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Dalla rassegna appena conclusasi emerge un dato comune: il legislatore dell’“emergenza” non solo disegna un sistema che punisce remoti atti preparatori e atteggiamenti puramente interiori, ma nel consegnarci un siffatto quadro impiega un modus operandi per nulla garantista, dal momento che la già eccessiva anticipazione della tutela è per giunta disciplinata sempre col supporto di una buona dose d’indeterminatezza. In sua difesa potremmo dire che, diversamente dalla fornita giurisprudenza costituzionale che aveva a disposizione per evitare la violazione del principio di materialità della condotta316,

315 A, SORO, Persona, diritti fondamentali, innovazione: un primo bilancio di un ventennio di attività del Garante, intervento al convegno Privacy digitale e protezione dei dati personali tra persona e mercato svoltosi a Firenze il 23 ottobre 2017.

131 in merito al principio di determinatezza incontra invece le pronunce di una Corte tendenzialmente tollerante verso l’incompletezza normativa317.

Il legislatore emergenziale ha così approfittato del self-restraint della Consulta per produrre norme volte a «smascherare terroristi potenziali o in pectore […] per indagarli quando si ha il sospetto che abbiano intenzione di diventare i terroristi che ancora non sono»318;

immaginabili sono le conseguenze: la punibilità di tali condotte può «orientare l’attività delle Procure verso persone che non hanno commesso nessun fatto offensivo»319 con il rischio di riprodurre uno

Stato di polizia sotto mentite spoglie, dal momento che alla magistratura sono attribuite funzioni sostanzialmente di polizia, indirizzate cioè a neutralizzare soggetti invece che ad accertarne la responsabilità per fatti specifici.

Occorre in verità segnalare che l’indeterminatezza della norma penale è una questione che riguarda l’intero sistema e s’inserisce in un più ampio e critico contesto dominato dall’attività ermeneutica dei giudici in seguito alla perdita di centralità della legge320.

317 Si può notare infatti una ritrosia della Consulta a rispondere con sentenze di accoglimento (ma anche interpretative di rigetto) in merito alle questioni di costituzionalità sollevate sulle norme affette da indeterminatezza; la Corte ha generalmente preferito salvare le disposizioni tacciate d’incostituzionalità cercando di recuperarne la determinatezza con riferimento al diritto vivente. Tuttavia per salvare la norma attraverso questo genere di pronunce la Corte fa sempre riferimento alle determinazioni ricorrenti dei giudici di merito e soprattutto alla giurisprudenza consolidata della Corte di cassazione: si pensi alla sent. n. 122/1993 in cui la Corte dichiara infondata la questione sollevata in merito all’art. 1-sexies della l. 431/1985 (disposizioni urgenti per la tutela delle zone di particolare interesse ambientale), poiché la costante interpretazione della Corte di cassazione «fuga ogni preoccupazione di incertezza»; per ragioni analoghe nell’ord. n. 11/1989, avente ad oggetto l’illegittimità costituzionale dell’art. 5 della l. n. 110/1975 (norme integrative della disciplina vigente per il controllo delle armi, delle munizioni e degli esplosivi) dichiara persino manifestamente infondata la questione. Ma, in materia di reati con finalità di terrorismo - per le ragioni che saranno esposti nel corso del presente paragrafo - una giurisprudenza costante è pressoché inimmaginabile. 318 M. DONINI, op. cit., p. 128.

319 Ibidem.

320 Si veda l’ordinanza n. 24/2017 di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia UE in merito al caso Taricco: sebbene essa verta sulla materia dei limiti massimi di prescrizione e riguardi il rapporto tra l’ordinamento interno e quello comunitario, è interessante notare come in questa sede la Consulta riservi particolare attenzione ad

132 Ciononostante essa rappresenta innegabilmente un tratto caratterizzante la legislazione antiterrorismo, la quale - come detto poc’anzi - non si limita a produrre un diritto “incerto”, ma approda ad un connubio tra indeterminatezza e anticipazione della tutela che è allarmante per le libertà costituzionali e che necessita pertanto di essere isolato e affrontato nella veste di atteggiamento tipicamente emergenziale.

