Abbiamo proposto ed analizzato i case study di due aziende italiane che, ad avviso di chi scrive, dimostrano che il contemperamento tra una missione improntata alla Creazione di Valore Condiviso e l’utilizzo di metodi e meccanismi propri dell’innovazione Aperta non solo è possibile, ma può portare a sovra- performare i peer di mercato.
L’unione, nella prassi aziendale, dell’obiettivo di creare valore condiviso e open innovation può contribuire ad aprire dei sentieri di business inediti per l’azienda e a rafforzarne la posizione sul mercato poiché amplia le possibilità di legittimazione della stessa e di fidelizzazione presso i vari segmenti di stakeholder rilevanti (tra cui anche la clientela).
Il caso di Barilla dimostra che l’esistenza di un set di valori (delinati dalla proprietà famigliare) improntati alla sostenibilità permette di dar vita a dei progetti di larga portata, contribuendo al contempo a corroborare l’immagine e la stessa identità aziendale agli occhi dei vari stakeholder con cui essa si interfaccia. La commistione di questi fattori permette di tenere vivo lo spirito innovativo e di non farsi sopraffare dai cambiamenti, spesso repentini, del mercato. Grazie all’unione degli obiettivi di sostenibilità, di una concezione dell’innovazione come attività di lungo termine e dell’apertura verso l’ecosistema esterno, l’azienda fonde tradizione e innovazione rendendo i processi di R&S più “empatici” nei confronti dell’utenza prospettica e creando soluzioni adatte a rispondere alle esigenze (in questo caso nutrizionali) dell’intera società.
Anche nel caso di Enel l’azienda prende atto che per sostenere la competitività aziendale è necessario costruire e mantenere un nucleo forte di competenze distintive e strategiche in house, ma è altrettanto importante instaurare e mantenere un dialogo costante con soggetti esterni all’azienda così da ridurre le tendenze all’inerzia organizzativa e alla paura dell’errore. In questo modo, l’azienda può dotarsi dei mezzi e della “forza propulsiva” per diventare un soggetto che contribuisce fortemente alla “crescita” degli ecosistemi in cui è inserito. Il caso insegna che le grandi aziende possono far leva sui propri punti di forza (a livello economico, geografico) e sull’embeddedness in un contesto istituzionale per sostenere la profittabilità nel proprio core business, ma anche per abilitare l’innovazione altrui (empowerment) e per fini non necessariamente di mercato. Lo stesso caso dimostra, nondimeno, che ciò può portare a benefici anche sul piano di un rafforzamento del capitale relazionale, della prevenzione dei rischi socio-ambientali e del mantenimento della “licenza ad operare” che oggi (soprattutto per le multinazionali) si pone come elemento sempre più necessario nel contesto globalizzato.
Dalla lettura “incrociata” dei due casi si evince che il successo di approcci di Corporate Open Social Innovation viene abilitato da:
• la compresenza e un bilanciamento tra un approccio Creating Shared Value a livello strategico con i metodi di open innovation nelle modalità operative di attuazione della R&S (ma anche all’interno del performance measurement e management generale);
• il ruolo forte della leadership che dal vertice dell’azienda si fa promotrice di un endorsement che risulta fondamentale per ingaggiare le varie parti dell’organizzazione e far capire il significato di concetti CSV e OI “nella pratica” e per il business94;
• un investimento ingente di risorse a livello culturale ed organizzativo (di riassetto) per un’interazione più intensa e continuativa con gli attori dell’ecosistema (economico e/o
94 In ambo i casi l’endorsement viene reso ancor più esplicito dalla decisione di creare delle funzioni adibite all’innovazione improntata alla sostenibilità a diretto riporto di chi,
istituzionale), che conferma (in modo top-down) l’importanza assegnata alla gestione sostenibile degli asset e del capitale sociale;
• l’esistenza di un set valoriale forte che rafforza il commitment delle persone all’interno dell’azienda e aiuta a ridurre i rischi insiti nell’apertura a un numero molto più ampio e eterogeneo di relazioni con soggetti esterni all’azienda.
