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Conclusioni Voucher e morfogenesi del welfare

Questo capitolo tenta di affrontare due sfide principali. In primo luogo, cerca di contestualizzare la diffusione del sistema dei voucher come fenomeno emergente in un welfare come quello italiano, notoriamente attraversato da profondi cambiamenti. In secondo luogo tenta di fornire una rappresentazione multidimensionale di questo processo di trasformazione.

L’evoluzione del welfare, si configura dunque come un fenomeno complesso, che non può essere ricondotto alla sola crisi di sostenibilità dei costi o alla progressiva estensione delle garanzie di libertà individuale.

In termini specifici, si tratta di un processo di morfogenesi strutturale, organizzativa e culturale (Archer 1995), che coinvolge necessariamente anche il terreno delle politiche sociali. Ed è proprio nell’analisi di alcuni innovativi sistemi di progettazione delle politiche sociali, che risiede la possibilità di individuare

alcune configurazioni di welfare relazionale (o societario plurale), oppure di ravvisare il tentativo (non sempre riuscito) di fuoriuscire dalla logica del welfare assistenziale, magari attraverso lo sviluppo delle politiche per l’attivazione lavorativa.

Con esplicito riferimento ai sistemi di progettazione, realizzazione e gestione delle politiche sociali che si avvalgono del voucher come mezzo di accreditamento, si può tentare di schematizzare il processo morfogenetico. (Si veda, a tal proposito, la fig. 1.3).

Fig. 1.3. Trasformazioni del welfare e introduzione dei voucher. Morfogenesi strutturale.

Con la riforma del Titolo V della Costituzione e l’introduzione del principio di sussidiarietà il centralismo amministrativo che caratterizzava il profilo del welfare assistenziale, risulta sostanzialmente mitigato.

Tuttavia, in questo quadro, la sussidiarietà si configura essenzialmente come delega di competenze o decentramento amministrativo. Questo avviene perché, a questo livello, ci si arresta a una rappresentazione esterna e parziale della logica sussidiaria, che descrive lo Stato in qualità di ente centrale che delega parte delle proprie competenze alle emanazioni amministrative locali, incaricate di gestire interventi che l’ente centrale non può o non riesce a realizzare.

Ritorna dunque il motivo della trasformazione del welfare come crisi di sostenibilità dei costi, che richiede nuovi modelli organizzativi finalizzati a ridurre

T1 Welfare State istituzionale. Centralismo amministrativo.

T4 Nuove soluzioni di welfare.

Quasi/mercati. Welfare Mix.Workfare. Welfare attivo. T2-T3 Spostamento di competenze per esternalizzare i

le spese di gestione attraverso meccanismi di esternalizzazione dei costi. Tuttavia, non si tratta solo di questo.

Una simile configurazione della sussidiarietà considera soltanto la sfera pubblica (o istituzionale), mentre i soggetti di società civile vengono percepiti esclusivamente come target di interventi più o meno standardizzati.

La logica hegeliana sottesa a tale configurazione produce un grosso equivoco: l’incapacità di considerare l’agency dei cosiddetti corpi sociali intermedi (la famiglia e le OPS, in primo luogo), il loro stile organizzativo e la capacità di contrattazione e co-gestione di interventi col settore pubblico, per non parlare del carattere sui generis dei servizi ad elevato grado di personalizzazione da loro realizzati.

Di per sé, la sola morfogenesi strutturale delle politiche di welfare identifica semplicemente l’introduzione di un modello organizzativo meno verticistico e maggiormente sostenibile dal punto di vista economico, rispetto al centralismo amministrativo che regola il welfare istituzionale al tempo T1.

Il modello che ne deriva al tempo T4, si produce mediante la costruzione e il perfezionamento di nuovi meccanismi organizzativi per la realizzazione dei servizi, come nel caso dei quasi-mercati creati attraverso l’utilizzo e la diffusione del sistema dei voucher.

Il profilo strutturale corrispondente a questa logica organizzativa sta nell’elaborazione di un nuovo scenario, analogo al mercato e integrativo rispetto al modello di offerta istituzionale dei servizi.

