Bacterioides succinogenes.[1]

Anche alcuni rappresentanti del genere Clostridium ed Enterobacter riescono a svolgere questa importante azione. Esistono almeno tre enzimi responsabili dell’idrolisi della pectina nei suoi componenti monomerici. Abbiamo la pectinesterasi che demetila la pectina in metanolo e in acido poli galatturonico, la poliglucanoidrolasi che catalizza l’idrolisi dell’α -1,4-D-galatturano in piccole porzioni di oligosaccaridi. Esiste poi un terzo enzima, una poliliasi, che depolimerizza la catena della pectina tramite una reazione di

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trans eliminazione per formare residui insaturi di acido galatturonico. Fra questi enzimi, il maggiore per importanza è forse la poliliasi, che esiste sia in forme endocellulari che esocellulari. Per una corretta depolimerizzazione delle pectine è importante che avvenga un’azione contemporanea degli enzimi pectinesterasi e poliliasi che possono attivarsi in siti diversi della molecola garantendo quindi una maggiore efficacia di decomposizione.

 Amido

L’amido è il composto chimico che rappresenta la più importante e diffusa riserva di “alimento” nelle piante superiori. E’ generalmente presente sottoforma di granuli che si accumulano negli amiloplasti. L’amido è un polisaccaride eterogeneo composto da due frazioni che derivano da gradi diversi di polimerizzazione del D-glucosio. Tali frazioni sono l’amilosio e l’amilopectina. L’amilosio è un omopolisaccaride lineare costituito da molecole di D-glucosio legate fra di loro da legami α-1,4. L’amilopectina, invece, è un omopolisaccaride fortemente ramificato del D-glucosio che si polimerizza sempre tramite legami α-1,4 nel tratto lineare, ma si ramifica esternamente tramite legami α-1,6-D-glucosidici.

Molti microrganismi possono impiegare l’amido come esclusiva fonte energetica. Fra questi abbiamo Lo Streptococcus bovis, Bacteroides

amylophilus, Selenomonas ruminantium, Succinomonas amylolitica, Bacteroides ruminicola poi altre spirochete e protozoi.[1]

I più importanti batteri amilolitici presenti all’interno dei reattori anaerobici sono comunque quelli bastoncellari sporigeni. Fra i generi predominanti possiamo ricordare i Bacterioides e i Lactobacillus. Gli enzimi amilolitici possono essere suddivisi in quattro gruppi in base al loro sito d’azione e al tipo di reazione che catalizzano:

1. α-Amilasi (α-1,4) 2. α-Amilasi (β-1,4)

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3. Amiloglucosidasi 4. Enzimi deramificanti

1) Questo enzima idrolizza in modo randomizzato i legami glucosidici α -1,4 lungo la molecola di amido, lasciando inalterati i legami α-1,6. I prodotti d’idrolisi sono monomeri come il glucosio. Si formano anche maltosio e gruppi di oligosaccaridi ramificati. In Bacterioides

amylophilus l’α-amilasi ha un peso molecolare pari a 92000 e un optimum di pH intorno a 6. La temperatura ideale per una sua più efficace azione è di 43°C. Lo ione Ca++ e lo ione Co++ sono dei forti attivatori per questo tipo di enzima.

2) La sua azione si esercita a livello dei siti non riducenti delle porzioni terminali delle catene sia d’amilosio che d’amilopectina. I prodotti delle reazioni che catalizzano sono delle unità di maltosio.

3) L’enzima rilascia dei residui di glucosio dalle parti terminali non riducenti dell’ amilosio e della amilopectina.

4) Questi enzimi catalizzano la reazione d’idrolisi dei legami α-1,6 delle catene di amilopectina. I polisaccaridi e le molecole di maltosio che ne derivano vengono degradati da enzimi come l’α-glucosidasi. Questi enzimi idrolizzano le frazioni di D-glucosio dalle parti terminali dei disaccaridi e polisaccaridi che risultano dall’azione di degradazione delle struttura dell’amido stesso.

 Lipidi

I lipidi sono chimicamente costituiti da glicerolo che presenta generalmente due dei sui tre atomi di carbonio esterificati con acidi grassi monocarbossilici prevalentemente insaturi. Il terzo atomo di carbonio può reagire con molecole polari come il gruppo fosfato, nei fosfolipidi, o come carboidrati nel caso dei glicolipidi. In generale i lipidi possono essere sia monogliceridi, che digliceridi oppure trigliceridi a seconda del numero di acidi grassi con i quali si combina il glicerolo. I batteri idrolizzanti i lipidi possono essere gli Anereovibrio lipolytica

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che è un bastoncello Gram negativo in grado di agire sui trigliceridi ma non sui fosfolipidi, né sui glicolipidi. I Bacteroides fibrisolvens idrolizzano la lecitina grazie ad una fosfolipasi di tipo A che catalizza la reazione di formazione di fosfolipidi liberi. Una lisofosfolipasi converte i fosfolipidi in glicerolo e acidi grassi. Questi acidi possono poi entrare a far parte come reagenti d’altri metabolismi utili ai fini della produzione di biogas. In generale i batteri che impiegano gli acidi grassi come substrato presentano problemi d’intolleranza verso concentrazioni elevate di idrogeno molecolare. Un importante microrganismo per la degradazione dei lipidi all’interno dei bioreattori risulta essere l’Anereovibrio lipolytica.

