• Non ci sono risultati.

L’arbitrato davanti al Collegio di conciliazione e arbitrato

3. Le novelle del Collegato lavoro Sacconi (l n 183/2010)

3.2.3 L’arbitrato davanti al Collegio di conciliazione e arbitrato

L’arbitrato in sede amministrativa di cui all’art. 412 quater c.p.c. ha assunto la qualifica di arbitrato irrituale “ordinario” per le controversie di lavoro.

Prima della riforma del 2010 il ricorso all’arbitrato irrituale per le controversie di lavoro era consentito dall’art. 412 ter c.p.c. soltanto se il tentativo di conciliazione della controversia fosse fallito o se fosse decorso il termine massimo previsto dalla legge per il suo espletamento, e a condizione che i contratti o accordi collettivi nazionali di lavoro contemplassero tale facoltà. Ai sensi dell'art. 412 ter, comma 1, lett. a), c.p.c., gli accordi avevano il compito di stabilire le modalità della richiesta di devoluzione della controversia al Collegio arbitrale, il termine entro il quale controparte avrebbe potuto aderirvi, la composizione del Collegio e le modalità procedurali per lo svolgimento dell’arbitrato. Quanto alle spese del procedimento, salva diversa indicazione della contrattazione collettiva, trovavano applicazione gli artt. 91, comma 1, e 92 c.p.c.

La disciplina dell'impugnazione del lodo doveva ricercarsi nel combinato disposto degli artt. 808 ter, comma 2 e 412 quater c.p.c.

Oggi, ferma restando la facoltà di ciascuna delle parti di adire l'autorità giudiziaria e di avvalersi delle procedure di conciliazione e di arbitrato previste dalla legge, l’art. 412 quater c.p.c. consente ai soggetti in conflitto di deferire la soluzione della controversia ad un Collegio costituito da un rappresentante di ciascuna parte e da un presidente individuato di comune accordo dagli arbitri già nominati oppure, in mancanza, designato dal presidente del Tribunale nel cui circondario ha sede l'arbitrato, tra professori universitari di materie giuridiche ed avvocati patrocinanti in Cassazione (pertanto, si osserva con qualche perplessità, non necessariamente esperti di diritto del lavoro).

La parte che intende ricorrere all'arbitrato deve notificare all'altra un ricorso contenente, oltre alla nomina del proprio arbitro, l'indicazione dell'oggetto della domanda, le ragioni di fatto e di diritto sulle quali è fondata la domanda stessa, i mezzi di prova, il valore della controversia, il riferimento alle norme che si invocano a sostegno della propria pretesa e l'eventuale richiesta di decidere la controversia secondo equità.

rigida sequenza predeterminata, nella quale si rinviene l’eco del processo. Anche a proposito di questo istituto, come per la conciliazione amministrativa, il legislatore ha irrigidito la procedura assimilandola a quella del giudizio, forse per dare maggiori garanzie di tutela alle parti. Però l’arbitrato ne è risultato indebolito, perché la riforma ha inciso proprio sull’aspetto che dovrebbe costituire il punto di forza e la peculiarità dell’arbitrato, cioè la fluidità del procedimento: le parti della vertenza vengono collocate dalla procedura di cui all’art. 412 quater c.p.c. su fronti contrapposti, in maniera non troppo diversa da quanto accade in sede di giudizio.

La sequenza di ricorso, memoria difensiva, replica dell’attore, controreplica del convenuto è scandita da termini piuttosto stretti, ed in questo la dottrina ha rinvenuto il desiderio del legislatore di irrigidire ulteriormente la procedura mediante un sistema di preclusioni simile a quello che opera nel giudizio. E’ vero che l’art. 412 quater c.p.c. non indica a pena di decadenza i termini per il deposito degli atti, ma la norma, al comma 5, chiede che nella memoria difensiva vengano riportate “le difese e le eccezioni in fatto e in

diritto, le eventuali domande in via riconvenzionale e l’indicazione dei mezzi di prova” e

al comma 6 indica che la replica e la controreplica non possono modificare il contenuto, rispettivamente, del ricorso e della memoria difensiva. Pertanto la replica e la controreplica potranno contenere solamente le eccezioni e le deduzioni, anche istruttorie, strettamente finalizzate a contestare la posizione della controparte o riguardanti gli eventuali vizi della procedura (che costituiranno motivi di impugnazione del lodo).

Oltre alle critiche generate dalla rigidità che caratterizza la procedura, vi è un problema che deriva dalla disparità creata dalla norma fra il ricorso e la memoria difensiva, e di conseguenza tra le due controparti. Un altro problema attiene al decorso dei termini per il deposito.

Se il ricorso può essere dalla parte “sottoscritto, salvo che si tratti di una pubblica

amministrazione, personalmente o da un suo rappresentante al quale abbia conferito mandato e presso il quale deve eleggere il domicilio”, la memoria deve essere

“sottoscritta, salvo che si tratti di una pubblica amministrazione, da un avvocato cui

abbia conferito mandato e presso il quale deve eleggere il domicilio”.