APPENDICE: INTERVISTE
Intervista a Fabio Tentori (Enel) – Marzo 2018
È ormai noto ai più che Enel si è impegnata sostenendo un percorso di profonda trasformazione e di realizzazione continua di un modello di innovazione aperta come parte integrante della strategia. Ma vorremmo sentire da te, che sei a capo degli Enel Innovation Hub, quali sono i tratti distintivi dell’Open Power di Enel.
In Enel facciamo innovazione sul serio. Il percorso verso la realizzazione dell’Innovability in Enel ha avuto inizio da quando nel 2014 l’AD Francesco Starace ha nominato Ernesto Ciorra a capo della neonata funzione globale Innovation & Sustainability, che da quel momento ha assunto una maggiore indipendenza e “visibilità” nell’ambito dell’intera organizzazione. L’elemento distintivo che ha caratterizzato la transizione da un modello chiuso ad uno basato sulla filosofia Open Power [“ufficializzato” con il riassetto organizzativo operato nel 2014, n.d.a.] è stato proprio l’impegno dell’Amministratore Delegato Starace e del responsabile di Innovability Ciorra che, con una chiara visione dei caratteri distintivi dell’Innovazione Aperta, hanno promosso in prima persona un’opera di disseminazione di conoscenza e di consapevolezza sulle componenti del nuovo modello di innovazione che tutti erano chiamati a comprendere ed applicare. L’avvicinamento della funzione innovazione a tutti gli stakeholder di Enel (innanzitutto a quelli interni) trova la sua massima realizzazione nel fatto che, secondo l’organigramma a matrice, il capo dell’Innovation & Sustainability riporta direttamente all’AD; ogni business line ha un Innovation Manager con un team ed un budget dedicati a progetti di innovazione e dispone di un Comitato di Innovazione presieduto dal responsabile della business line e da quello dell’innovazione di Gruppo.
L’empowerment promosso dal vertice ha permesso di istituzionalizzare un processo strutturato attraverso cui il valore strategico dell’innovazione è formalizzato senza venire “soffocato” da procedure o gerarchie rigide, anche e soprattutto attraverso la collaborazione con svariati partner.
Infatti, la strategia di innovazione si gioca totalmente sulla parola “open”: siamo aperti a collaborare con le università e le grandi aziende, i fornitori attuali o potenziali. Siamo aperti a valutare le idee dei nostri colleghi e dar loro opportunità di trasformarle in business reali e anche ad imparare dagli errori fatti da noi e dagli altri. Infine, siamo aperti ad entrare in contatto e collaborare con l’ecosistema delle startup, ragione per cui sono stati creati gli Enel Innovation Hub che rientrano sotto la mia responsabilità, facendo comunque capo alla funzione Innovability.
Focalizziamoci sugli Enel Innovation Hub: quale ruolo specifico giocano nella più ampia strategia aziendale di OI in Enel?
Il ruolo degli Hub si concretizza innanzitutto nel rafforzamento delle relazioni con il mondo delle startup. Finora ne sono stati aperti sette (Catania, Madrid, Mosca, Rio De Janeiro, San Francisco, Santiago del Cile, Tel Aviv), con un network che tocca sia i luoghi presidiati dal business di Enel sia i principali ecosistemi di innovazione esistenti al mondo e che sarà ampliato negli anni a venire.
L’hub e’ un’antenna volta a intercettare l’innovazione nei luoghi e nelle comunità in cui essa prende vita, un luogo in cui il Gruppo può ricevere stimoli freschi ed inediti. In ognuno dei luoghi presidiati, gli hub comunicano i bisogni tecnologici o di business e informano quali sono le challenge a cui il Gruppo sta tentando di dare una risposta. Sebbene l’appello sia rivolto a tutta la comunità tecnologico-imprenditoriale del posto, l’interlocutore principale sono le startup: molti pitch di imprenditori o aspiranti tali vengono ascoltati e divengono un canale di informazioni per il team dell’hub Enel, che si attiva per individuare le proposte a maggior potenziale. Le migliori proposte sono valutate dalle linee di business e per quelle interessanti inizia la fase di sperimentazione nei laboratori e negli impianti di Enel, che offrono l’accesso a impianti, expertise e clienti (sia interni sia esterni).