 Proteine

Le proteine sono costituite da un insieme d’aminoacidi uniti fra loro da un legame definito “peptidico”. Esistono venti aminoacidi diversi che, unendosi, danno luogo a svariate tipologie di proteine. Questa categoria di polimeri può essere sommariamente suddivisa in due tipologie: le proteine formate esclusivamente da aminoacidi e le proteine che sono anche legate a gruppi organici oppure inorganici. Nonostante i “mattoni” costituenti le proteine siano linearmente legati fra di loro, esse possono presentare dei riarrangiamenti spaziali molto complessi. Questa caratteristica si verifica anche in dipendenza dei legami idrogeno che si formano fra le catene polipeptidiche delle proteine. Altra tipologia di legame che determina alcune conformazioni tridimensionali, possono essere i legami chiamati “ponti disolfuro”. I batteri proteolitici predominanti nei digestori sono quelli afferenti al genere Clostridium. La degradazione delle proteine avviene grazie all’azione catalitica d’enzimi endopeptidasi che decompongono il polimero della proteina in polipeptidi, oligopeptidi ed aminoacidi che poi verranno impiegati in vari processi metabolici e verranno ampiamente utilizzati come costituente stesso dei batteri all’interno del bioreattore.

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Figura n°2 (fonte[2])

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20 Acetogenesi

Durante questa fase l’acido propionico, l’acido butirrico e gli alcoli sono trasformati in nuove specie chimiche quali acido acetico, acido formico, biossido di carbonio e idrogeno molecolare.

Quest’ultimo composto tende ad inibire la trasformazione degli acidi grassi in acido acetico. Se però vi è la presenza nel mezzo di batteri metanigeni idrogenotrofi, l’idrogeno viene rimosso e l’azione dei batteri acidificanti non subisce inibizioni. La certezza che quest’ultima cinetica microbiologica non venga impedita fa si che nuovo idrogeno venga prodotto a garanzia, come vedremo in seguito, della successive fasi metaboliche. I batteri che presiedono alla fase di acetogenesi sono afferibili ai generi Eubacterium, Acetogenium,

Clostriduim.

Metanogenesi

La produzione di metano può seguire due differenti vie: la metanogenesi compiuta da batteri “idrogenotrofi” e la metanogenesi ad opera dei batteri definiti “acetoclastici”. La maggior parte del gas prodotto è a carico di quest’ultima via. Infatti, come si nota dalla figura 4, alcune stime identificano nella percentuale del 72% la quota di metano sviluppato nel processo acetoclastico, mentre solo il 28% spetta alla via dei batteri idrogenotrofi.

Nel caso della metanogenesi operata dagli “ idrogenotrofi” la produzione di metano avviene tramite l’ossidazione anaerobica dell’idrogeno. La via acetoclastica prevede invece la dismutazione anaerobica dell’acido acetico con produzione di metano e biossido di carbonio.[2]

In figura n°3 è riportata una serie di batteri meta nigeni acetoclastici con i rispettivi substrati di metabolizzazione.

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Figura n°3 (fonte[2])

Le reazioni che portano alla formazione del metano possono essere schematizzate nel modo seguente:

 Via acetoclastica: CH3COOH + R – H → R R – CH3 + 2H →CH4 + R  Via idrogenotrofa: CO2 + R – H → R – COOH R – COOH + 2H → R – R – CHO+ 2H → R – CH R – CH2OH + 2H → R – R – CH3 + 2H → CH4 + R

Le reazioni che portano alla formazione del metano possono essere schematizzate nel modo seguente:

→ R – CH3 +2H + CO2 R – H COOH CHO + H2O CH2OH – CH3 + H2O + R – H 21

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Figura n°4 (fonte[2])

Con la loro attività i due ceppi di batteri metanigeni svolgono due importanti funzioni nell’ambito della catena trofica anaerobica: degradano l’acido acetico e quello formico a gas metano eliminando gli acidi dal mezzo ed impedendo quindi l’inibizione dei fenome

eccesso di acidità, e dall’altra, mantengono la concentrazione d’idrogeno molecolare a bassi livelli così da consentire la conversione degli acidi grassi a catena lunga e degli alcoli ad acetato ed idrogeno. Inf

idrogenotrofa è rallentata si osserva un accumulo d’idrogeno molecolare nel mezzo che inibisce la produzione del metano, mentre la via acetoclastica può subire fenomeni d’inibizione da substrato in presenza di elevate concentrazioni di acido acetico. [2]

loro attività i due ceppi di batteri metanigeni svolgono due importanti funzioni nell’ambito della catena trofica anaerobica: degradano l’acido acetico e quello formico a gas metano eliminando gli acidi dal mezzo ed impedendo quindi l’inibizione dei fenomeni di degradazione di substrati organici per eccesso di acidità, e dall’altra, mantengono la concentrazione d’idrogeno molecolare a bassi livelli così da consentire la conversione degli acidi grassi a catena lunga e degli alcoli ad acetato ed idrogeno. Inf

idrogenotrofa è rallentata si osserva un accumulo d’idrogeno molecolare nel mezzo che inibisce la produzione del metano, mentre la via acetoclastica può subire fenomeni d’inibizione da substrato in presenza di elevate concentrazioni

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loro attività i due ceppi di batteri metanigeni svolgono due importanti funzioni nell’ambito della catena trofica anaerobica: degradano l’acido acetico e quello formico a gas metano eliminando gli acidi dal mezzo ed impedendo ni di degradazione di substrati organici per eccesso di acidità, e dall’altra, mantengono la concentrazione d’idrogeno molecolare a bassi livelli così da consentire la conversione degli acidi grassi a catena lunga e degli alcoli ad acetato ed idrogeno. Infatti, se la via idrogenotrofa è rallentata si osserva un accumulo d’idrogeno molecolare nel mezzo che inibisce la produzione del metano, mentre la via acetoclastica può subire fenomeni d’inibizione da substrato in presenza di elevate concentrazioni

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23 Principali batteri metanigeni acetoclastici (A) ed idrogenotrofi (I)

Methanobacterium formicicum (I)

