generale sulla situazione.
Nel marzo del 2016 il Parlamento Europeo ha elaborato e pubblicato il proprio rapporto relativo allo stato di avanzamento di entrambi i provvedimenti, registrando eventuali progressi rispetto ai mesi precedenti e facendo il punto generale sulla situazione296.
E’ senza giri di parole che il Parlamento giunge alla conclusione per cui il programma di relocation «non sta funzionando297» - riprendendo le parole del Commissario europeo per le
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migrazioni, gli affari interni e la cittadinanza - e sono i dati oggettivi a darne prova. Dopo i primi sei mesi di attuazione risultavano infatti ancora troppo basse le cifre registrate relative ai trasferimenti effettuati: solo 629 dei 160.000 previsti – di cui 328 dall’Italia e 301 dalla Grecia, verso 17 Stati Membri rispetto ai 28 (più quelli associati)298. Il basso numero di ricollocazioni andate a buon fine si lega inoltre alle già citate difficoltà di rendere operativi gli hotspots in entrambi in Paesi beneficiari del programma: al momento della pubblicazione del rapporto infatti, sebbene fossero stati compiut i alcuni progressi anche in tempi relativamente brevi rispetto agli ultimi dati disponibili299, non tutte le strutture potevano dirsi pienamente funzionanti, per ragioni che andavano dall’assenza di personale Frontex ed EASO in alcune di esse e alla non ancora raggiunta operatività di altri, fino ad arrivare ai tempi di attesa relativi alle decisioni politiche da parte dei governo rispettivi Paesi che ne autorizzassero l’esercizio300
.
Ad accentuare le difficoltà di implementazione del programma di ricollocazione ha contribuito – come già notato – anche la scarsa disponibilità dimostrata dagli Stati Membri. Questi non solo generalmente si sono dimostrati reticenti a fornire in tempi brevi i dati utili a ricevere i richiedenti asilo – relativi ad esempio alla quantità di posti da mettere a disposizione ed alla selezione degli stessi beneficiari in risposta a quelli inviati da Italia e Grecia – ma in più di un caso hanno manifestato loro intenzione di non partecipare al programma, nonostante – ribadiamo – l’obbligatorietà dello stesso. Si è già affrontato in precedenza la questione legata alla decisione di Ungheria, Slovacchia, Repubblica Ceca e Romania di porre il proprio voto contrario alla stessa adozione della decisione, nonché all’azione legale intrapresa dai primi due Stati. A ciò va aggiunta la posizione emersa dalle dichiarazioni congiunte rilasciate nel mese di Febbraio dai rappresentati degli Stati appartenenti al Gruppo di Visegrad (Repubblica Ceca, Ungheria, Polonia, Slovacchia) in occasione del 25° anniversario dello stesso, che seppur a sostegno delle misure europee volte ad una migliore e più forte gestione e controllo delle frontiere, hanno di fatto ribadito l’iniziale opposizione in merito al meccanismo di relocation, soprattutto in prospettiva di una conversione di quest’ultimo in un programma permanente301
. Infine, nel mese di dicembre
297 Ivi, p.7. 298 Ibidem. 299
Communication from the Commission to the European Parliament and the Council , on the State of Play of Implemen tation of the Priority Actions under the European Agenda on Mig ration , doc. COM(2016) 85 final, 10 febbraio 2016, Allegati 2-3.
300
Cfr. Parlamento Europeo, Hotspo t and …, pp. 7-8. 301
Visegrad Group, Joint Statemen t on Mig ration, 15 febbraio 2016,
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Svezia ed Austria hanno avanzato la richiesta di sospensione temporanea – prevista dalle due decisioni – dal programma302.
Tali prese di posizione e richieste di sospensione si inseriscono all’interno di un quadro generale europeo – già delineato in precedenza – caratterizzato da una sempre maggior tendenza a perseguire politiche focalizzate su interessi prettamente nazionali, tradottesi frequentemente in provvedimenti esclusivi più che inclusivi. Ne è esempio lampante la decisione presa da vari Stati Membri - tra cui ritroviamo non solo la Francia ma anche Danimarca, Svezia, Germania, Austria e Norvegia - di reintrodurre in via provvisoria i controlli alle proprie frontiere interne secondo le disposizioni degli articoli 23-24-25 del Codice Frontiere Schengen303. Tali misure – impedendo la normale e libera circolazione all’interno dell’area Schengen - hanno considerevoli ripercussioni anche nel contesto della crisi dei rifugiati, specialmente per quanto riguarda i cosiddetti “movimenti secondari” intrapresi da coloro che pur arrivando sul territorio degli Stati Membri posti alle frontiere esterne dell’Unione, decidono di proseguire oltre, spesso eludendo o tentando di farlo le procedure di identificazione e registrazione che, in base al Regolamento Dublino, in linea generale assegnerebbero la responsabilità relativa all’esame della domanda ed alla successiva accoglienza a tali Stati.
