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Le valutazioni negative che sono state condotte in merito al controllo generalizzato dei dati PNR o del traffico telefonico regolati a diversi livelli di governo - ma il discorso vale in generale per l’intera strategia della sorveglianza di massa - sono aggravate dal dato che qui di seguito verrà affrontato: dietro una lesione apparentemente riguardante i soli diritti di privacy e di tutela dei dati personali si cela in verità un ambito di libertà interessato dalla sorveglianza generalizzata che esula il campo strettamente limitato agli artt. 7 e 8 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione e al combinato disposto degli artt. 2, 13, 14 e 15 della Costituzione italiana da cui si ricava implicitamente il diritto alla riservatezza nel nostro ordinamento. Occorre cioè ragionare sul fatto che nella pratica di una sorveglianza di massa sono indirettamente intaccate libertà ulteriori rispetto alla sola riservatezza immediatamente lesa.

158 Si consideri la situazione in cui versa ciascuno di noi all’interno del sistema descritto: oggi abbiamo la certezza che alcune informazioni riguardanti la nostra vita privata e relazionale (si pensi ai dati di traffico telefonico), le nostre preferenze alimentari e le scelte mediche dalle quali poter dedurre orientamenti religiosi o culturali, che decidiamo di condividere con terzi per ragioni generalmente commerciali (si pensi ai dati PNR), potrebbero essere condivise con soggetti diversi da quelli a cui le affidiamo, per esigenze di sicurezza pubblica. Sorvolando sulla violazione del rapporto che intercorre tra i proprietari dei dati e il soggetto terzo cui sono affidati, ai fini della trattazione è interessante rilevare come una simile strategia comprometta «la libertà degli individui nella sfera sociale»383: si pensi

a quanto possa incidere ad esempio sulle relazioni sociali la consapevolezza che si corra il rischio di essere collegati ad ambienti estremistici sulla scorta di un controllo del proprio traffico telefonico. Si deve inoltre rammentare che gran parte della trasmissione di queste informazioni si svolgeva in origine segretamente, ossia all’insaputa dei proprietari dei dati e solo dopo l’emersione di ogni scandalo le relative materie sono state regolamentate pubblicamente: è dato pensare che un simile modus operandi abbia inciso significativamente sulla qualità della vita relazionale dei consociati, tanto da dubitare che possa dirsi tuttora libera. Chiunque può infatti temere che, similmente a quanto accaduto con i dati PNR, qualsiasi altra sfera della propria vita privata possa essere invasa indebitamente se necessario a fini di prevenzione e lotta contro il terrorismo. Se a ciò si aggiunge la consapevolezza della difficoltà di trattare i dati di traffico nel settore di Internet e delle telecomunicazioni senza che ne emergano anche i contenuti, diventa una scelta praticamente obbligata l’abituarsi all’idea di parlare come se si fosse ascoltati, tanto che il non

383 G.L CONTI, Lotta al terrorismo e patrimonio costituzionale comune. Appunti intorno alla traslitterazione interna delle norme internazionali ed eurounitarie in materia di lotta al terrorismo, cit., p. 88.

159 parlare diventa parte integrante del parlare quotidiano, finché a lungo andare si smette anche di pensare ciò che la bocca non proferisce più per paura che venga ascoltata384.

E così il discorso oltrepassa la “mera” privacy, coinvolgendo in primis le relazioni sociali, giacché l’art. 2, Cost. tutela l’individuo non solo come singolo ma anche nella rete dei rapporti che intesse con gli altri consociati; in secondo luogo la sua libertà di pensiero: passando per una, di fatto, insussistente libertà di manifestazione del pensiero (art. 21, Cost.) che atrofizza a lungo andare anche la libera formazione dello stesso, a risultare compromessa in definitiva è la sfera della libertà personale (art. 13, Cost.). La Corte costituzionale infatti nella sent. n. 30/1962 afferma che «la garanzia dell’habeas corpus non deve essere intesa soltanto in rapporto alla coercizione fisica della persona, ma anche alla menomazione della libertà morale quando tale menomazione implichi un assoggettamento totale della persona all’altrui potere»; e allora sotto l’usbergo dell’art. 13 rientra pure la libertà di autodeterminarsi, ossia la libertà di pensare svincolati da ogni forma di coazione psichica. In questo senso il potere del Governo di ottenere informazioni, unito all’ignoranza dell’individuo in merito alla portata e all’invasività del potere, fa nascere in lui una soggezione «data dalla consapevolezza che lo Stato ha poteri sconfinati nella raccolta delle informazioni che lo riguardano»385; e ciò -

contrariamente al principio personalista che muove il nostro ordinamento e per il quale sullo Stato prevale l’individuo - rappresenta un ostacolo alla libera formazione del pensiero.