Methanobacterium thermoautotrophicum (I)

Methanobacterium bryantii (I)

Methanobacterium wolfei (I)

Methanobacterium uliginosum (I)

Methanobacterium alcaliphilum (I)

Methanobrevibacter ruminantium (I)

Methanobrevibacter smithii (I)

Methanobrevibacter arboriphilicus (I)

Methanothermus fervidus (I)

Methanococcus vannielii (I)

Methanococcus voltae (I)

Methanococcus thermolithotrophicus (I)

Methanococcus maripaludis (I)

Methanococcus jannaschii (I)

Methanococcus halophilus (I)

Methanospirillum hungatei (I)

Methanomicrobim mobile (I)

Methanomicrobium paynteri (I)

Methanogenim cariaci (I)

Methanogenium marisnigri (I)

Methanogenium thermpphilicum (I)

Methanogenium aggregans (I)

Methanogenuim bourgense (I)

Methanosarcina barkeri (A)

Methanosarcina mazei (A)

Methanosarcina acetivorans (I) (A)

Methanosarcina thermophila (A)

Methanoplanus limicola (I)

Methanothrix soehngenii (A)

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24

Alcuni batteri metanigeni sono autotrofi, mentre altri richiedono complessi fattori di sviluppo all’interno del substrato di crescita. Le sostanze che, in qualche modo, possono agire positivamente riguardo alla stimolazione della crescita dei metanigeni possono essere alcuni metalli così come altri composti organici assimilabili a veri e propri ormoni. Nel caso del Methanobacterium

thermoautotrophicum, che è un battere idrogenotrofo, è stato riscontrato

sperimentalmente [1] che la sua crescita è stimolata da nickel, cobalto e molibdeno. In alcuni metanogeni idrogenotrofi il Nichel è incorporato nella struttura del cofattore F430. Anche per il Methanococcus viannelii la presenza di alcuni sali di tungsteno e selenio sembrano essere positivi per il

microrganismo, incentivando la produzione di gas metano. Il

Methanobacterium ruminantum abbisogna dell’acido grasso 2-metil-butirrato e

del coenzima M per un suo corretto sviluppo. Methanococcus voltae richiede la presenza degli aminoacidi leucina e isoleucina nel mezzo di crescita. Il

Methanomicrobium mobile richiede le vitamine tiamina, piridoxina e l’acido

p-aminobenzoico per una corretta crescita.

La reazione acetoclastica è tipica di soli due generi di batteri: i Methanosarcina e i Methanothrix. In Methanosarcina abbiamo specie che sono sia mesofile che termofile, ma entrambe sembrano presentare una certa inibizione della loro attività in presenza di idrogeno molecolare. In Methanosarcina barkeri 227 l’aggiunta di H2 inibisce temporaneamente l’utilizzazione dell’acetato. In

Methanosarcina mazei S-6, invece, l’H2 viene utilizzato più lentamente rispetto

ad altri substrati come l’acetato, ma anche come il metanolo. In questo caso, se la presenza d’idrogeno molecolare supera un determinato livello di concentrazione l’attività metanigena del microrganismo viene inibita anche per lunghi periodi di tempo.

Il Methanothrix soehngenii sembra essere l’unica specie in grado d’impiegare esclusivamente come substrato l’acetato. Questa particolarità è forse dovuta alla sua grande affinità per questo tipo di composto chimico (Km = 0,46 mM). Il periodo piuttosto lungo che il microrganismo richiede per rigenerarsi fa si che

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25

la sua importanza all’interno dei reattori per la digestione anaerobica sia molto elevata.

Di seguito sono indicate le reazioni di metanizzazione a carico di substrati non molto frequenti all’interno dei bioreattori, ma che comunque è bene ricordare per i riflessi che possono avere sui rendimenti degli stessi.

 Acido formico 4HCOOH → CH4 ↑ + 3CO2 + 2H2O  Metanolo 4CH3OH → 3CH4 ↑+ CO2 + 2H2O  Trimetilammina 4(CH3)3N + 6H2O → 9CH4 ↑+ 3CO2 + 4NH3  Dimetilamina 2(CH3)2NH + 2H2O → 3CH4↑ + CO2 + 2NH3  Monometilammina 4(CH3)NH2 + 2H2O → 3CH4↑ + CO2 + 4NH3

La fase di metanogenesi è sensibilmente pH dipendente. Tale condizione si verifica allorché ci si allontani dal range ottimale che va da 6 a 8. La più o meno spiccata acidità o basicità del mezzo, infatti, influenza lo stato di dissociazione dell’acido acetico che come abbiamo visto è il principale substrato dei batteri metanigeni.[2]

L’acido acetico si dissocia secondo la reazione:

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La forma chimica in grado di attraversare le membrane cellulari batteriche è quella indissociata (CH3COOH). Oltrepassando il valore di 8 prevale, invece,

la forma dissociata (CH3COO

concentrazione dell’acido nella forma indissociata determinando quindi l’impossibilità di diffusione dell’acido stesso attraverso le membrane cellulari dei microrganismi. In ambiente particolarmente acido

sposta verso la forma indissociata dell’acido che si accumula all’interno dei batteri ma che, non venendo degradato completamente, può dare luogo a problematiche d’inibizione da eccesso di substrato.

In figura n°5 sono riportati i

metanigeni in base al substrato di partenza che viene metabolizzato.

Figura n°5 (fonte[2])

1.2 Biochimica e cinetica del processo di digestione

Biochimicamente le reazioni afferenti

anaerobica della sostanza organica differiscono sostanzialmente da qualsiasi tipo di degradazione aerobica poiché in quest’ultimo caso

elettroni è l’ossigeno molecolare, mentre nei bioreattori anaerobi elettroni sono trasferiti ad altre tipologie di composti chimici.