La replica deve essere depositata entro dieci giorni, che non decorrono, stando al comma 6, dalla scadenza del termine per il deposito della memoria difensiva, bensì dal deposito stesso. Quindi, per non rischiare di perdere il termine, il ricorrente dovrebbe di fatto controllare ogni giorno presso la sede dell’arbitrato se la memoria è stata effettivamente depositata dalla controparte. La stessa cosa dovrebbe fare quest’ultima, in

quanto essa è tenuta a depositare la controreplica nei dieci giorni successivi al deposito della replica.

Una questione più grave riguarda il caso in cui la parte convenuta inserisca nella memoria difensiva una domanda riconvenzionale.

Secondo la dottrina51, la presentazione di una domanda riconvenzionale estende il

giudizio arbitrale ad una domanda nuova che, come tale, il ricorrente dovrebbe avere il diritto di sottoporre alla decisione del giudice. Se poi egli fosse obbligato ad accettare l’estensione dell’arbitrato alla domanda nuova si verificherebbe una violazione dell’art. 24 Cost. Al ricorrente dovrebbe quindi essere riconosciuta la facoltà di rifiutare l’arbitrato sulla domanda riconvenzionale. Se il ricorrente non opponesse il proprio rifiuto, ed anzi si difendesse nel merito rispetto alla domanda riconvenzionale, ciò implicherebbe una tacita accettazione dell’estensione ad essa dell’oggetto dell’arbitrato.

Tale interpretazione sembra trovare conferma nella previsione, da parte dell’art. 808 ter, comma 2, n. 1, c.p.c., della possibilità di contestare il lodo che abbia pronunciato su conclusioni che esorbitano dai suoi limiti purché la relativa eccezione sia stata sollevata nel procedimento arbitrale.

Criticabile risulta anche il termine, indubbiamente stretto, di dieci giorni dal deposito della memoria, concesso al ricorrente per depositare la replica che conterrà le difese relative alla domanda riconvenzionale.

Non solo. La sequenza degli atti costruita dall’art. 412 quater c.p.c. si chiude con la controreplica del convenuto, senza che possano essere depositati, all’occorrenza, ulteriori atti. Perciò, mentre il convenuto ha la possibilità di esprimersi sulla domanda riconvenzionale all’interno di due atti, il ricorrente potrà farlo solo nella replica.

Aumentano, così, le disparità di trattamento fra le parti dell’arbitrato irrituale ex art. 412 quater c.p.c.

L’udienza per la discussione della vertenza deve tenersi entro trenta giorni dalla scadenza del termine per il deposito della controreplica da parte del convenuto. All’udienza, gli arbitri sono tenuti ad esperire il tentativo di conciliazione e laddove questa riesca, troveranno applicazione le disposizioni del Collegato lavoro sul verbale di conciliazione. Se invece la lite non viene conciliata e il Collegio non ritenga che si possa procedere all’immediata discussione orale della vertenza, si effettuerà l’istruttoria

51

Cfr. DONZELLI R., La risoluzione arbitrale delle controversie di lavoro, in CINELLI M., FERRARO G. (a cura di), Il contenzioso del lavoro nella legge 4 novembre 2010, n. 183 (Collegato lavoro), Torino, 2011, p. 106 e ss.

assumendo le prove richieste dalle parti e ammesse dagli arbitri.

Si prevede che il lodo debba essere pronunciato entro venti giorni dall'udienza di discussione e che lo stesso produrrà tra le parti gli effetti di un contratto.

Per acquistare efficacia esecutiva il lodo deve essere depositato presso la Cancelleria del Tribunale nella cui circoscrizione ha avuto luogo l’arbitrato. Il giudice, su richiesta della parte interessata, ne accerta la regolarità formale e lo dichiara esecutivo con decreto. In realtà, oltre alla regolarità formale, il Tribunale deve verificare che il lodo sia diventato definitivo; deve, quindi, verificare che sia decorso inutilmente il termine per impugnarlo oppure che le parti abbiano dichiarato per iscritto di accettare la decisione arbitrale oppure, ancora, che l’impugnazione sia stata respinta dal Tribunale.

Il lodo esecutivo va collocato tra gli “altri atti ai quali la legge attribuisce

espressamente efficacia esecutiva” indicati dall’art. 474, comma 2, n. 1, c.p.c., non

potendo rientrare né tra le scritture private, né tra gli atti ricevuti da notaio o da altro pubblico ufficiale, indicati, rispettivamente, ai numeri 2 e 3 dello stesso articolo.

Il lodo può essere impugnato entro il termine di trenta giorni dalla sua notifica ad opera di una delle parti.

I motivi per impugnare il lodo sono quelli annoverati dal secondo comma dell’art. 808 ter c.p.c.; a questi motivi si aggiungono le ragioni di nullità assoluta per violazione di norme di ordine pubblico o di quelle norme inderogabili che esulano dall’operatività del regime delineato dall’art. 2113 c.c.