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LA CONCEZIONE WEBERIANA DELLA DISCIPLINA E IL TEMA DELLA LEBENSFÜHRUNG

Disciplinamento e ragion di Stato

II. LA CONCEZIONE WEBERIANA DELLA DISCIPLINA E IL TEMA DELLA LEBENSFÜHRUNG

(1995)

1. Il concetto di disciplinamento sociale

Mi dichiaro non esperto di weberologia, sebbene abbia frequentemente usato la metodologia weberiana nei miei studi. Non si tratta, per me qui, di studiare la con- cezione weberiana della disciplina per capire meglio Max Weber, quanto piuttosto di studiare Weber e la sua concezione della disciplina per capire meglio quest’ultima.

Da qualche anno effettivamente, un po’ dappertutto ma all’Istituto storico italo- germanico di Trento in particolare, si sta cercando di studiare il tema generale della disciplina nella forma particolare del “disciplinamento” (Disziplinierung). Si tratta in sostanza della possibilità di impiegare, nei nostri studi di storia moderna della socie- tà e del potere, una categoria concettuale che è stata fissata in tempi abbastanza re- centi dallo storico tedesco Gerhard Oestreich, di cui recentemente è stata pubblicata in Germania la tesi di dottorato del lontano 19541.

L’olandese Giusto Lipsio (1547-1606) fu per Oestreich, che ne ha riscoperto l’importanza come autore politico e non solamente come grande filologo, uno dei primi a sottolineare il tema molto moderno dei doveri del cittadino e della autorità, all’interno di quello più ampio e complesso dell’essenza dello Stato e del ruolo del principe, del governo, dell’esercito. Nei suoi scritti di teoria politica e militare egli ha definito l’ideale di un potere statale centralizzato, governato da un principe respon- sabile e forte dal punto di vista politico, militare e morale, alla guida di sudditi disci- plinati. La sua teoria ha decisivamente connotato la teoria politica del primo assolu- tismo, al centro del quale in effetti era collocato uno Stato fondato sull’ordine e la disciplina pubblici e sulle virtù sia del principe che dei sudditi.

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Bisogna subito osservare che Giusto Lipsio non fu autore noto a Max Weber, che non ne ha mai parlato nella sua opera, ma al contempo sottolineare che la riflessione metodologica weberiana è alla base della importante ricostruzione di Gerhard Oe- streich: in ciò sicuramente sulla scia di Otto Hintze, capostipite della storia costitu- zionale tedesca modernamente intesa, cioè strettamente legata a una concezione ge- nerale della scienza politica.

Ma il contributo più sviluppato e autonomo di Gerhard Oestreich alla problema- tica moderna della disciplina riguarda il grande tema di quella che egli chiama la So-

zialdisziplinierung. Lo stesso termine da lui adottato segnala che questo è per lui un

fenomeno che attiene molto più alla sfera del pubblico e del sociale che a quella del privato e dell’individuale. Egli ne parla soprattutto nei saggi sull’assolutismo moder- no e in particolare in relazione alla tematica degli ordini, dei ceti, degli Stände, che costituivano la società d’antico regime o, come si esprimono di preferenza i tede- schi, la altständische Gesellschaft.

Il nucleo centrale di questa tesi consiste nella affermazione che i ceti nell’Europa dell’età moderna non solo occupavano una posizione politica e costituzionale all’interno dello Stato ma erano soprattutto la struttura portante della società che corrispondeva a quel medesimo Stato. I privilegi e le libertà dei ceti erano perciò i canali di irrigazione della vita sociale nella misura in cui i ceti stessi dettavano i comportamenti e esercitavano i controlli necessari per mantenere e conservare la dominanza sociale esistente2.

Le ricerche tedesche sulla Barockliteratur, cioè sulla produzione politico- letteraria del XVII e inizio XVIII secolo, insistono fortemente sull’importanza del cri- terio di adattamento (Anpassung): si troverà questo termine anche più tardi come criterio ispiratore della società d’antico regime3. In questa letteratura non opera più il criterio umanistico, esterno e sostanzialmente oggettivato, dell’armonia e della proporzione: l’adattamento esige un impegno partecipativo del soggetto, è lui stesso

2 Il saggio più importante di Oestreich in questo campo è senz’altro il famoso Strukturprobleme des euro-

päischen Absolutismus, già tradotto in italiano nella raccolta, ROTELLI-SCHIERA (eds), I, 1971, pp. 173-191. Sul problema del disciplinamento sociale, cfr. Schulze, 1987.