La degradazione di substrati organici ha due fini: il primo è quello di ricavare l’energia necessaria per il metabolismo (catabolismo) batterico sottoforma di energia chimica di ossidazione. Il secondo è finalizzato, invece, a sintetizzare La forma chimica in grado di attraversare le membrane cellulari batteriche è COOH). Oltrepassando il valore di 8 prevale, invece, COO-) che non garantisce, nel mezzo, una sufficiente concentrazione dell’acido nella forma indissociata determinando quindi l’impossibilità di diffusione dell’acido stesso attraverso le membrane cellulari dei microrganismi. In ambiente particolarmente acido (pH < 5) l’equilibrio si sposta verso la forma indissociata dell’acido che si accumula all’interno dei batteri ma che, non venendo degradato completamente, può dare luogo a problematiche d’inibizione da eccesso di substrato.

5 sono riportati i valori d’energia libera disponibile per i batteri metanigeni in base al substrato di partenza che viene metabolizzato.

ica del processo di digestione anaerobica

Biochimicamente le reazioni afferenti al complesso della fermentazione anaerobica della sostanza organica differiscono sostanzialmente da qualsiasi tipo di degradazione aerobica poiché in quest’ultimo caso l’accettore finale di

è l’ossigeno molecolare, mentre nei bioreattori anaerobi elettroni sono trasferiti ad altre tipologie di composti chimici.

La degradazione di substrati organici ha due fini: il primo è quello di ricavare l’energia necessaria per il metabolismo (catabolismo) batterico sottoforma di sidazione. Il secondo è finalizzato, invece, a sintetizzare

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La forma chimica in grado di attraversare le membrane cellulari batteriche è COOH). Oltrepassando il valore di 8 prevale, invece, ) che non garantisce, nel mezzo, una sufficiente concentrazione dell’acido nella forma indissociata determinando quindi l’impossibilità di diffusione dell’acido stesso attraverso le membrane cellulari (pH < 5) l’equilibrio si sposta verso la forma indissociata dell’acido che si accumula all’interno dei batteri ma che, non venendo degradato completamente, può dare luogo a

valori d’energia libera disponibile per i batteri metanigeni in base al substrato di partenza che viene metabolizzato.

anaerobica

al complesso della fermentazione anaerobica della sostanza organica differiscono sostanzialmente da qualsiasi l’accettore finale di è l’ossigeno molecolare, mentre nei bioreattori anaerobici questi

La degradazione di substrati organici ha due fini: il primo è quello di ricavare l’energia necessaria per il metabolismo (catabolismo) batterico sottoforma di sidazione. Il secondo è finalizzato, invece, a sintetizzare

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nuove cellule (anabolismo). Nella realtà il secondo processo metabolico è presente in misura minore. Il processo di ossidazione della sostanza organica avviene tramite la perdita di una coppia di atomi di idrogeno dal substrato interessato (specie riducente donatrice di elettroni ,deidrogenazione); tali atomi verranno poi trasferiti all’accettore finale di elettroni (specie ossidante accettore di idrogeno). Le reazioni d’ossidazione di composti organici in ambiente anaerobico sono catalizzate da enzimi che impiegano la nicotinammide adenina di nucleotide ossidata (NAD+) e la nicotinammide adenina di nucleotide fosfato ossidata (NADP+) come coenzimi. Queste due specie chimiche sono, in realtà, solo degli accettori intermedi della coppia di atomi di idrogeno:

NAD+ + 2 H → NADH + H+ NADP+ + 2 H → NADPH + H+

Successivamente l’idrogeno molecolare passerà dai coenzimi agli atomi di ossigeno, carbonio, zolfo e azoto legati alla sostanza organica. NADH e NADPH in questo modo si riossidano (ritornando rispettivamente nella forma NAD+ e NADP+), rigenerandosi e potendo così essere disponibili per nuovi cicli di reazione. E’ proprio il passaggio attraverso queste reazioni che fornisce energia che viene immagazzinata attraverso una ritrasformazione in energia chimica, sottoforma di adenosina tri-fosfato (ATP). Le componenti della sostanza organica si degradano seguendo le reazioni schematizzate seguenti:

 Zuccheri

C6H12O6 → 3CH4 + 3CO2

 Proteine (es. cisteina)

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28  Acidi grassi

CxHyOz + (x – y/4 – z/2)H2O → (x/2 – y/8 + z/4)CO2 +

+ (x/2 + y/8 – z/4)CH4

I processi che riguardano la degradazione della sostanza organica durante le varie fasi della digestione anaerobica sono quindi molteplici e caratterizzati da una serie complessa di esigenze microbiologiche che devono essere soddisfatte affinché il risultato della fermentazione sia una buona miscela di biogas.

E’ corretto parlare di miscela poiché il prodotto finale d’interesse economico è composto prevalentemente da metano, anidride carbonica, idrogeno ed acido solfidrico. Questi composti chimici si distribuiscono secondo percentuali variabili in base alla qualità dei substrati di partenza, alle famiglie di microrganismi operanti nel digestore e alle condizioni di esercizio dei bioreattori. Come indicato precedentemente, solo il metano è inerte e abbandona la fase liquida del mezzo, passando alla fase gassosa. L’anidride carbonica tende a raggiungere un equilibrio dinamico tra la fase gassosa e quella liquida. Nella fase liquida il biossido di carbonio reagisce con l’acqua per dare acido carbonico che andrà a formare, insieme all’ammonio, il complesso tamponante del sistema. La minima percentuale d’idrogeno che si forma viene generalmente impiegato dai batteri metanigeni e, pur essendo insolubile, non lascia mai la fase liquida del mezzo. L’acido solfidrico verrà trattato in seguito, poiché, la sua presenza risulta deleteria a tutti i livelli del processo di produzione di energia in un impianto a biogas.