Lo scopo è quello di individuare i “germogli” di processi di disruptive innovation con i quali Enel potrebbe interagire come partner primario integrandoli nel proprio disegno strategico. Inoltre, gli hub analizzano se vi siano le premesse per innovazioni incrementali di valore (sia in termini di efficientamento sia di cambiamento dei modelli di business). Sono le global business line a valutare se i progetti individuati in questa fase di scouting siano promettenti abbastanza da indurre il coinvolgimento di Enel.
La funzione degli hub è quella di strutturare innanzitutto una rete di relazioni mantenendo aperta una finestra sul mondo o, meglio, su vari mondi: in ogni avamposto ci sono una o due persone che costruiscono e curano le relazioni con fondi di Venture Capital, università, associazioni, acceleratori, incubatori, grandi player industriali e istituzioni governative con l’intento di metterli in contatto con le startup.
Hai parlato di fasi di sperimentazione nei laboratori e negli impianti di Enel: spiegaci meglio a cosa e in che modo una startup può accedere alla vostro patrimonio di conoscenze-competenze e che ruolo assume Enel in tali “sperimentazioni imprenditoriali”
Le relazioni di Enel con le startup si realizzano principalmente attraverso contratti di partnership industriale per la realizzazione dei progetti ritenuti più promettenti e per il supporto alle fasi di test nei laboratori del Gruppo, in cui si mettono a disposizione infrastrutture (real-life testing environments) conoscenze, capacità e relazioni spesso fondamentali, indipendentemente dall’esito della sperimentazione. Enel investe nei progetti con le startup e, se necessario, fornisce supporto per accedere a finanziamenti equity o debito tramite bandi e partnership con fondi di venture e banche.
Quando i test hanno esito favorevole e la proposta di valore è di interesse per Enel, la collaborazione procede supportando le fasi di co-sviluppo industriale in vista dell’instaurazione di una relazione commerciale con il Gruppo: è quello che è successo con una startup israeliana che ha sviluppato una tecnologia capace di separare diverse tipologie di suono migliorando il riconoscimento delle fonti per creare modelli di predictive maintenance avanzati. Nata al di fuori del contesto energetico, la società è oggi alla seconda fase di test su turbine idro-elettiche e, in caso di esito positivo, sarà poi ulteriormente sviluppata in vista di un’installazione a livello globale.
Nei casi in cui si riscontra un alto fit strategico con una startup con cui sta collaborando, Enel è anche pronta a procedere all’acquisizione: è quello che è successo con Demand Energy, azienda della East Coast americana che ha sviluppato un algoritmo che massimizza il ritorno economico dei sistemi di energy storage behind the meter anche in combinazione con la generazione distribuita; così come con eMotorWerks, che in California ha sviluppato una rete di stazioni di ricarica smart per veicoli elettrici e la piattaforma JuiceNet per la gestione della tecnologia Vehicle-to-Grid.
Quale il valore generato?
Di fatto, i benefici sono tangibili per tutti.
Le startup possono accedere ad un patrimonio di conoscenza, a infrastrutture e a relazioni altrimenti precluse e che spesso sono fondamentali per la commercializzazione e lo scaleup delle soluzioni sviluppate, sia con Enel sia con altri interlocutori. Enel trae un duplice vantaggio. Nei casi in cui il rapporto con una startup si trasformi nella fornitura di una soluzione nuova, il vantaggio competitivo sia in termini di velocità (perché viene internalizzata una tecnologia che ha già superato le fasi time-consuming di ideazione e sperimentazione) sia di costi (perché si accede a tecnologie che non hanno ancora fatto uno scaling sui mercati e hanno un prezzo più vantaggioso).
