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M ARSILIO F ICINO , 1989.

Melancolia e socialità

II. MELANCOLIA TRA ARTE LETTERATURA E SOCIETÀ (2003-2005)

27 M ARSILIO F ICINO , 1989.

28 GIEHLOW, 1903-1904. 29 VESALIO, 1543.

Il più grande (quantitativamente e qualitativamente) scrittore di melancolia mai esistito è stato un inglese del Seicento, Robert Burton, che nell’Anatomy of Melan-

choly, uscita la prima volta nel 1621 e da lui continuamente ampliata fino all’edizione

postuma del 165130, fa – fra i mille aneddoti ed exempla di cui è intessuto il suo di- scorso – il resoconto scherzoso di un incontro nella città greca di Abdera fra Ippocra- te e Democrito da cui emerge che il medico illustre, chiamato a visitare il filosofo pazzo, se ne andò convinto che nessuno al mondo fosse più saggio di lui. Tanto che, come sappiamo Burton firma l’opera della sua vita come Democritus Junior e con lo stesso nome si farà seppellire nella cattedrale di Oxford, facendo incidere sulla tom- ba i versi seguenti:

«Paucis notus, paucioribus ignotus. Hic jacet Democritus junior. Cui vitam dedit et mortem. Melancholia.

Ob. 8 Id. Jan. A. C. MDCXXXIX».

Basata sulla dottrina dei quattro umori fondamentali, l’analisi della melancolia ri- guarda in realtà lo studio della costituzione umana, attraverso la complessione o cra- si degli umori e la creazione dei diversi temperamenti. Questi ultimi, a loro volta, rientrano in una sorta di schema a quattro31, in cui essi sono di volta in volta collegati ai quattro elementi, ai quattro venti, alle quattro stagioni o parti del giorno e alle quattro età dell’uomo. Il sanguigno, riscaldato dal sangue, combina con l’aria, la primavera, il mattino e la gioventù; il collerico, eccitato dalla bile gialla, combina col fuoco, l’estate, il meriggio e l’età adulta; il flemmatico, pieno d’umore freddo, com- bina con l’acqua, con l’inverno, con la notte e la vecchiaia; il melancolico, dominato dall’atra bilis, combina con la terra, l’autunno, la sera e l’età matura. Questo schema

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BURTON (1621), 1989-1994. 31

cosmologico fu inciso dal già più volte citato Dürer su legno per il frontespizio dell’opera di Conrad Celtis, pubblicata nel 150232.

Uno dei quattro temperamenti dunque, in base ai quali la medicina classica si- stematizza la costituzione di quell’uomo appena anatomizzato dal Vesalio e dal Bur- ton. Ma perché non vi sono tanti trattati sulla flemmaticità o sulla sanguignità, men- tre le biblioteche sono stracolme di trattati sulla melancolia? Forse perché, come già sopra accennato, oltre alla medicina interessa il comportamento, e in questa direzio- ne, il comportamento melancolico è più interessante o diffuso degli altri. O più rile- vante socialmente, verrebbe quasi da dire, se è vero che anche la rappresentazione letteraria ed artistica lo privilegia tanto, come si è visto.

Se c’è un campo interdisciplinare che ha fornito a lungo la base per lo sviluppo dei nuovi interessi per la politica degli uomini, dal medioevo in poi è stato quello in cui si sono variamente mescolate le considerazioni teologiche con quelle giuridiche. Dai livelli astrali del diritto naturale della Scolastica a quelli più concreti ma non meno efficaci anche sul piano ideologico-culturale dell’utriusque iuris (diritto cano- nico e diritto civile), per secoli i comportamenti anche sociali degli uomini sono stati dettati e sanzionati da un miscuglio a volte confuso e irragionevole delle due fonti principali di autorità: quella di Dio e della Chiesa, da una parte, e quella del re e del- lo Stato, dall’altra. Paolo Prodi ci ha mostrato quanto complicato sia stato il processo di districamento e separazione di quei due ambiti, mediante la creazione, nella co- scienza individuale, dei cosiddetti due fori, rispettivamente deputati alla gestione della sfera del crimine e di quella del peccato33.