È tuttavia importante sottolineare che a un simile mutamento organizzativo non corrisponde soltanto una cultura della privatizzazione dei servizi, rivolta ad alleviare l’impegno della spesa pubblica e a garantire maggiore libertà di scelta dell’utente, ma anche un tentativo espresso nella direzione di una maggiore personalizzazione dei servizi, creato sulla base di una configurazione più sussidiaria tra gli attori coinvolti.

Nel tradizionale assetto, descritto dal welfare assistenziale, il focus era concentrato sulla analisi e sulla presa a carico dei bisogni già manifestati dalla domanda. La logica reattiva e incrementale degli interventi era corredata da una certa standardizzazione dei servizi erogati e predisposti per l’utenza.

Ora, il sistema pubblico di produzione dei servizi, per incontrare le esigenze della domanda, comincia a rivolgersi a nuovi soggetti che andranno a comporre un profilo più complesso sul piano dell’offerta. Mediante l’ingresso o il coinvolgimento da parte della Pubblica Amministrazione di altri soggetti nella progettazione, gestione e realizzazione dei servizi, si creano inedite logiche di accreditamento. In questo contesto si inquadrano i mercati dei servizi sociali.

Ricapitolando, il welfare istituzionale subisce importanti revisioni sul piano organizzativo (fig. 1.3). Ne sono un esempio le nuove forme di regolazione delle politiche sociali, l’introduzione delle procedure di accreditamento di enti privati erogatori di servizio, il coinvolgimento di nuove sfere di società civile (in primis le OPS), l’introduzione dei quasi/mercati. Quella che alcuni hanno definito la via della privatizzazione, ha importanti ricadute anche sul versante della cultura dell’assistenza e della cittadinanza (fig. 1.4).

Fig. 1.4. Trasformazioni del welfare e introduzione dei voucher. Morfogenesi culturale.

Se in precedenza, al tempo T1, l’inclusione sociale dei bisogni individuali rappresenta un principio di istituzionalizzazione dell’individualismo da parte dello Stato del benessere, l’introduzione del principio di sussidiarietà induce le istituzioni sociali a una profonda riflessione rispetto ai propri principi di azione (T2-T3).

Gli interrogativi a questo livello sono diversi. Come sostenere gli individui? Come sostenere i bisogni crescenti delle famiglie? Come definire le strategie di

T1 Welfare istituzionale.

Individualismo istituzionalizzato.

T4 Due logiche prevalenti.

(I) Perfezionamento dell’inclusione. (II) Inversione della logica assistenziale. T2-T3 Introduzione del principio di sussidiarietà.

azione in una società che cambia, che invecchia, che fa meno figli e che sperimenta inedite forme di iniquità e nuove spinte all’esclusione sociale13? Che tipo di sussidiarietà incoraggiare?

Fino a questo momento, due mi sembrano essere le logiche prevalenti di risposta percorse dal welfare italiano.

(1) La prima è quella del welfare mix, che propone il perfezionamento dell’inclusione sociale attraverso una messa a punto del binomio Stato/mercato e il coinvolgimento delle OPS nella definizione di interventi che altrimenti non potrebbero essere realizzati. Qui sussidiare significa ricucire la safety net, cioè sostenere i bisogni avvertiti dalle persone in maniera reattiva. A più esigenze deve corrispondere più welfare. La riforma del welfare mix rappresenta un processo di morfogenesi nella cultura organizzativa del welfare perché si sostiene ammettendo l’intervento coordinato di sfere di società civile nella definizione dei programmi in politica sociale. Tuttavia ma non ha luogo un pieno processo morfogenetico nella cultura dell’assistenza, che rimane ancorata alla definizione fornita dal modello dello Stato interventista rispetto al principio della cura reattiva con interventi ex post.

(2) La seconda è quella delle politiche attive, cioè della via europea ispirata alla riforma anglosassone del workfare. In questo scenario si produce una inversione nella logica dell’assistenza. Il benessere diventa un merito, non un diritto naturale che ci è dovuto, a prescindere dall’impegno investito nella sua ricerca. La condizione di indigenza o di povertà individuale diviene una colpa personale, che va evitata o espiata attraverso il lavoro. Qui sussidiare significa tentare di prevenire i bisogni individuali attraverso la fuoriuscita dallo stato di dipendenza che il welfare assistenziale produce (culture of dependency).