Allo stesso tempo, nei (rari) casi in cui si riscontri una valenza strategica il Gruppo mantiene aperta la possibilità di acquisizione di una startup: una tale decisione consta di una valutazione profonda e consapevole nel merito della proposta imprenditoriale “cresciuta” grazie a Enel.
Ad oggi Enel ha attivato progetti con più di 130 startup e ha contribuito allo scale-up di più di 30 di queste. Ecco che gli hub assumono un ruolo importante nella strategia di innovazione e di sviluppo del Gruppo e allo stesso tempo offrono grandi opportunità agli imprenditori che vogliono collaborare con noi.
E da un punto di vista contrattuale?
Nel tempo Enel ha sviluppato una varietà di framework contrattuali per regolare l’accesso alle strutture e al know-how del Gruppo e per definire gli ambiti e le modalità di collaborazione.
In generale, la relazione si basa su un contratto commerciale per cui la startup diventa fornitrice di Enel. La partecipazione alla fase di sviluppo e di testing della soluzione consente di definire un prezzo trasparente e vantaggioso per entrambe le parti. Visto che, come detto, il nostro approccio è diretto a facilitare la startup ad aprire nuovi mercati e nuovi canali commerciali non imponiamo generalmente limitazioni alle scelte di commercializzazione successiva ai test: al massimo, nei casi in cui l’approvvigionamento della soluzione sviluppata possa essere fonte di un vantaggio competitivo per Enel (nella veste di cliente), si tende a stipulare un contratto di fornitura esclusiva circoscritta a determinati luoghi e periodi. Ci sono poi tantissimi altri temi da regolare come ad esempio eventuali royalties e la gestione dell’IP, che valutiamo caso per caso nel massimo rispetto della startup e del lavoro svolto.
Gli Hub fanno scouting su tutte le tecnologie e i business model di interesse del Gruppo, per citarne alcuni le smart grid, l’intelligenza artificiale, la mobilità elettrica, l’IoT, la digitalizzazione, etc…, in ciascuno degli ecosistemi locali di cui fanno parte. Non chiediamo specializzazione ai nostri hub, però conosciamo bene il tessuto innovativo dell’ecosistema di riferimento e sappiamo che è facile trovare eccellenti soluzioni digitali a San Francisco oppure cybersecurity in Israele. In ogni caso questo non implica una strategia di specializzazione, anche perchè tutti gli ecosistemi in cui siamo presenti offrono tantissime e diverse opportunità.
A San Francisco e a Tel Aviv siamo presenti perchè sono le wonderlands dell’innovazione, trovi di tutto ed è facile collaborare. In Cile, Brasile, Russia, Spagna e Italia si trovano tantissime soluzioni interessanti ed in aggiunta mettiamo a disposizione i nostri centri di eccellenza, i laboratori e il nostro personale qualificato per lo sviluppo dei progetti.
La strategia evolve in continuazione e insieme evolve costantemente il nostro approccio. In Italia in particolare apriremo a breve altre sedi, in collaborazione con i laboratori di sviluppo tecnologico del Gruppo. In Israele, invece, abbiamo annunciato l’apertura di un laboratorio dedicato a tecnologie smart per le infrastrutture, mentre in Spagna collaboriamo con un centro di innovazione dedicato all’Internet of Things.
Relativamente alle competenze, gli Hub manager conoscono le tecnologie ma soprattutto le necessità della catena del valore di Enel. Le proposte vengono valutate direttamente dalle linee di business, ma il primo punto di contatto rimangono comunque gli Hub manager. Enel investe sui fattori abilitanti dell’innovazione non solo da un punto di vista “infrastrutturale”, ma anche e soprattutto culturale e relazionale. Insomma, ancora una volta…strategico!
