• Non ci sono risultati.

La concezione cristiana

Nel documento Sviluppo (in)sostenibile (pagine 54-58)

I. S VILUPPO SOSTENIBILE : CONCETTO O CONCEZIONE ? 19

2. Le concezioni come progetti di mondo

2.2. La concezione cristiana

Il cristianesimo fu un passaggio importante verso la nuova concezione moderna del mondo e dello sviluppo.

2.2.1. L’uomo e la natura

Questa religione mise fine all’animismo in Europa, separando Dio dalla natura e ponendolo al di sopra delle cose. In questa concezione “l’assoluta trascendenza di Dio, che non è nel cosmo, ma prima e fuori del cosmo, relativizza ogni realtà naturale e sociale – tutto ciò che esiste, infatti, è creazione di Dio”.53 Questo assunto, che per gli antichi greci sarebbe stato

50 Rifkin (1982), p. 20-22.

51 Bury (1979), p.23.

52 Morra (1992), p. 10.

53 Ibidem, p. 11.

- 55 -

inconcepibile, ha avuto due conseguenze importanti: (a) il valore della natura viene depotenziato e declassato. Ad essa viene negata una ragione propria di esistere; (b) l’uomo viene separato dalla natura e posto fra questa e Dio.

Se da una parte l’uomo è figlio di Dio, creatore e signore onnipotente, dall’altra egli si attribuisce, attraverso la Bibbia, il potere di dominare (“soggiogare”, in alcune traduzioni) la natura e la Terra, così come recita un noto passo della Genesi:

versetto 26

E Dio disse, “Facciamo l’uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza, e domini sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutte le bestie selvatiche e su tutti i rettili che strisciano sulla terra”.

versetto 27

Dio creo l’uomo a sua immagine;

a immagine di Dio lo creò;

maschio e femmina li creò.

versetto 28

Dio li benedisse e disse loro:

“Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra;

soggiogatela e dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo

e su ogni vivente che striscia sulla terra”...54

L’uomo non è più un essere vivente qualunque, ma è stato addirittura creato ad immagine e somiglianza di Dio. Sulla Terra, quindi, l’uomo non può che essere che un forestiero, anzi, un forestiero di passaggio. Per i cristiani, la natura, la terra e il corpo sono il simbolo del male e del peccato: l’uomo può raggiungere la propria salvezza attraverso una separazione dello spirito dal corpo, ed un’ascesa di questo verso il cielo.

L’esistenza della natura viene vista in funzione di Dio e dell’uomo, dato che il primo l’ha creata per essere utile al secondo. Questa concezione fu l’inizio del ribaltamento culturale del rapporto fra uomo e natura, un passo che ebbe poi gravi conseguenze.

Innanzitutto, iniziò la repressione morale della natura interiore dell’uomo. La sfiducia nella natura interiore umana sarà il fondamento di pensatori moderni come Macchiavelli e Hobbes.

In pratica Sigmund Freud descrisse la morale cristiana come Super-ego, che sopprime l’Es

- 56 -

(gli istinti, i desideri). L’Ego, capace di mediare fra le due istanze, nascerà più tardi con la razionalità.

Alla natura esteriore il Medioevo cristiano risparmiò lo sfruttamento industriale dell’epoca moderna. L’uomo cristiano era più interessato al paradiso dei cieli, che non alle risorse terrene. Il piacere, il lusso e l’avarizia erano strati del Purgatorio di Dante, non di un paradiso terreno.55

2.2.2. La società e il lavoro

Il fatto che l’uomo cristiano si vedesse come un “forestiero” sulla Terra, in attesa della salvezza nel regno dei cieli, porta ad una forte svalutazione del mondo e della società, oltre che del proprio impegno sociale ed economico: “la vera polis non è in terra, ma nei cieli”.56 La società viene interpretata come istituzione provvisoria realizzata da Dio. Fra le istituzioni religiose della Chiesa e quelle politiche dello Stato ci furono spesso conflitti e concorrenza, ma anche una certa cooperazione nella legittimazione del potere di fronte ai fedeli (e ai) cittadini: chi accettava di soffrire in Terra, concorreva dopotutto per la santità in Paradiso.

Se è vero che la religione ha rappresentato spesso uno dei fondamenti culturali della comunità (la parrocchia al centro del paese) e della solidarietà con il prossimo (l’aiuto, la misericordia, la carità), è altrettanto vero che essa è stata purtroppo anche (ma non sempre) una cultura dell’ignoranza, forte soprattutto nelle fascie povere incapaci di ribellarsi contro la propria condizione. Marx arriverà a sostenere che la religione è l’oppio dei poveri.