In generale la velocità di trasferimento di massa dalla fase liquida a quella gassosa è esprimibile attraverso la relazione seguente:

• dS/dt è la velocità di trasferimento del gas dalla fase gassosa a quella liquida (massa/volume×tempo);

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29 • KL è il coefficiente di massa globale (volume/superficie×tempo);

• a è la superficie specifica della bolla di gas (superficie/volume);

• Pp è la pressione parziale del gas (pressione);

• H è la costante di Henry (pressione×volume/massa).

La relazione indica che la velocità di trasferimento del gas dalla frazione liquida a quella gassosa dipende da KL e dal termine entro parentesi tonde

che non è altro che la forza motrice.

In pratica le bolle di CH4 risalgono il liquido ove sono immerse, insieme alla

miscela di sostanza organica metabolizzata e alla sostanza organica ancora da degradare, verso la fase gassosa per differenza di densità dei due mezzi impiegando una quantità di tempo inversamente proporzionale al diametro della bolla stessa se questo è nel range tra 3-9 mm.[2]

Il tempo dia risalita è quindi rappresentato dalla relazione seguente:

• νb è la velocità di risalita della bolla d’aria (mm/s)

• Db è il suo diametro (mm).

Durante la progettazione di un impianto per la digestione anerobica della sostanza organica, vanno considerati molti aspetti relativi alla efficienza di azioni dei microrganismi in essa operanti. Tale efficienza può essere valutata considerando due parametri importanti: la velocità alla quale hanno luogo le reazioni di trasformazione e gli equilibri termodinamici tipici delle suddette reazioni. Dato che è troppo lungo il tempo necessario affinché tutta la serie di reazioni considerate possa arrivare a compimento, viene maggiormente considerato, in sede di progettazione, il primo parametro.

Se i tempi di permanenza del substrato all’interno dei bioreattori fossero troppo lunghi l’aumento di resa non compenserebbe gli aumenti di costo per la realizzazione di impianti di dimensioni maggiori.

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Dal punto di vista cinetico un sistema microbiologico viene caratterizzato attraverso due differenti processi:

1. velocità di crescita netta della biomassa microbica su un determinato substrato;

2. velocità d’utilizzazione del substrato considerato.

La velocità di crescita netta della biomassa microbica segue la seguente espressione generale:

• dX/dt è la velocità di crescita dei microrganismi (massa/volume×tempo);

• Y è il coefficiente di rendimento di crescita (massa microrganismi formati/massa substrato utilizzato);

• dS/dt è la velocità di utilizzazione del substrato da parte dei microrganismi (massa/volume×tempo);

• kd è il coefficiente di decadimento dei microrganismi (1/tempo);

• X è la concentrazione dei microrganismi (massa/volume).

Per quanto riguarda, invece, la velocità d’utilizzazione del substrato si segue la relazione sotto indicata:

• dS/dt è la velocità di utilizzazione del substrato da parte dei microrganismi (massa/volume×tempo);

• Km è la massima velocità di utilizzo del substrato per unità di masssa dei

microrganismi (1/t);

• X è la concentrazione dei microrganismi (massa/volume);

• S è la concentrazione del substrato a contatto dei microrganismi (massa/volume);

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• Ks è il coefficiente

concentrazione del substrato S alla quale la velocità di utilizzo del substrato per unità di massa dei microrganismi è pari alla velocità massima.

La velocità d’utilizzazione del substrato aumenta per valori per valori di Ks piccoli. Nel grafico della figura

ascisse la concentrazione del substrato S, mentre sulle ordinate abbiamo la velocità di reazione. Il diagramma presenta una curva che tende ad un asintoto orizzontale. Tale curva ci fa dedurre che aumentando S aumenta la velocità della reazione. La celerità con cui la curva tende al suo massimo all’aumentare di S è rappresentata graficamente dalla pendenza del primo tratto della curva stessa. La celerit

sarà l’affinità dello specifico enzima per il substrato. Di conseguenza la pendenza del primo tratto di curva sarà più elevata.

Figura n°6 (fonte[2])

è il coefficiente di semisaturazione, corrispondente cioè alla concentrazione del substrato S alla quale la velocità di utilizzo del substrato per unità di massa dei microrganismi è pari alla velocità massima.

La velocità d’utilizzazione del substrato aumenta per valori di S grandi, oppure piccoli. Nel grafico della figura n°6 sono riportate sull’asse delle ascisse la concentrazione del substrato S, mentre sulle ordinate abbiamo la velocità di reazione. Il diagramma presenta una curva che tende ad un toto orizzontale. Tale curva ci fa dedurre che aumentando S aumenta la velocità della reazione. La celerità con cui la curva tende al suo massimo all’aumentare di S è rappresentata graficamente dalla pendenza del primo tratto della curva stessa. La celerità sarà tanto maggiore quanto maggiore sarà l’affinità dello specifico enzima per il substrato. Di conseguenza la pendenza del primo tratto di curva sarà più elevata.

