Scrive Barberis:
le risposte simboliche date al terrorismo si prestano a loro volta a simbolizzare l’incapacità a governare problemi complessi come degrado ecologico, flussi migratori, disoccupazione di massa, finanziarizzazione dell’economia […]. Tale legislazione serve
400 M. BARBERIS, op. cit., p. 75.
401 G.L. CONTI, Lotta al terrorismo e patrimonio costituzionale comune. Appunti intorno alla traslitterazione interna delle norme internazionali ed eurounitarie in materia di lotta al terrorismo, cit., p. 213.
167 spesso solo a mostrare che esiste ancora un governo, ma finisce per insinuare il sospetto diametralmente opposto: che, in realtà, nessuno governi più nulla.402
Rispetto all’incapacità di gestire alcuni dei problemi che caratterizzano la società odierna lo Stato predilige l’adozione di misure simboliche per recuperare un’autorevolezza ormai perduta. Tuttavia, né la scelta penal-preventiva né quella della sorveglianza generalizzata rispondono a un’idea di prevenzione compatibile con uno Stato di diritto costituzionale, o con un ordinamento sovranazionale che si fonda su un patrimonio «spirituale e morale»403 di valori comuni agli Stati membri tra cui spiccano la dignità umana, la libertà, l’uguaglianza, il rispetto dei diritti umani, il principio democratico e i principi dello Stato di diritto; al contrario, un ordinamento (nazionale o sovranazionale) di questo tipo dovrà porsi l’obiettivo ben più ambizioso di intervenire per la rimozione delle cause che producono un rischio, operazione questa più complessa e probabilmente meno remunerativa sul piano del consenso popolare che giocarsi la carta securitaria.
Una politica preventiva che promuove un diritto simbolico «non [può] sostituire una politica integrale dei diritti: una politica di prevenzione e di sicurezza corretta dal punto di vista costituzionale, dovrebbe interessare un campo più ampio, che comprenda, anche e soprattutto, la lotta contro l’esclusione sociale, in attuazione del principio di solidarietà che informa la nostra Costituzione»404.
402 M. BARBERIS, op. cit., p. 112.
403 Così recita il Preambolo della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea. 404 M.C. AMOROSI, op. cit. L’autrice allude evidentemente alla c.d. “solidarietà paterna” (o solidarietà verticale): s’intende per tale la funzione dello Stato di rimuovere gli ostacoli che limitano di fatto la libertà e l’uguaglianza tra i cittadini, e che lo stesso s’impegna a rimuovere ai sensi dell’art. 3, comma II, Cost. È oramai pacifico che, nonostante l’articolo si riferisca espressamente ai soli cittadini, il principio di uguaglianza sostanziale (e formale) e conseguentemente il dovere di solidarietà cui lo Stato deve assolvere per garantirla vada esteso anche agli stranieri: nella sent. n. 40/2011 la Corte costituzionale nell’affrontare una questione relativa a una legge regionale che consentiva l’accesso ai servizi sociali solo ai cittadini comunitari residenti da trentasei mesi, sostiene che «detta esclusione assoluta di
168 La natura del fenomeno terroristico è infatti prima di tutto sociale e culturale, poiché è dove mancano politiche d’integrazione che la radicalizzazione si fa strada con più facilità; fino a quando si continua a lavorare sull’anticipazione della tutela penale o sulla conservazione massiccia di dati personali, «è realistico pensare che accadrà di nuovo»405, e di fatto accade. Peraltro più cresce la sfiducia nella
capacità delle moderne democrazie di sconfiggere il terrorismo, più cresce la domanda di sicurezza del consociato e parallelamente la sua propensione liberticida; si può invece aspirare a vincerlo solo se si resta saldamente ancorati ai valori costituzionali di sempre, specie se l’emergenza non esiste: se da un lato infatti ciò preclude l’ammissibilità di deroghe costituzionali ancorché di breve durata (v. sent. Corte cost., n. 15/1982), dall’altro e conseguentemente segnala l’esigenza di intervenire con provvedimenti destinati a durare a lungo e a incidere su malfunzionanti punti nevralgici del sistema.