Intervista a Michela Petronio (Barilla) – Ottobre 2018
Quando è stato formalizzato il Global Discovery Center?Il GDC è stato formalizzato nel 2014, ma esisteva già un team molto simile (che si occupava di ricerca di long term) dal 2007 si chiamava Technology, Process, Packaging Research and Laboratories (includeva già lo scientific networking. Nel 2014 sono state ridefinite le aree di lavoro in Nutrition, Agronomy, Technology Innovation Platforms, Design Thinking e Open Innovation.
Quali i driver/eventi o le evidenze che hanno motivato l'azienda a far proprio tale approccio user-centered all'R&D? Da chi è partito l'"impulso"? Chi è stato l'owner e su quali aspetti si è concentrato il processo di "negoziazione" (SE si è resa necessaria) per vincere le eventuali resistenze opposte da altre "parti" dell'azienda?
Avevamo già sperimentato lo user centric design grazie alla ricerca sul packaging e ne abbiamo iniziato ad apprezzare il metodo. È stato il nuovo CTO (avendolo sperimentato nelle sue precedenti esperienze lavorative) a lanciare nel 2014 un “pilot” nella funzione R&D. Abbiamo trovato in UniMore il partner ideale che ci ha aiutato a formare i primi team, con dei
coaches residenti per il primo anno e mezzo.
Quali sono stati i cambiamenti che avete dovuto operare nell'organigramma al fine di rendere operativo il GDC?
Dal 2001 l’area dedicata all’innovazione di lungo periodo è sempre cresciuta in modo organico in seno all’R&D, senza comportare cambiamenti disruptive: inizialmente era più technology pushing, poi con l’introduzione del DT l’approccio è diventato molto più user centric. Le interfacce di business hanno sempre trovato in queste aree l’ispirazione per i progetti più sfidanti e un interlocutore per perseguire e affinare la strategia aziendale. L’evoluzione non è stata pianificata a tavolino, ma si è realizzata naturalmente nelle strutture di R&D dedicate all‘innovazione di lungo periodo. L’approccio a lavorare su progetti di innovazione di lungo periodo è stato sempre condiviso dai CEO a partire dal 2001, con l’unica differenza che il team del GDC è più piccolo.
In che modo si concilia il DT/ la funzione GDC con la più ampia strategia/ con gli obiettivi della missione "Good for You, Good for the Planet”?
Il GDC partecipa attivamente alla discussione di pianificazione strategica e gestisce un portfolio di progetti che consentono all’azienda di poter realizzare la propria missione GYGP. Le funzioni innovazione sono quindi naturalmente allineate con la missione di creazione di valore condiviso più ampia e vi contribuiscono in modo attivo.
Quanti progetti sono stati condotti in DT finora e quali sono i KPI per il controllo della performance delle attività nel GDC?
Finora la funzione ha svolto una media di 12 progetti in DT all’anno per 3 anni, rendicontando su numero di progetti gestiti,
Quali competenze (persone) sono state selezionate per "popolare" questa neonata funzione? Sono state attinte internamente o esternamente all’azienda?
Il GDC comprende un mix di risorse molto esperte (interne) e molto giovani (esterne): cerchiamo di avere quanta più diversità possibile e con il Design Thinking abbiamo una porta di accesso verso l’esterno importantissima
Come mai non ne viene data esplicita evidenza nel Bilancio/nei report? Visto che la funzione è chiamata anche a interfacciarsi con l'ecosistema esterno, non sarebbe consigliabile promuoverne una maggiore visibilità / quale è l'approccio comunicativo?
Il GDC, così come anche le altre parti dell’organizzazione dedicate all’innovazione, lavora con obiettivi comuni a tutta l’azienda e la sua performance è misurata (anche) dai risultati aziendali globali. I risultati dei progetti di questo team diventano spesso i punti di partenza per progetti più operativi o portano a soluzioni implementabili all’interno di altre attività. Alla fine dei conti in ogni prodotto di successo a scaffale ritroviamo un pezzo del lavoro di più team, non di uno isolato. È naturale pertanto includere i risultati in un report globale, anche perché non sarebbe possibile isolare i contributi essendo così tanti gli streams di lavoro nei quali questa funzione viene coinvolta.
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