Secondo Pelissero321 «la legittimazione del diritto penale al limite

si muove […] entro i limiti tracciati dai principi di proporzione e di ragionevolezza»322 che rilevano sia rispetto all’anticipazione della

punibilità, sia rispetto alla «sovraesposizione istituzionale»323 cui è

esposta la magistratura chiamata a sopperire ai silenzi del legislatore. Dei motivi per cui la normativa di contrasto al terrorismo del tempo ordinario non rispetti (rectius, non possa rispettare) i principi di proporzionalità e ragionevolezza si è detto diffusamente nella sezione seconda del capitolo primo, alla quale dunque si rinvia; occorre adesso soffermarsi invece sul compito riservato alle corti di recuperare la dubbia legittimità costituzionale delle disposizioni attraverso una loro interpretazione in senso garantista.

un aspetto del principio di determinatezza della legge ulteriore rispetto alla necessità che il destinatario della norma penale possa apprezzare a priori le conseguenze della propria condotta (a cui generalmente fa riferimento), ossia il rapporto tra determinatezza della legge e potere arbitrario del giudice: nel caso specifico non essendo chiarito (dall’art. 325 TFUE) né quando le frodi devono ritenersi gravi, né quando ricorre un numero considerevole di casi di impunità, al punto da imporre al giudice nazionale la disapplicazione del combinato disposto degli artt. 160 e 161 c.p., la determinazione sarebbe rimessa alla totale discrezionalità del giudice (cfr. I. PELLIZONE, La Corte costituzionale sul caso Taricco: principio di determinatezza, separazione dei poteri e ruolo del giudice penale, in Quaderni costituzionali, N. 1/2017, pp. 112-115).

321 L’Autore non ritiene che si possa parlare oggi in Italia di diritto penale del nemico, limitandosi a definire la legislazione antiterrorismo semplicemente come «diritto penale al limite». Secondo l’A. l’unico episodio italiano in cui si è valicato il “limite” è stato il caso Abu Omar, nel quale peraltro «non si trattò di una scelta di politica criminale, ma di una gestione extra e contra ordinem condotta dai servizi segreti italiani» (M. PELISSERO, op. cit., p. 100).

322 M. PELISSERO, op. cit., 101. 323 M. DONINI, op. cit., p. 143.

133 Il pericoloso mix di smodata anticipazione della tutela penale e indeterminatezza delle norme si ripercuote infatti - com’è stato possibile constatare nella rassegna condotta nei paragrafi 4.1 - 4.4 - su tutti i diritti di libertà variamente interessati da ciascuna di esse, determinandone l’inosservanza. Trattasi in verità di una violazione, e quindi di un’incostituzionalità della norma che la contiene, solo eventuali, dipendendo esse dalla scelta esegetica più o meno garantista che i tribunali intenderanno adottare caso per caso: in altre parole il nostro patrimonio costituzionale sarà calpestato ogniqualvolta la giurisprudenza si piegherà a un’interpretazione delle norme volta a punire un soggetto alla luce delle opinioni espresse, della fede professata e della frequentazione di ambienti estremistici in cui coltivarla, della diffusione di idee radicali o anche semplicemente del possesso o della ricerca di materiale informativo.

Com’è immaginabile, se si chiede alla giurisprudenza di “correggere” le storture prodotte da un diritto penale del nemico o da un diritto penale al limite (a seconda che si abbracci una valutazione più o meno critica del sistema), si andrà incontro a risposte sempre diverse; vero è che il giudice di merito potrà fare affidamento sulle preziose pronunce dei giudici di piazza Cavour, ma basterà leggerne alcune per valutare che la loro portata il più delle volte non è affatto dirimente324. Si pensi ad esempio alla sent. n. 4099/2015, dove in

merito all’art. 270-quater c.p. si legge che «il significato [del termine arruolamento] è qui equiparabile alla nozione di ingaggio, intesa come raggiungimento di un “serio accordo” tra soggetto che propone (il compimento, in forma organizzata, di più atti di violenza ovvero di sabotaggio con finalità di terrorismo) e soggetto che aderisce»325,

324 Accanto agli esempi che seguono si consideri anche la giurisprudenza di legittimità sviluppatasi intorno all’art. 270-bis c.p., per la quale si rinvia al par. 4.1. 325 Cass. Pen., Sez. I, 9 settembre 2015, sent. n. 40699 (dep. 9 ottobre 2015). La decisione prende le mosse dal ricorso del Pubblico Ministero presso il Tribunale di Brescia avverso l’ordinanza con cui si disponeva la cessazione della misura cautelare in carcere per un cittadino di origini albanesi (E. Elezi) accusato del tentativo di delitto di cui all’art. 270-quater c.p.; la Cassazione, chiamata a pronunciarsi sulla