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che partecipa attivamente alla sua propria disciplina e non solo in un modo pura- mente interiore e individuale, ma al contrario impegnandosi attivamente nel pubbli- co, all’interno di una società che si va organizzando come “società civile”. Si tratta forse di quell’honneur, di cui parla Montesquieu a proposito della monarchia tempe- rata (e anche della società civile). Sono situazioni private che cadono più o meno di- rettamente nell’ambito del pubblico, all’interno di un campo comune, definito anco- ra in pieno XVIII secolo come societas civilis sive status, così profondamente analiz- zata da un altro grande ispiratore di Gerhard Oestreich, lo storico austriaco Otto Brunner, che ha dedicato studi importanti alla società d’antico regime, e soprattutto un libro famoso, dal titolo significativo Adeliges Landleben und europäischer Geist4.

Si potrebbe continuare, ma basti per ora ricordare che solo in un mondo ancora tanto integrato nel rapporto privato/pubblico potevano coesistere le due principali scienze della politica del Grand siècle: la dottrina della ragion di Stato, di tradizione italiana e la science du monde, di origine francese.

2. La disciplina moderna

Ho voluto insistere sulla dimensione politica e non soltanto privata e individuale della disciplina d’antico regime, perché è proprio quello il piano dove si situa il mio interesse per la disciplina moderna e anche, indirettamente, per la disciplina webe- riana.

Ciò significa che il mio punto di vista si diversifica dalla concezione di Norbert Elias, che studia la disciplina moderna in funzione soprattutto del suo interesse per il tema della civilizzazione come processo storico separato sia dall’individuo che dalla forma tipica che l’individualismo moderno ha assunto nell’Occidente: lo Stato. Il mio interesse per la disciplina si connette invece alla sua capacità di essere ponte fra le esigenze degli uomini in quanto individui moderni e le soluzioni politiche e tecniche che gli stessi hanno saputo trovare per rispondervi. Ma, se io parlo di disciplina mo-

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derna, sono anche consapevole che la sua origine risale molto indietro nel tempo, fino alla stessa disciplina militaris romana. Giustamente Gerhard Oestreich, nei suoi studi su Giusto Lipsio, ha particolarmente insistito sul problema dell’esercito come dato costitutivo dello Stato moderno. Storicamente, però, la disciplina incontra sul suo cammino anche una seconda possibilità di realizzazione istituzionale, e fu il caso della Chiesa, nelle due grandi varianti realizzative delle comunità e degli ordini reli- giosi e del clero secolare. Anche qui la disciplina ha potuto acquisire l’aspetto e il si- gnificato di una disposizione all’obbedienza, nella direzione di una prevalenza delle ragioni pubbliche sulle private, riguardo alla organizzazione della vita collettiva. Ma c’è anche un terzo ambito in cui la disciplina ha trovato uno spazio esplicativo nei primi secoli dell’età moderna ed è quello della ricerca scientifica, dove il termine di- sciplina significherà in misura crescente un contesto razionale e formalizzato di sa- pere. Disciplina e dottrina acquisiscono allora, nel corso del medioevo e della prima età moderna, il senso di una pratica e di una conoscenza governate da regole, nella doppia funzione della loro praticabilità e trasmissibilità. In questo modo si apre an- che il cammino alla scienza moderna.

Quali sono allora i tratti distintivi della disciplina moderna, per evidenziare i qua- li mi sembra necessario il richiamo a Max Weber? Per spiegare meglio il carattere peculiare del mio interesse al tema, mi sento obbligato a fare ricorso a un secondo fattore connotativo di quella che io considero la modernità: un carattere che, insie- me a quello della disciplina, ha guidato i miei studi sulla condizione dell’uomo nella società e nello Stato moderni. Parlo della melancolia, che considero uno degli indica- tori più preziosi di quella condizione.