Anche Conti in verità associa le libertà individuali interessate dalla strategia della sorveglianza di massa all’art. 13, Cost. Egli sostiene che per giustificare la pretesa di conoscere massivamente i dati, si è soliti

384 Cfr. ivi, p. 83.

385 G.L. CONTI, Terror cimbricus e patrimonio costituzionale condiviso: alla ricerca di un fondamento costituzionale per le torsioni costituzionali necessarie alla sopravvivenza della costituzione, cit., p. 60-61.

160 affermare che si tratterebbe di «una nuova idea di prevenzione»386, la quale non conduce alla ricerca dei responsabili di condotte criminose, bensì alla neutralizzazione di soggetti che si presume possano realizzarle. Ma l’idea di giocare d’anticipo in fondo è alla base della più tradizionale attività d’intelligence, il che lo conduce ad interrogarsi sull’opportunità di estendere anche a tali nuove forme di limitazione delle libertà individuali l’obbligo di rispettare i presupposti di fatto cui l’art. 13, Cost. subordina eventuali limitazioni della libertà personale387. E così il già citato art. 6, par. 2, della Direttiva UE 2016/681, che include tra le finalità per le quali l’UIP può provvedere al trattamento dei dati PNR anche «rispondere, caso per caso, a una richiesta debitamente motivata e basata su motivi sufficienti da parte delle autorità competenti di trasmettere e trattare dati PNR in casi specifici a fini di prevenzione, accertamento, indagine e azione penale nei confronti dei reati di terrorismo e dei reati gravi», non sembra - a parere di chi scrive - conforme alla riserva di legge di cui all’art. 13, Cost., secondo la quale i casi in cui la libertà personale può subire limitazioni necessitano di previsione normativa. Considerazioni simili possono essere fatte in relazione alla lett. a) del medesimo articolo della Direttiva, giacché i criteri in base ai quali vengono valutati i passeggeri cui i dati si riferiscono, e dunque i modi in cui la limitazione avviene, sono stabiliti dall’UIP nazionale e vanno inoltre periodicamente aggiornati contrariamente alla prevedibilità che implica invece una riserva di legge.

Per ciascuna delle incompatibilità costituzionali su cui si è posto l’accento possono essere riproposte le medesime considerazioni svolte limitatamente alla privacy nel paragrafo precedente: vista l’impossibilità che trovi spazio l’art. 11, Cost. come clausola etica, in

386 G.L. CONTI, Lotta al terrorismo e patrimonio costituzionale comune. Appunti intorno alla traslitterazione interna delle norme internazionali ed eurounitarie in materia di lotta al terrorismo, cit., p. 81.

161 mancanza di un pericolo effettivo, il quale, entro i limiti del rispetto dell’identità costituzionale, giustificherebbe eventuali deroghe alla Carta fondamentale, quest’ultima andrà applicata regolarmente.

SEZIONE SECONDA

“PRIVATIZZAZIONE”DELLASICUREZZAERUOLODELLO

STATO

1. A cosa siamo disposti a rinunciare?

A [più di] quindici anni di distanza dagli attentati di New York e Washington […] sembra piuttosto evidente come, senza riuscire ad impedire il ripetersi di episodi terroristici anche di forte impatto, vi sia stata una limitazione di alcuni diritti fondamentali delle persone […] per di più in un arco di tempo ormai difficilmente compatibile con la logica dell’eccezionalità e dell’emergenza388.

Con queste parole di Pertici ci avviamo a concludere il nostro lavoro con l’intento di fornire considerazioni finali sulla normativa antiterrorismo, da intendersi qui complessivamente come l’insieme del diritto interno di matrice penal-preventiva e delle disposizioni che a vari livelli di governo disciplinano il controllo generalizzato dell’intera società. Unendo infatti le considerazioni svolte nel corso del capitolo secondo alle risultanze dell’approfondimento condotto nella sezione prima del presente capitolo, a fatica si scorge l’immagine di un individuo libero e persino quella di un cittadino di uno Stato di diritto, nel quale ci si aspetta che la sicurezza venga perseguita per mezzo della legge. Accade invece nell’un caso che il legislatore nazionale scarichi sulla giurisprudenza la responsabilità di recuperare

388 A. PERTICI, Terrorismo e diritti della persona, in Questione Giustizia, Speciale settembre 2016, cit., pp. 53-54.

162 la costituzionalità dei suoi interventi normativi al limite, nell’altro che i legislatori nazionale ed europeo impieghino il cittadino come oggetto di scambio, essendo innegabile che all’interno del sistema descritto la “risposta” al bisogno di sicurezza sia data dal cittadino stesso che accetta passivamente di essere sorvegliato in date attività della sua vita e di aspettarsi di esserlo in qualsiasi altra, pur di sentirsi al sicuro: in buona sostanza è il cittadino che si garantisce da sé. L’aver esteso il campo della nostra analisi oltre la persona del presunto terrorista ci permette di affrontare la questione dal lato di chi rinuncia non solo nei termini di un ideale abbandono dei principi cui è improntato un ordinamento democratico-costituzionale, ma anche nei termini di una reale accettazione dell’essere spogliati in prima persona di alcune delle libertà di più recente conquista, come il diritto alla privacy389.