134 sempre che «l’accordo risulti qualificato dalla “doppia finalità” prevista dalla norma incriminatrice (compimento di atti di violenza o di sabotaggio con finalità di terrorismo)»; sulla scorta di queste parole si aprono innumerevoli scenari per l’operatore giuridico che in concreto deve valutare le prove e applicare la norma: un giudice, diversamente da un altro, potrebbe ad esempio ritenere sufficiente ad integrare la condotta il mero impegno verbale a farsi martire per Allah, giacché - come fanno notare alcuni326 - la distinzione tra arruolamento

e mero accordo, ancorché serio, è quasi impossibile nella pratica. Una simile applicazione comporterebbe la duplice violazione e della libertà di manifestazione del pensiero (art. 21 Cost.) e della libertà di professare la propria fede religiosa (art. 19 Cost.), le quali insieme concorrono a tutelare il proselitismo religioso: in tal senso «qualsiasi scambio di comunicazione fra due musulmani che manifestino una condivisione dell’ideologia terrorista rischierebbe, a questo punto, di risultare sanzionabile in quanto atto idoneo ed univocamente diretto al raggiungimento dell’accordo»327.

Si può peraltro notare come all’interno della medesima sentenza, al tentativo di conferire un taglio maggiormente garantista ad una disposizione che di fatto non lo è, fa da contraltare una malcelata tendenza ad accrescerne ulteriormente il potenziale liberticida, poiché si legge anche: «non può peraltro escludersi in via generalizzante e dogmatica l’ipotesi del tentativo punibile» non costituendo ostacolo all’applicazione dell’art. 56 c.p. la sua natura di reato di pericolo. Come rileva Donini nemmeno il legislatore fascista, che nel disciplinare i delitti contro lo Stato riprende quelli delle c.d. leggi fascistissime, ha pensato di punire un «tentativo d’ingaggio

configurabilità del delitto, accoglie il ricorso e fornisce alcune indicazioni in merito all’interpretazione dell’articolo.

326 Si veda A. CAVALIERE, op. cit., p. 231.

327 F. DE MARINIS, Considerazioni minime intorno al tentativo di arruolamento, tra legislazione e prassi giurisprudenziale, in Diritto Penale Contemporaneo, N. 7- 8/2017, www.penalecontemporaneo.it, p. 77.

135 monosoggettivo»328; il fatto che la Cassazione non lo escluda «è segno indubbio di una magistratura giudicante che ormai è entrata nel diritto penale di lotta»329, e nella quale, pertanto, non è possibile riporre speranze garantiste per le sorti delle libertà coinvolte nell’applicazione della normativa antiterrorismo. Va segnalata in verità l’esistenza di alcuni interventi esegetici della Suprema Corte che, almeno a livello teorico, appaiono maggiormente virtuosi: la sent. n. 6061/2017330 ad

esempio, nel tentativo di definire la condotta di auto-addestramento di cui all’art. 270-quinquies c.p., stabilisce che «è pur sempre necessario che il soggetto attivo ponga in essere comportamenti significativi sul piano materiale, senza limitarsi ad una semplice attività di raccolta di dati informativi, od a manifestare le proprie scelte ideologiche» e che è altresì necessario «che il comportamento ispirato dalle istruzioni

328 M. DONINI, Lotta al terrorismo e ruolo della giurisdizione. Dal codice delle indagini preliminari a quello postdibattimentale, in Terrorismo internazionale. Politiche della sicurezza. Diritti fondamentali, Questione giustizia - Speciale Settembre 2016, cit., p. 137.