In una vita intesa come provvisoria, l’uomo cristiano - come l’uomo “ellenico” - vedeva nel lavoro non un fine, ma un mezzo dell’esistenza. Il cristiano però non disprezzava il lavoro, bensì lo viveva come una necessità:

»La rivelazione ebraico-cristiana introduce, con il suo concetto di creazione, l’idea di un Dio che lavora, anche se in termini del tutto diversi dal lavoro umano. Il libro della Genesi si apre con l’opera lavorativa dei sei giorni, al termine della quale Dio si riposa. All’uomo, creato ad immagine e somiglianza sua, Dio impone il dovere del lavoro, col quale può divenire padrone della Terra. Nessun disprezzo per il lavoro nella rivelazione biblica – anzi, la proposta del lavoro e della tecnica, con la quale l’uomo può sottomettere una natura priva per sé stessa di sacralità, anche se sacra come immagine del suo Creatore. Nessun disprezzo per il lavoro, e, insieme, nessuna mistica del lavoro. Per l’ebraismo il lavoro rimane attività strumentale, secondaria e

54 AA.VV. (1988): La Bibbia di Gerusalemme. Bologna: Edizioni Devoniane. Pp. 36-37.

55 Cfr. Morra (1992), p. 13.

56 Ibidem, p. 12.

- 57 -

subordinata rispetto all’adorazione di Dio. Il lavoro, inoltre, viene corrotto, come ogni altro aspetto dell’esistenza, dal peccato: la terra diviene “maledetta” e il lavoro

“faticoso” e “sudato” […]. Il lavoro non viene né disprezzato, né rifiutato, ma assunto come necessità di vita e come disciplina interiore. Come afferma agli inizi del cristianesimo S. Paolo: “Se qualcuno non vuole lavorare, non deve neppure mangiare”.

Il cristiano, cioè ogni cristiano, laico o monaco che sia, deve “lavorare con le proprie mani”, per sé e per potere “dare al bisognoso”«.57

2.2.3. L’umanità e l’ecumene

Sebbene la cristianità sia motivo di conflitti e divisioni all’interno degli Stati, essa supera i confini politici e unisce i fedeli appartenenti a paesi diversi. Dopo le conquiste di Alessandro il Grande e l’estrema estensione del suo impero, era già emersa una concezione del “mondo abitato” nella sua unità e totalità. Anche l’Impero romano legittimò la sua espansione con l’idea di realizzare l’unità del mondo e dell’umanità in un singolo organismo politico mondiale. Il “mondo”, l’orbis, esprime nei romani proprio questo ideale imperiale non realizzato.

Purificandolo della sua accezione imperiale, il cristianesimo trasformò questo concetto in quello nuovo di ecumene.58 Per la prima volta si poteva pensare nei termini di un mondo e di una umanità.

Il principio ecumenico – e più tardi l’idea di un “progresso dell’umanità” o di un’“mercato mondiale” - si opponeva alla concezione della polis greca, autarchica, autosufficiente e isolata dal resto del mondo, quell’idea che era stata non solo alla base della democrazia e dell’autogoverno, ma anche di numerose guerre fra polis.

2.2.4. La provvidenza e la direzione della storia terrena

Il cristianesimo vedeva in Dio e nella provvidenza il motore degli eventi. Era quindi ancora impensabile, che l’uomo potesse fare o mutare da sé il corso della storia.59 Il mondo terreno era irrimediabilmente segnato, privato di ogni possibilità di salvezza, e ciò da quando Eva (la donna) seguì la tentazione, mangiandosi la famosa mela e distruggendo così per sempre il paradiso dell’Eden. L’idea del peccato originale influisce sulla concezione moderna di sviluppo in questo modo:

57 Morra (1992), pp. 81-82.

58 Cfr. Arnold Toynbee (1998): Menschheit und Mutter Natur. Berlin: Ullstein.

59 Rifkin (1982), p. 24

- 58 -

»Il peccato originale […] era un ostacolo insuperabile per un miglioramento morale del genere umano, raggiungibile attraverso un graduale processo di sviluppo: se ogni bimbo, finché ci sarà un’umanità, nascerà naturalmente malvagio e meritevole di punizione, sarà evidentemente impossibile un progredire verso la perfezione morale«.60

L’uomo non ha alcuna possibilità di cambiare o sfuggire al proprio destino. Come i greci e al contrario della concezione moderna, i cristiani vedevano la storia come un processo di degradazione, ai due estremi della quale c’era la creazione dell’Eden e il Giudizio universale.

Secondo Sant’Agostino, “il movimento della storia aveva lo scopo di assicurare la felicità ultraterrena a una piccola parte del genere umano. Non è postulata quindi un’ulteriore evoluzione della storia terrena dell’umanità”.61

Come i pensatori moderni e al contrario dei greci, i cristiani non consideravano la storia come una successione infinita di cicli, bensì come lineare e irripetibile.

Nel sistema agostiniano, l’era cristiana rappresentava l’ultima epoca storica, “l’età della umanità, destinata a durare quel tanto che basta per permettere a Dio di raccogliere il numero di eletti predestinato”.62

Come il Giudizio universale avrebbe rappresentato la fine assoluta della storia, la morte era da considerarsi come un passaggio senza ritorno: da un mondo ad un altro; da una dimensione in cui il tempo è finito, ad una dimensione in cui il tempo è eterno. Sia la concezione cristiana, che quella greca, sembrano essere costruite in modo tale, da evitare all’uomo un confronto diretto con quella che è forse la sua paura più grande: la paura del nulla, del vuoto e del buio assoluto ed eterno. La fede protegge l’uomo dalle sue paure, questa è la sua forza.

Nel documento Sviluppo (in)sostenibile (pagine 54-58)