Un effetto drammatico quella commistione ha prodotto, in tutta Europa, per i tre o quattro secoli che hanno segnato il passaggio dal medioevo all’età contemporanea, nella repressione di fenomeni di basso livello, inerenti spesso alla vita di villaggio o di piccole comunità, ma nondimeno relativi al tema della presenza del difforme, del marginale, dell’estraneo, concentrato nella credenza diffusa nel diavolo come attore invisibile ma non per questo meno ingombrante nella società umana, anche e so-

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CELTIS (1502), 1934. 33

prattutto nella piccola dimensione. Nessun altro caso può rappresentare meglio della persecuzione delle streghe (e talora, ma più raramente, degli stregoni) la strettissima coesistenza di microstoria e di storia in grande, in una concatenazione di dottrine e di procedure che vanno dalla punizione di poveri cristi e criste di periferia alla glori- ficazione della macchina repressiva, punitiva, disciplinante di un’autorità, come quella della chiesa, che sente sfuggirle sotto i piedi la base solida della propria legit- timazione. Non si può qui quantificare il fenomeno, ma basta dire che esso era anco- ra rilevante a cavallo fra XVII e XVIII secolo, nell’epoca cioè in cui i lumi avevano cominciato a lambire coi loro raggi della ragione e della scienza le forme ancora con- fuse di tutti i principali aspetti della vita.

Il dualismo moderno di coscienza e diritto non apparteneva al mondo della cac- cia alle streghe, in cui venivano impiegate invece (come spesso accade ancor oggi, nei modi traslati applicati a tutti coloro che sono considerati in qualche modo extra- ) tecniche indiziarie confuse, fatte insieme di valutazioni religiose e scientifiche, po- litiche ed etico-sociali. Il bandolo di tutto ciò era di solito rappresentato dal diavolo, di cui si denunciava la straordinaria abilità pattizia o contrattuale. Era insomma un ottimo venditore e il patto col diavolo faceva il paio con la caccia alle streghe (come si vede, nonostante tutti gli illuminismi, non molto è cambiato da allora, anche se ai tempi d’oggi molto accade sul piano prevalentemente metaforico e virtuale della grande comunicazione). In particolare nel caso delle donne, il patto col diavolo non produceva quasi mai gli straordinari effetti faustiani che ci avrebbe poi descritto Goethe, ma si consumava più facilmente sul piano erotico o meglio orgiastico (per- ché spesso sabbatico) del rapporto sessuale, in cui si concentrava ogni possibile indi- gnazione di gruppo. Fatto sta che si accendevano volentieri roghi su cui venivano collettivamente purificate sconcezze che non potevano ancora essere confessate sul lettino individualista della psicanalisi.

Già Martin Lutero aveva sinteticamente definito quello che viene qui pudicamen- te considerato un sentimento, cioè la melancolia, direttamente come balneum diaboli e tutta la storia del protestantesimo popolare, da Melantone in poi, è fortemente marcata dalla ricerca e dall’imposizione della disciplina (Zucht nell’uso linguistico

tedesco del tempo: cioè, ancor prima che disciplina, allevamento, educazione: in- somma l’antica institutio latina ed umanistica34) per regolare e tener insieme la so- cietà politica e civile. Non mi sembra trascurabile la notizia secondo cui il grande so- ciologo tedesco Max Weber, gravemente affetto da disturbi del comportamento che potrebbero venire genericamente considerati di tipo melancolico, superò la sua forse più lunga crisi scrivendo il saggio di sociologia della religione, oggi famosissimo, sull’Etica protestante e lo spirito del capitalismo, in cui vengono celebrate le virtù del- la Lebensführung (condotta di vita) luterana, matrice e garanzia non solo di ogni vita ben ordinata ma anche delle sorti meravigliose e progressive del capitalismo moder- no35.

Dopo questa introduzione un po’ generica al tema delle streghe, ma già mirata al- la sua componente melancolica, veniamo a un paio di autori che ci possono aiutare a completare il discorso appena impostato. Il primo è uno dei padri dell’illuminismo tedesco, grande giurista ma anche filosofo del diritto, Christian Thomasius, attivo prima all’Università sassone di Lipsia e poi a quella prussiana di Halle, autore nel 1701 di una dissertazione dal titolo, ovviamente latino, De crimine magiae36. Ad essa viene normalmente attribuito il merito di aver posto fine alla degenerazione politico- religiosa sopra descritta. Il discorso è, come sempre, più complicato e rimanda, in prima istanza, alla consuetudine invalsa, verso la fine del Seicento, di inviare gli atti dei processi alle streghe alle università giuridiche (a anche a quelle mediche) per ac- quisire una sorta di perizia sulla condizione mentale degli accusati37: ciò che natu- ralmente conferma il fatto che, a quell’epoca pur già così illuminata, le streghe con-

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RASMO, Institutio (1516), composto per il futuro Carlo V che a sua volta comporrà una sua Istituzione per il figlio Filippo.

