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2.1 L’annullamento del matrimonio in Patriarcato 1 L’accusa

2.1.4 Il Concilio di Trento

Sullo sfondo delle vite di questi individui e delle vicende processuali che li videro coinvolti, si faceva sempre più ingombrante l’influenza della normativa tridentina. I padri conciliari riunitisi a Trento, dovettero fare i conti con la necessità sia da un punto di vista dottrinale che politico-sociale di regolamentare la materia matrimoniale, nell’ottica di tenere sotto controllo un istituto che fino a quel momento era stato gestito soprattutto all’interno delle coppie e delle loro famiglie. Sostanzialmente il laicato 55 concepiva il matrimonio come uno scambio di beni e un contratto fra nuclei familiari, ritenendo perciò che dovessero essere in primo luogo i genitori degli sposi a regolarlo in base alle proprie necessità. 56

Prima del Concilio tridentino, i matrimoni erano celebrati secondo norme consuetudinarie e aderenti agli statuti locali, quindi attraverso una ritualità che sfuggiva

Cristellon, I processi matrimoniali veneziani (1420-1545), in Seidel Menchi, Quaglioni, I

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tribunali del matrimonio (secoli XV-XVIII), pp. 101-122, p. 107; sulla retorica che sottende alle narrazioni processuali vedi Claudio Povolo, Il processo a Paolo Orgiano (1605-1607), Viella,

Roma 2003, pp. XIV-XVI.

Seidem Menchi, Quaglioni, Coniugi nemici, p. 20.

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Gabriella Zarri, Recinti. Donne, clausura e matrimonio nella prima eta moderna, Il Mulino,

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Bologna 2000, pp. 203-207.

Andreato, Il reato di bigamia, in «Acta histriae», p. 479

facilmente al controllo da parte delle istituzioni sia ecclesiastiche che secolari. In nome della dottrina del libero consenso formulata dal diritto canonico, le prescrizioni della Chiesa e le norme statutarie che promuovevano la pubblicizzazione delle nozze passarono in secondo piano, declassate dal matrimonio aformale almeno fino a tutto il secolo XV.57 Con queste premesse le unioni clandestine ‒ nozze contratte in mancanza di testimoni o da minorenni senza l’assenso dei genitori ‒ erano frequenti e

difficilmente punibili, soprattutto fra le classi sociali meno abbienti che generalmente non registravano i propri matrimoni attraverso degli atti notarili. 58

L’incertezza della normativa comportava delle grosse difficoltà nel distinguere la promessa di matrimonio, ossia gli sponsali de futuro, dal matrimonio vero e proprio, cioè gli sponsali de presente. In particolar modo era quasi impossibile in sede processuale provare la validità delle unioni sull’unica base delle parole che gli sposi si erano scambiati, spesso in forma privata, nelle proprie case. Di conseguenza alcuni dei reati più diffusi nella prima età moderna, come ad esempio quello di bigamia che qui interessa, risultavano alquanto ostici sia da rintracciare che da giudicare. Quest’ultimo peraltro rappresentava un pericolo per l’odine sociale in quanto minacciava i principi di unicità e indissolubilità del vincolo matrimoniale mettendo a repentaglio oltretutto gli interessi delle famiglie coinvolte. 59

Nei paesi protestanti le esigenze di regolamentazione e quindi di pubblicizzazione del matrimonio si erano concretizzate in una riforma che prevedeva la celebrazione degli sponsali de presenti di fronte ai testimoni e la presenza di un rappresentante della Chiesa che avrebbe pronunciato le parole della coniucto. I riformatori avevano tuttavia

Zarri, Recinti, pp. 203-207.

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Ivi. Nella Repubblica di Venezia, inoltre, l’Avogaria de Comun aveva il compito di inserire in

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un apposito registro le nascite e i matrimoni dei patrizi veneziani e dei membri della classe immediatamente inferiore al patriziato, ossia i cittadini originari. Solo in seguito al Concilio di Trento gli avogadori ricevettero l’ordine di registrare unicamente i matrimoni che rispettassero le formalità previste, considerando illegittimi tutti gli altri. Da questo risultava che contrarre un matrimonio clandestino comportasse per i figli nascituri la perdita del carattere patrizio oppure la possibilità di accedere ai posti della burocrazia veneziana, in Cozzi, La società veneta e il suo

diritto. Saggi su questioni matrimoniali, giustizia penale, politica del diritto, sopravvivenza del diritto veneto nell’Ottocento, Marsilio, Venezia 2000, p. 41.