La trattazione sinora condotta è stata sempre guidata da un interrogativo: la ragionevolezza o meno delle limitazioni che le libertà subiscono alla luce di un’emergenza terroristica insussistente; in questa sede invece preme rileggere le medesime vicende in una prospettiva diversa, quella del cittadino rinunciante, per domandarsi innanzitutto se il quantum di sicurezza, o meglio, di percezione della sicurezza che ottiene rende ragionevole il sacrificio cui è disposto, e in secondo luogo se è naturale che «questa domanda di prevenzione [entri] nell’intimità del dialogo fra autorità, bisogno di sicurezza e libertà»390, o se invece non è forse patologico per un ordinamento democratico-costituzionale391.

Per usare un’espressione propria del mondo dell’economia e specialmente della cost-benefit analysis, la quale peraltro ha diverse affinità con il principio di ragionevolezza e proporzionalità che il

389 Si rammenta che il legislatore ha affrontato la questione per la prima volta poco più di vent’anni fa con la legge n. 675/1996.

390 G.L. CONTI, Lotta al terrorismo e patrimonio costituzionale comune. Appunti intorno alla traslitterazione interna delle norme internazionali ed eurounitarie in materia di lotta al terrorismo, cit., p. 82.

163 legislatore (non solo nazionale) deve seguire per bilanciare sicurezza e libertà nella risposta normativa al terrorismo, ricorriamo alla teoria della willingness to pay, la quale in questa sede può diventare un utile strumento per comprendere quanto incide il grado di disponibilità dell’individuo rispetto alla soluzione normativa adottata, divenendo così una variabile di non poco conto nel risultato finale.

In economia con l’espressione willingness to pay ci si riferisce infatti al prezzo che un individuo è disposto a pagare per conseguire un bene o un beneficio392. Sunstein critica l’applicazione di questa teoria economica nell’ambito della valutazione costi-benefici delle politiche intraprese da un Governo: «le persone» - sostiene - «hanno il diritto di non essere esposte a rischi di una certa magnitudine e l'impiego della WTP viola questo diritto […]. È ragionevole affermare che, quale che sia la loro WTP, gli esseri umani dovrebbero avere il diritto di non essere soggetti a rischi maggiori di una determinata soglia»393. Condivisibile è l’idea che in uno Stato di diritto il consociato non debba avvertire il bisogno di cedere alcunché per ottenere sicurezza, salvo lo richiedano eventi del tutto eccezionali e pertanto destinati in breve tempo a rientrare; tuttavia, mentre l’autore resta ancorato a una fedele applicazione della WTP, giacché il suo riferimento va al valore propriamente economico che si è disposti a pagare in cambio della riduzione di un rischio (quanto al terrorismo il prezzo è quello pagato per sostenere la guerra in Iraq), qui s’immagina un mercato in cui l’individuo paga un prezzo che non è monetario né facilmente monetizzabile, la libertà.

Nella cost-benefit analysis da compiersi nel bilanciamento tra sicurezza e libertà la valutazione è complicata da ulteriori fattori che entrano in gioco e che incidono esattamente sulla willingness to pay di chi cerca sicurezza. Barberis fornisce una puntuale descrizione delle

392 Tale teoria nasce da un’idea di Dupuit risalente al 1844, poi elaborata da Marshall e impiegata nell’ambito dell’analisi costi-benefici.

164 più comuni fallacie della retorica securitaria394: al primo posto s’incontra la tendenza diffusa a scambiare la sicurezza collettiva per sicurezza individuale. Si è soliti confondere cioè la probabilità che il Paese corra un pericolo con la probabilità di correrlo personalmente, e da ciò dipende in buona parte il successo delle politiche securitarie antiterrorismo: oggi «la sicurezza collettiva è un valore così indiscusso, proprio perché ognuno di noi tende a confonderlo con la propria sicurezza individuale»395, e dopo l’Undici Settembre è questa

l’idea dominante di sicurezza, quella di un diritto individuale cui viene però associato il valore di un bene collettivo. Benché le probabilità di essere vittime di un attentato terroristico siano paragonabili - a detta di Barberis - a quelle di essere colpiti da un fulmine, il nostro studio dimostra che siamo invece disposti a barattare persino il certo per l’incerto, le nostre libertà per la mera speranza di una sicurezza, e ciò nonostante il danno arrecato alle prime hic et nunc sia maggiore - se non altro perché certo - del beneficio che la sicurezza potrebbe forse un domani ricavarne. Intimamente connessa è poi la tendenza a confondere i due piani della sicurezza, quello oggettivo (safety), che coincide propriamente con l’incolumità personale e quello soggettivo (certainty), coincidente invece con la percezione che si ha della prima.

