II. SU FORMA E CONTENUTO DELL’ETICA SPINOZIANA
4. Sulle prescrizioni della ragione
4.1 Natura descrittiva delle prescrizioni
Che le prescrizioni della ragione siano proposte da Spinoza come mezzi per raggiungere l’ideale sembra fuori da ogni dubbio. Il determinismo spinoziano implica però che l’aspetto normativo dei præscripta sia un “travestimento” della reale natura descrittiva loro propria. Dato che nessun uomo è libero di scegliere se attuare o meno quanto la ragione consiglia in vista del fine, i rationis præscripta non possono che rappresentare in realtà semplici descrizioni dei mezzi più adeguati per l’avvicinamento alla vita umana ideale. Diversi interpreti concordano su questo punto. Heinekamp, ad esempio, ritiene che dictamina e
præscripta razionali «non possano venire designati come reali prescrizioni morali», non
essendo altro che «dichiarazioni sulla natura fattuale dell’uomo» e quindi, più precisamente, «proposizioni descrittive dell’antropologia spinoziana»172. James Morrison sottolinea la coincidenza fra le prescrizioni razionali e «fatti descrittivi relativi a ciò che gli uomini per natura desiderano»173. Per Landucci, inoltre, «i præcepta o dictamina della ragione […] sono imperativi che, in linguaggio kantiano, andrebbero qualificati come “ipotetici”. Di questo genere: se vuoi essere libero, anziché servo delle passioni, abituati a sentire così e così»174, imperativi, quindi, piuttosto affini ai precetti medici. Secondo De Dijn, poi, le «direttive concernenti il buono e il cattivo sono semplicemente intuizioni razionali di certe connessioni causali [mezzo-fine] trasformate in imperativi ai quali l’uomo razionale, per quanto è in suo potere, obbedirà inevitabilmente, guidato com’è dall’impulso verso una maggiore razionalità»175.
Wetlesen propone una dettagliata ricostruzione del procedimento spinoziano di “estrazione” di enunciati normativi da asserzioni descrittive concernenti l’affetto attivo della
fortitudo, considerato in entrambe le sue dimensioni, quella riguardante il sé e quella
riguardante gli altri. La possibilità di «estrarre norme da desideri»176 si basa, per Wetlesen, sulla «somiglianza strutturale tra desideri e norme»177, somiglianza relativa alla comune natura condizionale. La forma “se…allora…” dei desideri può essere chiarita con un asserto descrittivo quale: «Se le condizioni sono di un certo tipo, allora il desiderio sarà di un certo
172
HEINEKAMP, Metaethik und Moral cit., p. 70.
173
MORRISON, The Ethics of Spinoza’s Ethics cit., p. 181.
174
LANDUCCI, L’etica e la metaetica cit., p. 400.
175
DE DIJN, The Possibility of an Ethic cit., p. 32; cfr. inoltre HAMPSHIRE, Two Theories cit., p. 67 e MOLTHAN, Über das normative und deskriptive Element cit., pp. 40 e s.
176
WETLESEN, The Sage cit., p. 213.
177
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tipo»178. Le norme vengono invece definite da Wetlesen come enunciati complessi costituiti da tre elementi: «un antecedente che specifica […] le condizioni per l’applicazione della norma», «un conseguente che specifica il tema […] della norma» ed «un operatore modale che esprime il particolare tipo di desiderio del mittente di influenzare il ricevente, conferendo così funzione direttiva alla norma»179. Come si vede, la somiglianza strutturale tra desideri e norme si fonda principalmente su due elementi, l’antecedente e il conseguente. L’operatore modale è invece diverso: se indica che l’enunciato si propone come vero o falso si tratterà di un operatore aletico; se, al contrario, comporta funzioni direttive si tratterà di un operatore deontico. Secondo Wetlesen, le norme della ragione non sarebbero altro che riformulazioni normative di proposizioni necessariamente vere relative ai mezzi più adeguati per raggiungere il nostro sommo bene; in altre parole, non sarebbero altro che riformulazioni di asserti sui desideri di un uomo razionale180. Analizziamo un esempio proposto dallo stesso Wetlesen. E 4 P46 enuncia un teorema sul modo di vivere di un uomo razionale: «Chi vive sotto la guida della ragione [ex ductu rationis] si sforza, per quanto può, di ricambiare con l’Amore, cioè con la Generosità, l’Odio, l’Ira, il Disprezzo, ecc., di un altro»181. Questa descrizione adeguata viene riformulata come prescrizione in E 5 P10 Sch, luogo nel quale Spinoza