Le problematiche e le implicazioni relat ive al ripristino dei controlli verranno trattate ed analizzate nel dettaglio nelle pagine successive.
Ulteriori considerazioni degne di nota contenute all’interno del rapporto del Parlamento Europeo mettono infine in evidenza questioni più strettamente legate al rispetto dei diritti umani dei migranti in arrivo sulle coste di Italia e Grecia, soprattutto in sede di identificazione e registrazione di questi ultimi. Nel capitolo precedente sono state già sottolineate le inefficienze riscontrate all’interno degli hotspots, sia greci che italiani. In merito si ricordi il documento pubblicato da Medici Senza Frontiere circa le scarse condizioni igienico-sanitarie e di accoglienza generale presenti nella struttura di Pozzallo nel novembre 2015, che – sebbene dichiarato “pienamente operativo” dagli stessi rapporti europei – nel mese di dicembre non aveva ancora raggiunto un livello anche minimo di accoglienza necessaria, provocando così l’abbandono della struttura da parte della stessa
302
K. Groenendijk, B. Nagy, Hungary’s appeal against reloca tion to the CJEU: upfront a tta ck or real guard battle?, EU Migration Blog, 16 dicembre 2015, http://eumigrationlawblog.eu/hungarys - appeal-against-relocation-to-the-cjeu-upfront-attack-or-rear-guard-battle/.
303
Regolamento (CE) n. 562/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 marzo 2006 ,
che istituisce un codice comunitario rela tivo al regime di attraversamento delle frontiere da parte delle persone (codice frontiere Schengen).
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ONG e l’interruzione dell’erogazione dei servizi di assistenza fino a quel momento messi a disposizione dei migranti presenti304.
Ulteriori valutazioni condotte da altre ONG ed istituzioni si collocano sulla stessa falsariga, come testimoniato dalle osservazioni avanzate dallo European Council on Refugees and Exiles e riportate all’interno dello stesso documento redatto dal Parlamento Europeo circa le condizioni di accoglienza dell’hotspot di Moria, sull’isola di Lesbo, di fatto non in grado di fronteggiare il crescente volume di persone in arrivo305.
Inoltre, sembra doveroso rimarcare come il rapporto del Parlamento metta in evidenza anche quelle caratteristiche del programma che in molti esperti del settore avevano già in discussione nei mesi precedenti perché non pienamente capaci di assicurare la giusta protezione a potenziali richiedenti asilo e in generale presumibilmente in grado di non garantire un adeguato trattamento conforme al rispetto dei diritti umani, ma anzi addirittura capaci di «dividere rapidamente l’afflusso di migranti in un piccolo gruppo di “buoni” e in un rimanente gruppo di “cattivi”»306, quest’ultimo destinato ad essere rimpatriato in tempi brevi senza la necessaria attenzione ai rispettivi diritti . Tra gli elementi messi sotto accusa ci sarebbero quelli relativi ai controlli delle nazionalità alla frontiera e l’uso di procedure accelerate per le persone provenienti dai Paesi definiti come “Paesi sicuri”307
.
Dai dati contenuti nel rapporto, nonché dalle conclusioni dello stesso che lasciano emergere chiaramente la posizione del Parlamento Europeo – si evince chiaramente che anche quest’ultimo può allinearsi a lungo elenco di analisti, esperti, ONG e istituzioni che hanno ripetutamente messo in guardia sulle inefficienze insite all’interno delle due misure e sulle ripercussioni sia previste che verificatesi308. Ciò non si traduce comunque in una vera e propria bocciatura senza appello del programma, ma in un invito a rivedere quegli elementi che più di altri ne hanno inficiato lo stesso funzionamento. Tra questi si ritrovano l’insufficiente contributo da parte degli Stati Membri chiamati a fornire personale e strumentazione da utilizzare all’interno degli hotspots, le procedure di identificazione condotte al loro interno ( e in merito il Parlamento puntualizza il fatto per cui l’offerta di protezione e aiuto umanitario alle persone che lo necessitano non può rischiare di violare il rispetto dei diritti fondamentali di coloro che non sono considerati tali) e il criterio relativo
304
Parlamento Europeo, Hotspot and …, pp. 8-9. 305
Ivi, p. 9. 306
Ibidem. 307
Così come definiti dalla cd. “Direttiva Procedure” – Direttiva 2013/32/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 26 giugno 2013, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale (rifusione).
308
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alla nazionalità dei richiedenti asilo utilizzato per la selezione dei potenziali beneficiari alla ricollocazione, che escludendo un gran numero di richiedenti provenienti da altri Paesi lascia agli Stati Membri di primo arrivo l’intera responsabilità relativa alla gestione dei casi più complessi che richiedono più lunghi periodi di trattenimento e/o il loro rimpatrio nei Paesi d’origine309
.