E allora non resta che lavorare su politiche d’integrazione dello straniero (con particolare riguardo all’uguaglianza religiosa data la connotazione del fenomeno di cui si tratta), oltre che su politiche di welfare per porre «condizioni esistenziali, economiche, culturali, [che riducano] al massimo il disagio individuale e sociale che costituisce il
intere categorie di persone fondata o sul difetto del possesso della cittadinanza europea, ovvero su quello della mancanza di una residenza temporalmente protratta per almeno trentasei mesi, non risulta rispettosa del principio di uguaglianza, in quanto introduce nel tessuto normativo elementi di distinzione arbitrari, non essendovi alcuna ragionevole correlabilità tra quelle condizioni positive di ammissibilità al beneficio (la cittadinanza europea congiunta alla residenza protratta da almeno trentasei mesi, appunto) e gli altri peculiari requisiti (integrati da situazioni di bisogno e di disagio riferibili direttamente alla persona in quanto tale) che costituiscono il presupposto di fruibilità di provvidenze che, per la loro stessa natura, non tollerano distinzioni basate né sulla cittadinanza, né su particolari tipologie di residenza volte ad escludere proprio coloro che risultano i soggetti più esposti alle condizioni di bisogno e di disagio che un siffatto sistema di prestazioni e servizi si propone di superare perseguendo una finalità eminentemente sociale». 405 A. FERRRARA, prefazione a B. ACKERMAN, La costituzione di emergenza. Come salvaguardare libertà e diritti civili di fronte al pericolo del terrorismo, Traduzione a cura di A. Ferrara, Meltemi editore, Roma, 2005, p. 11.
169 terreno di coltura in cui si alimenta, in tanti aspiranti esecutori materiali, il proposito di compiere atti terroristici»406.
Si deve constatare che gli interventi normativi non mancano di collegare il terrorismo all’immigrazione: nella relazione illustrativa che accompagna il d.d.l. di conversione del decreto n. 7/2015407 si
legge che l’immigrazione clandestina rappresenta un veicolo per il terrorismo408, e nel d.l. n. 113/2018409 accanto a disposizioni in materia
d’immigrazione sono presenti disposizioni in materia di sicurezza pubblica, prevenzione e contrasto al terrorismo. La relazione illustrativa del d.d.l. n. 43/2015, ma soprattutto i contenuti e la struttura del d.l. n. 113/2018 affrontano immigrazione e fenomeno terroristico come se fossero tra loro in una relazione di causa-effetto in virtù della quale frenare la prima basterebbe ad escludere il secondo; così facendo la riflessione normativa si dimostra tuttora incapace di «tradurre in termini giuridici il passaggio dalla immigrant alla immigration policy»410: il legislatore continua «ad affrontare tali questioni in una logica di difesa, tesa ad assecondare il bisogno di sicurezza che emergerebbe dalla popolazione […] senza cioè affrontare la
406 A. CAVALIERE, op. cit., pp. 223-224.
407 Peraltro l’articolo 6 del decreto estende ai casi di delitti commessi per fini di criminalità internazionale la possibilità di rilasciare agli stranieri permessi di soggiorno a fini investigativi.
408 Si deve segnalare il dato curioso per cui all’interno della stessa relazione si legge che con il decreto s’intende dare attuazione alla risoluzione n. 2178/2014 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, il cui art. 16 invita gli Stati a combattere il terrorismo sul terreno della prevenzione culturale, dell’inclusione e dell’integrazione, alla quale però non sembrano rispondere i contenuti del decreto in questione sui quali ci siamo diffusamente soffermati nel corso del capitolo secondo, al quale dunque si rinvia.
409 Trattasi del c.d. decreto Salvini, recante «Disposizioni urgenti in materia di protezione internazionale e immigrazione, sicurezza pubblica, nonché misure per la funzionalità del Ministero dell’Interno e l’organizzazione e il funzionamento dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata», convertito con modificazioni dalla legge 1° dicembre 2018, n. 132.
410 P. CONSORTI, Pacchetto sicurezza e fattore religioso, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale, www.statoechiese.it, febbraio 2011. Deve far riflettere l’attualità delle parole impiegate dall’autore in commento al c.d. “pacchetto sicurezza” che si compone di tre decreti-legge, due disegni di legge e tre decreti legislativi risalenti a un decennio fa.
170 dimensione sottostante correlata alle questioni sociali che alimentano i fenomeni di insicurezza»411.
Tenendo presente che in questa sede si vuole sostenere che la direzione ideale da intraprendere risiede nella ricerca di condizioni che consentano un’integrazione vera ed effettiva dello straniero, e non nell’irrigidirsi su politiche marginalizzanti ed escludenti che rappresentano per l’immigrato, spesso di seconda generazione412,
motivo di mancata identificazione nella comunità e quindi terreno fertile per lo sviluppo di propositi terroristici, è opportuno compiere alcune osservazioni sul decreto Salvini.