Andreato, Il reato di bigamia, in L’amministrazione della giustizia, p. 471-492.

negato la sacramentalità del vincolo privilegiando in questa materia l’iniziativa del potere secolare rispetto a quello ecclesiastico. Optarono inoltre per la linea dura contro le unioni clandestine invalidandole e misero in discussione anche il principio dell’indissolubilità del vincolo prevedendone lo scioglimento in base a una serie di motivazioni più o meno gravi. 60

Dal canto suo la Chiesa cattolica con il decreto Tametsi del 1563, nonostante disponesse che il libero consenso sarebbe rimasto elemento costitutivo del matrimonio, sancì che quest’ultimo per essere legittimo avrebbe necessitato tre pubblicazioni o «stride» nelle settimane precedenti alle nozze, come già stabilito dal IV Concilio Lateranense e avrebbe dovuto inoltre esser celebrato in facie ecclesiae, alla presenza di un parroco e dei testimoni. Il sacerdote prescelto, residente nella parrocchia di uno o entrambi gli sposi, ricopriva da quel momento un ruolo fondamentale ergendosi a garante e testimone dello scambio dei consensi. Prima del matrimonio aveva il compito di accertarsi che i futuri coniugi fossero liberi e consenzienti, mentre in seguito alla celebrazione avrebbe dovuto registrare i loro nomi e quelli dei testimoni in un apposito libro. 61

Le novità introdotte in materia matrimoniale dal Concilio di Trento, vanno individuate nel fatto che la nuova normativa impose come condizione necessaria alla validità del vincolo l’intervento della Chiesa cattolica, proponendo come soluzione alle unioni clandestine l’imprescindibilità da un matrimonio pubblico e celebrato dall’autorità ecclesiastica. John Bossy descrive le misure adottate dal Concilio come 62 una vera e propria rivoluzione imposta alla cristianità:

Cancellando la dottrina canonistica in base alla quale il contratto di sponsali seguito dalla copula carnalis costituiva matrimonio cristiano, spazzando via il vasto corpus di riti e assetti consuetudinari in quanto privo di potenza sacramentale, si trasformava il

Zarri, Recinti, pp. 206-207.

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Lombardi, Matrimoni, pp. 109-112; John Bossy, L’occidente cristiano (1400-1700), Einaudi,

61

Torino 1990, pp. 30-31; Zarri, Recinti, 224-225.

Lombardi, Matrimoni, pp. 113-115; Seidel Menchi, Quaglioni, Matrimoni in dubbio, pp.

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matrimonio da processo sociale garantito dalla Chiesa a processo ecclesiastico dalla Chiesa amministrato. 63

Il tentativo dei padri conciliari di controllare in maniera più efficace e precisa l’istituto matrimoniale, doveva tuttavia fare i conti con le contraddizioni e le reticenze scaturite dall’applicazione di una normativa colta, studiata a tavolino, in un tessuto sociale in cui per secoli il matrimonio era stato concepito come un atto privato che rispondeva alle necessità delle famiglie e che talvolta sfuggiva anche al loro controllo. Tutto ciò non era certo facilitato dalla forte mobilità che aveva da sempre caratterizzato la realtà veneziana e reso frequente il compiersi di reati come l’esogamia e la bigamia. Perciò soprattutto negli anni successivi al Concilio di Trento per le autorità ecclesiastiche fu complicato tenere effettivamente sotto controllo i comportamenti di uomini e donne che continuavano a stringere e dissolvere legami in base ai propri interessi e bisogni concreti. 64

Oltre a ciò, la celebrazione del matrimonio che i decreti tridentini riducevano a un unico momento, ossia quello dello scambio del consenso de presenti, non riuscì a cambiare totalmente forma soppiantando la precedente concezione di un matrimonio a tappe, regolato dalle autorità ecclesiastiche ma anche dalle consuetudini locali. Non ci fu infatti una vera e propria cesura fra vecchi e nuovi riti, piuttosto si assistette a una sovrapposizione di questi: gesti quali il tocco della mano o il dono dell’anello, all’indomani del Concilio di Trento continuarono a essere praticati con la differenza tuttavia che non avrebbero inciso in alcun modo su un’eventuale verifica di validità del vincolo.65

Anche quando, seppur a fatica, i decreti tridentini conquistarono una loro dimensione concreta e iniziarono a essere applicati, non furono poche le persone che agendo attraverso gli interstizi lasciati aperti dalla normativa riuscirono a trovare degli espedienti utili alla propria causa. Chi voleva sposarsi una seconda volta ad esempio,

Bossy, L’occidente cristiano, pp. 24-29.

