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Le due decisioni di attuazione del meccanismo di relocation, la n. 2015/5123 e la numero 2015/1601, sono entrate in vigore rispettivamente il giorno seguente la pubblicazione sulla gazzetta ufficiale e il 26 settembre 2015.

Nelle prossime pagine vedremo come durante i primi mesi della loro applicazione si siano riscontrate delle difficoltà dovute al verificarsi di situazioni in un certo senso già anticipate – se non addirittura previste a tutti gli effetti – all’interno di commenti e rapporti di ONG ed

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esperti del settore. In particolar modo tali difficoltà hanno riguardato la stessa messa in funzione degli hotspots – che generalmente non ha rispettato le tempistiche indicate – e la disponibilità effettiva degli Stati Membri ad accogliere i rifugiati.

4.1.2 Il percorso di implementazione degli hotspots in Italia e Grecia – due

esempi esplicativi.

4.1.2.1 Italia – Il centro di Primo Soccorso e Accoglienza di Pozzallo.

Il Centro di Primo Soccorso e Accoglienza di Pozzallo (Ragusa) - destinato secondo quanto previsto a trasformarsi in hotspot per l’identificazione e la registrazione dei richiedenti potenzialmente beneficiari del meccanismo di relocation – è stato oggetto di un rapporto pubblicato a novembre 2015 da Medici Senza Frontiere, che da febbraio dello stesso anno era impegnato in proprio in questa sede in servizi di assistenza medica e di supporto psicologico ai migranti ospitati. Secondo i dati presentati dall’ONG le condizioni del centro non lasciavano presagire una rapida ed agevole conversione del centro in hotspot, ma facevano anzi emergere diverse perplessità a causa sia dell’inefficienza dei servizi forniti che dell’approccio utilizzato, ritenuto non adeguato né da un punto di vista medico-sanitario né per quanto riguarda le procedure di prima identificazione e di screening delle vulnerabilità243.

Leggendo il documento colpisce innanzitutto la descrizione delle condizioni di sovraffollamento che il centro - di una capienza massima di 200 persone - presentava praticamente in maniera costante, a tal punto da non poter garantire un’adeguata separazione tra individui di sesso diverso e la giusta protezione alle persone vulnerabili, quali ad esempio donne sole, possibili vittime di tratta o minori non accompagnati. La struttura versava inoltre, secondo quanto riportato da Medici Senza Frontiere, in uno stato di deterioramento progressivo che già da tempo richiedeva «urgenti lavori di manutenzione» non ancora eseguiti, o comunque realizzati soltanto in via parziale. A questo si aggiunge una preoccupante critica alle condizioni igienico-sanitarie, sia per quanto riguarda i servizi igienici – mal funzionati e privi di porte e finestre – sia per quanto riguarda la prevista distribuzione di kit igienici essenziali (di fondamentale importanza ad esempio il trattamento

243

Cfr. Medici Senza Frontiere, Sintesi del Rapporto sulle Condizioni sul CPSA di Pozzallo , 17 novembr e 2015.

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anti scabbia), frequentemente non avvenuta e a cui ha spesso dovuto provvedere la stessa ONG244.

Secondo inoltre le informazioni che Medici Senza Frontiere ha ricevuto da parte degli stessi ospiti del centro, le modalità di accesso alla protezione e all’asilo venivano spesso comunicate in via eccessivamente approssimativa oppure erano completamente assenti, violando di fatto così uno dei diritti principali ed essenziali dei richiedenti asilo, vale a dire l’obbligo di essere informati sulle forme di protezione e di asilo che possono ricevere, in una lingua a loro conosciuta. Mancava inoltre la dovuta attenzione alla garanzia dei diritti riservati a persone vulnerabili, come testimoniato dall’assenza di spazi dedicati all’accoglienza e al trattamento di eventuali vittime di tratta, tortura ed altre forme di violenza fisica o psicologica. Infine sembra lecito inoltre chiedersi secondo quali modalità si svolgessero le operazioni di identificazione e di screening delle vulnerabilità, considerando le testimonianze raccolte dall’ONG che parlano di più di 100 espulsioni che in meno di un mese hanno coinvolto anche persone appartenenti categorie vulnerabili, come donne incinte, minori e persone con necessità di trattamento medico245.

