III. SUL SENSO DELL’ETICA SPINOZIANA
6. Conclusioni sulla riconducibilità dell’etica spinoziana ai principali modelli
6.1 Conclusioni in riferimento ad Aristotele
Alcune differenze radicali tra l’eudemonismo del pensatore greco e la morale etologica di Spinoza sono emerse già nelle pagine precedenti, in particolare riguardo alla contingenza delle azioni umane e alla normatività dei termini morali124. Può essere utile concentrare ora la nostra attenzione sulla scelta deliberata ( ), uno dei concetti fondamentali
dell’etica aristotelica, al fine di rendere ancora più manifesta la distanza incolmabile che separa, sin dai presupposti, le dottrine morali dei due filosofi.
Come sappiamo, per Aristotele, l’elemento principale della virtù e del carattere sta nella scelta deliberata dei mezzi per raggiungere i fini, oggetto proprio della volontà ( )125. La proairesis appartiene soltanto a chi agisce razionalmente126, ossia a chi agisce non istintivamente e, punto per noi cruciale, delibera riguardo al possibile: «non ci può essere scelta dell’impossibile», scrive Aristotele, «per esempio dell’immortalità» o del fatto che «un certo attore o un certo atleta riescano vincitori»127; non si possono scegliere cioè cose irraggiungibili di fatto o dipendenti da scelte altrui. Quanto può essere concretamente fatto oggetto di scelta deliberata sono le cose «che dipendono da noi»128 e che «sappiamo molto bene che sono buone»129. Rilevante è inoltre sottolineare la proiezione temporale della
proairesis: «non può mai essere oggetto di scelta il passato […], giacché non si delibera sul
124
Cfr. supra¸ part. cap. II, § 2.3, pp. 62 e ss.
125
Cfr. Eth. Nic., VIII, 13, 1163a 23 (p. 333); VI, 2, 1139a 22 e s. (p. 231); III, 2, 1111b 26 e s. (pp. 117, 119). 126 Cfr. Ivi, III, 2, 1111b 8-13 (p. 117). 127 Ivi, III, 2, 1111b 20-24 (p. 117). 128 Ivi, III, 2, 1111b 30 (p. 119). 129
Ivi, III, 2, 1112a 7 e s. (p. 119); quest’ultimo punto, mutatis mutandis, è condiviso pienamente da
Spinoza; al riguardo, Guzzo afferma che per Spinoza quel «che si sceglie […] è il bene che si sa concepire» (GUZZO, Il pensiero di Spinoza cit., p. 294).
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passato, ma sul futuro e sul contingente, mentre il passato non può non essere stato»130. La concezione aristotelica della scelta, decisiva nella psicologia dell’atto morale, comporta inoltre il riconoscimento della capacità dell’uomo di essere un principio: «la scelta è intelletto che desidera o desiderio che ragiona, e tale principio [ ] è l’uomo»131. Nella facoltà che l’uomo aristotelico possiede di scegliere «a proposito di quelle cose che per lo più si verificano in un certo modo, […] cioè quelle in cui c’è indeterminatezza»132, manifestando la capacità di essere un principio di decisione autonoma della via più appropriata al raggiungimento dei propri fini, si riassume la distanza abissale che separa l’etica di Aristotele dall’etica di Spinoza. Per quest’ultimo, nessuna indeterminatezza è reale e nessun ambito dell’essere fa eccezione. Credere poi che l’uomo possa autonomamente stabilire almeno in parte il futuro corso delle proprie azioni significa per Spinoza cadere nell’assurdo di fare dell’uomo un imperium in imperio sovvertente l’ordine della natura. L’unico principio in senso proprio riconosciuto da Spinoza è infatti Dio.
Hampshire ha simboleggiato l’incolmabile distanza tra le morali dei due filosofi ricorrendo all’immagine di una «barriera della modernità»133. Dopo aver analizzato ed apprezzato diversi aspetti dell’etica aristotelica134, il filosofo inglese rileva in essa un’incompletezza incorreggibile derivante dal suo porsi “al di là” della barriera della modernità. Tale barriera, costituita da radicali cambiamenti nel modo di conoscere e di vivere, si fonda sull’«impreciso e poco maneggevole»135 concetto di libertà. Stando alle riflessioni di Hampshire, tale concetto presenta tre aspetti differenti ed inscindibili: «liberazione dalle passioni, libertà nella società e libertà in relazione al comune ordine della natura o […] libertà metafisica»136. Tutti questi aspetti, centrali nelle preoccupazioni speculative spinoziane, sarebbero invece stati completamente trascurati da Aristotele:
Non c’è alcun posto qui [nell’etica e nella filosofia della mente aristoteliche] per la proposta che uomini in apparenza liberi siano in uno stato di servitù a causa dell’ignoranza e di emozioni irriflesse e che abbiano bisogno di essere liberati attraverso una conversione filosofica che
130
Eth. Nic., VI, 2, 1139b 5-9 (pp. 231, 233).
131
Ivi, VI, 2, 1139b 4 e s. (p. 231); «tra l’avvenuto e il possibile si pone quel principio che è l’uomo il
quale realizzando il possibile realizza il valore che è il suo fine: non fuori di sé come cosa che viene abbandonata al suo destino ontico, né dentro di sé come oggettivazione che egli passivamente porti nel suo bagaglio; piuttosto entro di sé come motivo del suo agire come permanente acquisizione da attuarsi nella scelta deliberata in una vita che non è mai arresto ed è sempre atto di scelta deliberata e solo per questo valore cioè bene» (E. RIONDATO, Ricerche di filosofia morale, I, Elementi metodologici e storici, Liviana, Padova 1974, p. 68).
