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STRATEGIA COMMERCIALE NEL MERCATO ESTERO

7. Conclusione

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• Azienda Terracruda: Azienda con solamente 20 ettari coltivati a vite, una produzione piuttosto ridotta di appena 150.000 bottiglie, ma suddivise su un numero piuttosto elevato di prodotti differenti, 18.

• Azienda Aliara Vini: Anche questa è un’azienda molto piccola che si estende per 30 ettari, dai quali vengono estratte all’incirca 250.000 bottiglie annue, ma questa volta suddivise in un numero equo di etichette, 8.

• Azienda Carpineto: Questa invece è un’azienda molto vasta, la cui dimensione raggiunge i 230 ettari per una produzione di ben 3.500.000 bottiglie all’anno. Naturalmente anche il numero di etichette differenti che si possono permettere di realizzare con una tale produzione è elevato, si arriva a 30.

• Azienda Michele Chiarlo: È un’azienda di medie dimensioni, vede una produzione di 1.200.000 bottiglie estratte dai loro 70 ettari coltivati a vite. La peculiarità di questa azienda è che realizza solamente 4 tipologie di prodotti, quelli caratteristici dell’aera geografica in cui la cantina si erge, la Lombardia.

Attraverso le risposte alle domande svolte di può osservare come tutte le aziende vinicole, indipendentemente dalle dimensioni, oggi abbiano più distributori nel mercato italiano. Questo generalmente accade perché essendo molto semplice raggiungere distanze commerciali maggiori rispetto al passato, ci si affida a distributori in funzione delle aree geografiche coperte.

Naturalmente i collaboratori crescono con l’aumentare della produzione, ma si evidenzia l’assenza di deleghe dirette, cosa invece molto comune nel passato.

Stessa cosa può essere osservata per gli agenti di rappresentanza, sono sempre un numero maggiore di uno, e crescono in modo proporzionale alla produttività dell’azienda.

Si evidenzia ancora come tutte le aziende effettuino vendite dirette (senza lo sfruttamento di figure intermedie) verso il segmento dell’Ho.Re.Ca nel mercato nazionale, spesso anche in percentuale considerevole. Mentre per quanto riguarda la GDO nei casi presi in considerazione solamente le grandi aziende vi effettuano collaborazioni. Difatti, Terracruda ed Aliara, due aziende di dimensioni ridotte che vedono probabilmente la propria strategia competitiva sul territorio italiano essere quella di creare un prodotto di nicchia, dall’elevata qualità, non vanno a vendere i propri prodotti alla Grande Distribuzione poiché rischierebbe di comprometterne la reputazione.

Per quanto riguarda il commercio con l’estero si osserva come ben 3 delle 4 aziende intervistate abbiano una percentuale di vendite superiore al 50% della propria produzione. Questo ancora a conferma di quanto descritto precedentemente nel corso della trattazione. È evidente come le potenzialità di un mercato così vasto siano incrementali, quindi anche le piccole aziende come Aliara Vini trovano forte convenienza nello spostare la propria rete commerciale al difuori dei confini nazionali.

Ancora una volta si evidenzia chiaramente il valore e l’utilità delle fiere per permettere ai prodotti di essere conosciuti all’estero, tuttavia nella maggior parte dei casi per mancanza di una strategia chiara e definita attraverso cui pervadere il mercato internazionale. In più casi i produttori

intervistati hanno confermato come per caso qualche commerciante internazionale abbia assaggiato i loro prodotti, nonostante l’azienda non fosse pronta all’internazionalizzazione. Ciò mette appunto in luce da un lato la grande utilità delle fiere, dall’altro l’incapacità delle aziende nostrane di anticipare il mercato e la domanda estera.

Utile notare come i prodotti richiesti all’estero necessitino di una reingegnerizzazione per quanto riguarda il packaging, ma non per quanto riguarda il prodotto. Anzi, è proprio il prodotto

caratteristico italiano che viene richiesto maggiormente, quello di nicchia che magari utilizza uvaggi autoctoni o peculiari.

183 Il commercio internazionale avviene in ogni caso attraverso le figure di intermediari. A differenza del commercio nazionale, in cui una buona percentuale di vendite è dovuta al rapporto diretto tra azienda vinicola e commerciante finale, nel caso del commercio estero anche le cantine più piccole si affidano ad intermediari. Quelle piccole evenienze in cui sono sviluppati rapporti internazionali diretti, sono frutto di rapporti di lungo termine che sfociano in conoscenze interpersonali.

Altra connotazione del mercato internazionale che emerge dal questionario realizzato è

l’importanza affibbiata alla figura dell’export manager. Nonostante siano pochi, al massimo 2 anche nell’azienda più grande presa in considerazione, tuttavia sono necessari per esportare il marchio all’estero. Spesso si dividono i vari mercati continentali in base alla rete commerciale che loro stessi possiedono.

In conclusione, ultima nota negativa sulla quale ci tengo particolarmente a soffermarmi, è il paragrafo delle innovazioni. Dalle interviste svolte, ne le grandi aziende ne tantomeno le piccole aziende hanno intrapreso dei progetti di innovazione nel corso degli ultimi 2 anni, che siano questi a livello marketing, di prodotto o perfino di sostegno alla commercializzazione. Tutti quanti

confermano di aver ricevuto anche più di una proposta da parte di start-up ed aziende innovative, ma vuoi per la loro mentalità ancora magari spesso legata alla terra, vuoi per l’incapacità delle imprese di convincerli e farli credere nella possibilità di un cambiamento, da questo punto di vista il mercato italiano non si muove.

L’innovazione è proprio una di quelle caratteristiche su cui gli imprenditori italiani dovrebbero lavorare, sia essendo loro stessi più intraprendenti come investitori, ma anche probabilmente ricevendo incentivi allo sviluppo. È qualcosa che dovrà cambiare nel futuro per poter permettere al prodotto italiano di tornare a primeggiare nel mondo del vino, non solo dal punto di vista

qualitativo, ma anche di appeal commerciale.

Sperando di aver creato bevitori consapevoli, ringrazio chiunque sia arrivato fino a questo punto per il tempo e l’interesse dedicatomi.

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