propone tre principi certi (certa vitæ dogmata) per un retto sistema di vita da imparare a memoria e applicare continuamente in attesa di possedere una perfetta conoscenza dei nostri affetti. Il primo di tali principi afferma che «l’Odio bisogna vincerlo [vincendum] con l’Amore, ossia con la Generosità, e non già ricambiarlo [compensandum] con un Odio reciproco»182. La duplice presenza del gerundivo rende l’asserto chiaramente normativo. Come si vede, in quest’ultimo passo citato è proprio l’assenza di riferimento al vivere ex ductu rationis ad essere compensata col gerundivo; ciò confermerebbe l’ipotesi che le prescrizioni della ragione non siano altro che leggi antropologiche “travestite”, finalizzate ad un più facile apprendimento da parte di chi non è prevalentemente razionale e conosce ed agisce in maniera ancora spesso inadeguata183. Un ulteriore esempio può essere il terzo principio proposto in E 5 P10 Sch: «nel mettere in ordine i nostri pensieri e le nostre immagini bisogna sempre […] riferirsi [semper attendendum est] a quello che c’è di buono in ogni cosa, per essere così
178 Ibidem. 179 Ivi, p. 194. 180
Cfr. anche MOLTHAN, Über das normative und deskriptive Element cit., p. 41.
181
E 4 P46, p. 245 (p. 306).
182
E 5 P10 Sch, p. 287 (p. 352).
183
«[…] solo il saggio conosce il vero significato dei comandi; gli altri guardano alla legge come a qualcosa di esterno, al quale obbediscono per paura, per speranza di una ricompensa, a volte per alcune credenze relative a Dio. Il saggio sa che i comandi sono di fatto indicazioni che riguardano certe correlazioni di cause ed effetti; volendo necessariamente gli effetti (razionalità), egli “obbedirà” a queste regole per quanto è in suo potere» (DE DIJN, The Possibility of an Ethic cit., pp. 32 e s.).
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sempre determinati ad agire da un affetto di Letizia»184. In riferimento a E 3 P59 e E 4 P63 Cor185 dai quali è deducibile, questa norma potrebbe essere formulata descrittivamente nella maniera seguente: chi è guidato dalla ragione mette in ordine i propri pensieri e le proprie immagini riferendosi sempre a quello che c’è di buono in ogni cosa, ed è così determinato ad agire da un affetto di letizia. Il procedimento è estensibile anche alle altre prescrizioni razionali. Che la virtù sia propter se appetenda non significa altro che un uomo razionale, di fatto, la desidera per sé; che sia contro i dettami della ragione agire con frode è l’esposizione normativa di una caratteristica necessaria dell’uomo libero, appunto il non agire «mai con frode ma sempre in buona fede»186; che la ragione prescriva agli uomini di associarsi e di sottomettersi ad un diritto comune187 è una riformulazione del fatto che l’uomo guidato dalla ragione vive effettivamente «più libero nella società» e «desidera osservare le leggi della società per vivere più liberamente»188; e così via. Nel TTP è lo stesso Spinoza a dichiarare la natura descrittiva delle leggi divine le quali, pur non essendo del tutto assimilabili a leggi morali, rappresentano enunciati chiaramente normativi. Nella celebre interpretazione spinoziana del peccato originale, Adamo, simbolo dell’uomo che conosce inadeguatamente, sbaglia nell’intendere la proibizione divina «come una legge, cioè come un ordinamento cui tien dietro vantaggio o danno non secondo la necessità e la natura dell’atto commesso, ma esclusivamente secondo il volere e l’autorità di un capo, svincolati da ogni altro principio»189. Il divieto di mangiare i frutti dell’albero della conoscenza del bene e del male è infatti solo «l’espressione di una eterna necessità e verità»190: la connessione tra il mangiare quei frutti e il conseguente male per l’uomo191.
Abbiamo cercato in questo paragrafo di sciogliere l’apparente contraddizione tra il determinismo o la necessità con la quale tutto esiste ed accade e la terminologia tipicamente normativa con la quale Spinoza formula sovente le proprie direttive morali. Se contingenza e volontà libera sono pregiudizi frutto di ignoranza, modi dell’immaginazione privi di un ideato esistente formaliter, tutte le espressioni deontiche spinoziane travestono enunciati in realtà descrittivi o aletici. La necessità universale svela come inconsistente ogni tentativo di fondare
184
Ivi, p. 288 (p. 353).
