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1.3 I primi programmi di relocation dell’UE – cornice normativa ed implementazione.

1.3.2 I primi esperimenti di relocation a livello europeo: i progetti EUREMA I ed

1.3.2.3 Conclusioni

Non si può non dare atto all’Unione Europea dei propri meriti in relazione all’implementazione del progetto di relocation EUREMA. Questo rappresenta infatti la messa in pratica di un provvedimento che a partire dagli anni ’90 è stato più volte all’ordine del giorno delle discussioni in materia di asilo e immigrazione, soprattutto in relazione al principio di equa ripartizione degli oneri in tale ambito.

E’ stato infatti a partire dalla grave crisi di rifugiati provocata dal conflitto nei territori della ex Jugoslavia, che l’Unione Europea ha iniziato a porsi il dilemma di come poter affrontare problemi che pur interessando in prima battuta singoli Stati Membri (inizialmente quelli confinanti alle repubbliche socialistiche jugoslave, come Germania e Ungheria, poi quelli affacciate sul Mediterraneo, quali Malta, Grecia e la stessa Italia), riguardano tutta l’Unione

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e necessitano di conseguenza risposte di natura europea. Inutile quasi ripetere che la vera destinazione degli sfollati è normalmente non il Paese di primo arrivo - di solito soltanto più prossimo da un punto di vista geografico da quello di partenza - ma un altro Stato europeo, ritenuto in grado di offrire migliori prospettive in fatto di condizioni di vita e in alcuni casi di più strette connessioni con la terra d’origine.

Nel corso degli anni in cui il sistema comune di asilo europeo ha iniziato a prendere forma, più e più volte si è fatta presente la necessità di mettere a punto disposizioni che potessero autorizzare sostegni straordinari a quegli Stati Membri che in ragione della loro posizione geografica o della loro situazione demografica si trovavano ad affrontare afflussi massicci di sfollati, con conseguenze frequentemente catastrofiche sui rispettivi sistemi di asilo e sullo stato degli sfollati stessi. Gli appelli e le dichiarazioni contenuti nei documenti ufficiali hanno visto la propria traduzione pratica nell’approvazione di alcuni provvedimenti significativi, quali la cosiddetta “Direttiva Protezione Temporanea”del 2001, o il Fondo Europeo per i Rifugiati, istituito nel 2000 ed esteso poi per gli anni a venire. Mai però fino al 2009, si era riusciti a mettere in pratica un programma di iniziativa multilaterale, che prevedesse la redistribuzione per così dire “fisica” dei migranti in arrivo sul territorio di alcuni Stati Membri.

Sarebbe tuttavia un errore evidenziare soltanto gli aspetti positivi del progetto, che ha presentato comunque varie difficoltà di applicazione. Ne sono un esempio i già citati ritardi nella sua implementazione, l’incapacità di fornire informazioni chiare ed esaustive ai potenziali destinatari del trasferimento c irca il loro Paese di destinazione o il generale approccio di selezione degli stessi maggiormente incentrato sugli interessi degli Stati Membri più che sulle loro concrete esigenze , che si sono tradotti in mancanza di fiducia nel sistema da parte degli stessi e di conseguenza in una poco efficiente applicazione del meccanismo.

E’ inoltre utile ricordare che spesso i criteri individuati dagli Stati Membri come fattori chiave per la selezione dei beneficiari, sono spesso risultati insufficienti e non in linea con il profilo dei migranti. Ciò dimostra una scarsa conoscenza di fondo dei Paesi di partenza di questi ultimi, a cui si è cercato di riparare nella seconda fase tramite la preparazione da parte dell’OIM di una fotografia generale degli Stati di origine dei rifugiati coinvolti nel programma.

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La seconda fase ha però fatto registrare un numero molto inferiore di trasferimenti: ciò stupisce considerando lo stato di grave criticità in cui Malta versava al momento dell’attuazione de piano. Molto dovrebbe esser dovuto proprio alla decisione di molti Stati Membri di non prendere più parte al progetto, ma di offrire il proprio sostegno al sistema di asilo dell’isola mediante la firma di patti bilaterali, di più rapida e semplice

esecuzione.

Il giudizio complessivo circa l’epilogo del progetto è comunque in linea di massima positivo, - anche se da migliorare - come dimostra la volontà emersa in seno alle stesse istituzioni europee di avviare le trattative per dar vita a un meccanismo di relocation su base volontaria. Nei capitoli successivi dell’elaborato verranno analizzate le modalità in cui tali proposte si svilupperanno.

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Capitolo 2

Verso un tentativo di definizione di un meccanismo

permanente di relocation – dallo studio in merito della

Commissione Europea a Dublino III

Mentre la prima fase del progetto pilota EUREMA era ancora in corso, la Direzione Generale degli Affari Interni della Commissione Europea elaborò e pubblicò uno studio104 relativo alle possibili implicazioni - politiche, legali e finanziarie – che l’introduzione di un meccanismo di relocation interna agli Stati dell’Unione Europea avrebbe comportato. Lo studio si rivolgeva a tutti gli Stati Membri, nonché a varie organizzazioni del settore, quali ad esempio l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati o l’European Council on Refugees and Exiles.

Lo studio venne poi sviluppato proponendo agli Stati Membri e agli altri soggetti coinvolti due alternative differenti di relocation; una volta condotte le analisi a queste inerenti, lo studio proseguiva mediante la presentazione di alcune considerazioni – maturate grazie a una consultazione con tutti i soggetti interessati - circa le implicazioni politiche, legali e finanziarie che l’attuazione dell’una o dell’altra alternativa avrebbero potuto comportare.

Come vedremo nel corso del capitolo, le molteplici considerazioni emerse riflettono i differenti interessi dei vari Stati Membri e delle organizzazioni non governative coinvolte. Da un punto di vista politico e finanziario, hanno ad esempio giocato un ruolo fondamentale fattori quali la dimensione demografica e la posizione geografica, le capacità ricettive dei sistemi di asilo, e la presenza di comunità provenienti da paesi terzi sul territorio degli Stati Membri. Per quanto riguarda invece le implicazioni di tipo legale, queste ruotano in linea di massima attorno a problematiche inerenti al riconoscimento giuridico delle varie forme di protezione esistenti e valide all’interno degli Stati Membri, e a una “riconciliazione” con il Sistema Dublino – considerato ancora come una “pietra miliare” del sistema di asilo europeo - che l’introduzione di un meccanismo di relocation avrebbe reso necessaria.

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