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di semisaturazione, corrispondente cioè alla concentrazione del substrato S alla quale la velocità di utilizzo del substrato per unità di massa dei microrganismi è pari alla velocità massima.

di S grandi, oppure 6 sono riportate sull’asse delle ascisse la concentrazione del substrato S, mentre sulle ordinate abbiamo la velocità di reazione. Il diagramma presenta una curva che tende ad un toto orizzontale. Tale curva ci fa dedurre che aumentando S aumenta la velocità della reazione. La celerità con cui la curva tende al suo massimo all’aumentare di S è rappresentata graficamente dalla pendenza del primo à sarà tanto maggiore quanto maggiore sarà l’affinità dello specifico enzima per il substrato. Di conseguenza la

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Uguagliando le espressioni matematiche relative alla crescita dei microrganismi a quella relativa all’utilizzazione del substrato, attraverso alcune rielaborazioni e definendo µ la velocità specifica di crescita dei microrganismi:

E con µMAX la velocità specifica di crescita dei microrganismi secondo:

si potrà infine scrivere:

se il substrato è in eccesso (S>>Ks), mentre nel caso in cui il substrato sia

limitante la relazione prenderà la seguente forma:

Le considerazioni di tipo chimico-fisico fatte sino ad ora sono molto importanti per capire come nella realtà funzioni un digestore per la fermentazione anaerobica della sostanza organica.

A questo punto va analizzato l’effetto della temperatura possa sulle cinetiche di reazione, ricordandoci che esistono batteri in grado di operare in condizioni psicrofile (t <20 °C), mesofile (t 20÷40 °C) e term ofile (t >45°C). Passando da un intervallo di temperature ad un altro si assiste ad un vero e proprio cambiamento della comunità batterica all’interno del bioreattore.

La dinamica di sviluppo delle diverse popolazioni batteriche segue un andamento non monotono, bensì a picchi (ogni punto di massimo è relativo ad un determinato intervallo di temperatura per una determinata specie di microrganismo) come quello rappresentato in figura n°7.

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Figura n°7 (fonte[2])

Come si può dedurre dal grafico, una variazione di temperatura all’interno di un intervallo, può fare cambiare anche repentinamente la velocità di una certa reazione.

Un’equazione che permette di verificare come varia la velocità di una reazione in rapporto alla temperatura è la seguente:

• VT è la velocità di reazione ad una certa temperatura T;

• V0 è la velocità di reazione alla temperatura di riferimento T

• è un coefficiente sperimentale che all’interno del range delle temperature di impiego dei digestori può essere ritenuto costante.

Avere individuato le espressioni matematiche che permettono di determinare come si calcolano i coefficienti cinetici delle re

determinare tali coefficienti nella realtà di un complesso di digestione anerobica. Sappiamo che per produrre biogas è neces

Come si può dedurre dal grafico, una variazione di temperatura all’interno di un intervallo, può fare cambiare anche repentinamente la velocità di una certa

e che permette di verificare come varia la velocità di una reazione in rapporto alla temperatura è la seguente:

è la velocità di reazione ad una certa temperatura T; è la velocità di reazione alla temperatura di riferimento T

è un coefficiente sperimentale che all’interno del range delle temperature di impiego dei digestori può essere ritenuto costante.

Avere individuato le espressioni matematiche che permettono di determinare come si calcolano i coefficienti cinetici delle reazioni chimiche, consente di determinare tali coefficienti nella realtà di un complesso di digestione che per produrre biogas è necessario che all’interno dei

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Come si può dedurre dal grafico, una variazione di temperatura all’interno di un intervallo, può fare cambiare anche repentinamente la velocità di una certa

e che permette di verificare come varia la velocità di una reazione

è la velocità di reazione alla temperatura di riferimento T0;

è un coefficiente sperimentale che all’interno del range delle temperature di impiego dei digestori può essere ritenuto costante.

Avere individuato le espressioni matematiche che permettono di determinare azioni chimiche, consente di determinare tali coefficienti nella realtà di un complesso di digestione sario che all’interno dei

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bioreattori avvengano almeno tre fasi metaboliche: l’idrolisi con la seguente acidogenesi, l’acetogenesi e la metanogenesi.

− L’idrolisi è per molti aspetti il processo dal quale dipende fortemente il proseguirsi delle cascate metaboliche che interessano la digestione anaerobica della sostanza organica e quindi la sua corretta gestione è una chiave di volta nell’ esercizio di un impianto di biogas. Per questa ragione un aspetto tecnico da non sottovalutare è il frazionamento dei substrati che entrano nel reattore. Le corrette dimensioni della biomassa che utilizziamo, infatti, possono fornire una maggiore superficie di colonizzazione da parte dei batteri idrolitici, facilitandone così una loro azione degradativa. La relazione che permette d’individuare l’andamento di una reazione d’idrolisi è il seguente:

• RXS è la velocità specifica d’idrolisi (massa/volume×tempo);

• K è la massima velocità specifica d’idrolisi (1/tempo);

• S è la concentrazione del substrato (massa/volume).

Alcuni valori di RXS sono: 0,5÷2 giorni per i carboidrati, 0,1÷0,7 giorni per i

lipidi e 0,25÷0,8 giorni per le proteine.

− La cinetica chimica dell’ acidogenesi descritta dalla relazione:

è stata in precedenza richiamata. In letteratura sono riportati i seguenti valori dei coefficienti dell’equazione riferiti a carboidrati dalla struttura più o meno complessa.

µmax = 3÷9 (1/giorni)

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KS= 300÷1400 (mg/l)

Y= 0,01÷0,06 (g vss/gCOD) Kd= 0,02÷0,3 (1/giorni)

− Per quanto riguarda la reazione di acetogenesi, che abbiamo visto consistere nella trasformazione di acidi grassi in aci

considerare valida la stessa relazione anche per la fase di acidogenesi. Gli acidi grassi si distinguono in acidi grassi a catena lunga (LCFA) e acidi grassi a catena corta (VFA) in base al numero di atomi che costituiscono la catena carboniosa della molecola. A seconda del tipo d’acido che stiamo considerando i coefficienti cinetici possono variare.