35 W

EBER (1904-1905), 1982. 36

Da me consultata nell’edizione stampata in THOMASIUS, 1987. Ma si ricordi che Thomasius era stato il primo professore tedesco ad insegnare, a Lipsia, in lingua tedesca, trattando fra l’altro proprio un tema di comportamento: cfr. il mio saggio su di lui in questo volume.

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THOMASIUS (1701), 1897 p. 15 dell’introduzione: «so fügte die göttliche Vorsehung, daß immer nach und nach auch andre Heen-Acten in unsere Facultät geschickt und meiner relation anvertraut wurden, die mich gleichsam forcirten die Augen immer weiter und weiter auffzuthun, und die miserable prostitution der He- xen-Richter und Advocaten zu erkennen» (Juristische Händel, Erster Theil, Halle 120, XVIII Handel, pp. 197 ss.). In generale sul tema cfr. anche ZWETSLOOT, 1954; FISCHER-HOMBERGER, 1970, 1983.

tinuavano ad essere perseguite; ma dà anche l’idea del peso crescente che l’osservazione scientifica veniva assumendo nella gestione degli affari sociali, a de- trimento della tradizionale supremazia teologica38.

Si noti che quattro anni prima della dissertazione sulla magia, Tomasio ne aveva discussa un’altra sull’eresia39. Ciò dovrebbe farci riflettere, innanzi tutto, sul nesso esistente fra i due presunti crimini e, in secondo luogo, sulla relazione di entrambi con la melancolia. Nello scritto sulla magia Tomasio non contesta l’esistenza del dia- volo; egli si limita a dire che la natura di quest’ultimo è spirituale, non può dunque materializzarsi. Chi sostiene il contrario può essere solo in preda ad allucinazioni, a false illusioni oppure vittima di tortura. Gli interventi di Tomasio ebbero molto suc- cesso, anche all’interno di una forte polemica fra il luteranesimo ortodosso imperan- te in Sassonia ed un certo liberalismo religioso, molto aperto anche nei confronti di altre religioni, del Brandeburgo-Prussia40. Fatto sta che, fra attacchi di avversari e di- fese di scrittori amici, il nostro pubblicò ancora nel 1712 un’ultima dissertazione De

origine ac progressu processus inquisitorii contra sagas41, a cui lo stesso re di Prussia Federico Guglielmo I rispose finalmente con un editto per la «eliminazione degli abusi in occasione dei processi alle streghe» del 13 dicembre 1714 (l’ultima strega fu bruciata in Prussia nel 1728, anno di morte dello stesso Tomasio).

Che c’entra in tutto ciò la melancolia, occorre chiedersi a questo punto. Fin dal § III della dissertazione sulla magia, nel fare la storia degli autori che ben prima di lui avevano contestato l’esistenza della stregoneria, Tomasio ricorda che piuttosto si de-

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Anche se, nella specie, e proprio con riferimento a Tomasio, si moltiplicarono le lagnanze dei teologi sulla crescente intromissione dei giuristi nelle materie di loro competenza (THOMASIUS [1701], 1897, p. 17). Si noti che il tema doveva essere di grande attualità se, solo tre settimane prima di Tomasio, anche il suo collega Heinrich Bode (Henricus Bodinus) aveva fatto discutere una sua Dissertatio de fallacibus indiciis magiae (20.10.1701) nella stessa Università di Halle.

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Dissertatio an Haeresis sit crimen, discussa all’Università di Halle il 14.7.1696, poi tradotta in tedesco (Ob

Ketzerey ein strafbares Laster sey?) nel 1705. Ad essa seguì l’altra dell’anno successivo, politicamente ancora

più importate, De iure Principis circa Haereticos. 40

HINTZE (1931), 1980.

41 Qui Thomasius insiste nel dire, in base a ricognizione storica, che non vi è traccia di streghe prima dell’istituzione del processo inquisitoriale contro le streghe medesime nell’anno 1484 (THOMASIUS [1712], 1987, p. 134). Quest’operetta è bellissima per il rigoroso esame che compie di un’amplissima bibliografia sul- le streghe durante il XVI e XVII secolo.

ve pensare «alla melanconia e a malattie varie, o ad arti istrioniche»42. Il ragiona- mento è molto semplice: le allucinazioni o false illusioni possono essere facilmente il prodotto di quell’eccesso di bile nera che produce l’alterazione delle facoltà mentali nota come melancolia. Quindi semmai le streghe sono da considerare malate di mente e vanno trattate non con la tortura e il rogo, ma con l’emarginazione o l’esclusione sociale43. Come si vede, la via verso l’internamento manicomiale è aper- ta, ma è anche allo stesso tempo chiusa quella verso il supplizio.