Un’ulteriore e determinante fallacia è data poi dalla convinzione che le misure securitarie che vengono adottate incidano solo sui potenziali terroristi e non anche sul resto della società: basta tornare indietro di qualche pagina in questo lavoro per dimostrare come non tutti i provvedimenti che abbiamo passato in rassegna colpiscano esclusivamente precise minoranze396; inoltre l’indeterminatezza che

contraddistingue queste ultime norme, come si è potuto constatare nel

394 Cfr. M. BARBERIS, Non c’è sicurezza senza libertà. Il fallimento delle politiche antiterrorismo, Il Mulino, Bologna, 2017, p. 108 e ss. Per una critica v. A. PINTORE, Non c’è libertà senza sicurezza, in Ragion pratica, N. 1/2018, pp. 99- 124.

395 M. BARBERIS, op. cit., p. 71.

396 Sul punto si rinvia alla sezione prima del presente capitolo in tema di strategia della sorveglianza di massa.

165 capitolo secondo, rischia di comportarne l’estensione anche a soggetti che in realtà esercitano legittimamente diritti loro riconosciuti dall’ordinamento397.

Infine, sulla scorta del comune pensiero securitario secondo cui quello tra libertà e sicurezza è «un gioco a somma zero, nel quale una guadagna quanto l’altra perde, e viceversa»398 si ha la convinzione che

è sempre e comunque necessario sacrificare un tanto di libertà per garantirsi sicurezza.

Un bilanciamento rigoroso degno di uno Stato di diritto, fondato sulle sole valutazioni di adeguatezza, necessità e proporzionalità della compressione che le libertà subiscono in vista del pericolo che si corre, e quindi in rapporto al grado di sicurezza che effettivamente serve, non richiede soltanto un ridimensionamento dell’idea di entità del rischio, ma anche un affrancamento dalla willingness to pay del consociato.

In definitiva, e come si è più volte detto, la sorte dei diritti è altamente a rischio non tanto per le minacce del terrorismo, quanto per le nostre quotidiane rinunce: «il pericolo maggiore […] non viene dal futuro attacco, quanto da quegli atteggiamenti dello stato di prevenzione che tendono ad affermarsi come un’abituale pratica di governo e offrono ai cittadini una prestazione di sicurezza assolutizzante che prescinde dall’esistenza di uno stato di necessità»399.

Rimanendo nel campo della cost-benefit analysis, prendiamo ora in considerazione il risvolto della medaglia della WTP, parliamo cioè della willingness to accept. Con tale espressione s’intende la quantità minima di denaro che un individuo è disposto ad accettare per l’abbandono di un bene. Fuor di metafora la domanda che qui ci poniamo è la seguente: quanta sicurezza pretendiamo per essere disposti a “vendere” le nostre libertà?

397 Per una trattazione dettagliata si rinvia ai par. 4 e ss. del capitolo secondo. 398 M. BARBERIS,op. cit., p. 13.

166 La legislazione securitario-emergenziale non ha condotto sinora ad apprezzabili miglioramenti nemmeno nei Paesi effettivamente colpiti da attacchi terroristici (fra tutti si pensi alla Francia) e per i quali dunque, diversamente dall’Italia, il problema non è la sola paura del terrorismo. Generalmente infatti i provvedimenti antiterrorismo producono effetti meramente simbolici: «le misure» cioè «servono solo, nei casi migliori, a rassicurare la cittadinanza, nei casi peggiori a trovare dei capri espiatori»400. Possiamo dire, in altre parole, che tali

misure incidono sulla sola certainty e non sulla safety, che anzi, a ben vedere diminuisce, giacché ai pericoli del terrorismo andranno aggiunti anche quelli dell’antiterrorismo, e «quando questo accade, la logica del terrorismo si può dire che abbia vinto perché ha condotto lo Stato a confessarsi non democratico e quindi a offrire al terrorismo una ragione di esistere che [invece] solo la costante affermazione dei valori costituzionali può efficacemente combattere»401.

Non può bastare in definitiva la sola percezione di sicurezza, affinché possa dirsi ragionevole una rinuncia tanto considerevole. Non resta che domandarci, a questo punto, quale sia il ruolo che giocano le istituzioni nell’atteggiamento di placida rinuncia alla democrazia che serpeggia nella società spaventata dal terrorismo del tempo ordinario.

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