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La conciliazione in sede sindacale e le altre sedi della conciliazione

3. Le novelle del Collegato lavoro Sacconi (l n 183/2010)

3.1.3 La conciliazione in sede sindacale e le altre sedi della conciliazione

ricorso successivamente depositato in giudizio ai sensi dell'art. 415 c.p.c.

Il giudice potrà pertanto prendere in considerazione il comportamento tenuto dalle parti in sede di conciliazione non soltanto per decidere sulle spese del giudizio.

L’ultimo comma dell’art. 411 c.p.c. precisa che al tentativo di conciliazione svolto in sede sindacale non trova applicazione la procedura di cui all’art. 410 c.p.c. Ciononostante si osserva che, come era prevedibile, per l’elaborazione delle procedure di conciliazione la contrattazione collettiva ha preso a modello la procedura configurata dalla legge. Si tratta comunque di procedure più rapide, meno rigide e meno complicate rispetto a quella di cui all’art. 410 c.p.c., le quali, per giunta, non producono alcuna conseguenza sull’eventuale giudizio successivo.

La previsione di regole comuni per la conciliazione delle controversie di lavoro privato e di quelle che riguardano l’impiego pubblico ha fatto venire meno le ingiustificate disparità di trattamento che esistevano fra i due settori. Tuttavia, il Collegato lavoro ha conservato, per l’ambito del lavoro pubblico, un peculiare regime di esenzione da responsabilità per i funzionari pubblici che prendono parte alle trattative per la conciliazione delle vertenze in sede stragiudiziale o giudiziale. Ai sensi dell’ultimo comma del nuovo art. 410 c.p.c., infatti: “La conciliazione della lite da parte di chi

rappresenta la pubblica amministrazione, anche in sede giudiziale ai sensi dell’articolo 420, commi primo, secondo e terzo, non può dar luogo a responsabilità, salvi i casi di dolo e colpa grave”.

Ne sorge anche il timore che l’ampia discrezionalità operativa riconosciuta da questa norma ai funzionari pubblici possa favorire comportamenti che contrastano con i principi costituzionali di imparzialità e trasparenza dell'azione amministrativa.

3.1.3 LA CONCILIAZIONE IN SEDE SINDACALE E LE ALTRE SEDI DELLA CONCILIAZIONE

L’art. 412 ter c.p.c., come novellato nel 2010, conferma che il tentativo di conciliazione facoltativo può essere esperito anche in sede sindacale, in alternativa alla sede amministrativa, secondo le regole fissate nei contratti collettivi. La norma specifica che deve trattarsi dei contratti sottoscritti dalle associazioni sindacali maggiormente

rappresentative.

Anche l’art. 412 c.p.c. contiene alcune novità in materia di conciliazione. La norma (che prima della riforma era dedicata al verbale di mancata conciliazione) prende in considerazione la possibilità che le parti, dopo avere avviato la procedura dell’art. 410 c.p.c., e pertanto in qualunque fase del tentativo di conciliazione o al suo termine in caso di mancata riuscita, indichino la soluzione, anche parziale, sulla quale eventualmente concordano e si accordino per la risoluzione della lite in via arbitrale, dando a tal fine mandato alla stessa Commissione.

La norma configura una fattispecie che, in concreto, non ha trovato applicazione e che ha lasciato fin da subito perplessi quanto alla competenza dei funzionari ministeriali e dei rappresentanti dei lavoratori e dei datori di lavoro che compongono la Commissione ad assumere la veste di arbitri. Ad ogni modo, volendosene analizzare anche gli aspetti positivi, si deve osservare che essa ammette la possibilità di una conciliazione parziale delle liti, che, pur rappresentando, come si è anticipato, un’ipotesi difficile da realizzare, opera a beneficio della diffusione dell’istituto.