132
Ivi, III, 3, 1112b 8 e s. (p. 121).
133
HAMPSHIRE, Two Theories cit., p. 55.
134
«Non c’è nessuna […] chiara e comprensiva teoria superiore alla sua [di Aristotele] nella capacità di spiegare la gamma delle nostre ordinarie intuizioni morali» (ibidem).
135
Ibidem.
136
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rovescerà molte delle loro credenze basate sul senso comune. […] Similmente, il suo [di Aristotele] pensiero politico non pone la libertà della scelta individuale come un valore allo stesso livello della giustizia nelle disposizioni sociali e nemmeno il rispetto per l’indipendenza come un motivo di azione di fianco al rispetto per i doveri e le obbligazioni. […] Un terzo aspetto del concetto di libertà […] è assente: l’idea che tutti i fenomeni naturali, inclusi i cambiamenti interni all’animo umano, vadano spiegati come esempi di leggi naturali e che la natura sia del tutto uniforme nella regolare connessione di cause ed effetti, [e, inoltre, il ritenere] che vi sia un problema filosofico attorno all’idea di un agente moralmente responsabile che deve formare il proprio carattere e che è libero di scegliere tra il bene e il male […].137
Al di là dei problemi interpretativi che il testo di Hampshire pone, è difficilmente negabile che nell’etica aristotelica l’autonomia di scelta entro possibilità concrete date non sia avvertita come bisognosa di una giustificazione metafisica e venga piuttosto assunta come un’immediata percezione che ogni uomo ha di sé e che, anche per Spinoza, ogni uomo non può non avere.
Riassumiamo quindi la nostra risposta alla domanda sulla riconducibilità o meno al modello aristotelico dell’etica di Spinoza considerata adeguatamente ribadendo che: indeterminatezza delle azioni umane, possibilità reale di scelta tra percorsi alternativi in vista del fine (uomo come principio), orientamento finalistico dell’agire umano e funzione normativa dell’uomo saggio138 rappresentano caratteristiche essenziali dell’eudemonismo aristotelico del tutto incompatibili con l’etologia umana di Spinoza. La morale descrittiva, priva di libero arbitrio, contingenza e finalismo proposta da Spinoza ci sembra dunque rappresentare una concezione radicalmente altra di etica filosofica, per natura non riconducibile alla teleologia morale di Aristotele139.
Quale conclusione è invece possibile raggiungere assumendo l’etica spinoziana per ciò che essa appare ad uno sguardo inadeguato? La risposta dovrebbe risultare quasi immediata. Abbiamo sostenuto che, una volta riabilitata la considerazione degli eventi come possibili140, l’etica di Spinoza manifesta un chiaro aspetto teleologico: bene è ciò che ci libera dalla schiavitù delle passioni, avvicinandoci ad una condizione di vita ideale pienamente razionale
137
Ivi, p. 56.
138
Cfr. supra, cap. II, § 2.3 e nota 103, p. 64.
139
Molte altre sono le differenze rilevanti tra le etiche di Aristotele e Spinoza. Si pensi, ad esempio, alla differenza di metodo immediatamente evidente e alle diverse concezioni ontologiche ed antropologiche fondanti tale differenza metodologia (su ciò cfr. ad es. BIASUTTI, Aspetti della filosofia pratica spinoziana cit., pp. 289 e s.; J. WETLESEN, Normative Reasoning in Spinoza; Two Interpretations, in AA. VV., Spinoza on Knowing,
Being and Freedom, Proceedings of the Spinoza Symposium at the International School of Philosophy in the
Netherlands (Leusden, September 1973), ed. by J. G. van der Bend, Van Gorcum, Assen 1974, pp. 162-171, part. pp. 165-168). Per lo scopo che ci siamo prefissi, le considerazioni svolte ci sembrano comunque sufficienti.
140
È poi davvero corretto parlare di “riabilitazione” di un modo di concepire il mondo che, stando al TTP, non solo è più pratico ma è addirittura necessario?
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e gioiosa, nostro sommo bene, definita come «salvezza o beatitudine o Libertà»141. Elemento simbolo di questa impostazione finalistica si è rivelato essere l’exemplar naturæ humanæ. Lo scopo generatore dell’etica spinoziana così intesa è chiaramente la ricerca di quel «qualcosa di buono e capace di comunicarsi» tale che, trovatolo ed acquisitolo, permetta di «godere in eterno di continua e grandissima felicità»142. Questo proposito sembra coincidere con la ricerca del fine ultimo o bene supremo dell’uomo che motiva l’indagine pratica aristotelica e che viene poi riconosciuto nella felicità come esercizio della parte razionale dell’anima umana143. Significativa è inoltre l’affinità, già sottolineata da Dominguez, nell’identificazione da parte di Aristotele e Spinoza della vera natura umana con l’anima o con la conoscenza razionale. La sostanziale coincidenza di finalità della ricerca morale, di concezione della natura umana e dell’attività ad essa propria porta inoltre le etiche dei due Classici a ritrovarsi nella proposta di una concreta modalità per il raggiungimento del fine, l’assunzione cioè, da parte del soggetto, di un modello comportamentale esemplare come riferimento e metro di valutazione morale: l’uomo saggio e valoroso di Aristotele ( ) che «giudica
bene di loro [delle azioni virtuose]» e che, essendo per lui bene «ciò che è veramente bene», funge da «misura di ciascun tipo d’uomo»144, e l’exemplar di Spinoza, modello al quale tendere e criterio per la valutazione della perfezione umana145. Le essenziali analogie evidenziate tra etica aristotelica e comprensione inadeguata dell’etica spinoziana ci permettono di ricondurre chiaramente quest’ultima al modello di etica teleologica per antonomasia146.