Non è certo facile cogliere tutte le implicazioni che l’opera di Max Weber presen- ta in questo campo, ma le ultime ricerche hanno dimostrato che egli stesso era un grande melancolico5. Egli parla nelle sue lettere dei suoi terribili «giorni neri»6 ed era

5 Non voglio qui fare una nota di rinvio alla letteratura relativa ai rapporti di Max Weber con la psicologia, ma semplicemente citare un bel passaggio di un autore al quale devo molto nella presente interpretazione della disciplina weberiana. HENNIS (1988, p. 273) scrive: «La solitudine totale, legata al mondo moderno, è stata indicata da Max Weber, nelle sue note supplementari a L’etica protestante, come uno dei prodotti del-

sicuramente a conoscenza dei problemi psicologici che la moderna scienza dell’anima dibatteva ai suoi tempi. I suoi rapporti con Willy Hellpach, per esempio, sull’isteria come fenomeno storico sono molto interessanti e meriterebbero un ap- profondimento che qui non è possibile fornire. In una lettera del 20 gennaio 1906, egli scrive testualmente: «Io sono assolutamente convinto che l’inclusione di quelle cose, che voi chiamate Nervenleben, nella considerazione causale di storia della cul- tura […] soprattutto nel tempo presente, sia necessaria». E ancora, in un’altra lettera del 25 gennaio dello stesso anno, fa riferimento a Ignazio di Loyola contestando l’opinione di Eberhard Gothein che vedeva negli Esercizi una «psicologia superficia- le». Le citazioni si potrebbero moltiplicare, ma preferisco chiudere con un’ultima let- tera diretta a Aby Warburg.

Si tratta di una lettera del 10 settembre 1907 in risposta all’invio che Warburg gli aveva fatto di un saggio sul pittore italiano Francesco Sassetti. Weber sottolinea l’importanza della «coscienza del conflitto e del dubbio» per l’uomo moderno (pro- babilmente riferendosi a Marsilio Ficino, che era stato citato da Warburg nel suo saggio) e aggiunge – se ho ben interpretato – che l’uomo rinascimentale italiano non è quello che «come un calvinista, riposa sul terreno di un’etica solida, e gioca, con buona coscienza, a fare il ‘superuomo’».

Sono tracce impercettibili, quelle che precedono, e indicano solo che il discorso andrebbe approfondito. A me servono per ora soltanto a evocare la più bella icona in quest’ambito che sia mai stata incisa nella storia dell’arte, la Melencholia I. di Albre- cht Dürer, che segna in modo incomparabile la nascita dell’uomo moderno.

Il tema della modernità rimanda immediatamente alla separazione dal passato, e quindi al mondo dell’azione, che è, a sua volta, il mondo della ragione e del progetto. Tutto ciò presuppone l’esistenza di un soggetto “sociale” nuovo, e non può essere che l’individuo in quanto dotato di una forte e responsabile capacità sociale. Sono pas-

la modernità più gravido di conseguenze». Hennis fa derivare da questa affermazione conclusioni impor- tanti sia nel senso dell’uomo ascetico che della scienza della realtà.

6 Mi riferisco in particolare alle lettere di Max Weber ai suoi colleghi studiosi. Cfr., per esempio, le numero- se lettere a Roberto Michels, pubblicate recentemente in WEBER, 1990. Altre lettere di questa raccolta sono citate in seguito direttamente nel testo.

saggi troppo rapidi quelli che propongo, d’altronde già abbastanza noti. Non voglio neppure insistere sulle origini cristiane del fattore responsabilità o sul ruolo delle virtù e sull’importanza dell’evoluzione delle loro gerarchie interne per la nascita di questa nuova individualità: tutte cose altrettanto note. Infine passerò anche sotto silenzio la diffusione, nei secoli XVI e XVII, della letteratura sul comportamento, che, a partire dall’Italia del Rinascimento, ha pervaso l’Europa intera: dalla Spagna all’Inghilterra, alla Francia, alla Germania.

Cresce in questi secoli la domanda di socialità, che aveva la sua origine nell’esigenza di trovare nuovi modi di comportamento per uomini concreti, che agi- scono nel presente, sempre più come individui, al di fuori delle protezioni e delle si- curezze offerte fino allora dai numerosi piccoli mondi della società medievale, unifi- cati nella totalizzante res publica christiana. Ma la socialità costa cara sia in termini psicologici che politici. La prima reazione è la fuga dal mondo (contemptus mundi): un “mondo” che il Grande dizionario della lingua italiana definisce come «la vita as- sociata degli uomini, caratterizzata da convenzioni, norme e regole giuridiche e mo- rali determinate, da interessi e scopi comuni e inoltre da un sistema burocratico e da particolari rapporti gerarchici».