La sfida è quella della qualità del welfare, che sempre meno significa efficacia rispetto agli obiettivi di politica sociale, e sempre meno significa efficienza dal punto di vista dell’equilibrio fra risorse impiegate e risultati raggiunti.

Le strade percorse dal welfare vanno in questa direzione? Senza dubbio, i nuovi stili organizzativi che interessano gli attuali sistemi di politica sociale sono

13 Si pensi, a questo proposito alla disoccupazione femminile, al lavoro precario, e alla letteratura (ormai diffusissima) sul principio di segregazione sociale.

una prova della morfogenesi affrontata dagli ordinamenti di welfare contemporanei.

Resta da vedere se le politiche sociali che si realizzano con l’emissione dei voucher di servizio configurino o meno una soluzione maggiormente personalizzata dei servizi stessi, incontrando le reali esigenze degli utenti e connettendo in maniera sensata le loro relazioni familiari.

Gli interventi analizzati in questa sede, particolarmente i voucher per la conciliazione fra tempi di lavoro e di cura familiare, realizzati nell’ambito della programmazione 2000/2006 del Fondo Sociale Europeo (FSE) sembrano incontrare alcuni limiti fondamentali proprio su questo versante.

La spiegazione sull’origine e la diffusione del voucher come titolo di accesso vincolante per l’accesso a servizi alla persona sarà l’oggetto del prossimo capitolo. La diffusione dello strumento rispetto ai campi di applicazione privilegiati in politica sociale sarà invece trattata nel terzo capitolo di questo contributo. In questa sezione abbiamo dunque considerato che fosse sufficiente contestualizzare il voucher nell’ambito della revisione del welfare state istituzionale.

Come è già stato più volte sottolineato in questo capitolo, l’evoluzione dello Stato del benessere si distingue – tra le altre cose – per l’orientamento alla produzione di servizi alla persona.

Per incontrale le reali esigenze dei destinatari (almeno questa è l’opinione mainstream dei policy maker) questi servizi devono essere prodotti attraverso una logica partecipata che implica il ruolo di più attori; il famoso mix di risorse che sostiene i sistemi di welfare avanzati.

Inoltre i servizi devono essere distribuiti attraverso circuiti di erogazione efficienti dal punto di vista dell’equilibrio fra costi di gestione e ottimizzazione dei risultati sull’utenza.

Questo obiettivo si raggiunge attraverso due peculiari strategie, orientate a fornire uno specifico profilo di garanzia.

(I) Sul in versante della domanda, la garanzia accordata ai destinatari degli interventi è quella di un’ampia libertà di scelta rispetto alla scelta dei soggetti erogatori.

(II) Sul versante dell’offerta la garanzia promossa dal sistema politico sta nell’incoraggiamento della competizione fra i soggetti erogatori che competono nell’arena di una struttura simile al mercato in cui vengono venduti beni di consumo e servizi alla persona.

L’agire coordinato di queste due logiche dovrebbe creare un dispositivo in grado di aumentare il benessere sociale attraverso la soddisfazione delle esigenze degli utenti. Inoltre la concorrenza fra gli enti erogatori, rilanciata dalla libertà di scelta accordata ai destinatari dei servizi, dovrebbe indurre un generale investimento nella qualità dei prodotti offerti. Questo a meno che la concorrenza non si concentri sul versante dei prezzi di emissione, innescando un processo che ridurrebbe i costi (e dunque i prezzi finali dei servizi) ma non aumenterebbe la qualità dell'output produttivo.