329 Ibidem.

330 Cass. Pen., Sez. V, 19 luglio 2016 (dep. 9 febbraio 2017), sent. n. 6061. La pronuncia verte sul ricorso proposto dal difensore dell’indagato (M. Hamil) avverso l’ordinanza con cui il Tribunale di Catanzaro aveva rigettato la richiesta di riesame di un provvedimento di custodia cautelare in carcere per il delitto di cui all’art. 270- quinquies c.p. La difesa, secondo la quale i fatti contestati al proprio assistito non sarebbero stati tali da integrare la fattispecie delittuosa, faceva leva in particolare sulla precedente giurisprudenza della Cassazione e in particolare sulla sent. n. 4433/2014, in cui si legge che non è possibile «anticipare la soglia di punibilità a uno stadio della condotta che non sia ancora insegnamento ma mera divulgazione ovvero […] proposta ideologica». La Cassazione invece, in relazione alla giurisprudenza citata dal ricorrente mette in luce la differenza tra il vecchio e il nuovo art. 270-quinquies c.p. dopo le modifiche apportate nel 2015 che fanno chiarezza in merito alla condotta di auto-addestramento e rigetta il ricorso ritenendo prive di fondamento le censure difensive, poiché - come valutato correttamente dai giudici di merito - nel caso di specie i comportamenti dell’indagato integravano il delitto: si parla di un viaggio in Turchia con uno zaino contenente un pantalone di tipo militare, un tappeto da preghiera e un libro dei Fratelli Musulmani, di un viaggio programmato (ma non realizzato) in Belgio, “covo” di soggetti coinvolti nelle più recenti vicende terroristiche, del possesso di un cellulare in cui erano salvate pagine internet recanti video sullo Stato islamico, del possesso del numero telefonico di un utente belga a sua volta in contatto con altra utenza belga appartenente a un magrebino arrestatoin possesso di armi ed esplosivi a bordo di un treno, della visione frequente di filmati di propaganda terroristica, oltre che del possesso di video su come preparare ordigni e non essere spiati tramite il telefono cellulare.

136 autonomamente acquisite […] sia “univocamente” orientato ad atti di terrorismo».

Encomiabili per l’attenzione prestata ad evitare che dall’orientamento dato possano derivare conseguenze dannose nei giudizi di merito, le parole impiegate dalla Cassazione non sono tuttavia capaci di escludere ogni rischio che la norma sia applicata contra constitutionem: le condotte che l’operatore giuridico si troverà in concreto a valutare saranno infatti le più varie e non sarà semplice riuscire nel compito assegnatogli se si considera che il comportamento in sé non esprime alcun disvalore e che la sua qualificazione come atto “univocamente orientato al terrorismo” dipenderà di fatto dal peso che hanno, per il giudice, sicurezza e libertà sui due piatti della bilancia, o comunque dalla sua fermezza rispetto alle pretese securitarie di una società spaventata.

È in questo delicatissimo equilibrio che si gioca la legittimità costituzionale dell’intera normativa antiterrorismo ed è così che opera la law of fear: un crogiolo di principi e tecniche normative di dubbia costituzionalità, dove il margine d’incertezza è rappresentato proprio dal non sapere quale uso ne farà la giurisprudenza, cosicché la norma sarà completata con l’individuazione delle condotte lesive solo in un secondo momento331, e con risvolti ignoti ai destinatari fino a quel

tempo, da parte di chi istituzionalmente dovrebbe limitarsi ad applicarla e si ritrova invece gravato dell’onere di mantenere in piedi i principi di uno Stato di diritto costituzionale tramite la propria attività ermeneutica.

A mio avviso lasciare alle corti il compito di riportare la normativa nei ranghi della legittimità costituzionale esula da qualsiasi concessione possa essere riconosciuta a un ordinamento democratico

331 Sul punto sostiene Varvaressos che «la scarsa selettività dei referenti descrittivi della fattispecie e la rilevanza attribuita a manifestazioni del pensiero prive di obiettiva insidiosità e idoneità offensiva, fa sì che la condotta possa de facto essere tipizzata soltanto in sede processuale» (A. VARVARESSOS, op. cit. p. 13).

137 che voglia garantire la sicurezza della collettività. Con questa affermazione non s’intende esonerare la magistratura dal compito di assicurare la legalità nella lotta al terrorismo332; si vuole piuttosto mettere in luce che l’operato del legislatore emergenziale porta con sé più danni che benefici e alla giurisprudenza è riservato l’ingrato compito di ripararvi. A confortare queste considerazioni concorre l’attualizzazione del fenomeno normativo in una realtà, qual è quella italiana, «astratta»333 rispetto ai Paesi europei334 in cui il terrorismo

miete effettivamente vittime: nel nostro caso occorre piuttosto evitare che i danni procurati dalla legge e dalla giurisprudenza della paura prevalgano sul pericolo da cui esse si propongono di difenderci335.

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