Anche solo sulla base di ciò si può spiegare l’insistenza con cui ci si applica, nella prima età moderna, all’educazione dei giovani per il mondo, che vede il suo primo esempio in Erasmo da Rotterdam, ma troverà passaggi importanti anche in Spagna (con Huarte ad esempio), in Italia (con il Castiglione, monsignor Della Casa e il Guazzo), in Germania (addirittura Lutero e soprattutto Melantone). È il problema della disciplina nella sua terza versione, come abbiamo visto sopra. Ma ancor più, è il problema della melancolia, di cui si può osservare, fra la fine del XVI e il pieno XVII secolo, un progressivo slittamento dal suo significato primario di malattia della costi- tuzione individuale al moderno livello sociale della asocialità.

E giustamente il rimedio che si invoca per vincere questa terribile malattia sociale è quello della disciplina, dell’educazione, dell’attitudine al mondo e si cerca di stabi- lire i metodi e le istituzioni a ciò necessari. La famiglia, la scuola, le istituzioni eccle- siastiche, spesso intrecciati fra loro in modi del tutto inediti, sono i mezzi tradizio-

nalmente indicati che acquisiscono ora aspetti nuovi adeguati alla nuova congiuntu- ra. Soprattutto acquistano rilevanza spazi di attività fino allora poco praticati in sen- so sociale, come l’esercito, l’impresa economica, la burocrazia. Si è già parlato di Giu- sto Lipsio e del suo interprete Gerhard Oestreich per quanto riguarda il primo di questi nuovi spazi. Ma bisogna anche ricordare le considerazioni fatte da Otto Hin- tze nel famoso saggio Der Commissarius, dove l’importanza delle istituzioni militari è collegata direttamente alla evoluzione storica dello Stato moderno e della sua bu- rocrazia7.

L’impresa moderna è definita da Weber come il luogo dove «con il lavoro libero e con l’appropriazione completa dei mezzi di produzione si consegue il massimo grado di disciplina»8. Anche per Marx l’impresa era il luogo privilegiato della nuova «eco- nomia dei mezzi di produzione»: ciò che era possibile in parte grazie all’addestramento (Dressur), in parte anche grazie all’apprendimento (Bildung) degli operai, in parte infine grazie alla disciplina (Disziplin) che il capitalista era in grado di imporre ai lavoratori organizzati. Per entrambi gli autori la disciplina rappresenta la condizione indispensabile per il funzionamento del fondamento stesso del capita- lismo. Per Weber essa consiste nella «disponibilità degli uomini a conformarsi inter- namente alle norme e alle regole abituali».

La burocrazia è infine – ancora per Weber – la forma pura di esplicazione del po- tere legale9: essa stessa non è che impresa, o una somma di imprese, fondata sull’esistenza di regole stabilite oggettivamente, alle quali si deve obbedire oggetti- vamente. I fattori dell’addestramento, della specializzazione, della professionalità, della gerarchia interna sono costitutivi del modello stesso. E questo funziona grazie ad una esclusiva «disciplina d’esercizio».

7 Il testo, ormai classico, è stato da me tradotto nella raccolta H

INTZE, 1980, pp. 1-26, con il titolo Il Commis-

sario e la sua importanza nella storia generale dell’amministrazione: uno studio comparato. Forse è utile

ricordare che lo stesso Oestreich ha raccolto la produzione saggistica completa di Hintze nei tre volumi del- le Gesammelte Abhandlungen.

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WEBER, 1961, I, p. 135. 9

Si potrebbe risalire ancora più indietro, ma può bastare quanto appena detto. È evidente che qui si toccano gli elementi portanti del capitalismo moderno10.