Figura n°8 (fonte[2])

− La metanogenesi può essere svolta da batteri acetoclastici, oppure da batteri idrogenotrofi. I due

primo caso il substrato è solo di un tipo (acido acetico), mentre nel secondo caso abbiamo due tipi diversi di substrati (idrogeno e biossido di carbonio). Nel primo caso la cinetica di reazione sarà:

che è la relazione di una reazione in cui si verifichi inibizione da substrato. Rispetto ai coefficienti già visti in questo caso abbiamo:

• I rappresenta la concentrazione della specie inibente a contatto con i microrganismi (massa/volume);

Y= 0,01÷0,06 (g vss/gCOD)

Per quanto riguarda la reazione di acetogenesi, che abbiamo visto consistere nella trasformazione di acidi grassi in acido acetico, possiamo considerare valida la stessa relazione anche per la fase di acidogenesi. Gli acidi grassi si distinguono in acidi grassi a catena lunga (LCFA) e acidi grassi a catena corta (VFA) in base al numero di atomi che costituiscono la arboniosa della molecola. A seconda del tipo d’acido che stiamo considerando i coefficienti cinetici possono variare.

La metanogenesi può essere svolta da batteri acetoclastici, oppure da batteri idrogenotrofi. I due processi hanno cinetiche diverse poiché nel primo caso il substrato è solo di un tipo (acido acetico), mentre nel secondo caso abbiamo due tipi diversi di substrati (idrogeno e biossido di carbonio). Nel primo caso la cinetica di reazione sarà:

relazione di una reazione in cui si verifichi inibizione da substrato. Rispetto ai coefficienti già visti in questo caso abbiamo:

I rappresenta la concentrazione della specie inibente a contatto con i microrganismi (massa/volume);

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Per quanto riguarda la reazione di acetogenesi, che abbiamo visto do acetico, possiamo considerare valida la stessa relazione anche per la fase di acidogenesi. Gli acidi grassi si distinguono in acidi grassi a catena lunga (LCFA) e acidi grassi a catena corta (VFA) in base al numero di atomi che costituiscono la arboniosa della molecola. A seconda del tipo d’acido che stiamo

La metanogenesi può essere svolta da batteri acetoclastici, oppure da processi hanno cinetiche diverse poiché nel primo caso il substrato è solo di un tipo (acido acetico), mentre nel secondo caso abbiamo due tipi diversi di substrati (idrogeno e biossido di carbonio).

relazione di una reazione in cui si verifichi inibizione da substrato.

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• KI è il coefficiente di

concentrazione d’inibente I, in corrispondenza della quale la velocità d’utilizzo del substrato per unità di massa dei microrganismi è pari alla metà della velocità massima.

Nel secondo caso la relazione dovrà tenere co

substrati (biossido di carbonio e idrogeno molecolare) e pertanto la relazione sarà:

Ovviamente S1 ed S2

e KS2 sono i loro coefficienti di semisaturazione.

I tipici valori dei vari coefficienti per il processo di metanogenesi sono riportati in figura n°9.

Figura n°9 (fonte[2])

1.3 Tossicità ambientale dei bioreattori

La corretta gestione di un impianto di digestione anaerobica per la produzione di biogas passa anche attraverso la conoscenza dell’ambiente di crescita dei microrganismi. Infatti, condizioni avverse nel mezzo in cui sono dispersi i batteri, fanno si che la resa complessiva del processo di digestione possa in qualche modo decadere. Se da un lato la fase d’idrolisi possa sembrare a tutti gli effetti il processo metabolico limitante l’intera catena trofica dei microrganismi, sicuramente la famiglia dei batteri

è il coefficiente di semisaturazione, corrispondente alla concentrazione d’inibente I, in corrispondenza della quale la velocità d’utilizzo del substrato per unità di massa dei microrganismi è pari alla metà della velocità massima.

Nel secondo caso la relazione dovrà tenere conto della presenza di due substrati (biossido di carbonio e idrogeno molecolare) e pertanto la

sono le concentrazione dei due substrati, mentre K sono i loro coefficienti di semisaturazione.

vari coefficienti per il processo di metanogenesi sono

1.3 Tossicità ambientale dei bioreattori

La corretta gestione di un impianto di digestione anaerobica per la produzione di biogas passa anche attraverso la conoscenza dell’ambiente di crescita dei microrganismi. Infatti, condizioni avverse nel mezzo in cui sono dispersi i resa complessiva del processo di digestione possa in qualche modo decadere. Se da un lato la fase d’idrolisi possa sembrare a tutti gli effetti il processo metabolico limitante l’intera catena trofica dei microrganismi, sicuramente la famiglia dei batteri metanigeni è la più sensibile

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semisaturazione, corrispondente alla concentrazione d’inibente I, in corrispondenza della quale la velocità d’utilizzo del substrato per unità di massa dei microrganismi è pari

nto della presenza di due substrati (biossido di carbonio e idrogeno molecolare) e pertanto la

sono le concentrazione dei due substrati, mentre KS1

vari coefficienti per il processo di metanogenesi sono

La corretta gestione di un impianto di digestione anaerobica per la produzione di biogas passa anche attraverso la conoscenza dell’ambiente di crescita dei microrganismi. Infatti, condizioni avverse nel mezzo in cui sono dispersi i resa complessiva del processo di digestione possa in qualche modo decadere. Se da un lato la fase d’idrolisi possa sembrare a tutti gli effetti il processo metabolico limitante l’intera catena trofica dei metanigeni è la più sensibile

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di tutto il consorzio batterico deputato alla conversione anaerobica delle sostanze organiche a metano, poiché caratterizzata da una bassa velocità di crescita.

Le sostanze tossiche per i batteri della digestione anaerobica possono essere sia alcuni intermedi metabolici, sia composti ed elementi che risultano inibenti la loro crescita.