Il decreto si divide in quattro titoli: il primo in materia di permessi speciali di soggiorno per esigenze di carattere umanitario e in materia di protezione internazionale e immigrazione; il secondo affronta il tema della sicurezza pubblica, della prevenzione e del contrasto al terrorismo e alla criminalità mafiosa; il terzo contiene disposizioni per la funzionalità del Ministero dell’Interno e sull’organizzazione e il funzionamento dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità
411 Ivi.
412 Molteplici sono gli elementi capaci di incidere sui destini delle seconde generazioni: ai fattori di tipo individuale quali le condizioni di povertà della famiglia di provenienza o la rete di relazioni sociali in cui sono coinvolti, si affiancano fattori legati alle politiche che il contesto ricevente adotta (struttura del mercato del lavoro, discriminazione raziale, modalità d’incorporazione nel Paese), che unite ai fattori del primo tipo possono scatenare una forte reazione, come la scelta di radicalizzarsi per l’Islamico. Accade spesso che i giovani della seconda generazione, diversamente dai loro padri, rifiutino un inserimento da immigrati nella società in cui sono nati e vissuti e sviluppino pertanto un senso di ribellione che li porta alla ricerca di un elemento di aggregazione non necessariamente in senso fisico (il gruppo) ma anche solo in senso ideologico (la religione) attraverso il quale rielaborare il proprio disagio che può sfociare al limite in forme rivoltose verso una società che non soddisfa le aspettative del giovane immigrato. In questo contesto un’ideologia religiosa, che è già di per sé strumento di formazione identitaria e che può essere anche elemento d’integrazione sul quale lavorare abbandonando intenti assimilazionisti, si presta invece ad essere estremizzata diventando il rifugio ideale per chi intende identificarsi in qualcosa (qualsiasi cosa) che non sia il contesto sociale in cui vive. La riflessione condotta nella presente nota è basata in parte sul pensiero di M. AMBROSINI, E. CANEVA, Le seconde generazioni: nodi critici e nuove forme di integrazione, in Sociologia e politiche sociali, N. 12/2009, Franco Angeli, Milano, pp. 25-46.
171 organizzata (ANBSC); il quarto è riservato alle disposizioni finanziarie e finali. Ai fini della riflessione che conduciamo nella presente sezione non sono rilevanti - o meglio, non lo sono isolatamente - le disposizioni, che pure destano preoccupazione413, in
tema di sicurezza pubblica e contrasto al terrorismo, quanto lo sono le novità introdotte in tema di immigrazione e cittadinanza che nel loro complesso, soprattutto se accostate alle prime, finiscono per designare l’immigrato come soggetto meritevole di accoglienza solo in casi “eccezionali” perché traghettatore di minacce, come quella terroristica, alla sicurezza del Paese.
Complessivamente considerati gli articoli del titolo I concorrono alla formazione di «uno schema difensivo che suppone la coesistenza multiculturale come una questione di sicurezza sottoposta ad una perenne ipoteca emergenziale»414 e aggravano la situazione dello
413 Si segnalano in particolare: l’articolo 19, secondo il quale in via sperimentale i comuni con più di centomila abitanti possono dotare di armi comuni ad impulso elettrico (taser) alcune unità di personale dipendente dei Corpi e Servizi di polizia municipale, con la possibilità che diventino dotazione effettiva al termine del periodo di sperimentazione; l’articolo 20, che estende il divieto di accedere alle manifestazioni sportive (DASPO) anche ai soggetti di cui all’art. 4, comma 1, lett. d) del d.lgs. n. 159/2011, il quale menziona non solo coloro che pongono in essere atti preparatori obiettivamente rilevanti volti a sovvertire l’ordinamento democratico o a commettere reati con finalità di terrorismo, ma anche coloro che compiono atti destinanti a prendere parte ad un conflitto in territorio estero a sostegno di un’organizzazione che persegue le finalità terroristiche di cui all’art. 270-sexies del codice penale (sui dubbi di costituzionalità derivanti dall’estensione della categoria a questi ultimi, v. supra, capitolo II, par. 4.3); l’articolo 21, che estende il divieto di accedere a specifiche aree urbane (c.d. DASPO urbano) anche ai presidi sanitari e alle aree in cui si svolgono fiere, mercati e spettacoli pubblici.