Il quadro delineato da Medici Senza Frontiere getta ombre inquietanti sulla conversione - imminente, almeno sulla carta, al momento della pubblicazione del rapporto - del centro in hospot: tale struttura avrebbe infatti dovuto garantire lo svolgimento di attività di tipo permanente o che comunque sarebbero andate oltre la logica di tipo emergenziale che ha caratterizzato il modus operandi in funzione nei mesi precedenti, e che si è dimostrata in aggiunta «poco attenta nel rispondere adeguatamente ai bisogni e alle esigenze di una popolazione che presenta numerose vulnerabilità246». La descrizione presentata dall’ONG sembra verosimilmente poter valere anche per gli altri centri destinati a svolgere le attività di identificazione e registrazione dei richiedenti asilo in arrivo. Ci sembra utile precisare inoltre che al momento della pubblicazione del rapporto, dei sei hotspots previsti dalla Road Map (tre, rispettivamente Lampedusa, Pozzallo e Porto Empedocle/Villa Sikania, da aprire entro Novembre, e altri tre – Taranto, Trapani e Augusta – da aprire a inizio 2016), soltanto quello di Lampedusa era già in funzione.

4.1.2.2 Grecia - l’hotspot di Moria sull’isola di Lesbo.

Poche differenze presentava il centro di Moria sull’isola di Lesbo in Grecia, delle cui condizioni si era già parlato nei capitoli precedenti e che sembrano ancora caratterizzare

244 Ibidem. 245 Ibidem. 246 Ibidem.

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fortemente la situazione nel novembre 2015, circa due mesi dopo l’entrata in vigore delle due decisioni di relocation e un mese dopo la trasformazione del centro stesso in hotspot.

Un articolo uscito proprio a novembre sulla versione online del settimanale di affari europei Politico Europe247, riportava le condizioni in cui il centro, davanti al quale quotidianamente centinaia di persone affrontavano interminabili ore di coda all’aperto in attesa di potersi sottoporre all’esame per identificazione ed idoneità a ricevere protezione e di conseguenza ad essere inserito in lista di potenziali beneficiari di ricollocazione. Secondo l’articolo i disordini erano praticamente all’ordine del giorno, e scoppiavano per motivi apparentemente futili ma comprensibili se inseriti nel contesto a cui ci si riferisce.

Il termine “caos” fa da protagonista nel testo, che riferendosi appunto a Moria come una «struttura attraversata da recinzioni e filo spinato e disseminata d i rifiuti», descrive gli hotspots come strutture che sebbene dovrebbero in realtà aiutare Grecia e Italia a gestire la crisi dei rifugiati in arrivo sulle loro coste, tuttavia non solo non riescono – almeno al momento dei fatti – a offrire una soluzione alla crisi umanitaria attualmente in corso, ma pongono addirittura le basi per una vera e propria crisi di sicurezza nazionale. Lo dimostrano le parole del sindaco di Mitilene (principale centro dell’isola), che intervistato parla di una città «letteralmente sotto occupazione», come dimostrato dai 35000 rifugiati presenti a Settembre, a fronte di 27000 abitanti, dove gli arrivi giornalieri in media raggiungono le 7000 persone, impossibili sia da accogliere che da identificare con lo scarso personale disponibile.

Infatti, prosegue l’articolo, nonostante l’Unione Europea abbia chiamato gli Stati Membri a contribuire tramite l’invio di esperti e di attrezzature, nel mese di Novembre soltanto il 3% delle richieste sono state soddisfatte e al momento – dei 150 rifugiati trasferiti – soltanto 30 provengono dalla Grecia.

Le testimonianze relative a Italia e Grecia – sia per quanto riguarda gli hotspot già in vigore che per quelli di imminente conversione al momento a cui risalgono i documenti citati – ci presentano una situazione di evidente ritardo nella tabella di marcia relativa allo svolgimento dei servizi previsti, dovuto essenzialmente a condizioni di partenza assolutamente non in grado di garantire tali servizi. La sensazione è che i due Paesi non siano stati fino a questo momento supportati adeguatamente per quanto riguarda il passaggio da centri di prima accoglienza – gestiti in prima persona e già caratterizzati da frequenti inefficienze spesso

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G. Cremin, This is Chaos – Inside th e lowless hotspots that are supposed to be solving Europe’s refugee crisis, http://www.politico.eu/article/migrant-crisis-hotspots-europe-this-is-chaos/, 19 novembr e 2015.