Tra gli intermedi più problematici possiamo annoverare l’acido propionico che, quantitativamente è secondo solo all’acido acetico. Il turnover dell’acido propionico è piuttosto elevato (1h), quindi, se vengono a mancare i meccanismi di degradazione del propionato, assisteremo ad un suo accumulo che potrà avere degli effetti tossici. La degradazione dell’acido propionico è influenzata anche dall’idrogeno che, a sua volta, può inibire la degradazione microbica del metanolo e, reversibilmente, la crescita di molti batteri anaerobici. In generale un’elevata concentrazione di acidi grassi può determinare un significativo abbassamento di pH. In letteratura viene riportato come valore soglia dell’acido propionico la concentrazione di 3000 mg/l.[2] Tra i composti che in qualche modo possono interagire in maniera negativa nei confronti dei batteri abbiamo l’acido solfidrico (H2S). Questo acido si forma

per riduzione dei composti ossidati dello zolfo e per dissimilazione degli aminoacidi solforati delle proteine.[2]

Una concentrazione elevata d’acido solfidrico indica che nel bioreattore si sta verificando uno sbilanciamento degli equilibri fra le famiglie batteriche poiché i solfato-riduttori competono con i metanigeni per il substrato. I batteri metanigeni possono tollerare concentrazioni d’acido solfidrico fino a 1000 mg/Kg di solidi totali, ma, la loro attività può essere compromessa già a concentrazioni pari a 200 mg/Kg di solidi totali. L’ammoniaca può determinare effetti negativi se presente in concentrazioni superiori a 1500 mg/l. In particolare se l’ammoniaca è presente in concentrazioni comprese fra 1500 e 3000 mg/l, sarà inibente se il pH del mezzo è inferiore a 7,4. Oltre i 3000 mg/l l’ammoniaca è tossica in qualsiasi condizione di pH.

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La presenza eccessiva di sali nel mezzo di reazione può creare problemi ai batteri metanigeni: diminuzione della velocità di crescita fino al 50% in presenza di concentrazioni di sali comprese fra 250 e 500 mM.[2]

Oltre tale valore, la tossicità diviene molto elevata, e porta ad un progressivo squilibrio del processo con accumulo d’acidi grassi volatili con blocco parziale e/o totale della metanogenesi.

Molto pericolosa risulta essere la presenza di tracce di metalli pesanti. Questi interagiscono con i gruppi sulfidrilici di molti enzimi, inattivandoli. Per tale ragione è da collegare, a volte, l’ accumulo di zolfo con la presenza di certi ioni metallici. In particolar modo risultano dannosi gli ioni ferro, cobalto e nichel. La concentrazione dei metalli pesanti è in correlazione con quella dei rispettivi solfuri. La quantità di zolfo in soluzione influenza in maniera più o meno sensibile l’effetto tossico degli ioni. Alcuni limiti di tollerabilità sono 160mg/l per lo zinco, 170mg/l per il rame e 180 mg/l per cromo e cadmio.[2]

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2 PARAMETRI DI GESTIONE DEL PROCESSO

2.1 Gestione del bioreattore

Per gestione del bioreattore si intende il suo impiego in relazione ai tempi di permanenza della massa in entrata, in relazione alla concentrazione dei microrganismi anaerobici ed, infine, in riferimento alle rese in biogas rapportate al volume dei digestori e alle caratteristiche del substrato trattato. I materiali che possono essere avviati all’interno dei digestori per essere sottoposti a fermentazione anaerobica sono, di diverso tipo. Essi possono quindi differire per molti aspetti come il contenuto in acqua e sostanza secca, senza poi considerare le differenze che possono sussistere nella qualità di quest’ultima. E’ per questo che vengono introdotte delle unità di misura che permettono di confrontare i substrati rendendo più semplice lo studio di diversi parametri gestionali. Tali grandezze sono:

• TS = solidi totali = somma della sostanza organica e della sostanza inerte presente nel substrato (si determina per essicazione in stufa a 105°C per 24 ore);

• TVS = solidi totali volatili = frazione organica della sostanza secca volatilizzata dopo combustione a 550°C e calcolata come differenza tra TS e TFS;

• TFS = solidi totali fissi = frazione inerte costituita da composti inorganici (pesata dopo essicazione a 550°C);

• COD = domanda chimica d’ossigeno = quantità d’ossigeno consumato per

ossidazione della sostanza organica (si utilizza K2Cr2O7 in ambiente acido);

• BOD5 = quantità d’ossigeno consumata in cinque giorni, in condizioni

controllate, per l’ossidazione biologica della sostanza organica presente nel campione;

• BOD20 = ossigeno consumato in 20 giorni per l’ossidazione della sostanza

organica presente nel campione.

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40 − Tempo medio di residenza idraulico (HRT);

− Tempo medio di residenza dei fanghi (SRT);

− Carico organico volumetrico (OLR);

− Carico organico riferito alla biomassa o ai solidi volatili nel reattore (CF);

− Produzione specifica di gas (SGP);

− Velocità di produzione del biogas (GPR). HRT

Il tempo medio di residenza idraulico rappresenta il tempo di permanenza di un fluido all’interno di un bioreattore. Nella realtà va considerato il tempo medio di permanenza dei vari componenti che rimangono all’interno del digestore per tempi diversi gli uni dagli altri. Questo parametro si esprime con la seguente formula:

• V è il volume del reattore (m3);

• Q è la portata del reattore (m3/giorni).

SRT

Il tempo medio di residenza dei fanghi è dato dal rapporto tra la massa totale dei solidi volatili presenti nel reattore e la portata di solidi estratta del reattore. Ipotizzando che la biomassa microbica prodotta per crescita cellulare sia pari alla quantità di biomassa in uscita dallo stesso, allora la biomassa attiva all’interno del digestore sarà costante. Questo parametro si esprime con la formula:

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