63

Andreato, Il reato di bigamia, in «Acta Histriae», p. 481; Orlando, Migrazioni, p. 277.

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Lombardi, Matrimoni, p. 234-236.

come riuscì a fare Tarsia, poteva procurarsi false testimonianze riguardo al proprio stato libero, finte dichiarazioni di morte del primo coniuge, oppure poteva scegliere di cambiare identità abbandonando i luoghi dove aveva sempre vissuto e dando una nuova direzione alla propria vita. Il reato di bigamia dunque trovava comunque modo di 66 espletarsi, per mezzo delle strategie appena elencate così come attraverso i matrimoni clandestini, celebrati senza la pubblicizzazione delle nozze. 67

Nel nostro caso, il cambio di nome e di identità della donna così come il matrimonio fra Laura e Francesco Bonamin erano stati largamente accettati all’interno della rete di conoscenze e parentele che marito e moglie potevano vantare nel tessuto sociale, fu il ritorno di Toderin da Andro piuttosto a rompere quella sorta di equilibrio che si era venuto a creare nel tempo. La situazione di cui tutti sembravano al corrente ormai da molti anni, sino al momento della denuncia rimase un dato di fatto comunemente accettato, considerato con naturalezza come parte della routine delle conoscenze e degli incontri quotidiani. Giunse alle orecchie delle autorità sotto forma di testimonianze a discapito della donna, unicamente quando la simultaneità dei due legami e la duplice identità di Laura furono smascherate. Solo allora iniziarono a rappresentare un motivo di turbamento dell’ordine e della morale sociale poiché Toderin, da ombra e voce, divenne improvvisamente una presenza concreta e ingombrante all’interno della comunità, che non poteva più essere ignorata, né giustificata con le ipotesi che fosse morto, in mano ai turchi o con una nuova famiglia chissà dove. 68

La denuncia stessa scattò nel momento in cui anche all’interno del rapporto fra Bonamin e Laura venne a rompersi un equilibrio. Se si considerano parallelamente i fascicoli della Curia e le carte del primo processo inquisitoriale istruito contro la donna, sembra che la frattura non fosse dovuta unicamente al ritorno del primo marito ma sullo sfondo di quell’espediente siamo in grado di intravedere, tensioni, controversie

Orlando, Migrazioni, p. 277; Andreato, Il reato di bigamia, in «Acta Histriae», pp. 471-492,

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p. 481.

Andreato, Il reato di bigamia, in L’amministrazione della giustizia penale, pp. 432-433.

67

Eadem, Il reato di bigamia, in «Acta Histriae», pp. 471-492, p. 485-486; Gambier, La donna

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coniugali, interessi economici e infine nuove esigenze emerse a distanza di anni da quel fatidico ballo in maschera nelle vite dei nostri ormai “coniugi nemici”.

Le cause di matrimonio come questa contribuiscono a far luce sulla vita coniugale della popolazione veneziana del XVII secolo, descrivendola come una realtà tutt’altro che immobile e ordinata ma al contrario estremamente difficile da regolamentare. A essere coinvolti in un’unione matrimoniale erano insieme l’onore, gli interessi economici e politici delle famiglie, la sfera dei sentimenti, le istanze sociali e i bisogni individuali. Questi ultimi, non sempre collimavano con quell’apparato di controllo che Stato e Chiesa avevano contribuito a costruire, tanto che si venivano a creare delle forme di resistenza al disciplinamento della vita privata, talvolta inconsapevoli, talvolta espresse in vere e proprie strategie di evasione dalla norma. Le donne rimaste sole come Tarsia ad esempio, finivano per fare scelte pragmatiche anche se in alcuni casi illecite, mirate alla sopravvivenza economica o comunque al miglioramento della propria condizione di vita. L’interpretazione dell’unione coniugale come «un legame che può essere stretto o sciolto a seconda del diverso contesto sociale dei coniugi e che li legittima a contrarre un nuovo matrimonio in caso di lontananza del partner», sembra perdurare nel modo di pensare e di agire degli individui anche dopo il Concilio di Trento.69

2.2 Nel tribunale inquisitoriale: reato di bigamia e doppia identità