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inevitabili considerando l’afflusso massiccio di persone in arrivo – a hotspots atti all’identificazione e alla registrazione dei migranti, essenziali per avviare la ricollocazione di coloro risultati idonei alla stessa. Ci sembra comunque doveroso rimarcare che, date appunto le condizioni di partenza appena delineate, sarebbe stato comunque poco sensato aspettarsi un esito differente da quello riportato, nonostante la situazione di assoluta necessità ed urgenza richiedesse un’efficiente ed adeguata messa in funzione di tutti i servizi nel minor tempo possibile, onde evitare ulteriori violazioni dei diritti umani nonché accumuli di ritardi e rallentamenti realisticamente in grado di rendere la situazione ancora più ingestibile e preoccupante.

4.1.2.3 Le conclusioni del Consiglio Giustizia e Affari Interni in merito a

hotspots e processo di relocation – le indicazioni fornite agli Stati Membri.

Dei ritardi rispetto alla tabella di marcia prevista vi è testimonianza anche all’interno delle conclusioni del Consiglio Giustizia e Affari Interni adottate il 9 novembre248, nelle quali - tra le misure indicate per la gestione della crisi dei rifugiati – si fa esplicitamente riferimento allo stato dell’arte circa la costruzione e la successiva messa in funzione degli hotspots in Italia e in Grecia, e ai risultati ottenuti durante i primi due mesi di implementazione delle due decisioni relative alla relocation.

Per quanto non vengano forniti dati precisi relativi ai progressi - o per meglio dire ai mancati progressi registrati - le conclusioni indicano alcuni provvedimenti che secondo il Consiglio dovrebbero essere messi in pratica e che si distinguono essenzialmente nel maggior impegno che tutti i soggetti coinvolti dovrebbero perseguire, così da poter rispettare le scadenze previste. Ciò vale infatti a proposito degli hotspots - da ultimarsi entro la fine di Novembre così come precedentemente concordato249 - e ciò vale anche per il processo di relocation, i cui tempi di avviamento avrebbero dovuto accelerarsi. In merito il Consiglio fa riferimento sia agli Stati Membri destinatari dei trasferimenti, esortati a comunicare – preferibilmente entro il 16 Novembre 2015 – le loro capacità di accoglienza e a nominare i loro rispettivi ufficiali di collegamento da inviare in Italia e Grecia per agevolare la messa in pratica delle ricollocazioni all’interno dei loro territorio. Anche Roma e Atene vengono richiamate all’ordine per accelerare il lavoro di preparazione alla relocation grazie anche al supporto dato dalla Commissione e dal Consiglio alla loro decisione di registrare i migranti prima del loro arrivo sulla terraferma, tramite l’utilizzo dei dispositivi EURODAC. Tale

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Consiglio dell’Unione Europea, Misure per la Gestione della crisi dei rifugia ti e dell’immig razione – Conclusioni del Consiglio, Bruxelles, 9 Novembre 2015.

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registrazione – soprattutto in merito alle relative tempistiche e modalità di attuazione – prescinde comunque dal contributo degli Stati Membri, invitati – sempre entro il 16 novembre – a colmare le restanti lacune circa le richieste provenienti sia da Frontex che da EASO250.

I dati riportati nei prossimi paragrafi saranno utili a comprendere se e in che modo tali indicazioni verranno raccolti dai soggetti coinvolti. Come vedremo, ulteriori elementi che potremmo definire “di disturbo” contribuiranno a rallentare ulteriormente i processi di implementazione e in generale a ridurre la già scarsa disposizione degli Stati Membri a dare un contributo forte ad un problema che – come già ripetuto più volte – coinvolge ed abbraccia tutta l’Unione Europea.

4.2 L’influenza del clima politico dopo gli attentati di Parigi