Anche in campo più specificamente medico, o meglio medico-giuridico, questo tipo di ragionamento aveva preso piede, e questa volta era stato un italiano a com- piere i passi più lunghi. Parlo di Paolo Zacchia, famoso autore delle Quaestiones me-

dico-legales e considerato perciò fra i fondatori della moderna medicina legale44. Egli utilizzò ampiamente la dottrina della melancolia per meglio articolare le sue vedute sulla capacità d’intendere e di volere, ma fu anche dedito, in qualità di medico, al morbo ipocondriaco e alla sua cura per via di diete e digiuni45. In verità, Tomasio cri- ticherà lo Zacchia proprio per la superficialità con cui questi continuava ad attribuire importanza alla bile nera: anche quest’ultima, un po’ come il diavolo, nessuno l’ha mai vista, sostiene il nostro, e quindi bisognerà decidersi ad attribuire i suoi nefasti effetti alla cattiveria degli uomini piuttosto che a una condizione biofisica. Ma in questo modo, di nuovo, siamo tornati all’aspetto politico e sociale della melancolia, che per Christian Thomasius non possono che essere quelli di un ordine ben stabili-

42 C.T

HOMASIUS (1701), 1987, p. 38. Il più illustre predecessore in questa direzione era stato il medico renano Johann Weyer, che nella sua celebre opera demonologica (WEYER, 1563), oltre a negare l’esistenza del diavo- lo, argomentava che le streghe non fossero altro che donne isteriche o melancoliche: «il disturbo della me- lancolia le fa fantasticare di aver causato tutti i possibili mali».

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FISCHER-HOMBERGER, 1983, p. 142, spiega l’influenza dell’antica dottrina della melancolia col fatto che «die Melancholielehre gilt als ehrwürdiges klassisches Gedankengut, und die Melancholie hat ihren alt- angestammten sicheren Krankheitswert».

44 Ivi, p. 116: «Eine wesentliche und zentrale Funktion der Gerichtsmedizin ist es, sich regulierend in die rechtlich gegebene Beziehung zwischen Kollektiven und Individuen einzuschalten».

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ZACCHIA, 1665: cfr. SCHIERA, 1987a. Solo per dare un esempio della diffusione secentesca dell’interesse per la melancolia vorrei citare il Quadripartitum Melancholicum di Gaspare Marcucio.

to, capace di assicurare ai sudditi ciò per cui essi stessi vivono e sono disposti ad ub- bidire: cioè la felicità materiale46.

Quel che conta è che «ope Philosophiae Cartesianae, grilli isti Scolastici […] ex multis Academiis sint estirpati»47. Questa opinione è illuminante soprattutto perché ci richiama alla perfetta coscienza che questi uomini di cui trattiamo (a loro modo implicati nel processo dell’illuminismo) avevano del progresso scientifico in cui era- no inseriti se non protagonisti. Ho già accennato che lo stesso Thomasius nutriva scetticismo profondo nei confronti della dottrina degli umori. Ciò che non gli impedì però di far discutere lui stesso una dissertazione sulla melancolia, su cui qui non vale ormai più la pena di insistere. Così come non posso trattenermi come vorrei su due altre dissertazioni coeve, dedicate rispettivamente alla mania e alla melancolia48, se non per dire che, nei due testi, le due sindromi appaiono strettamente legate fra loro, rientrando entrambe nella «insania [o delirium] - sine febre», ma essendo la prima (la mania) piuttosto una complicazione della seconda (melancolia), in quanto «fu- riosa», mentre la seconda è «tristis […] & cum Timore ac Metu»49.

È giunto però il momento di spiegarsi fino in fondo, tornando così anche al punto dal quale siamo partiti. Quel che per me conta della melancolia sono specialmente questi tre sintomi appena descritti: la tristezza, il timore e la paura, donde proviene la debolezza di fondo della costituzione umana individuale. Nel 1702, non solo To- masio ma neppure autori ben più modesti di lui credono ancora negli umori e in par- ticolare nell’umore nero come causa della melancolia. Anche per il Caracciolo citato all’inizio, l’humeur è ormai solo una metafora per indicare un ostacolo alla gaiezza,

46 Questo ragionamento sta alla base della dottrina politica del cameralismo tedesco settecentesco: una spe- cialità di pensiero sparsa per molte branche del sapere e della tecnica politica, ma variamente oscillante fra mercantilismo economico ed illuminismo filosofico: cfr. SCHIERA, 1968.