Viene fatto riferimento ad un arbitrato libero e si chiede alle parti di assegnare alla Commissione il termine entro cui dovrà essere emanato il lodo, che comunque non può superare sessanta giorni dal conferimento del mandato, pena la sua tacita revoca. Inoltre, le parti devono riportare le norme invocate a sostegno della propria pretesa e l’eventuale richiesta di decidere secondo equità la controversia, nel rispetto dei principi generali dell’ordinamento e dei principi regolatori della materia, anche derivanti da obblighi comunitari.

Al lodo emanato all’esito di questo particolare procedimento viene esplicitamente riconosciuta la natura negoziale e se ne dichiara l’impugnabilità ai sensi dell’art. 808 ter c.p.c.

Alle descritte sedi di conciliazione si aggiungono, ai sensi del comma 9 dell'art. 31 della l. n. 183/2010, quelle di cui all'art. 76 del d.lgs. n. 276/2003, ossia gli Organismi deputati alla certificazione dei contratti di lavoro, e precisamente: gli Enti bilaterali costituiti nell'ambito territoriale di riferimento o a livello nazionale; le Direzioni provinciali del lavoro e le Provincie, secondo quanto stabilito da apposito decreto ministeriale; le università pubbliche e private, comprese le Fondazioni universitarie; il Ministero del lavoro nei casi in cui l'impresa abbia sedi in più realtà territoriali; i Consigli provinciali dei consulenti del lavoro. Si può parlare di una vera e propria proliferazione delle sedi conciliative e anche con riferimento a questa fattispecie sono forti i dubbi

sull’effettiva capacità professionale degli Organismi di certificazione a svolgere un compito tanto delicato e importante.

Il Collegato lavoro non ha regolamentato un regime transitorio, che, quindi, è stato gestito secondo le regole previste dalle disposizioni sulla legge in generale e sulla base di alcuni chiarimenti che sono stati forniti con la citata Circolare del Ministero del lavoro del 25 novembre 2010.

Per il principio secondo cui “tempus regit actum”, le richieste di conciliazione spedite o depositate prima del 24 novembre 2010, giorno di entrata in vigore della riforma, sono state gestite sulla base delle regole precedenti. Ne consegue che le cause avviate in giudizio prima del 24 novembre 2010 senza che fosse stata tentata la conciliazione avrebbero dovuto essere sospese dal giudicante, con assegnazione alle parti del termine massimo di sessanta giorni per promuovere il tentativo ai sensi della passata formulazione dell’art. 412 bis c.p.c.

In proposito, la Circolare ministeriale disponeva che le Commissioni già insediate continuassero a svolgere l’attività conciliativa per un periodo ulteriore di quarantacinque giorni dall’entrata in vigore della l. n. 183/2010, cioè fino al 7 gennaio 2011, data entro la quale avrebbero dovuto essere costituiti gli Organismi conciliativi sulla base dei nuovi criteri.

Quanto alle vertenze pendenti, la Circolare chiariva che, fino alla stessa data del 7 gennaio 2011, le Commissioni avrebbero trattato in regime di prorogatio le controversie in carico alle Direzioni provinciali del lavoro. Le Commissioni erano, però, tenute ad informare le parti circa la non obbligatorietà del tentativo, precisando che avrebbero comunque potuto scegliere di portare a termine la conciliazione per ottenere una transazione. Successivamente, e cioè a partire dal 10 gennaio 2011, le Commissioni di nuova costituzione si sarebbero occupate delle istanze volontarie.

Per il lavoro pubblico, la Circolare stabiliva, invece, che i Collegi di conciliazione avrebbero interrotto ope legis le loro funzioni il 24 novembre 2010; a quella data le parti delle vertenze ancora aperte avrebbero potuto scegliere se abbandonare la procedura conciliativa oppure se proseguirla davanti alla Commissione istituita presso la Direzione del lavoro territorialmente competente.

3.1.4 IL GIUDICE “CONCILIATORE”: IL TENTATIVO DI COMPOSIZIONE DELLA LITE