Dopo la recente pubblicazione, da parte di Bernhard vom Brocke, di una ricerca sulla fortuna e la recezione dell’opera di Werner Sombart, si può valutare molto bene il ruolo svolto da questo autore sull’opinione pubblica e scientifica tedesca del tem- po11. È certo che Weber respirava lo stesso clima culturale e affrontava gli stessi pro- blemi. Ma c’è una differenza significativa fra i due studiosi. Fine primario di Sombart era infatti di descrivere la genesi del capitalismo al di fuori delle influenze della poli- tica, del diritto o della costituzione: si è anche detto che egli voleva stare perfino al di fuori dell’influenza dell’economia! In effetti il suo intento principale era assoluta- mente antimaterialista, nella misura in cui metteva in evidenza il processo di razio- nalizzazione come carattere fondamentale del capitalismo occidentale. E Weber? Si potrebbe dire, com’è stato più volte detto finora, che tale era anche il suo tema prin- cipale di ricerca, ma la letteratura weberiana più recente ha decostruito questo vec- chio topos. Prima di tutto ha identificato il processo di razionalizzazione del capitali- smo con il tema generale della razionalità occidentale, mostrando che per Weber il capitalismo non era un oggetto fine a se stesso, ma piuttosto l’indicatore di processi ben più profondi dentro alla storia dell’umanità12. In primo luogo, dunque, uno degli

285 Strettamente legato al problema del capitalismo moderno è quello del diritto moderno. Ne parlo qui par- tendo da Freiheit und Zwang in der Rechtsgemeinschaften (WEBER, 1956, pp. 76-80). La domanda posta da Weber è la seguente: «Il diritto moderno – come accrescimento di modelli adattabili ai modelli sociali – aumenta anche la libertà individuale necessaria a determinare le condizioni per una condotta personale oppure aumenta soltanto la schematizzazione coattiva della condotta di vita [Lebensführung]?». Probabil- mente non è altro che una delucidazione della stessa alternativa posta nel medesimo testo relativamente al rapporto fra “stile di vita” e “condotta di vita”, dove il primo sarebbe imposto dall’esterno, dai “poteri eco- nomici”, soprattutto dai kapitalistische gewerbliche Betriebe, che possono esercitare, proprio attraverso il diritto, una coercizione autoritaria. Come si può vedere, la posizione di Weber nei confronti del diritto è sempre molto realista. Cfr. a questo proposito le pagine finali della Rechtssoziologie.

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Il lavoro di VOM BROCKE (1987) ha accompagnato la riedizione presso lo stesso editore, Deutscher Ta- schenbuch Verlag, 1987, del Moderner Kapitalismus di Sombart.

12 Per H

ENNIS (1987, p. 15) Weber ritaglia il suo interesse, rispetto al grande tema di Sombart, mettendo l’accento su «l’origine di questo stile di vita etico che era adeguato dal punto di vista spirituale al capitalismo come fase economica». Ciò che interessava Weber era dunque lo spirito del capitalismo sebbene in stretta connessione con «i sistemi del mondo, come la famiglia, la vita produttiva, la comunità sociale». Il vero og- getto della sua ricerca non era tanto l’ordine capitalistico, quanto i soggetti umani che vivevano in esso e soprattutto i mezzi, culturali e psicologici, che quei soggetti dovevano mettere in campo per adattarvisi.

indicatori della modernità stessa, in quanto, allo stesso tempo, forma di produzione economica e ordine istituzionale (statale) determinato. Ma non solo. Esso coesisteva con una nuova forma di società, che Weber stesso chiamava «società acquisitiva [Erwerbsgesellschaft]». In una relazione del genere, così stringente e coattiva, si capi- sce come il capitalismo potesse esercitare una sorta di determinazione totale dell’esistenza. Nell’appena citata lettera a Warburg, Weber parla di «una pressione dei poteri economici che esigono un nuovo stile di vita in sé». Il destinatario della pressione, il titolare di questo nuovo stile di vita non è che l’uomo. Ed è l’uomo il centro unico e reale dell’interesse e insieme della ricerca di Max Weber.

3. La centralità dell’uomo e l’etica della Lebensführung

È necessario, a questo punto, riprendere la mia ipotesi di partenza sulla disciplina in Weber. Essa deve molto all’ultima ricerca weberiana di Wihelm Hennis, in cui ap- punto viene ribadita l’assoluta centralità dell’uomo13. Si tratta ovviamente dell’uomo occidentale moderno, ma non è, io credo, solo l’uomo capitalista, cioè l’uomo in quanto soltanto razionale. Si pone infatti un problema di prospettiva. Naturalmente l’uomo moderno è, nella storia recente dell’Occidente, soprattutto l’uomo capitalista e l’uomo razionale; ma Weber, al contrario di Sombart, non è interessato a descrive- re il trionfo di questo uomo e quindi il trionfo della razionalità occidentale, il trionfo del capitalismo. Secondo me il suo problema è inverso: bisogna studiare e compren-