47 C.T

HOMASIUS (1701), 1987, p. 94. Mi sembra importante richiamare un’osservazione del già citato libro di Hausmann, 1982 pp. 37 ss. che osserva come, in connessione con le nuove scoperte fisico-sperimentali sor- gesse, nel corso del XVII secolo anche un nuovo pensiero filosofico, utile anche per una diversa compren- sione dei processi mentali.

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La prima s’intitola De Mania e fu discussa nel 1701 all’Università Viadrina di Francoforte sull’Oder da Jo- hannes Hauboldus Brossmann, sotto la guida di Ireneo Vehr; la seconda porta il titolo De Melancholia, di- scussa da Michael Haentschky, a Wittenberg nel 1702, sotto la guida di Christian Vater. Sono appunto le due dissertazioni a cui è dedicato il libro già citato HAUSMANN, 1982.

49 Ivi, p. 45

all’amabilità e alla socialità di cui il secolo ha bisogno. Ma il problema non è supera- to neanche oggi, se è vero (ma accipicchia è già passato quasi un secolo da allora!) che Karl Jaspers distingueva fra Furcht (timore) e Angst (paura) nel senso che il pri- mo sarebbe sempre rivolto a qualcosa di preciso, mentre la seconda non avrebbe mai un oggetto preciso50. D’altra parte il nostro “autorino” di Wittenberg specificava la «paura da melancolia» proprio come timore nei confronti degli altri uomini, cioè espressamente come a-socialità. La stessa sindrome presente fin dall’inizio del per- corso occidentale del nostro sentimento, a cui appunto reagiva il Caraccioli. E anco- ra, in contemporanea con Freud che nel suo Trauer und Melancholie del 1917 offriva una spiegazione molto sofisticata e certamente ancora da approfondire di un male caratteristico del suo come del nostro tempo, Ernst Kretschmer pubblicava nel 1921 uno scritto sulle psicosi endogene che ancora reca un bellissimo titolo settecentesco:

Körperbau und Charakter, Untersuchungen zum Konstitutionsproblem und zur Lehre von den Temperamente51. E allora?

Bisogna avere il coraggio di riconoscere che un interesse così duraturo e diffuso degli uomini occidentali per la melancolia deve avere qualche significato in più oltre a quelli che gli sono stati variamente attribuiti dagli storici della letteratura o dell’arte, dagli storici della scienza o della teologia. Si deve trattare di qualcosa che inerisce alla presenza dell’uomo nel mondo e in particolare a quella presenza orga- nizzata che ha assunto in Occidente la forma della politica.

Non è un caso che il mio interesse, ormai antico, per la melancolia sia sempre an- dato a braccetto con l’attenzione per un altro tema: quello della disciplina. Quest’ultima è stata, in realtà, molto più studiata nella sua rilevanza per i problemi organizzativi della convivenza: dunque per la politica. E anche noi, dall’Istituto stori- co italo-germanico in Trento, abbiamo contribuito, nel corso degli ultimi vent’anni, a costruire, in Italia, un centro d’interesse e di studio per il cosiddetto disciplinamento sociale, che è una categoria desunta dalle scienze sociali e dalla storiografia a matrice

50 J

ASPERS (1913), 1973, attribuisce la paura, così frequente nei casi depressivi, ai «gegenstandslosen Gefüh- len, die erst ihren Gegenstand suchen oder hervorbringen müssen, um zum Selbstverständnis zu kommen» (ivi,p. 94).

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tedesca. La disciplina può essere intesa, nel suo rapporto con la melancolia, come un rimedio a quest’ultima, e difatti è questa una delle più ricorrenti misure terapeutiche che si possono trovare nei testi di medicina classica (dalla dieta, al movimento, alla musica, alla conversazione è tutto un inno alla disciplina, tanto che appunto viene il dubbio che l’intera questione della socialità moderna sia sottomessa a disciplina e che quindi il disciplinamento sociale possa essere davvero considerato un filone im- portante del “labirinto” culturale e politico occidentale, fino a quella che ne ha costi- tuito, fino ad oggi, l’unica uscita possibile: cioè la costituzione). Ma è evidente che, con la disciplina, ci muoviamo appunto sul piano dei rimedi o anche delle modalità tecniche di funzionamento della politica, non sul piano delle cause di essa. È mia