414 C. CONSORTI, Pacchetto sicurezza e fattore religioso, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale, cit. In questo senso si possono menzionare: l’articolo 1, che abolisce la protezione umanitaria prevista dal Testo Unico sull’immigrazione (d.lgs. n. 286/1998), sostituendo al permesso di soggiorno per motivi umanitari una serie di permessi “speciali”, riservati cioè a categorie di persone selezionate (chi necessita di cure mediche per uno stato di salute gravemente compromesso, chi è vittima di violenza domestica o grave sfruttamento lavorativo, chi proviene da un Paese in condizioni eccezionali di calamità naturale, chi si distingue per atti di particolare valore civile); l’articolo 2, che prevede il prolungamento da novanta a centottanta giorni del termine massimo di trattenimento nei Centri di Permanenza per il Rimpatrio (CPR), destinati a ospitare gli stranieri in attesa di espulsione; l’articolo 7, che estende l’elenco dei reati che comportano la revoca o il diniego della protezione internazionale ad alcuni reati di particolare allarme sociale quali ad esempio la resistenza a pubblico ufficiale, il furto aggravato dal porto di armi o narcotici, e i reati di cui all’art. 407, comma 2, lett. a) c.p.p.; l’articolo 10 che prevede
172 straniero sul suolo italiano sin dal momento del suo ingresso e dunque ancor prima che possa parlarsi della sua condizione di permanenza nel Paese; in questa sede ritengo tuttavia opportuno concentrare l’attenzione su un articolo in particolare che s’iscrive propriamente nel solco della questione, che qui si affronta, delle politiche d’integrazione dello straniero: si tratta dell’articolo 14, che contiene disposizioni in materia di acquisizione e revoca della cittadinanza. Appena due anni fa - riferendosi al clima d’insicurezza indotto dal timore di attacchi terroristici - scriveva Fiorita415 che per aspirare al perseguimento di una sicurezza durevole nel tempo uno degli aspetti su cui lavorare accanto all’uguaglianza religiosa (v. infra) sarebbe stato rappresentato proprio dall’agevolazione del conseguimento della cittadinanza: l’articolo in commento che interviene sulla questione della cittadinanza le attribuisce invece una direzione diametralmente opposta. In particolare l’articolo 14 al comma 1, lett. b) aumenta da 200 a 250 euro il costo della richiesta di cittadinanza; al comma 2, lett. c) e d) dispone l’inserimento di due nuovi articoli alla l. n. 91/1992416:
l’art. 9-ter con cui vengono raddoppiati da ventiquattro a quarantotto mesi i tempi di attesa per l’ottenimento della cittadinanza (anche per i procedimenti in corso puntualizza il comma 2), e l’art. 10-bis che prevede la revoca della cittadinanza conseguita (ex artt. 4, 5 e 9) in caso di condanna definitiva oltre che per i reati previsti dall’art. 407, comma 2, lett. a), n. 4 c.p.p., anche per quelli previsti dagli artt. 270- ter e 270-quater.2 c.p. in materia di terrorismo. Le modifiche apportate in senso peggiorativo alla l. n. 91/1992, oltre a presentare palesi profili
un procedimento immediato innanzi a una Commissione territoriale che valuterà l’opportunità o meno di allontanare il richiedente asilo sulla scorta di una condanna di primo grado per uno dei reati che giustificano la revoca dello status di rifugiato . 415 N. FIORITA, Come un’introduzione, in Liberà di espressione e libertà religiosa in tempi di crisi economica e di rischi per la sicurezza, cit., p. 171.
416 A seguito di un emendamento presentato e approvato in Senato viene aggiunto anche un articolo 9.1 che prevede la conoscenza della lingua italiana ad un livello non inferiore al B1 per la concessione della cittadinanza ai sensi degli artt. 5 e 9 della l. n. 91/1992.
173 d’incostituzionalità ex artt. 3 e 22, Cost.417, anziché volte a incentivare
l’integrazione qui auspicata, sono idonee ad alimentare un sentimento di rancore verso il Paese, specie nelle seconde generazioni: si provi a immaginare la condizione del figlio di un immigrato che, non molto lontano dal compimento della maggiore età, nell’attesa dei quarantotto mesi necessari affinché il genitore ottenga una risposta in merito alla richiesta di cittadinanza, oltrepassi la soglia della minore età che gli avrebbe permesso di accedervi automaticamente laddove medio tempore fosse stata riconosciuta al genitore, e debba vivere nuovamente in un interminabile limbo.