Tuttavia, questo è solo un modello teorico, che si trova tuttora esposto alla prova dei fatti. Non solo resta da vedere se la logica descritta in precedenza ha poi effettivamente luogo, ogni volta che viene elaborato un dispositivo di politica sociale che si avvale dei voucher come strumento di contrattualizzazione. Bisogna anche verificare se questo dispositivo, connotato da una architettura fra ruoli che si limitano reciprocamente (come nella migliore tradizione anglosassone dei checks and balances dove la triangolazione destinatari-erogatori-finanziatori viene continuamente riavviata da una logica di controllo reciproco e circolare fra le parti) è effettivamente orientato in conformità con le reali esigenze dei destinatari. In altre parole, non ci è dato di sapere se i welfare avanzati sono in grado di leggere le esigenze degli individui e delle famiglie con il proprio codice di osservazione per poi interpretarle e soddisfarle secondo una peculiare declinazione del principio di sussidiarietà.

Il voucher sorge nell’ambito di una cultura di welfare individualista, e questo non costituisce di per sé un elemento di critica. Dipende da come il connotato individualizzante viene tradotto nelle singole configurazioni. Quando si verificano i problemi?

(I) Quando, in primo luogo, lo strumento produce logiche perverse o i suoi intenti promozionali vengono vanificati perché viene trasportato in un contesto di welfare che non predispone logiche adatte a riprodurlo.

Questo avviene, ad esempio, nel caso del voucher di conciliazione del Fondo Sociale Europeo e dei buoni scuola introdotti in Italia per favorire l’accesso a istituti privati convenzionati col settore pubblico.

(II) Quando il corollario di fondo della logica privatistica che orienta i provvedimenti – cioè la promozione di una maggiore libertà di scelta rispetto agli erogatori dei servizi – viene confusa con una maggiore personalizzazione dei servizi stessi.

In altre parole, come insegna Hannah Arendt, avallare l’equazione individualizzazione = personalizzazione degli interventi è un’operazione tutt’altro che automatica, che molto spesso risulta addirittura errata. In primo luogo non tutti i dispositivi che si avvalgono di questo strumento attuano procedure tali da garantire nella pratica una maggiore libertà di scelta, che rimane un vantaggio riscontrato nei titoli di accesso ai servizi spesso soltanto sul piano teorico. In secondo luogo, una maggiore libertà di scelta fra erogatori non si traduce immediatamente (e necessariamente) in una maggiore qualità percepita dal punto di vista dei destinatari rispetto ai servizi fruiti, né in un maggiore benessere, né tantomeno in una effettiva possibilità di effettuare materialmente una scelta consapevole fra alternative. A questo livello giocano le concrete configurazioni dei dispositivi, la territorializzazione dei servizi, il grado di informazione dei destinatari rispetto alle alternative praticabili, e soprattutto – come già ha ricordato Beltrametti (2004) – il tempo che i destinatari effettivi o le loro famiglie (come nel caso del voucher scolastico o socio-sanitario) possono materialmente investire nella ricerca dell’opzione più adeguata alle esigenze emerse.

Per dirla con Martha Nussbaum sarebbe opportuno verificare non tanto il concreto impianto (o funzionamento) di questo o quel dispositivo, quanto l’adeguatezza dimostrata dal dispositivo stesso nell’incontrare i bisogni fondamentali realmente avvertiti dai destinatari e nel rendere questi ultimi capaci di soddisfare le proprie esigenze profonde. Solo in questo modo il welfare, tanto su base locale quanto su base nazionale o sovra-nazionale, sarebbe capace di coniugare la propria morfogenesi con una cultura solidamente sussidiaria, evitando di interpretare in maniera fuorviante le esigenze del proprio bacino di utenza.

Una indagine critica sui voucher può aiutare l’osservatore a individuare i paradossi incontrati dai sistemi di welfare che, nel tentativo di riorganizzarsi in chiave personalistica, adottano uno stile di azione non sempre in grado di comprendere le reali esigenze dell’individuo e di capacitarlo14 all’interno del proprio contesto relazionale.

14

Il concetto di capacitazione (capability), centrale nella teorizzazione di Amartya Sen e Martha Nussbaum, rimanda all’idea di un individuo reso in grado di raggiungere i propri bisogni fondamentali da un complesso di azioni umanizzanti rivolte a incoraggiare e sostenere il profilo personale dell’uomo. Si tratta di un ragionamento che può essere esplicitamente esteso ai sistemi di welfare secondo i principi dell’universalismo contestuale teorizzati dalla Nussbaum.

CAPITOLO II