185
«In virtù del Desiderio che nasce dalla ragione, noi seguiamo direttamente il bene e, indirettamente, fuggiamo il male», E 4 P63 Cor, p. 258 (p. 322).
186 E 4 P72 e Dem, p. 264 (p. 329). 187 Cfr. TP, III, 6, p. 58 (p. 59). 188 E 4 P73, pp. 264 e s. (pp. 329 e s.). 189 TTP, IV, p. 63 (p. 462). 190
Ibidem (p. 462); cfr, ivi, XVI, Adnotatio XXXIV, p. 264 (p. 658).
191
«La condizione fatta ad Adamo consisteva […] soltanto in questo, che Dio gli rivelò come il mangiare di quel frutto significasse la morte, così come rivela a noi con l’intelletto naturale che il veleno è mortifero», Ep 19, pp. 93 e s. (p. 111).
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realmente un dover-essere morale192. L’ontologia spinoziana ammette però senza alcun problema l’effettiva presenza di espressioni normative nel linguaggio comune, come ammette (e spiega) la credenza nel libero arbitrio o nelle cause finali. Ricondurre quindi gli asserti prescrittivi di E 4 e 5 a proposizioni descrittive non significa minimamente privarli della loro possibile ed anzi, come vedremo, indispensabile utilità pratica. La nostra condizione ontologica ci porta a conoscere sia adeguatamente che inadeguatamente: il necessario commercio con le cose esterne comporta un’ineliminabile presenza di idee inadeguate nella nostra mente; la nostra natura razionale, tuttavia, è a volte in grado di soverchiare la forza delle passioni e di manifestarsi secondo quella spontaneità pienamente determinata nella quale consiste la libertà. Per questo, mai nessun uomo sarà in grado di ragionare solo in termini di come le cose sono e non anche, almeno in parte, di come sarebbe bene che fossero o
dovrebbero essere. Parallelamente, gli asserti normativi sono destinati a permanere nei nostri
discorsi e a mantenere efficacia causale nella nostra vita, nonostante la reale causalità che essi sono in grado di esprimere sia la causalità puramente efficiente derivante dal loro essere modi del pensiero e non la causalità finalistica indicata dal dover-essere che nominano verbalmente. Il frequente tono prescrittivo di E 4 è stato interpretato da alcuni autori come segno della transitorietà dell’etica ivi proposta. Secondo De Dijn, ad esempio, l’etica contenuta in E 4 costituisce una sorta di «morale “ad interim”», un «manuale di precetti o linee guida» pensato per quelli che si trovano «a metà fra pura schiavitù e vera libertà»193. Solo nelle prime venti proposizioni di E 5, delineando le tecniche di liberazione o affectuum remedia194, Spinoza giungerebbe alla descrizione della «vera potenza» e della «vera libertà»195. Il punto di vista di E 5 PP1-20, eccettuati luoghi come E 5 P10 Sch che si riallacciano esplicitamente alla parte precedente dell’Etica, si caratterizza, per De Dijn, precisamente per il fatto di non essere più prescrittivo «ma descrittivo della reale potenza e di come essa opera»196. Anche quando considerassimo la delineazione degli affectuum remedia, oggetto del prossimo paragrafo, come rappresentante di una visione morale più definitiva e razionale, certamente non per questo exemplar e prescrizioni della ragione sarebbero da svalutare nella concezione etica complessiva di Spinoza.
192
«Dipendendo causalmente ogni modo dalla sostanza divina, non si può mai parlare di un Dover-essere ma sempre solo di un Essere o di un effettivo Accadere» (MOLTHAN, Über das normative und deskriptive
Element cit., p. 5).
193
H. DE DIJN, Naturalism, freedom and ethics in Spinoza, “Studia Leibnitiana”, 22 (1990), pp. 138-150, qui p. 148; anche Broad parla di una Interimsethik (cfr. BROAD, Five Types of Ethical Theory cit., p. 49) e Wetlesen afferma che il modello di natura umana ha solo «uno status provvisorio nell’etica di Spinoza» (WETLESEN, The Sage cit., p. 130).
194
Cfr. E 5 P20, p. 293 (p. 358).
195
DE DIJN, Naturalism cit., p. 149.
196
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