In verità tutte le volte in cui lo Stato è chiamato a intervenire su punti nevralgici del vivere quotidiano, su questioni che costituiscono la cartina al tornasole della capacità che il Governo ha di amministrare le situazioni più sentite della nostra epoca, tra le quali s’incontra ai primi posti la gestione dei flussi migratori, gli si presentano due alternative. Da un lato può intraprendere, come di fatto generalmente accade, la strada di misure che incidono sugli animi dei consociati e sulla loro percezione della sicurezza almeno quanto vi incidono, ancorché in senso inverso, i problemi di cui si cerca la soluzione: è innegabilmente forte l’impatto che ha sulla collettività l’innalzamento di barriere per gli immigrati, l’introduzione di misure severe per chiunque ponga in essere condotte anche solo lontanamente in odore
417 Non solo infatti la previsione della revoca della cittadinanza per i soli stranieri che l’abbiano ottenuta ai sensi degli artt. 4, 5 e 9 della l. n. 91/1992 si pone in evidente contrasto con l’art. 3, Cost., ma considerate le tipologie dei reati che danno luogo alla revoca, trattasi nella gran parte dei casi di reati determinati da ragioni politiche, contrariamente a quanto previsto dall’art. 22, Cost., ai sensi del quale nessuno può essere privato della cittadinanza per tali motivi (cfr. M. BENVENUTI, Audizione resa il 16 ottobre 2016 innanzi all’Ufficio di Presidenza della Commissione 1a (Affari costituzionali) del Senato della Repubblica nell’ambito dell’esame del disegno di legge recante “Conversione in legge del decreto-legge 4 ottobre 2018, n. 113, recante disposizioni urgenti in materia di protezione internazionale e immigrazione, sicurezza pubblica, nonché misure per la funzionalità del Ministero dell’interno e l’organizzazione e il funzionamento dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata”, in Osservatorio AIC, N. 3/2018,
174 di terrorismo418, l’apposizione di vincoli ragionevolmente ingiustificabili alla costruzione di moschee419, e così via. Dall’altro, ed
418 Sul punto si rinvia agli artt. 4.1 - 4.4 del capitolo secondo.
419 Si può citare in proposito il recentissimo caso dell’asta vinta dall’Associazione musulmani di Bergamo per l’acquisto dell’ex cappella dei frati cappuccini dell’ospedale di Bergamo Papa Giovanni XXIII con l’intento di adibirla a moschea. Il presidente della regione Lombardia ha dichiarato che sarà esercitato il diritto di prelazione sulla vendita all’asta, consentita dal d.lgs. n. 42/2004 in materia di beni culturali e pianificazione urbanistica, per ricomprare la cappella. In verità questo è solo l’ultimo di una serie di ostacoli che la costruzione di moschee incontra nel nostro Paese: con la sent. n. 63/2016 infatti la Consulta, a seguito del ricorso promosso dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, aveva dichiarato incostituzionale la legge della regione Lombardia n. 2/2015, recante «Modifiche alla legge regionale 11 marzo 2005, n. 12 (Legge per il governo del territorio) - Principi per la pianificazione delle attrezzature per servizi religiosi», perché per la realizzazione di edifici di culto distingueva i soggetti richiedenti tra enti della Chiesa cattolica, enti delle altre confessioni religiose firmatarie dell’intesa con lo Stato ed enti collegati a confessioni senza intesa. Per questi ultimi venivano richiesti due requisiti: una consulta di nomina regionale appositamente istituita avrebbe dovuto valutare se la confessione godesse di una presenza consistente e organizzata sul territorio del comune interessato e se il relativo statuto esprimesse finalità religiose e rispettasse la Costituzione. Così facendo la legge lombarda in materia di edilizia di culto finiva per introdurre disposizioni che avrebbero limitato la libertà di religione, poiché imponeva requisiti particolari per le confessioni senza intesa: afferma la Corte che «il libero esercizio del culto è un aspetto essenziale della libertà religiosa (art. 19, Cost.) ed è, pertanto, riconosciuto egualmente a tutti e a tutte le confessioni religiose (art. 8, primo e secondo comma), a prescindere dalla stipulazione di un’intesa con lo Stato», essendo gli accordi bilaterali necessari solo se a determinati atti di culto si vogliono riconoscere particolari effetti civili, oppure per concedere particolari vantaggi alle confessioni. Già con la sent. n. 346/2002 peraltro la Consulta aveva censurato un’altra legge regionale lombarda che escludeva dai beneficiari dei contributi per l’edilizia di culto le confessioni che non avessero stipulato un’intesa con lo Stato. Se la questione degli impedienti alla costruzione di moschee fosse davvero giuridica sarebbe risolvibile con estrema facilità, giacché, sulla scorta dell’art. 19, Cost. che riconosce il diritto alla libertà religiosa individuale e collettiva e della legislazione urbanistica da cui deriva il dovere dei sindaci di rispondere alle esigenze di culto della popolazione tramite la